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La responsabilità del produttore di farmaci: tra difettosità, pericolosità e vizi. Profili critici, onere della prova e rischio da sviluppo
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Pubbl. Mer, 9 Apr 2025
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La responsabilità del produttore di farmaci: tra difettosità, pericolosità e vizi. Profili critici, onere della prova e rischio da sviluppo

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Francesco Vincelli
Laurea in GiurisprudenzaLUISS Guido Carli



L’articolo analizza la responsabilità del produttore di farmaci, distinguendo tra prodotto difettoso, pericoloso e viziato, con le relative conseguenze pratiche. Approfondisce la dicotomia tra responsabilità da prodotto difettoso (Codice del Consumo) e per attività pericolosa (art. 2050 c.c.), con focus sul riparto dell’onere della prova e sulle cause di esonero. Esamina il rischio da sviluppo e il danno non scientificamente accertato, evidenziando le criticità del sistema tra tutela del consumatore e innovazione farmaceutica. Propone riforme per bilanciare gli interessi in gioco, valutando una regolamentazione basata sulla pericolosità del farmaco e l’evoluzione scientifica.


ENG

Drug manufacturer liability: between defectiveness, dangerousness, and defects. Critical profiles, burden of proof and development risk

The article analyzes the liability of pharmaceutical manufacturers, distinguishing between defective, dangerous, and flawed products and their practical implications. It explores the dichotomy between product liability (Consumer Code) and liability for hazardous activities (Article 2050 of the Italian Civil Code), focusing on the burden of proof and grounds for exemption. It examines development risk and scientifically unverified damages, highlighting the system´s weaknesses in balancing consumer protection and pharmaceutical innovation. The study proposes reforms to achieve a fairer balance, considering a regulatory approach based on a drug’s risk level and scientific advancements.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Distinzione tra prodotto difettoso, prodotto pericoloso e prodotto viziato; 2.1. Il concetto di prodotto difettoso e la correlazione con l’insicurezza (art. 117 Codice del Consumo); 2.2. Il concetto di prodotto pericoloso e l’art. 2050 c.c. (attività pericolose); 2.3. Il prodotto viziato nel Codice Civile (artt. 1490 ss. c.c.); 3. La responsabilità del produttore per danni da farmaco: le due tesi principali; 3.1. La questione preliminare dell’autorizzazione al commercio; 3.2. La tesi della responsabilità ex art. 2050 c.c. (attività pericolosa); 3.3. La tesi della responsabilità da prodotto difettoso (Codice del Consumo); 4. Il riparto dell’onere della prova; 5. Profili controversi: il rischio da sviluppo e il danno non scientificamente accertato; 6. Criticità e possibili prospettive di riforma; 7. Conclusioni.

1. Introduzione

Il presente contributo mira ad analizzare il tema della responsabilità del produttore di un farmaco alla luce delle diverse qualificazioni che il prodotto può assumere nell’ordinamento italiano: prodotto difettoso, prodotto pericoloso e prodotto viziato. L’esigenza di approfondire tale questione sorge dalla constatazione che, in caso di danno alla salute del consumatore, occorre stabilire con precisione il paradigma normativo applicabile (responsabilità extracontrattuale da prodotto difettoso ex Codice del Consumo; responsabilità da attività pericolosa ex art. 2050 c.c.; ovvero rimedi contrattuali da vizi della cosa venduta ai sensi degli artt. 1490 ss. c.c.).

La distinzione non è meramente teorica, poiché comporta rilevanti ricadute pratiche quanto al regime della responsabilità, al riparto dell’onere probatorio e all’eventuale possibilità di esonero del produttore medesimo. In particolare, i profili di responsabilità per danni derivanti da farmaco appaiono ancora più delicati alla luce del potenziale rischio collegato all’assunzione di un medicinale, rischio che può rimanere non completamente conosciuto o accertato al momento della commercializzazione.

In questa prospettiva, si procederà dapprima a delineare, in via generale, le tre categorie di prodotto difettoso, prodotto pericoloso e prodotto viziato, evidenziandone i punti di contatto e le differenze sotto il profilo definitorio e funzionale. Successivamente, si esaminerà la disciplina specifica dei danni cagionati dai farmaci, considerando le due principali tesi in dottrina e giurisprudenza: la tesi della responsabilità ex art. 2050 c.c. (cosiddetta responsabilità da attività pericolosa) e la tesi della responsabilità da prodotto difettoso ex art. 117 e ss. del Codice del Consumo. Si porrà in luce come queste due prospettive comportino differenti modalità di riparto dell’onere della prova e differenti soluzioni circa il rischio di danno non scientificamente accertato.

In chiusura, si tenterà di trarre alcune considerazioni conclusive sull’esistenza di un modello di responsabilità realmente oggettivo, o se invece non sia più corretto parlare di responsabilità per colpa presunta o, ancora, di un sistema misto che, in base al tipo di prodotto (e, segnatamente, di farmaco) e al momento in cui si è verificato l’evento dannoso, richiede differenti standard probatori e differenti possibili prove liberatorie.

2. Distinzione tra prodotto difettoso, prodotto pericoloso e prodotto viziato

In primo luogo, è fondamentale distinguere tra prodotto difettoso, prodotto pericoloso e prodotto viziato, poiché ciascuna di queste qualificazioni giuridiche implica un diverso regime di responsabilità e differenti criteri di accertamento del danno. Il prodotto difettoso rientra nella disciplina del Codice del Consumo, in quanto non offre la sicurezza che il consumatore può legittimamente attendersi. Il prodotto pericoloso, invece, presenta un’elevata potenzialità lesiva intrinseca, che può renderne l’uso rischioso anche se conforme agli standard produttivi, sollevando la questione dell’applicabilità dell’art. 2050 c.c. sulla responsabilità per attività pericolose. Infine, il prodotto viziato è disciplinato dagli artt. 1490 ss. c.c. e riguarda anomalie che incidono sulla funzionalità o sul valore del bene, ma non necessariamente sulla sua sicurezza. La distinzione tra queste categorie è cruciale per determinare il regime di responsabilità applicabile ai danni derivanti dall’uso di un farmaco.

2.1. Il concetto di prodotto difettoso e la correlazione con l’insicurezza (art. 117 Codice del Consumo)

La nozione di prodotto difettoso trova il suo referente normativo negli artt. 117 e ss. del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo). In particolare, l’art. 117 definisce difettoso il prodotto che non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche, le istruzioni e le avvertenze fornite, l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, i comportamenti che in relazione ad esso si possono ragionevolmente prevedere, nonché il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

È un concetto fortemente relazionale, poiché richiama l’idea di un’aspettativa di sicurezza che il consumatore (e, più in generale, il pubblico) legittimamente si forma: se questa aspettativa è frustrata, il prodotto viene qualificato come difettoso, anche se magari non è intrinsecamente pericoloso o non presenta imperfezioni di tipo estetico o funzionale.

È molto importante, altresì, sottolineare che la nozione di prodotto difettoso non coincide con quella di prodotto pericoloso[1]. Difatti, come chiarito anche dalla più recente giurisprudenza[2], un prodotto difettoso non necessariamente è pericoloso, e viceversa. Inoltre, l’accertamento sulla difettosità del prodotto non attribuisce al giudice il potere di determinare come il prodotto avrebbe dovuto essere progettato o realizzato. Al contrario, la verifica della difettosità deve essere condotta valutando se il prodotto contestato sia stato progettato e costruito nel rispetto degli standard minimi imposti dalle norme di settore e dalle regole di comune prudenza, ovvero dalle leges artis applicabili.

Un prodotto può essere difettoso anche senza essere connotato da un’elevata potenzialità lesiva: basti pensare a un mancato avviso circa l’uso non conforme del prodotto che, in determinate circostanze, potrebbe generare un rischio – non necessariamente grave – di danno.

Ne consegue che il baricentro del difetto non è la presenza di un rischio in termini assoluti, bensì l’inadeguatezza del bene rispetto alle legittime aspettative di sicurezza dei consumatori, valutate caso per caso a seconda di come il bene è presentato e utilizzato.

2.2. Il concetto di prodotto pericoloso e l’art. 2050[3] c.c. (attività pericolose)

Il prodotto pericoloso è quel bene che, per le sue caratteristiche intrinseche[4], presenta un’elevata potenzialità lesiva, ossia una significativa probabilità di provocare danni a persone o cose, indipendentemente da eventuali difetti di fabbricazione o vizi occulti. La sua pericolosità può derivare da diversi fattori, tra cui la composizione chimica, la natura tossica o infiammabile dei materiali impiegati, il tipo di funzionamento o la necessità di un utilizzo particolarmente attento per evitare rischi. Un prodotto è considerato pericoloso in sé quando, pur essendo stato realizzato secondo standard tecnici e normativi adeguati, la sua stessa funzione o modalità d’uso lo rende idoneo a causare danni se non impiegato con determinate precauzioni. Rientrano in questa categoria, ad esempio, i farmaci ad alta tossicità, le sostanze esplosive o infiammabili, i macchinari industriali privi di dispositivi di sicurezza automatizzati e gli strumenti chirurgici destinati a procedure invasive.

Tale concetto – a differenza di quello di prodotto difettoso, fondato sulla frustrazione delle legittime aspettative di sicurezza – si focalizza più sull’oggettiva potenzialità di nuocere che il prodotto reca in sé, indipendentemente dalle eventuali istruzioni o avvertenze fornite dal produttore. Ciò chiama in causa, nell’ordinamento civilistico, la disciplina dell’art. 2050 c.c., che impone a chi esercita un’attività pericolosa (sia di produzione, sia di commercializzazione di beni intrinsecamente rischiosi) di adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno, pena una responsabilità aggravata o, secondo altra tesi, oggettiva.

Si comprende, allora, come prodotto pericoloso e prodotto difettoso siano due categorie che solo occasionalmente si sovrappongono: la presenza di un pericolo intrinseco non implica di per sé il difetto (il prodotto può essere pericoloso ma non difettoso, se il pubblico si attende esattamente quel livello di pericolosità e se le informazioni e le procedure di sicurezza sono adeguate). Al contempo, un prodotto potrebbe risultare difettoso senza essere effettivamente pericoloso, se difetta un livello di sicurezza minima in relazione alla funzione d’uso ed alle aspettative dell’utente.

2.3. Il prodotto viziato nel codice civile (artt. 1490 ss. c.c.)

Un terzo concetto di grande rilevanza è quello di prodotto viziato, risalente alla disciplina della garanzia per vizi nel contratto di vendita (artt. 1490 ss. c.c.). Il vizio si configura[5] come qualsiasi anomalia, imperfezione o difformità dalla normalità che renda il bene inidoneo all’uso cui è destinato o ne diminuisca in modo apprezzabile il valore. Non necessariamente, quindi, il prodotto è insicuro: un oggetto può essere viziato (ad esempio, un difetto estetico nella carrozzeria di un’auto) senza risultare né pericoloso né difettoso in senso di sicurezza.

In sintesi, dunque, nel prodotto difettoso[6] manca il livello di sicurezza che il consumatore si attende e si applica la disciplina del Codice del Consumo. Il prodotto pericoloso possiede un’intrinseca elevata potenzialità lesiva; ci si riferisce a un paradigma di responsabilità aggravata o oggettiva ex art. 2050 c.c. mentre il prodotto viziato presenta un difetto di natura qualitativa, funzionale o estetica, che incide sull’uso o sul valore della cosa; rileva in ambito contrattuale con rimedi ex artt. 1490 ss. c.c. L’art. 1490 c.c. e la disciplina della garanzia per vizi della cosa venduta non rilevano nel tema della responsabilità del produttore per danni da farmaco perché si riferiscono esclusivamente ai vizi del bene venduto e non alla sua sicurezza. La garanzia per vizi si applica nei rapporti contrattuali tra venditore e acquirente quando il bene è inidoneo all’uso cui è destinato o ne riduce il valore, mentre la responsabilità del produttore per danni da farmaco riguarda la tutela della salute del consumatore contro prodotti difettosi o intrinsecamente pericolosi.

Inoltre, l’art. 1490 c.c. regola il rapporto tra venditore e acquirente, mentre la responsabilità del produttore si fonda su una disciplina extracontrattuale (art. 2050 c.c. o Codice del Consumo) che tutela chiunque subisca un danno dall’uso del prodotto, indipendentemente da un rapporto diretto di acquisto. Pertanto, il regime di garanzia per vizi non può essere applicato alla responsabilità per danno da farmaco, che segue logiche e criteri di accertamento della responsabilità del tutto distinti.

3. La responsabilità del produttore per danni da farmaco: le due tesi principali

Uno dei terreni più controversi[7] per l’applicazione di queste categorie è costituito dal farmaco, oggetto di produzione industriale e commercializzazione su larga scala, ma necessariamente associato a rischi per la salute degli utenti, almeno in termini di possibili effetti indesiderati. Invero, il farmaco è pericoloso per la sua stessa natura, in quanto si tratta di una sostanza attiva che interagisce con il corpo umano con effetti benefici ma anche potenzialmente nocivi. La sua pericolosità dipende da diversi fattori, tra cui la composizione chimica, il meccanismo d’azione, gli effetti collaterali e il profilo di rischio individuale del paziente. Tutti i farmaci, per essere efficaci, devono modificare processi biologici nell’organismo. Questo implica che, accanto agli effetti terapeutici desiderati, possano verificarsi effetti indesiderati, talvolta anche gravi. Alcuni farmaci, come gli antitumorali, hanno un’elevata tossicità sistemica e possono danneggiare organi vitali; altri, come gli anticoagulanti, comportano un rischio di emorragie gravi, rendendo necessario un monitoraggio costante. La questione centrale, da un punto di vista giuridico, è stabilire se la pericolosità del farmaco rientri nel concetto di attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., oppure se la sua sicurezza debba essere valutata nell’ambito della responsabilità da prodotto difettoso prevista dal Codice del Consumo[8]. Come inquadrarne la responsabilità?

3.1. La questione preliminare dell’autorizzazione al commercio

Un primo quesito che si pone in materia di danno da farmaco riguarda il valore dell’autorizzazione alla commercializzazione (rilasciata dall’A.I.F.A. in ambito nazionale o dall’E.M.A. a livello europeo). Tale autorizzazione, rilasciata dopo un iter di verifica scientifica dei requisiti di sicurezza ed efficacia, non esclude di per sé la responsabilità del produttore. Infatti, il fatto che un farmaco sia conforme agli standard tecnici richiesti per l’autorizzazione all’immissione in commercio non è sufficiente a esonerare l’azienda farmaceutica dalla responsabilità civile e, ovviamente, neanche da eventuali profili penali. In particolare, l’art. 39 del d.lgs. n. 219/2006 – che regola la sicurezza dei farmaci – prevede espressamente che l’autorizzazione al commercio non funge da limite preclusivo all’azione di responsabilità.

3.2. La tesi della responsabilità ex art. 2050 c.c. (attività pericolosa)

Uno degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali[9] ritiene che la produzione di farmaci (cioè l’attività produttiva, in vista della successiva immissione in commercio) rientri tra le attività[10] pericolose[11], in virtù del potenziale effetto collaterale dannoso per la salute dei pazienti. L’art. 2050 c.c. sancisce che chiunque cagiona danno nell’esercizio di un’attività pericolosa è tenuto al risarcimento se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.

A seconda del taglio interpretativo si registra una responsabilità per colpa presunta[12] e dunque l’art. 2050 c.c. è visto come una responsabilità soggettiva ma aggravata, in cui la colpa è presunta e il danneggiante si libera dimostrando l’assenza di un proprio comportamento colpevole ovvero una responsabilità oggettiva[13]: l’art. 2050 c.c. non menziona la colpa, ragion per cui la dottrina maggioritaria[14] la configura come una forma di responsabilità oggettiva[15]. Il produttore, per liberarsi, deve dimostrare l’assenza di nesso di causalità o che, anche con la massima diligenza possibile (incluse misure precauzionali volte a evitare rischi non ancora comprovati scientificamente), il danno non si sarebbe potuto evitare[16].

Con riferimento ai farmaci, l’opzione per la seconda impostazione (responsabilità oggettiva) assume rilievo dirompente, poiché impone al produttore l’onere di prevenire anche i rischi non scientificamente accertati, in un’ottica di principio di precauzione[17] o, meglio, di responsabilità da pericolo. In tal modo, il rischio della causa ignota – ovvero la possibilità che un danno derivi da un effetto collaterale non ancora noto alla scienza – finisce per ricadere sul produttore, e non sul danneggiato. Se da un lato ciò incrementa notevolmente la protezione del consumatore[18], dall’altro solleva interrogativi su possibili conseguenze sfavorevoli allo stesso sviluppo farmaceutico, perché i produttori potrebbero essere gravati da oneri assicurativi e probatori inibenti[19].

3.3. La tesi della responsabilità da prodotto difettoso (Codice del Consumo)

Un secondo orientamento[20] ritiene, invece, che la fattispecie tipica cui ricondurre i danni da farmaco sia la responsabilità da prodotto difettoso di cui agli artt. 114-127 Codice del Consumo, attuativi della Direttiva europea sulla responsabilità per prodotti difettosi. Tale corpus normativo è stato qualificato come diritto comune dei prodotti nell’Unione europea. L’idea di base è che, trattandosi di un bene mobile destinato al consumo, con possibili rischi per la salute dei consumatori, occorra applicare la disciplina consumeristica in senso stretto[21].

In particolare, l’art. 120 Codice del Consumo stabilisce che il danneggiato debba provare il difetto, il danno e il nesso causale tra difetto e danno. Non è richiesta, invece, la prova della colpa del produttore, cosicché si tratta di una ipotesi di responsabilità oggettiva[22] o, secondo altri, di colpa presunta[23].

Tuttavia, il test di difettosità[24] (la mancanza di sicurezza che il consumatore si può legittimamente attendere) diviene il passaggio centrale: se non si dimostra che il farmaco presentava un difetto, la responsabilità del produttore non sussiste[25]. Diversamente dall’art. 2050 c.c., non è sufficiente dimostrare solo il nesso di causalità tra l’assunzione del farmaco e il danno: occorre provare (anche a livello presuntivo) che il medicinale era difettoso, ad esempio per carenza di adeguate istruzioni, avvertenze o per un difetto di produzione vero e proprio[26].

In più, l’art. 118 Codice del Consumo contempla alcune cause di esclusione della responsabilità, tra cui quella del cosiddetto rischio da sviluppo (lett. e), secondo cui il produttore non risponde se, al momento della messa in circolazione del prodotto, lo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche non permetteva di individuare il difetto.

È evidente che tale esimente costituisce una differenza centrale rispetto alla prospettiva di cui all’art. 2050 c.c.: mentre in quest’ultimo caso il rischio di danno ignoto potrebbe gravare sul produttore, nella disciplina consumeristica è il danneggiato a sopportare il danno qualora non fosse ragionevolmente individuabile in base alle conoscenze del tempo.

4. Il riparto dell’onere della prova

La differenza principale tra responsabilità da attività pericolosa (art. 2050 c.c.) e responsabilità da prodotto difettoso (Codice del Consumo) emerge con grande evidenza sul piano del riparto dell’onere probatorio e, conseguentemente, sul rischio della causa ignota.

Ai sensi dell’art. 2050 c.c. il danneggiato deve dimostrare il danno e il nesso di causalità materiale tra l’esercizio dell’attività e il pregiudizio subito. Il produttore (o l’esercente l’attività) è responsabile a meno che provi di aver adottato tutte le misure idonee a evitare l’evento (prova, secondo la tesi oggettiva, di un fatto estraneo e imprevedibile che rompe il nesso causale, oppure secondo la tesi soggettiva, di assenza di colpa).

Nella responsabilità ex artt. 114-127 Codice del Consumo (prodotto difettoso), il danneggiato deve dimostrare il difetto del prodotto, il danno e il nesso causale tra difetto e danno. Il produttore può esonerarsi fornendo la prova liberatoria di cui all’art. 118, lett. a) - f), tra cui spicca quella sullo stato delle conoscenze scientifiche al momento dell’immissione in commercio.

Come si vede, la disciplina della responsabilità da prodotto difettoso impone al danneggiato un aggravio probatorio iniziale (dimostrare l’esistenza del difetto, e non solo l’esistenza di un nesso di causa tra bene e danno). Se tale passaggio risulta particolarmente difficile o incerto – specie quando i danni emergono a distanza di tempo e/o gli studi scientifici non forniscono certezze – il rischio che la domanda venga respinta cresce.

Di contro, nell’ambito dell’art. 2050 c.c. (interpretato in chiave di responsabilità oggettiva), per l’attore è sufficiente la prova del nesso di causalità tra l’esercizio dell’attività e il danno. Il produttore, per andare esente da responsabilità, è chiamato a dare prova che nessuna misura, neppure di ordine precauzionale, avrebbe potuto impedire l’evento[27].

5. Profili controversi: il rischio da sviluppo e il danno non scientificamente accertato

Uno dei nodi più delicati della responsabilità per danni da farmaco è il caso in cui, al momento della commercializzazione, non esistesse un consolidato orientamento scientifico in grado di prevedere quell’effetto lesivo.

Secondo la prospettiva dell’art. 2050 c.c., si tende ad affermare che il produttore è comunque tenuto ad adottare misure precauzionali anche per rischi ignoti, in nome di un dovere di massima diligenza e massima prevenzione. Di conseguenza, se il danno è avvenuto e non era possibile provarne la completa ignoranza, la responsabilità del produttore potrebbe comunque essere affermata: egli, infatti, avrebbe dovuto adottare cautele supplementari, quantomeno informative, oppure astenersi dalla produzione se non sussistevano evidenze di sicurezza.

Secondo la prospettiva del Codice del Consumo, invece, l’art. 118 lett. e) contempla una vera e propria esimente: se lo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche era insufficiente a identificare il difetto, il produttore si libera. In questo caso, il costo del danno ignorato (perché non conosciuto dalla scienza dell’epoca) non ricade sul produttore, ma resta a carico del consumatore che ne subisce le conseguenze[28].

Quest’ultimo aspetto è spesso criticato da chi evidenzia come, nel settore farmaceutico, l’interesse primario alla salute del consumatore dovrebbe prevalere, non potendosi accettare la logica di un trasferimento del rischio di sviluppo su chi subisce il danno.

In parziale mitigazione, si osserva che la disciplina del farmaco prevede obblighi di farmacovigilanza post-marketing (c.d. Postmarket Controls)[29], così che l’impresa produttrice debba costantemente monitorare gli effetti del medicinale anche dopo la sua immissione in commercio, predisponendo eventuali ritiri o richiami del prodotto qualora emergano rischi significativi per la salute.

Il Postmarket Controls rappresenta, dunque, l’insieme delle attività di monitoraggio e controllo che i produttori devono attuare dopo l’immissione in commercio di un farmaco, al fine di garantirne la sicurezza nel tempo.

Tale sistema, strettamente connesso alla farmacovigilanza, include la raccolta e l’analisi di segnalazioni su possibili effetti avversi, l’aggiornamento delle informazioni sul medicinale e, se necessario, il ritiro del prodotto dal mercato.

In relazione alla responsabilità del produttore, il Postmarket Controls assume rilievo nel bilanciamento tra la tutela del consumatore e la protezione del produttore da rischi non prevedibili al momento della commercializzazione. Se da un lato, nel regime della responsabilità da prodotto difettoso (Codice del Consumo), può costituire un elemento utile per valutare la diligenza del produttore e l’eventuale applicabilità dell’esimente del rischio da sviluppo, dall’altro, nel contesto della responsabilità per attività pericolosa (art. 2050 c.c.), la mera osservanza di questi obblighi potrebbe non essere sufficiente a escludere la responsabilità, qualora il danno potesse essere evitato con ulteriori cautele.

Tuttavia, ciò non risolve del tutto il problema della distribuzione del rischio ignoto: se non esiste alcun indizio scientifico di possibile danno, né alcuna avvertenza sperimentale, la disciplina consumeristica non sancisce la responsabilità del produttore.

6. Criticità e possibili prospettive di riforma

La coesistenza di due discipline diverse – art. 2050 c.c. e Codice del Consumo – ha generato un dibattito tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. Alcune criticità emergono in modo evidente: anzitutto, si evidenzia un possibile conflitto con la normativa europea: l’applicazione di art. 2050 c.c. in materia di prodotti (anziché della direttiva 85/374/CEE, recepita dagli artt. 114 e ss. del Codice del Consumo) rischia di frustrare l’obiettivo dell’armonizzazione, introducendo un livello di responsabilità ancora più gravoso per il produttore rispetto a quello stabilito a livello unionale. Questo potrebbe falsare la concorrenza interna all’UE, penalizzando i produttori italiani. Inoltre, si evidenziano conseguenze sullo sviluppo farmaceutico: la prospettiva dell’art. 2050, intesa come responsabilità oggettiva ad ampio raggio, potrebbe scoraggiare le imprese dal ricercare nuovi farmaci, temendo l’attribuzione di responsabilità per rischi non ancora conosciuti (o non pienamente provati dalla scienza).

Allo stesso tempo, vi è un’esigenza di tutela effettiva del consumatore: d’altro canto, l’applicazione integrale della sola disciplina del Codice del Consumo potrebbe non garantire una protezione soddisfacente in situazioni in cui il danno risulti difficilmente prevedibile e la prova del difetto sia problematica. La regola del rischio da sviluppo e la mancata previsione di un principio precauzionale creano situazioni in cui il danno rimane sostanzialmente senza ristoro.

Proprio per tali ragioni, si potrebbe ritenere di cumulare o di integrare le due prospettive: se il farmaco è intrinsecamente e notoriamente pericoloso (ad esempio, trattamenti oncologici sperimentali ad altissima tossicità, di cui la scienza conosce già un alto profilo di rischio), si propende per l’art. 2050 c.c., imponendo uno standard probatorio più favorevole al danneggiato. Nei casi in cui il farmaco è noto per essere rischioso, il paziente, invero, potrebbe incontrare difficoltà a dimostrare un difetto specifico ai sensi del Codice del Consumo. L’applicazione dell’art. 2050 c.c. sposta invece l’onere della prova sul produttore, che deve dimostrare di aver adottato ogni precauzione possibile. In questo modo, i soggetti che assumono questi farmaci, che sono spesso in condizioni critiche e accettano trattamenti rischiosi nella speranza di un beneficio terapeutico, vedono rafforzare la loro tutela, imponendo un regime di responsabilità più stringente per il produttore.

Se, viceversa, il medicinale è ordinariamente sicuro e i rischi non sono intrinsecamente elevati, si resta entro la disciplina del Codice del Consumo. I farmaci che non presentano un rischio intrinseco elevato o che sono destinati a un uso generalizzato (es. antipiretici, antibiotici, analgesici) rientrano, invero, più agevolmente nella logica del prodotto difettoso. Qui, il problema non è l’intrinseca pericolosità del medicinale, ma la possibilità che esso non soddisfi le legittime aspettative di sicurezza del consumatore a causa di un difetto di fabbricazione, progettazione o informazione. Pertanto, la disciplina del Codice del Consumo è più adeguata perché impone la dimostrazione del difetto del farmaco (e non solo del danno) e consente al produttore di liberarsi dalla responsabilità dimostrando che il farmaco era conforme agli standard di sicurezza e che il difetto non era conoscibile al momento della commercializzazione (rischio da sviluppo, art. 118 Cod. Cons.).

7. Conclusioni

Dall’analisi svolta emerge con chiarezza la complessità del tema della responsabilità del produttore di farmaci, in cui confluiscono almeno tre concetti distinti – difetto, pericolosità e vizio – e altrettanti possibili regimi di responsabilità, ovvero: responsabilità contrattuale per vizi (artt. 1490 ss. c.c.), che attiene al rapporto di vendita tra venditore e acquirente e presuppone un difetto funzionale, estetico o di valore; non è centrata sul profilo della sicurezza né è, normalmente, lo strumento tipico per i danni alla salute; responsabilità extracontrattuale da prodotto difettoso (artt. 114-127 Codice del Consumo), costruita come forma di responsabilità oggettiva (o per colpa presunta) con la particolarità che il danneggiato deve provare il difetto del prodotto e il relativo nesso col danno. Qui la sicurezza attesa dal consumatore è il criterio centrale di riferimento. L’esimente del rischio da sviluppo (art. 118 lett. e) Cod. Cons.) rappresenta una significativa limitazione alla responsabilità del produttore, trasferendo sul consumatore il rischio di danni ignoti alla scienza del tempo; responsabilità extracontrattuale per attività pericolose (art. 2050 c.c.), che, nella lettura prevalente, comporta una responsabilità oggettiva del produttore; si applica soprattutto quando si riconosca che il prodotto abbia un’elevata potenzialità lesiva intrinseca. In tale ipotesi, l’onere probatorio per il danneggiato è meno oneroso rispetto all’ipotesi del prodotto difettoso, e il produttore si libera solo provando di aver adottato ogni precauzione possibile, anche in riferimento a rischi non ancora pienamente noti.

Nel caso dei farmaci, la tesi dell’applicabilità dell’art. 2050 c.c. si fonda sulla natura fisiologicamente pericolosa del medicinale (che, accanto ai benefici curativi, reca una potenziale tossicità); la tesi consumeristica, invece, ne sottolinea la natura di prodotto soggetto alla direttiva europea, in cui la responsabilità del produttore va commisurata alla difettosità, con espressa previsione dell’esimente del rischio di sviluppo.

La diatriba non risulta ancora risolta in modo univoco dal legislatore o dalla giurisprudenza di legittimità, producendo incertezze pratiche, soprattutto per il profilo del riparto dell’onere della prova e della responsabilità per i rischi di danno non scientificamente accertato.

Se prevale la tesi di art. 2050 c.c., è il produttore a dover dimostrare di aver adottato tutte le misure possibili, ivi incluse quelle a carattere puramente precauzionale (anche in assenza di evidenza scientifica di nocività). Il consumatore, dunque, gode di una tutela rafforzata. Se prevale la tesi del Codice del Consumo, e l’evento lesivo risulta riconducibile a un difetto da sviluppo non identificabile al momento della messa in circolazione del prodotto, il danneggiante potrà essere esente da responsabilità, e la tutela del consumatore si indebolisce.

Non mancano possibili soluzioni intermedie, che cercano di preservare la ratio di tutela del consumatore senza penalizzare eccessivamente i produttori farmaceutici, consapevoli dell’importanza di promuovere la ricerca e l’innovazione. L’obbligo di farmacovigilanza post-marketing, unito all’adozione di misure di richiamo e ritiro, mostra un tentativo di superare la dicotomia tra responsabilità ex art. 2050 e responsabilità da prodotto difettoso, riconoscendo che, in ogni caso, la casa farmaceutica non può lavarsi le mani dietro l’autorizzazione alla commercializzazione o dietro lo stato delle conoscenze scientifiche all’epoca: essa deve attivarsi, con un comportamento proattivo e costante, per rendere effettivo il diritto alla salute del consumatore.

In definitiva, il quadro legislativo e giurisprudenziale attuale, pur fornendo linee guida di massima, lascia ancora ampi margini di interpretazione. Sarà auspicabile, in futuro, un intervento chiarificatore che possa stabilire quando un farmaco debba considerarsi prodotto pericoloso e, di conseguenza, rientrare nella responsabilità da attività pericolosa, e quando, invece, debba applicarsi tout court la disciplina del prodotto difettoso. Allo stesso modo, una riflessione più approfondita sulla ripartizione del rischio da sviluppo appare necessaria, specie in un contesto socio-economico in cui l’evoluzione scientifica e la realizzazione di nuovi farmaci devono trovare un giusto bilanciamento con la salvaguardia della salute pubblica.


Note e riferimenti bibliografici

 

[1] U. CARNEVALI, Prevenzione e risarcimento nelle Direttive comunitarie sulla sicurezza dei prodotti, in Resp. civ. prev., 2005, 11; A. ALBANESE, La sicurezza generale dei prodotti e la responsabilità del produttore nel diritto italiano ed europeo, in Eur. dir. priv., 2005, 979; E. BELLISARIO, Il danno da prodotto conforme tra regole preventive e regole risarcitorie, in Eur. dir. priv., 2016, 840.

[2] Cass. Civ., Sez. III, 23 ottobre 2023, n. 29387.

[3] Questa norma introduce un’innovazione, non riscontrabile nei progetti normativi del 1936 e del 1940. Forse si riteneva che i principi della responsabilità per rapporto di preposizione e della responsabilità per danno da cosa in custodia fossero sufficienti. Tuttavia, tali principi non esauriscono la materia, rendendo opportuna l’introduzione di una nuova regola. L’evoluzione della società e del progresso tecnologico ha reso inevitabile lo svolgimento di attività pericolose, che, pur avendo una rilevante utilità sociale, vengono tollerate, consentite e talvolta persino incentivate dallo Stato. Così come la normativa sugli infortuni tutela i lavoratori impegnati in queste attività, si impone una protezione speciale anche per i terzi. Tale protezione si realizza attraverso l’obbligo, per chi esercita l’attività, di indennizzare equamente chi subisce un danno.

[4] Cass. Civ., Sez. III, 24 luglio 2012, n. 12900.

[5] A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, a cura di F. ANELLI, C. GRANELLI, 22, Milano, 2015, 735.

[6] Per valutare la presenza di un difetto in un prodotto, si può fare riferimento alla nozione di prodotto sicuro, come definita dall’art. 103 del Codice del Consumo. Un prodotto è considerato sicuro quando, nelle condizioni di utilizzo normali o ragionevolmente prevedibili (incluse durata, messa in servizio, installazione e manutenzione), non comporta alcun rischio o presenta solo rischi minimi, compatibili con il suo impiego e ritenuti accettabili nel rispetto di un elevato standard di tutela della salute e sicurezza delle persone. La valutazione della sicurezza tiene conto di diversi fattori: le caratteristiche del prodotto, il suo effetto su altri prodotti, la modalità di presentazione (etichettatura, avvertenze, istruzioni d’uso e smaltimento, nonché ogni altra informazione utile) e le categorie di consumatori particolarmente vulnerabili, come minori e anziani. Questa definizione può quindi costituire un criterio integrativo per determinare l’eventuale sussistenza di un difetto rilevante ai fini della responsabilità del produttore.

[7] M. FACCIOLI, La responsabilità civile derivante dall’erogazione di elettricità: profili problematici, in Resp. civ., 2005, 655.

[8] L’applicazione dell’art. 2050 c.c. comporta una presunzione di responsabilità a carico del produttore, che deve dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno per esonerarsi. Questo regime può risultare particolarmente gravoso per l’industria farmaceutica, perché il farmaco, per sua stessa natura, può risultare dannoso anche quando è stato prodotto e utilizzato correttamente. Viceversa, la responsabilità da prodotto difettoso, prevista dal Codice del Consumo, si applica ai casi in cui il farmaco non offra la sicurezza che il consumatore può legittimamente attendersi, a causa di un difetto di fabbricazione, progettazione o informazione. In questo sistema, il danneggiato deve provare il difetto, il danno e il nesso causale, mentre il produttore può esonerarsi dimostrando che il prodotto era conforme agli standard scientifici dell’epoca e che il rischio non era conoscibile (rischio da sviluppo).

[9] Cass. Civ.,15 luglio 1987, n. 6241, in Foro it., 1988, 143 ss; Cass. Civ., 31 marzo 2011, n. 7441; Cass. Civ., 7 marzo 2019, n. 6587. Cfr. anche E. AL MUREDEN, Il danno da prodotto conforme tra responsabilità per esercizio di attività pericolosa ed armonizzazione del diritto dell’Unione Europea, in Il Corriere giuridico, 2020, V, 685.

[10] Per la sussistenza della responsabilità in esame è necessaria una continuità di atti, non essendo sufficiente ad integrare la nozione un atto isolato v. Cass. Civ., 21 ottobre 2005, n. 20357; Cass. Civ., 15 ottobre 2004, n. 20334. 

[11] Sulla nozione di attività pericolosa v. Cass. Civ., Sez. III, 19 luglio 2018, n. 19180 che afferma che la nozione di attività pericolosa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2050 c.c., non deve essere limitata alle attività tipiche, già qualificate come tali da una norma di legge, ma deve essere estesa a tutte quelle attività che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, dovendosi, di conseguenza accertare in concreto il requisito della pericolosità con valutazione svolta caso per caso, tenendo presente che anche un’attività per natura non pericolosa può diventarlo in ragione delle modalità con cui viene esercitata o dei mezzi impiegati per espletarla. L’indagine fattuale deve essere svolta seguendo il criterio della prognosi postuma, in base alle circostanze esistenti al momento dell’esercizio dell’attività.

[12] Si afferma che non si tratta di un’applicazione del principio cuius commodum, eius et incommodum, poiché l’attività economica, sebbene possa avvantaggiare il privato, è talvolta di interesse pubblico, come accadeva, ad esempio, durante i periodi bellici con la produzione di materiali esplosivi. Il caso presenta somiglianze, ma non coincide con quello delle immissioni, come le esalazioni nocive che danneggiano persone o cose. Non si configura una responsabilità oggettiva, poiché la colpa risiede nell’esercizio di un’attività pericolosa senza le dovute cautele. La legge prevede che qualsiasi attività, se non svolta con le necessarie misure di sicurezza dettate da norme tecniche o criteri generali di prudenza, possa arrecare danni a persone e beni. Esempi sono l’omissione di reti di protezione contro le scintille delle locomotive, la mancanza di barriere nei lavori di scalpellatura stradale o l’assenza di protezioni nella lavorazione di materiali elettrici. Se, invece, l’attività non è pericolosa o se sono state adottate tutte le cautele richieste, continuano a valere i principi generali: dolo o colpa dell’agente e il nesso di causalità tra il fatto e l’evento dannoso, requisito sempre imprescindibile. v. Cass. Civ., Sez. III, 22 settembre 2014, n. 19872 che afferma che in tema di responsabilità per esercizio di attività pericolosa, la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 cod. civ., presuppone la sussistenza del nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, la cui prova è a carico del danneggiato, sicché va esclusa ove sia ignota o incerta la causa dell’evento dannoso. Ancora Cass. Civ., 7 novembre 2013, n. 25058 che dispone in motivazione che ai fini dell’applicabilità dell’art. 2050 cod. civ., relativo alle responsabilità per l’esercizio di attività pericolose e, quindi, ai fini della sussistenza della presunzione di colpa, posta dall’art. 2050 cod. civ. e della conseguente inversione dell’onere della prova, occorre che il danno sia cagionato dall’esercizio di un’attività che sia pericolosa in sè, ossia per la sua intrinseca natura, o per la natura dei mezzi adoperati, dovendosi ritenere che tali condizioni ricorrano nell’esercizio dell’attività venatoria, la quale importa l’uso di armi da fuoco, ossia di mezzi destinati naturalmente all’offesa e, come tali, pericolosi per l’incolumità pubblica. La presunzione di colpa opera anche se all’attività pericolosa partecipi chi patisce danno dall’esercizio dell’attività, salva la graduazione dell’efficienza causale delle azioni rispettivamente compiute dai vari partecipi. Favorevole a ritenere la responsabilità ex art. 2050 c.c. come responsabilità aggravata per colpa presunta anche M. BIANCA, 5 la responsabilità, in Diritto civile, 3, Milano, 2021, 683 ss. e P. TRIMARCHI, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, 2019, II, 409.

[13] Si affermava che la responsabilità sussistesse indipendentemente dalla colpa dell’agente, anche quando l’evento dannoso fosse attribuibile al caso fortuito o alla forza maggiore. Questo principio è stato quindi interpretato come un supporto alla teoria della responsabilità senza colpa, trovando un possibile collegamento con il principio cuius commodum, eius et incommodum. Sulla natura oggettiva della responsabilità v. Cass. Civ., Sez. VI, 26 gennaio 2022, n. 2259; Cass. Civ., Sez. III, 22 luglio 2016, n. 15113; Cass. Civ., Sez. III, 18 settembre 2015, n. 18317; Cass. Civ., Sez. VI, 5 marzo 2012, n. 3424; Cass. Civ., Sez. III, 4 maggio 2004, n. 8457.

[14] P. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961. Critico contro l’impostazione oggettivistica M. BIANCA, in op. cit., 684 ss che afferma che tale tesi contrasta con la previsione normativa che sancisce la responsabilità del soggetto sulla presunzione della sua condotta colposa per non aver adottato le idonee misure di prevenzione del danno. Inoltre, comporta la negazione del rimedio contro l’illecito che la vita moderna avverte sempre più necessario, quello della inibitoria. Tale rimedio, infatti, è esperibili non per inibire un’attività lecita, ma per vietare una condotta illecita in quanto connotata dalla colpa, in quanto cioè posta in essere senza l’osservanza delle misure normalmente idonee ad evitare il danno secondo la diligenza professionale. Sull’applicabilità dell’art. 2043 c.c. cfr. G. PONZANELLI, Regno Unito, Corte di Giustizia ed eccezione dello state of art, nel Il Foro Italiano, 1997, IV, 391.

[15] M. FRATINI, Manuale sistematico di diritto civile, 2021, 1948 ss; C. CASTRONOVO, Sentieri di responsabilità civile europea, in Eur. dir. priv., 2008, 811.

[16] G. CHINE’, A. ZOPPINI, in Manuale di diritto civile, coordinato da L. NONNE, 2021, 2201 osservano la presenza di una tesi intermedia sulla base di una lettura rigorosa della Relazione del Guardasigilli al Re. Emergerebbe, in particolare, la rilevanza sia dell’elemento soggettivo, essendo richiesto a colui che esercita l’attività pericolosa un comportamento diligente, sia dell’elemento oggettivo, attesa la rigorosità con cui è inteso il regime della prova liberatoria. Si registrerebbe un inasprimento del dovere di diligenza posto a carico dell’esercente: si fa riferimento a un grado di diligenza, da alcuni identificato nella diligenza professionale, che segnerebbe, pertanto, il limite della responsabilità di colui che esercita l’attività pericolosa. Si parla di responsabilità dell’esercente per culpa laevissima. Tale tesi è stata tra l’altro sposata in Cass. Civ., 13 maggio 2003, n. 7298.

[17] P. TRIMARCHI, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, cit., 420.

[18] Cass. Civ., Sez. VI, 19 maggio 2022, n. 16170 in cui si dispone che la presunzione di responsabilità contemplata dall’art. 2050 c.c. per attività pericolose può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa, e cioè con la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno: pertanto non basta la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l’evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l’evento e non già quando costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l’insorgenza a causa dell’inidoneità delle misure preventive adottate. Cfr. anche C. CASTRONOVO, Problema e sistema del danno da prodotti, Milano, 1979, 753.

[19] U. CARNEVALI, La responsabilità del produttore, Milano, 1979, 230; E. AL MUREDEN, Product safety e product liability nella prospettiva del danno da prodotto conforme, in La responsabilità del produttore, a cura di G. ALPA, Milano, 2019, 518.

[20] Cass. Civ., 1 luglio 2015, n. 15851; Cass. Civ., 10 maggio 2021, n. 12225.

[21] G. A. BENACCHIO, Diritto privato dell’Unione Europea, Padova, 2016, VII, 17.

[22] U. CARNEVALI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, in G. ALPA, U. CARNEVALI, F. DI GIOVANNI, G. GHIDINI, C. M. VERARDI, Milano, 1990.

[23] BIANCA, in op. cit., 717 ss. Nel senso della “peculiare responsabilità oggettiva relativa” cfr. G. ALPA, Il modello italiano, in La responsabilità del produttore, a cura di ID., Milano, 2019, 270; C. BALDASSARRE, Responsabilità del produttore: danno risarcibile, onere della prova e logica giuridica, in Danno e responsabilità, 2014, 508; AR. FUSARO, Prodotti direttori, danni da vaccino e onere della prova: la posizione della Corte di Giustizia, in Europa e Diritto Privato, 2018, II, 345 e G. PONZANELLI, R. PARDOLESI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, in Le nuove leggi civili commentate, 1989, 828.

[24] Cass. Civ., Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3258 che dispone che sebbene la prova della difettosità di un prodotto possa basarsi su presunzioni semplici, non costituisce corretta inferenza logica ritenere che il danno subito dall’utilizzatore di un prodotto sia l’inequivoco elemento di prova indiretta del carattere difettoso di quest’ultimo, secondo una sequenza deduttiva che, sul presupposto della difettosità di ogni prodotto che presenti un’attitudine a produrre danno, tragga la certezza dell’esistenza del difetto dalla mera circostanza che il danno è temporalmente conseguito all’utilizzazione del prodotto stesso; i giudici di merito avevano quindi correttamente escluso la responsabilità del produttore per i danni lamentati da un consumatore, il quale assumeva di essere stato colpito a seguito dell’esplosione di un fustino di candeggina, atteso che la prova espletata in primo grado aveva dimostrato unicamente che il fustino era stato riscontrato come rotto durante l’utilizzo, ma non vi era prova che quello specifico prodotto si fosse rotto per un difetto di produzione piuttosto che per un semplice fatto accidentale ascrivibile al danneggiato.

[25] Come osserva M. FRATINI, in op. cit., 1987 ss nel caso di difetto di fabbricazione, basta il confronto tra un prodotto normale e quello che ha arrecato il danno. In questo modo, si evidenzia immediatamente la presenza del difetto. Nel caso di difetto di informazione, questo è provato dalla mancanza di avvertimenti circa l’uso o la manutenzione del prodotto. Invece, occorre far riferimento al test delle legittime aspettative nel caso di difetto di sicurezza. Secondo questo test, un prodotto è considerato difettoso quando non offre la sicurezza che il consumatore può legittimamente aspettarsi, tenendo conto di elementi come la presentazione del prodotto (etichettatura, istruzioni, avvertenze d’uso e pubblicità), l’uso al quale è destinato o ragionevolmente prevedibile e il momento della sua immissione in commercio. L’obiettivo è valutare la sicurezza dal punto di vista del consumatore medio, con riferimento al grado di rischio che questi può ragionevolmente prevedere ed accettare. Ad esempio, un coltello affilato non è difettoso solo perché può tagliare, poiché il rischio è intrinseco alla sua funzione e il consumatore se lo aspetta. Al contrario, un elettrodomestico che prende fuoco senza preavviso durante il normale utilizzo è difettoso, perché supera il livello di rischio che un consumatore riterrebbe accettabile. Il test delle legittime aspettative si distingue dal criterio del rischio evitabile, che invece si basa su una valutazione oggettiva della possibilità di ridurre il rischio con misure di sicurezza adeguate. In sintesi, questo test si fonda sulla percezione del consumatore rispetto alla sicurezza del prodotto, determinando se un determinato rischio rientri o meno nell’ambito di ciò che può essere ragionevolmente previsto e accettato. V. anche R. PUCELLA, Causalità e responsabilità medica: cinque variazione del tema, in Danno e responsabilità, 2016, 823; AR. FUSARO, Prodotti difettosi, danni da vaccino e onere della prova, cit., 358.

[26] U. CARNEVALI, Responsabilità del produttore, in Enciclopedia del Diritto, Milano, 1998, II, 942; G. PONZANELLI, Responsabilità del produttore, in Rivista di diritto civile, 1995, II, 220.

[27] U. IZZO, La precauzione nella responsabilità civile, Analisi di un concetto sul tema del danno da contagio per via trasfusionale (e-book), 2007, 638.

[28] C. CASTRONOVO, Danno da prodotti (diritto italiano e straniero), in Enc. giur. Treccani, X, Roma, 1995, 12.

[29] M. G. STANZIONE, Principio di precauzione e diritto alla salute. profili di diritto comparato, in www.comparazionedirittocivile.it.