Pubbl. Mar, 2 Feb 2016
La protezione del design industriale tra marchio di forma e disegni e modelli
Modifica paginaQuando una forma è registrabile come marchio? Quando è proteggibile come disegno o modello? Un focus sui principali orientamenti di dottrina e giurisprudenza, tra cumulo e alternatività delle tutele.
1. La valenza multipla della forma e il problema della sua corretta qualificazione giuridica.
La pluralità di strumenti di tutela offerti dalla disciplina industrialistica, unitamente alla proliferazione, nell’economia contemporanea, di prodotti in cui componente estetica e funzionale risultano sempre più saldamente compenetrate, ha reso progressivamente più incerto il confine tra i diversi titoli di privativa previsti dall’ordinamento.
Tale incertezza, com’è agevole comprendere, riguarda anzitutto la protezione della forma del prodotto, e ciò in ragione della molteplicità di esigenze dalla stessa potenzialmente assolte .
Invero, se in alcuni casi la forma si esaurisce in un attributo estetico del prodotto, in altri assume una valenza funzionale, in quanto strumentale alla soluzione di un problema tecnico, ovvero risponde ad una finalità distintiva, consentendo al consumatore di individuare il prodotto sul mercato e di reiterare nel tempo la medesima scelta di consumo.
Come si vedrà più diffusamente in seguito, il discrimen tra le varie tipologie di tutela industrialistica non risiede dunque tanto nella natura della forma, quanto nella sua percezione da parte del pubblico di riferimento, ovvero nella prevalenza di una funzione rispetto ad un’altra.
Si tratta di valutazioni complesse, tanto più delicate se si considera che dalla qualificazione di una forma come disegno o come marchio discende l’applicazione di regimi giuridici fortemente eterogenei, specialmente sotto il profilo della durata della protezione.
In questo senso, l’esigenza legata alla corretta individuazione delle discipline invocabili non si esaurisce nel solo interesse individuale del titolare del marchio o del disegno, ma si configura nel contempo come interesse collettivo ad evitare la creazione di monopoli ingiustificati.
Più segnatamente, l’accento si pone anzitutto sulla necessità di una rigorosa delimitazione della sfera applicativa della protezione del marchio di forma, al fine di evitare che tali interferenze tra discipline si traducano nell’accesso indiscriminato – e artificioso – ad una protezione potenzialmente illimitata del segno.
2. La disciplina anteriore al D.lgs 95/2001. La nozione di “speciale ornamento” e la sua equiparazione concettuale a quella di “forma sostanziale”.
L’evoluzione dei rapporti tra disciplina dei disegni e modelli, da un lato, e disciplina dei marchi di forma, dall’altro, risulta profondamente segnata dalla riforma del 2001, con la quale il legislatore nazionale ha recepito la Direttiva 71/98/CE, operando una radicale risistematizzazione della materia.
Difatti, vale la pena evidenziare che anteriormente all’entrata in vigore del D.lgs 95/01, emanato in recepimento della direttiva comunitaria, la tutela dei disegni e dei modelli risultava saldamente ancorata nell’alveo della disciplina brevettuale, in ossequio a un approccio sistematico definito come di patent approach.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 5 del R.D. 25 agosto 1940, n. 1411, erano definiti disegni o modelli industriali “i nuovi modelli o disegni atti a dare, a determinati prodotti industriali, uno speciale ornamento, sia per la forma, sia per una particolare combinazione di linee di colori o di altri elementi”.
Tale “speciale ornamento” era stato variamente interpretato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, la quale aveva inizialmente aderito a una lettura ermeneutica legata ad un criterio prettamente “qualitativo”, basato sulla equazione tra ornamento e pregio estetico della creazione.
In altre parole, secondo l’orientamento maggioritario, l’accesso alla tutela del disegno ornamentale doveva ritenersi subordinato alla sussistenza di un sufficiente livello di gradevolezza estetica, in assenza del quale la forma sarebbe stata registrabile come marchio, ove chiaramente dotata di capacità distintiva[1].
Tale interpretazione, giova precisare, si fondava su una lettura sistematica dell’art. 5 della vecchia Legge Disegni e dell’art. 18 della Legge Marchi, il quale escludeva – analogamente a quanto ancora oggi previsto – la registrazione come marchio “della forma che dà un valore sostanziale al prodotto”.
In altre parole, la nozione di speciale ornamento veniva concettualmente equiparata a quella di forma sostanziale, così che il criterio discretivo tra marchio di forma e disegno ornamentale era rappresentato dal possesso o meno di una qualificata funzionalità estetica, quale tratto identificativo del disegno o modello.
3. La riforma del 2001. L’avvicinamento della disciplina dei disegni e modelli a quella del marchio di forma tra “capacità distintiva” e “carattere individuale”.
L’entrata in vigore del D.l.gs 75/2001, segnando la definitiva fuoriuscita della disciplina dei disegni e modelli da quella dei brevetti, ha determinato una inevitabile ridefinizione dei confini tra disegni e marchi di forma, rendendo il discrimen tra le due forme di protezione, un tempo relativamente nitido, estremamente fumoso.
Più segnatamente, ai sensi del nuovo art. 31, comma 1 CPI[2], “Possono costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli l'aspetto dell'intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale.”
La nuova legge ha dunque inciso in misura radicale sulla vecchia disciplina, assoggettando i disegni e modelli alla procedura di registrazione – anzichè di brevettazione – e subordinandone la tutela come titolo di privativa industriale al diverso requisito del “carattere individuale”, il quale è venuto così a sostituirsi all’antico criterio dello “speciale ornamento”.
Invero, a mente dell’art. 33 CPI, comma 2 : “Un disegno o modello ha carattere individuale se l'impressione generale che suscita nell'utilizzatore informato differisce dall'impressione generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato prima della data di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità, prima della data di quest'ultima.”
Ebbene, proprio il passaggio al nuovo criterio del carattere individuale è alla base del progressivo assottigliamento del confine tra disegni e modelli, attesa la forte aderenza concettuale tra il suddetto requisito e quello della capacità distintiva al quale si informa la disciplina in materia di marchi[3].
Più segnatamente, si è osservato come il superamento del criterio dello speciale ornamento abbia spostato il perno della tutela dei disegni e modelli dal piano della pura estetica a quello “esterno” della forza distintiva della forma, intesa come attitudine della stessa a rivelare l’origine imprenditoriale del bene e dunque a orientare le scelte dei consumatori.
Nel contempo, è stato tuttavia rilevato come il legislatore del 2001 non abbia inteso determinare il totale svilimento della forma estetica quale requisito di accesso alla tutela del disegno, ma abbia piuttosto voluto ancorare la protezione del segno a un criterio più neutro e oggettivo rispetto a quello della meritevolezza estetica[4], per definizione soggettivo e arbitrario.
Indipendentemente dagli obiettivi perseguiti dalla riforma, il risultato finale di tale opera di ammodernamento della disciplina industrialistica è stata una semi-sovrapposizione tra la disciplina dei disegni e modelli e quella dei marchi di forma, attesa la comunanza del criterio qualificativo, per entrambi rappresentato dalla capacità identificativa dell’imprenditore[5].
Più precisamente, la nozione di “carattere individuale” intorno alla quale gravita la disciplina dei disegni e modelli è stata interpretata dalla giurisprudenza maggioritaria come idoneità della forma a instaurare un “contatto privilegiato” tra il prodotto e il c.d. utilizzatore informato, ossia a produrre una impressione diversa da quella generata da forme precedentemente divulgate, esercitando così una particolare forza attrattiva.
Ebbene, chiarito ciò, resta da analizzare il problema legato alla progressiva erosione dello spazio di tutela del marchio di forma - originariamente nettamente separato da quello dei disegni e modelli ornamentali - e al conseguente venir meno dell’antica equazione tra forma ornamentale e valore sostanziale.
A tal fine, essenziale è pervenire a una corretta interpretazione dell’art. 9 CPI, con particolare riferimento alla previsione in forza della quale è esclusa la registrazione come marchio della “forma che dà un valore sostanziale al prodotto”.
E’ infatti in tale definizione che va colta la sottile linea di demarcazione tra sistema dei marchi e sistema dei disegni e modelli.
In particolare, secondo l’orientamento ormai prevalente il riferimento al “valore sostanziale” deve essere inteso nell’accezione di capacità della forma di incidere in misura rilevante – se non addirittura determinante - sulla scelta d’acquisto del consumatore, ovvero nella “attivazione della propensione all’atto d’acquisto[6]”.
A tal fine, secondo la giurisprudenza maggioritaria, risulta dunque irrilevante il livello di gradevolezza della forma, intesa come possesso di un particolare gradiente estetico, ben potendo considerarsi sostanziale anche una forma sprovvista di particolare pregio ornamentale, benchè attrattiva per il pubblico.
In tal senso, decisiva ai fini della qualificazione della forma come disegno/modello o come marchio è la percezione che il consumatore ha della forma stessa, vale a dire se quest’ultimo è determinato all’acquisto dalla forma quale elemento intrinseco del prodotto – sia essa esteticamente gradevole o meno- ovvero quale indicatore di provenienza imprenditoriale del bene.
Al riguardo, emblematica è la decisione relativa al caso “Crocs” (Trib. Venezia, 15 febbraio 2012), con la quale il Giudice di prime cure ha escluso la registrabilità del noto sandalo come marchio tridimensionale, evidenziando come la peculiare forma della calzatura – “buffa e trendy” – dovesse qualificarsi come “forma che dà valore sostanziale al prodotto” ai sensi dell’art. 9 CPI, “tale essendo quella idonea ad influenzare o anche a determinare la scelta d’acquisto dei consumatori, non solo per la sua particolare gradevolezza estetica, ma anche perché comunque è in grado di esercitare una particolare attrattiva”.
4. Il rapporto tra le tutele. Il c.d. secondary meaning come strumento di coordinamento tra disciplina dei disegni e modelli e disciplina del marchio di forma.
Chiarite le nozioni di “valore sostanziale” e “carattere individuale” di cui agli art. 9 e 31 CPI, resta da chiedersi se la parziale sovrapposizione degli istituti realizzata dal D.lgs 75/2001 lasci o meno spazio per un cumulo tra la tutela dei disegni e modelli e quella dei marchi di forma.
Argomento invocato dai sostenitori dell’alternatività delle due tutele è quello che fa leva sulla assenza di una esplicita previsione normativa in tal senso.
Invero, il CPI, pur ammettendo esplicitamente il cumulo tra la protezione dei disegni e modelli e quello dei modelli di utilità[7] (art. 40 CPI), nulla dice in merito alla possibilità di giovarsi contemporaneamente della tutela dei disegni e modelli e di quella del marchio di forma.
A ciò si aggiungano le perplessità legate alla difficile conciliabilità tra una tutela potenzialmente perpetua, quale è quella dei marchi, con una temporalmente limitata, atteso che ai sensi dell’art. 37 CPI la durata della protezione dei disegni e modelli è di cinque anni, rinnovabili per un massimo di venticinque, a decorrere dalla presentazione della domanda di registrazione.
Di diverso avviso è quella parte della dottrina e della giurisprudenza la quale – negando che le argomentazioni sopra esposte costituiscano un impedimento all’attivazione congiunta delle due tutele – ritiene ammissibile il cumulo, sebbene limitatamente a quei casi in cui la forma non attribuisca valore sostanziale al prodotto.
A tal fine, occorre che la forma appaia distintiva, oltre che per l’utilizzatore informato di cui all’art. 33 CPI, anche per l’utilizzatore medio[8].
Infine, una terza, suggestiva tesi , è quella che individua nella secondarizzazione del segno (c.d. secondary meaning) , ovvero nella successiva acquisizione di una capacità distintiva originariamente assente, il punto di contatto tra la protezione del marchio di forma e quella dei disegni e modelli.
Tale impostazione, valorizzando al massimo la capacità distintiva quale funzione centrale e ineludibile del marchio d‘impresa, ritiene configurabile il cumulo esclusivamente allorquando la forma, oltre ad avere carattere individuale, sia percepita dal consumatore come elemento rivelatore della provenienza imprenditoriale del bene.
La nozione di distintività che viene in rilievo nel caso di secondary meaning è dunque necessariamente quella di una distintività sopravvenuta, in quanto acquisita per effetto della pubblicizzazione e della diffusione sul mercato del prodotto.
Ne discende che la forma – ove dotata dei requisiti di cui agli art 32 e ss. CPI – potrà eventualmente essere registrata come disegno o modello e, successivamente, una volta affermatasi sul mercato come indicatore dell’origine del bene, ottenere la registrazione come marchio di forma ai sensi dell’art. 9 CPI[9].
Note e riferimenti bibliografici
[1] CASABURI G. , Convegno Indicam “Disegno europeo, marchio tridimensionale e recepimennto della direttiva europea Disegni e Modelli”, Milano, 29 ottobre 2002.
[2] Il contenuto dell’art. 31, D.lgs 10 febbraio 2005 n. 30 riproduce l’art. 5 della Legge Modelli .
[3] CASABURI G. , Convegno Indicam “Disegno europeo, marchio tridimensionale e recepimento della direttiva europea Disegni e Modelli, cit. p. 16.
[4] M. PANUCCI, La nuova disciplina italiana dell’”Industrial Design”, in Riv. Dir. Ind. 2001, p. 313; L. LIUZZO, Modelli, disegni, forme, marchi tridimensionali e la loro tutelabilità alla luce della nuova disciplina, in Dir. ind., 2002, p. 213 ss .
[5] G. CASABURI, La tutela della forma tra marchi e modelli, in G. PITRAZ ( a cura di), La Protezione della forma, Milano, 2007, p. 70 e ss.
[6] S. SANDRI, La forma che dà valore sostanziale al prodotto, sintesi della relazione tenuta al convegno “Forma design prodotti”, Università di Parma, 24 ottobre 2008, disponibile alla pagina http://www.filodiritto.com/articoli/2008/11/la-forma-che-da-valore-sostanziale-al-prodotto/ .
[7] v. sent. Trib. Milano, Sez. Specializzata in Materia d’Impresa, 11 agosto 2014, Ferrero SpA c. Sanges e Associati SpA.
[8] FITTANTE A., Il nuovo diritto industriale e d’autore – Profili sostanziali e processuali dell’industrial design, , Bari, 2009, p. 45 ss.
[9] G. CASABURI, La tutela della forma tra marchi e modelli, cit. p. 83.