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Pubbl. Lun, 13 Gen 2025

Pernottamento presso il padre non collocatario solo dopo il compimento del terzo anno di età

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Francesca Mollo
Ricercatore (TDB)Alma mater studiorum - Università di Bologna



Il contributo parte dall’analisi di un recente provvedimento della Corte di Cassazione dell’11 luglio 2024 che esclude il pernotto, presso l’abitazione del padre, del minore di tre anni, ripercorrendo poi gli orientamenti della giurisprudenza, tradizionalmente restrittivi sul punto. Infine, si analizzano i precedenti di giurisprudenza incentrati su una valutazione dell’interesse del minore in concreto, che giungono a diverse conclusioni.


ENG The contribution analyzes a recent provision of a recent provision of the Court of Cassation of 11 July 2024 which excludes the overnight stay, at the father’s home, of the minor of three years, retracing the guidelines of the jurisprudence, traditionally restrictive on the point. Finally, then analyzes the jurisprudence precedents focused on an assessment of the interests of the minor in concrete terms, which reach different conclusions.

Sommario: 1.Il caso; 2.La questione del pernotto presso l’abitazione paterna del minore nel quadro della bigenitorialità e suo esercizio per tempi “paritetici”; 3.Il pernottamento del minore presso il padre in età inferiore ai tre anni negli orientamenti della giurisprudenza; 4.I precedenti giurisprudenziali incentrati, piuttosto, su una valutazione in concreto del best interest of child

1. Il caso

Con sentenza dell’11 luglio 2024 ([1]) la Corte di Cassazione ha escluso il pernotto del minore di tre anni presso l’abitazione paterna, precisando come l’esercizio della bigenitorialità “per tempi paritetici” e l’estensione dei pernotti presso l’abitazione del genitore non stabilmente convivente possano non risultare conciliabili con la tenera età del figlio.

In tali casi, secondo la Corte, il regime di affidamento condiviso fissato dal giudice del merito nell’interesse del minore, che aveva comunque assicurato al genitore non stabilmente convivente la visita ed il prelievo con sé del bambino durante il fine settimana in via alternata e per due pomeriggi infrasettimanali, oltre a collegamenti audio/video quotidiani, ed in tutte le altre festività, ricorrenze e periodi feriali, è da considerarsi esente da censure.

Questo il caso: si trattava di fattispecie inerente al regime di affidamento condiviso di minore che al momento della presentazione del ricorso in primo grado aveva sedici mesi ed era ancora allattato al seno dalla madre, circostanze alla luce delle quali il giudice di prime cure (Tribunale di Macerata) aveva disposto l’affidamento condiviso del minore con collocazione presso la madre, disciplinando il diritto di visita del padre (e ponendo a carico di quest’ultimo un assegno di mantenimento).

La Corte d’Appello di Ancona aveva poi modificato il regime di frequentazioni padre/figlio, ritenendo eccessivamente prolungato il periodo di permanenza settimanale e così disciplinando diversamente il diritto di visita, prevedendo che il padre, fino al compimento del terzo anno di età del minore, potesse tenere con sé il figlio due pomeriggi alla settimana e week alternati, provvedendo anche a riportare il figlio presso l’abitazione materna ove è collocato.

Per il periodo estivo prevedeva altresì un periodo di permanenza con il padre di due settimane non consecutive, senza pernottamento; durante le festività natalizie pari periodi con ciascun genitore, escludendo però sempre il pernottamento presso il padre ([2]). Il giudice di seconde cure, però, nell’escludere “allo stato” il pernotto del minore presso il padre, disponeva già per il futuro - ora per allora - la disciplina dello stesso dopo il compimento del terzo anno di età del minore, col prevedere che «la suindicata disciplina verrà integrata con un pernottamento infrasettimanale e uno nel fine settimana in cui il minore rimane con il padre nonché nei periodi consecutivi delle vacanze natalizie e del periodo estivo».

Avverso la sentenza di seconde cure, il padre propone quindi ricorso per Cassazione, fondato su una pluralità di motivi. In particolare, per quel che qui rileva, denuncia sostanzialmente la violazione del principio di bigenitorialità ([3]).

Il ricorrente, in particolare, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c. e dell’art. 132 c.p.c., ritenendo le modalità di visita contrarie al principio della bigenitorialità, da un lato, e pregiudizievoli per il minore, dall’altro, ponendosi in contrasto con la crescita serena e armoniosa del figlio, giacché lo privano del soggiorno presso l’abitazione paterna quale casa familiare, ove il bimbo aveva vissuto sino alla separazione con entrambi i genitori ([4]).

La seconda censura è invece appuntata sulla violazione degli artt. 3, 6, 12, 16, 19 della Convenzione internazionale di New York, richiamando anche la giurisprudenza della Corte EDU sull’art. 8 C.E.D.U. - sotto il profilo del diritto al rispetto della vita familiare - secondo cui le autorità nazionali sono chiamate ad adottare tutte le misure atte ad assicurare il mantenimento dei legami tra il genitore ed i figli, affermando che «per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare» ([5]) e che «le misure interne che lo impediscono costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’art. 8 della Convenzione» ([6]).

Il padre lamenta quindi l’omessa motivazione da parte del giudice di seconde cure circa il potenziale pregiudizio al minore derivante dai pernottamenti presso il padre, rimarcando che il diritto di visita, così come disposto dalla Corte d’appello, non consente di preservare la relazione genitoriale, che invece si esplica proprio condividendo momenti e/o situazioni fondamentali per la crescita del figlio, nell’interesse precipuo dello stesso, compreso il momento del pernottamento presso l’abitazione del padre.

Secondo la Cassazione, però, i giudici di merito hanno ritenuto, con motivazione chiara, comprensibile e congrua, l’inconciliabilità (sostanzialmente in astratto) dei tempi di bigenitorialità “paritetici” e l’estensione dei pernotti presso l’abitazione del padre con la tenera età del figlio, che per di più, al momento del giudizio di primo grado aveva appena sedici mesi ed era ancora allattato al seno dalla madre. D’altra parte, ritiene la Corte, il giudice dell’appello ha, in ogni caso, assicurato al padre la visita ed il prelievo con sé del bambino durante il fine settimana in via alternata e per due pomeriggi infrasettimanali, oltre ai quotidiani collegamenti audio/video, prevedendo una disciplina dettagliata del diritto di visita anche in ordine a tutte le altre festività, ricorrenze e periodi feriali.

Non solo, ma ha anche dato una indicazione per il futuro, affermando che, al compimento dei tre anni del minore, i pernotti presso il padre saranno instaurati come regola secondo le modalità sopra indicate, così di fatto offrendo una garanzia di effettività – ora per allora – al diritto di visita, anche sotto questo profilo.

Perciò, ritenendo che le censure del padre, volte a «rimarcare una serie di aspetti a suo dire non adeguatamente considerati», si rivelino in realtà delle critiche dirette a sostenere un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale e a chiedere una rivalutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità, rigetta le istanze del padre, confermando di fatto il decisum del provvedimento di seconde cure.

2. La questione del pernotto del minore presso l’abitazione paterna nel quadro della bigenitorialità e suo esercizio per tempi “paritetici”

Il principio della bigenitorialità, inteso dalla giurisprudenza ([7]) quale «presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi i genitori, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione e istruzione della prole», rappresenta il principio ispiratore entro cui si inscrive il discorso che qui si conduce.

Il diritto del minore a mantenere una relazione equilibrata e continuativa con entrambi i genitori, anche dopo una separazione o un divorzio, e che sottolinea l’importanza di garantire al bambino un rapporto, di tipo affettivo oltre che educativo, con entrambi i genitori, evitando che la separazione conduca a un distacco o a una visione parziale della sua vita familiare, poggia sull’assunto che il bambino abbia il diritto di mantenere legami affettivi, psicologici e relazionali con entrambi i genitori, salvo che circostanze eccezionali (come abusi, maltrattamenti o incapacità genitoriali) non lo impediscano. Di tale diritto va data una lettura teleologica in un’ottica di protezione del figlio, nel senso che debba sempre essere valutato in funzione dell’interesse superiore del minore, che comprende la sua sicurezza, il suo benessere emotivo e psicologico, nonché la qualità delle relazioni con entrambi i genitori.

Il diritto alla bigenitorialità trova fondamento in una pluralità di fonti multilivello. A livello internazionale, in primo luogo, viene in rilievo Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia del 1989, al cui articolo 9 si stabilisce che il bambino ha diritto di mantenere, in tutte le circostanze, una relazione diretta e regolare con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario al suo interesse superiore ([8]), da leggere in connessione con l’art. 3 comma 1, a mente del quale « In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

Sul punto, si segnala anche la raccomandazione n. 98 del 2006 del Consiglio d’Europa, che invita gli Stati membri a garantire che i bambini continuino a mantenere un legame significativo con entrambi i genitori anche in caso di separazione. Più in generale, la famiglia è incentrata sui rapporti effettivi che si instaurano tra i suoi componenti, di modo che al diritto spetta ricercare un equilibrio che permetta di contemperare gli interessi eventualmente in conflitto, avendo sempre come riferimento il prevalente e reale interesse del minore, enunciato, per la prima volta, nella Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1959, per cui il best interest of the child costituisce oggi moderno principio informatore di tutta la normativa a tutela del minore e deve incontestabilmente trovare applicazione

Viene in rilievo, altresì, l’art. 8 C.E.D.U. che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, che nella declinazione de qua fa riferimento alla conservazione del legame tra genitore e figlio, quale elemento fondamentale nella vita familiare. L’art. 8 della Convenzione, secondo la lettura fornita dalla Corte di Strasburgo ha quale finalità precipua la tutela dell'individuo dalle ingerenze dello Stato.  Secondo la Corte, l’autorità giudiziaria, nell’assumere decisioni che riguardano l’affidamento dei minori, deve osservare un rigoroso controllo sulle «restrizioni supplementari» e sulle garanzie giuridiche necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui all’art. 8 C.E.D.U., giacché «per un genitore e suo figlio stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare» ([9]) e quindi eventuali misure interne che lo ostacolino «costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’art. 8 CEDU».

Laddove accerti l’esistenza di un legame familiare, lo Stato deve attuare le misure necessarie affinché tale legame possa svilupparsi e, qualora ne ricorrano i presupposti, ricongiungere il genitore e il figlio, sempre in esito ad una delicata operazione di bilanciamento tra gli interessi coinvolti (quello del minore, dei genitori e dell’ordine pubblico), sui quali è destinato a prevalere, in quanto superiore, quello del minore.

Cospicua sul punto la giurisprudenza della Corte EDU, che negli ultimi decenni (sentenze 1996) ha chiarito che le decisioni in materia di separazione e affidamento devono essere adottate in modo da preservare il diritto del bambino a mantenere un legame con entrambi i genitori, compatibilmente con il suo interesse superiore.

Nella risalente sentenza Vermeulen c. Belgio del 1996, la Corte ha esaminato la questione del diritto del padre a mantenere un rapporto con la figlia, nonostante il conflitto tra i genitori, sotto la lente dell’art. 8 C.E.D.U., sottolineando come la separazione di un bambino da uno dei genitori, in assenza di valida ragione, può rappresentare una violazione dell'articolo 8, in quanto interferisce con il diritto del bambino di mantenere una relazione con entrambi i genitori. Ancora, nel caso Johansen c. Norvegia del 1996, la Corte EDU ha trattato il caso di una madre che aveva ottenuto l’affidamento esclusivo dei figli e impedito al padre di mantenere un rapporto con loro, ritenendo che l’intervento delle autorità norvegesi nella custodia dei minori si ponesse in contrasto con l’articolo 8 della C.E.D.U, poiché il diritto di un bambino a mantenere un legame con entrambi i genitori era stato negato.

Nella sentenza K. e T. c. Finlandia del 2001, la Corte ha trattato la questione del diritto del bambino di mantenere un legame con entrambi i genitori, anche quando uno dei genitori aveva perso la custodia, sottolineando l’importanza di garantire il contatto con entrambi i genitori, salvo che ciò non contrasti con l’interesse superiore del minore. Ancora, nel 2002, nel caso B. c. Regno Unito, in cui un padre che aveva visto limitato il suo diritto di visita dopo la separazione dalla madre, la Corte ha ribadito che le decisioni in merito alla custodia e agli incontri con i genitori devono tener conto del diritto dei bambini di crescere in un ambiente che favorisca il mantenimento di un legame con entrambi i genitori, sottolineando come sia dovere delle autorità nazionali, pur considerando le circostanze specifiche, fare il possibile per garantire che le separazioni e gli affidamenti non abbiano un impatto negativo sul diritto del minore di mantenere un contatto con entrambi i genitori, nell’ottica del suo migliore benessere ([10]). Nello stesso senso di ribadire che il diritto del bambino a mantenere relazioni con entrambi i genitori non deve essere compromesso da decisioni unilaterali, a meno che non sia giustificato dall’interesse superiore del bambino, anche le sentenze Z. c. Regno Unito del 2001; la sentenza A. c. Regno Unito del 2002 e la sentenza Maumousseau e Washington c. Francia 2007.

Più di recente, la Corte EDU si è pronunciata nuovamente sulla questione con due recenti sentenze rese contro l’Italia nel 2023: nel caso A.S. e M.S. c. Italia ([11]) e Landini c. Italia ([12]), in cui la Corte di Strasburgo ha accertato la violazione da parte dell’Italia dell’art. 8 della Convenzione in quanto gli organi giudiziari interni non hanno adottato con la dovuta diligenza tutte le misure che erano ragionevolmente esigibili per permettere di mantenere un legame fra il padre non collocatario e i figli, omettendo altresì di effettuare i doverosi controlli sul punto.

La Corte osserva qui che le autorità, invece di adottare «le misure idonee per creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita del padre del minore», «hanno tollerato che la madre, con il suo comportamento, impedisse il consolidarsi di una vera e propria relazione tra il ricorrente e il minore», sia sotto il profilo della quantità che della qualità delle modalità di contatto ([13]).

Sul piano europeo, viene invece in rilievo, all’apice delle fonte, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che riconosce il diritto dei bambini a ricevere la protezione e tutte le assistenze necessarie per il proprio benessere, il diritto ad esprimere la propria opinione liberamente in relazione agli aspetti riguardanti crescita, formazione e sviluppo, tenendo conto dell’età e della maturità degli stessi (art. 24, par. 1), sancendo esplicitamente, al paragrafo 3, il «diritto per ogni bambino di intrattenere relazioni personali e diretti con entrambi i genitori, salvo che ciò sia contrario al suo interesse».

Sul versante nazionale, il diritto alla bigenitorialità trova anzitutto copertura costituzionale all’art. 30 della Costituzione, laddove stabilisce che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio», così come l’art. 29. D’altra parte, già la più risalente giurisprudenza costituzionale ([14]) (nel decidere sulla obbligatorietà della nomina di un curatore speciale per i minori nei giudizi di separazione e divorzio) argomentava che nei giudizi riguardanti i minori, i valori costituzionali, contenuti negli artt. 30 e 31 Cost., debbono essere interpretati avendo presente la tutela dei diritti fondamentali, e ciò si deve tradurre nell’impegno pubblico a rimuovere ogni ostacolo allo sviluppo della personalità. Impegno che nei processi affidativi si indirizza anche e soprattutto al minore, «il cui interesse morale e materiale ha assunto carattere di piena centralità» ([15]).

L’art. 337-ter c.c. nell’enunciare il diritto del minore di mantenere, in caso di separazione dei genitori, un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi, pone l’accento sulla continuità del rapporto, intesa come caratteristica della relazione. Possono darsi, pertanto, solo in casi particolari e ove risponda all’interesse del minore, sporadiche e temporanee limitazioni alla frequentazione tra genitore e figlio, ma non, di regola, la sua prolungata interruzione o la sua riduzione a tempi non rilevanti. La disposizione intende valorizzare l’esigenza che il figlio goda di un intenso rapporto con entrambi i genitori nonostante e oltre la cessazione della vita di coppia; nel contempo enfatizza anche l’importanza dei più ampi legami familiari riconoscendo il diritto del minore di mantenere i rapporti con i parenti di entrambi i genitori ([16]).

Al comma 2, lo stesso articolo stabilisce che «per realizzare la finalità indicata dal primo comma, (…) il Giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa» e «determina i tempi e le modalità della loro permanenza presso ciascun genitore, fissando, altresì, la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire», per cui, in prima battuta la soluzione preferibile da adottare dovrebbe essere quella che preveda tempi tendenzialmente paritetici dei figli con entrambi i genitori. Invero tale soluzione deve anche rivelarsi compatibile con le caratteristiche specifiche del nucleo familiare e del minore, per potergli assicurare quella continuità nelle sue relazioni sociali, affettive e amicali e non imporgli, in un’ottica di proporzionalità, sacrifici eccessivi e pregiudizievoli per la sua stabilità di vita.

La suddivisione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore appare, quindi, il frutto di una valutazione ponderata del giudice del merito, che muovendo dall’esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita serena e armoniosa, deve tener conto anche del suo diritto a una significativa relazione con entrambi i genitori e il diritto di questi ultimi di esplicare, nella relazione con i figli, il proprio ruolo educativo. Ecco che assume centralità, in quest’ottica, l’ascolto del minore, compatibilmente con la sua età e capacità di discernimento.

La Suprema Corte sul punto afferma in modo costante che «in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, «del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione» ([17]).

Anche la cd. riforma Cartabia, intervenuta con decreto legislativo n. 149/2022, si muove in tal senso, ribadendo che è fondamentale che i figli mantengano un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori al fine di riceverne cura, educazione, istruzione e assistenza morale, nel rispetto del diritto alla bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantire una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi. A conferma di ciò, il giudice, prevalentemente, opterà per l’affidamento condiviso dei figli, il quale può essere derogato solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per il minore; e si prevede l’obbligatorietà di un programma genitoriale, da allegare alla domanda di separazione o divorzio, contenente le modalità di affidamento, collocamento, visita e incontri.

La bigenitorialità è stata, nel tempo, anche oggetto di significative pronunce di legittimità, che vale qui la pena quantomeno ripercorrere e richiamare brevemente. Con sentenza n. 10691/2016 ([18]), ad esempio, la Corte di Cassazione ha valorizzato il principio della bigenitorialità, confermando che il diritto del minore a una relazione equilibrata con entrambi i genitori è fondamentale, anche dopo la separazione, ribadendo che l’affido condiviso, che implica la responsabilità di entrambi i genitori per le decisioni che riguardano il minore, è il modello preferibile. Viceversa, l’affido esclusivo a uno solo dei genitori, pur essendo possibile in casi eccezionali, deve essere motivato da situazioni gravi, come abusi o incapacità genitoriali, che giustifichino la limitazione del diritto del minore alla bigenitorialità.

Anche successivamente, con sentenza n. 10048/2017 ([19]) ha ribadito che tale diritto a mantenere una relazione stabile e continuativa con entrambi i genitori va garantito e reso effettivo anche in caso di conflitti tra gli stessi.

La Corte ha sottolineato che il principio dell’affido condiviso è fondato sull’interesse del minore a sviluppare un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, anche se il bambino vive prevalentemente con uno di essi; e che anzi è compito del giudice evitare, con un giudizio prognostico nel proprio provvedimento ex art. 337 ter, che la separazione conduca a un isolamento del minore da parte di uno dei genitori, considerato che una «bigenitorialità funzionale e graduale è fondamentale per il benessere del bambino».

Principio ribadito anche con sentenza n. 19548/2017 ([20]), in cui la Corte ha confermato che l’affido condiviso debba essere la regola, volta a garantire di preservare un «legame affettivo profondo con entrambi i genitori», ribadendo che la bigenitorialità deve essere garantita con modalità rispondenti all’interesse del minore, compatibili con la sua età, le sue necessità affettive e la sua stabilità psicologica. Così i provvedimenti dell’autorità giudiziaria in materia di affidamento dei figli minori «consentono restrizioni al diritto di visita dei genitori solo nell’interesse superiore giustappunto del minore e nel perseguimento di tale interesse, peraltro, deve essere sempre assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi i genitori» ([21]).

Nel 2019 ([22]), la Corte ha poi ribadito che il diritto alla bigenitorialità debba essere «rispettato integralmente in tutti i casi di separazione e divorzio, a meno che non vi siano motivi gravi che giustifichino l’esclusione di uno dei genitori», precisando come esso non riguardi «solo il diritto del genitore di vedere il figlio, ma anche il diritto del bambino di mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, indispensabile per la sua crescita equilibrata».

Nel 2018 ([23]), la Corte ha poi invece precisato come anche in presenza di gravi conflitti tra i genitori, non si deve escludere il diritto alla bigenitorialità del bambino, in un contesto, anzi, nel quale appare più necessario garantire la stabilità emotiva e affettiva del minore. Nel caso specifico, la Corte ha esortato i genitori a «trovare soluzioni che non danneggino il bambino, come mediazioni familiari o percorsi di counseling psicologico».

Una recente pronuncia della Cassazione del 12 marzo 2024 ([24]), ha infine chiarito, invece, che se il figlio manifesta un disagio è «sbagliato imporre le visite presso uno dei genitori» ovvero imporgli la permanenza presso uno dei genitori. Così, nel caso di specie, di fronte ad una «regolamentazione del diritto di visita della minore con il padre e con i fratelli nati nella nuova famiglia in forma stringente ed impositiva, nonostante le difficoltà manifestate dalla figlia a coltivare il rapporto con il padre e con la nuova famiglia presso la abitazione di questi».

3. Il pernottamento del minore presso il padre in età inferiore ai tre anni negli orientamenti della giurisprudenza

Il pernottamento del minore presso il padre in età inferiore ai tre anni appare questione particolarmente delicata, nonché molto legata alle specifiche circostanze del caso, come la relazione tra il padre e il minore, le necessità del bambino e l’equilibrio psicologico ed emotivo che si deve garantire al minore stesso. Così la giurisprudenza in materia di affido e permanenza del minore presso un genitore in tenera età tende a privilegiare, in un’ottica in astratto improntata all’interesse superiore del bambino, la figura materna per il pernottamento, a meno che non sussistano particolari circostanze che giustifichino il contrario.

L’atteggiamento della giurisprudenza riguardo al pernottamento di bambini molto piccoli è quindi spesso rigoroso e tendenzialmente più restrittivo nei confronti del genitore non collocatario. Così, la Corte di Cassazione ha escluso il pernottamento del bambino con il genitore non convivente in età inferiore ai tre anni in caso di situazioni di particolare instabilità affettiva o di attaccamento precoce al genitore collocatario. In alcuni casi, il giudice può disporre una valutazione da parte di un esperto psicologo o pedagogista per capire come il bambino reagisca alla separazione e al pernottamento con il padre, in modo da garantire che la transizione avvenga in modo sereno e senza danni emotivi al bambino.

Anche in questo contesto, sono il benessere e l’interesse superiore del minore a prevalere, quantomeno in astratto. Così, già nella sentenza n. 1061/2016, la Corte di Cassazione ha specificato che il pernottamento del bambino di età inferiore ai tre anni presso il padre può essere autorizzato, ma solo se esiste una solida relazione affettiva tra padre e figlio, e in un ambiente protetto, che garantisca il benessere psicofisico del minore.

Anche una accesa situazione di conflitto tra i genitori può incidere sulla decisione in questione. Con sentenza n. 26519/2020 ([25]), infatti, la Cassazione ha stabilito che, pur nel riconoscimento del diritto del minore di mantenere una relazione con entrambi i genitori, tale diritto può essere temporaneamente limitato o sospeso se il conflitto tra i genitori è talmente grave da pregiudicare il benessere psicologico del bambino. In questo caso, il pernottamento con il genitore non convivente potrebbe essere sospeso fino a quando non si trovano soluzioni adeguate a gestire il conflitto in modo da escludere pregiudizio per il minore.

Con sentenza del 17 giugno 2021 ([26]), poi, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di bambino molto piccolo, le visite e il pernottamento dal genitore non convivente devono essere compatibili con le sue necessità di affetto, cura e attenzione. Per i bambini sotto i tre anni, l’orientamento prevalente è quindi che il pernottamento presso il padre debba essere ridotto, e che sia comunque possibile solo in caso di legami affettivi consolidati. In altri casi ([27]), ha ribadito che, per i minori sotto i tre anni, la possibilità di pernotto presso il padre deve essere valutata con estrema cautela, escludendo il pernotto di un bambino di 2 anni presso il padre, in quanto il bambino non aveva un legame affettivo consolidato con il padre e non si ravvisavano le condizioni per garantire una permanenza sicura e serena.

Con sentenza n. 5681 del 2019 la Corte ha evidenziato che il giudice debba evitare che il bambino piccolo subisca modifiche troppo improvvise nella sua routine quotidiana, specialmente per quanto riguarda il pernottamento, ritenendo la presenza costante della madre prioritaria, e coinvolgendo invece il padre solo in visite diurne a cadenza regolare.

La giurisprudenza di merito è tendenzialmente allineata rispetto a tale orientamento ([28]), anche se con importanti eccezioni. Secondo il Tribunale di Roma ([29]), infatti, «nei primi anni di vita del bambino, l’universo conoscitivo si identifica prevalentemente con un referente, in genere costituito con la figura materna o comunque dall’adulto di riferimento […]; questo esclude che le figure genitoriali possano avere nei primi anni di vita del bambino pari rilevanza. A partire dal compimento del terzo anno di vita del minore si potrà introdurre il pernottamento consecutivo»; sulla scorta delle medesime considerazioni la Corte di Appello di Perugia ([30]), ha ritenuto rispondente all’interesse del minore prevedere l’introduzione del pernotto soltanto a partire dal compimento del quarto anno di età.

Negli orientamenti di merito si registra però qualche apertura. Partendo dall’assunto che il padre è in grado, tanto quanto la madre, di accudire il figlio anche in tenera età, il Tribunale di Milano nel 2015 ha tentato di aprire la strada ai pernotti ancora prima dei 3 anni, disponendo che la figlia di 2 anni potesse permanere e pernottare presso il padre sia durante la settimana, sia durante i weekend alternati e durante le vacanze estive. E successivamente, la Corte d’Appello di Catania, in relazione ad una minore di 2 anni, disponeva che «la madre deve dimostrare che trascorrere una notte presso l’abitazione paterna possa pregiudicare il minore, non limitandosi, quindi, a ribadire l’inadeguatezza del genitore e la sua incapacità di prendersi cura di un bambino molto piccolo».

Talora si prevede un accompagnamento graduale verso il pernotto dell’infante presso il padre, che ponga luogo ad una valutazione in concreto che tenga conto delle circostanze del caso concreto. Così lo stesso Tribunale di Roma nel 2016 ([31]), ad esempio, ha disposto le visite del padre con la figlia di un anno e mezzo prevedendo da subito il pernotto e stabilendo un graduale aumento dello stesso al compimento del secondo e del terzo anno di età.  E ancora, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 12345/2018 ha stabilito che il pernottamento del minore sotto i tre anni con il genitore non convivente, pur essendo un diritto, deve essere graduale e valutato caso per caso, tenendo conto delle esigenze emotive del bambino e delle sue abitudini di vita, ritenendo, nel caso specifico, di iniziare con visite diurne per poi procedere, quando il bambino fosse pronto, a un pernottamento regolare presso il padre.

4. I precedenti giurisprudenziali incentrati, piuttosto, su una valutazione in concreto del best interest of child

La via della gradualità, e non dell’esclusione tout court, viene percorsa talora anche dalla giurisprudenza di legittimità.

Una sentenza della Cassazione ([32]) di poco precedente a quella in commento, nell’aprile 2024, aveva trattato la questione del pernotto presso il padre in una situazione delicata legata alle condizioni di salute del minore, non escludendo in maniera aprioristica il pernotto presso il padre non collocatario e valorizzando, piuttosto, una prospettiva in concreto volta all’introduzione graduale (ma immediata) dello stesso.

Questo il caso: un padre richiede una modifica delle condizioni di divorzio stabilite in precedenza, in particolare, l’eliminazione delle restrizioni al pernottamento del figlio in ragione delle sue condizioni di salute legate all’epilessia di cui soffre. A seguito dell’accoglimento del ricorso, peraltro sulla base di una CTU, la madre propone reclamo e successivamente ricorso per cassazione. Il padre, con controricorso, deduce che il provvedimento non è impugnabile per cassazione poiché il petitum attiene alle sole modalità di frequentazione padre-figlio, vertendo sul diritto di visita.

La Cassazione, tuttavia, dichiara tale eccezione infondata ([33]), ma conferma comunque la pronuncia della corte di merito, affermando di non ritenere in astratto contrario all’interesse del minore il pernottamento presso il padre, purché introdotto con modalità graduali.

In particolare, il diritto di visita deve essere inteso come una modalità di concreto esercizio del diritto alla relazione familiare, sicché il tempo di visita deve essere «qualificato» perché «deve ricomprendere momenti di vita del minore in cui si possano effettivamente svolgere le funzioni genitoriali sotto ogni aspetto, segnatamente l’accudimento e l’educazione, condividendone la vita quotidiana e non solo il tempo della “visita” o dello svago ad essa eventualmente connesso». Così «lo spazio temporale della frequentazione con il genitore non convivente – salvo che quest’ultimo non sia totalmente inadeguato alla funzione – non può essere eccessivamente compresso e privato del tutto di momenti significativi (i pasti comuni, i pernottamenti) poiché la relazione familiare ne potrebbe risultare compromessa».

Ma ancora più rilevante una pronuncia della Cassazione del 2020, sostanzialmente di segno opposto rispetto a quella in commento, in cui la Corte ha riconosciuto, confermando la decisione della Corte di Appello sul punto, il diritto del padre non collocatario di trascorrere almeno una notte a settimana con il figlio di due anni, sulla base della mancanza di prova di qualsiasi tipo di pregiudizio in concreto del minore e valorizzando una prospettiva in concreto sia del best interest del minore che del diritto alla bigenitorialità. Adottando una prospettiva in concreto, sostiene infatti la Suprema Corte che deve essere salvaguardato e tutelato «un autentico e concreto diritto alla bigenitorialità a tutela del minore».

E sottolinea come il diritto di visita - con relativo pernottamento - dei genitori di bambini in tenera età possa subire restrizioni solo se ciò è rispondente al prioritario interesse del minore, ma, comunque, è necessario sempre agire anche nel rispetto nel concreto del principio della bigenitorialità quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli quella stabile consuetudine di vita, che presuppone salde relazioni affettive con entrambi i genitori.

Pertanto la sola tenera età del figlio non giustifica l’esclusione a priori del diritto del bambino di poter pernottare presso il padre, condividendo sul punto l’impostazione del provvedimento del reclamo, che muoveva dalla considerazione che la possibilità del padre di tenere con sé il figlio anche di notte era stata radicalmente esclusa dal provvedimento di prime cure «esclusivamente in considerazione della tenera età» del figlio, mancando l’allegazione di uno specifico pregiudizio potenzialmente correlabile all’eventualità dei pernottamenti. Di contro, la corte d’appello aveva concluso che, invece, la regolazione dei pernottamenti nei termini - ritenuti peraltro dalla Cassazione prudenziale - indicati nel provvedimento era da considerare consona a preservare proprio la relazione genitoriale, «avendo come effetto di consentire l’esplicazione di essa rispetto a momenti e a situazioni fondamentali per la crescita del minore, nell’interesse precipuo di questi».

In definitiva, una valutazione in concreto della situazione, che rifugga logiche in astratto e aprioristiche, appare quella più consona a tutelare effettivamente il superiore interesse del minore.

D’altra parte, il riferimento al caso concreto è stato il criterio utilizzato dalla giurisprudenza (prevalentemente di merito, ovviamente) nel contenzioso di natura cautelare emerso in tema di regolamentazione dei tempi di visita genitore non collocatario/figli anche nella delicata contingenza venutasi a determinare durante l’emergenza pandemica da Sars-CoV-2. Così, se in alcuni casi il «il diritto paterno ad incontrare i suoi figli, in presenza della pericolosissima espansione della epidemia in corso, deve considerarsi recessivo rispetto al primario interesse dei minori a non esporsi al rischio di contagio, del quale potrebbero poi essere veicolo essi stessi» (Trib. Bari, 3 aprile 2020); in altre ipotesi si è ritenuto che «il generico riferimento alla emergenza sanitaria non può comprimere il diritto del figlio a godere di congrua frequentazione di entrambi i genitori» (Trib. Torre Annunziata, 6 aprile 2020), dovendosi fare riferimento, nella valutazione dei predetti rischi, volta per volta, alla fattispecie concreta.

D’altra parte, e più in generale, tale prospettiva in concreto nella valutazione del best interest del minore trova valorizzazione sia nella legislazione che nella giurisprudenza anche in altri ambiti, sicché l’affermazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano appare fortemente radicata nell’ordinamento sia interno sia internazionale.

Nella legislazione, si fa riferimento alla legge 19 ottobre 2015, n. 173, recante modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare, che ha doverosamente valorizzato l’interesse del minore alla conservazione di legami affettivi che prescindono da quelli di sangue; nonché la legge 7 aprile 2017, n. 47, recante disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, laddove all’art. 6 si prevede che le indagini familiari relative al minore non accompagnato vengano eseguite «esclusivamente nel suo superiore interesse». Fra le varie applicazioni giurisprudenziali, può qui farsi un riferimento all’interpretazione che esclude qualsiasi automatismo nell’attribuzione del cognome al figlio minore, imponendo al giudice la valutazione in concreto dell’esigenza di evitare un pregiudizio alla personalità sociale del minore ([34]). In proposito, sottolinea la Cassazione ([35]), «deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte in merito alla necessità di un accertamento in concreto dell’interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di uno sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale» ([36]).

Occorre quindi adottare una prospettiva in concreto, al fine di individuare la soluzione più adeguata non per un minore in astratto ma per quel singolo minore nel cui interesse deve essere pronunciato il provvedimento, incentivando anzi quella tendenza, sempre maggiore, al coinvolgimento dei padri nell’accudimento dei figli fin dalla nascita, di cui prende atto talora anche la giurisprudenza laddove rileva che «la genitorialità si apprende facendo i genitori e, dunque, solo esercitando il ruolo genitoriale una figura matura e affina le proprie competenze genitoriali; il fatto che al cospetto di una bimba di due anni, un padre non sarebbe in grado di occuparsene è una conclusionale fondata su un pregiudizio che confina alla diversità (e alla mancanza di eguaglianza) il rapporto che sussiste tra i genitori» ([37]).


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., sez I, ord. 11 luglio 2024, n. 19069, in Rep. Foro it., 2024, Separazione di coniugi.

[2] La sentenza di secondo grado prevedeva che «inoltre il padre potrà alternativamente tenere con sé il figlio il giorno di Natale o di S. Stefano e l’ultimo dell’anno o il primo dell’anno, e ad anni alterni il giorno dell’Epifania; durante le festività pasquali potrà tenere alternativamente con sé il figlio il giorno di Pasqua o quello del Lunedì dell’Angelo»

[3] Su cui si veda infra, par. 2.

[4] Nella ricostruzione del ricorrente, la Corte d’Appello era incorsa in errore, individuando la casa familiare fino alla separazione erroneamente nella casa della nonna materna ove attualmente viveva il minore.

[5] Corte EDU 2002, n. 46544/99, caso Kutzner c. Germania, in DeJure.

[6] Corte EDU, 2001, n. 25702/94, caso K. e T. c. Finlandia, in DeJure.

([7]) Cass., ord. 8 aprile 2019, n. 9764, in Riv. dir. famiglia e successioni, 2019, 255; nonchè in Dir. famiglia, 2019, 1052.

([8]) Principio ratificato dall’Italia con la Legge 176/1991.

([9]) Corte EDU, n. 46544/1999, Kutzner c. Germania, in DeJure.

([10]) Anche nel caso Elsholz c. Germania del 2000, in DeJure, la Corte ha trattato il caso di un padre che era stato escluso dalla vita del figlio a causa della decisione della madre di impedire i contatti, ribadendo che le autorità nazionali debbano garantire che, anche in caso di separazione, sia preservato il diritto del bambino a mantenere legami con entrambi i genitori, in modo da rispettare il diritto del bambino a mantenere una relazione equilibrata con entrambi i genitori, salvo che ciò non contrasti con il suo interesse superiore.

Si vedano anche, sotto diversi profili, Corte EDU, sent. 12 luglio 2011 causa Sneersone e Kampanella c. Italia, ricorso n. 14737/2009, che ribadisce i principi della precedente sent. 6 luglio 2010 causa Neulinger e Shuruk c. Svizzera; sent. 7 ottobre 2010 causa Konstantin Markin c. Russia, ricorso 30078/06; Corte EDU sent. 21 dicembre 1999 causa Salgueiro Da Silva Mouta c. Portogallo, ricorso n. 33290/96; Corte EDU, sent. 16 dicembre 2003 causa Palau-Martinez c. Francia, ricorso n. 64927/01; Corte EDU, sent. 10 aprile 2017 causa Kacper Nowkowski c. Polonia, ricorso n. 32407/13, tutte in DeJure.

([11]) Corte EDU, sentenza del 19 ottobre 2023, ricorso n. 48618/22, caso A.S. e M.S. c. Italia,  in DeJure.

([12]) Corte EDU, sentenza del 12 ottobre 2023, ricorso n. 48280/21, caso Landini c. Italia,  in DeJure.

([13]) Cfr. anche Corte EDU, sentenza, del 7 settembre 2023 (definitiva 7 dicembre 2023), ricorso n. 17791/22, caso A e altri c. Italia, in DeJure, che non riguarda un caso di affidamento condiviso ma che comunque il mancati rispetto, da parte delle autorità, del diritto di visita del padre riconosciuto dalle giurisdizioni interne.

([14]) Corte Cost., sent. 185 del 1986,  in DeJure.

([15]) Corte costituzionale, n. 31 del 2012, richiamata da Cass., sez. I, 22 dicembre 2016, n. 26767, in Foro. it., 2017, 1, I, 119, secondo cui «La centralità dell’interesse del minore nelle azioni di stato è stata più volte affermata dalla Corte costituzionale (...). A tale principio ormai acquisito in ambito internazionale corrisponde analogo indirizzo dell’ordinamento interno, nel quale l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità». Cfr., sul punto, anche Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272, in Guida dir., 2018, 5, 66.

([16]) M. SESTA, Manuale di diritto di famiglia, 2023, Cedam, Padova, p.168

([17]) Cass., sez., VI-, 23 settembre 2015, n. 18817, in Mass., 2015, 607; Cass., sez. VI, 3 agosto 2015, n. 16297, in Foro it. online; Cass. sez. VI-1, ord., 9 luglio 2016, n. 14728, in Rep. Foro it., 2016, Responsabilità genitoriale e diritti e doveri del figlio, n° 48, in Mass., 2016, 513.

([18]) Cass., sez. I, sentenza n. 10691/2016, in Foro it. online.

([19]) Cass., sez. I, Sentenza n. 10048/2017, in Foro it. online.

([20]) Cass., sez. I, sentenza n. 19548/2017, in Foro it. online.

([21]) Cass., ord., n. 16125 del 28 luglio 2020,in Riv. dir. famiglia e successioni, 2020, 372.

([22]) Cass., sez. I, sentenza n. 4880/2019,, in Foro it. online.

([23]) Cass., sez. I, sentenza n. 1620/2018, in Foro it. online.

([24]) Cass., sentenza 12 marzo 2024, n. 6455, in DeJure.

([25]) Cass., sez. I, sentenza n. 26519/2020,in DeJure.

([26]) Cass., Sez. I, sentenza n. 13511 del 17 giugno 2021, in DeJure.

([27]) Cass., sentenza n. 20830/2018, in DeJure.

([28]) Cfr. Tribunale di Milano, 20 gennaio 2017, in DeJure, in cui il tribunale ha escluso il pernotto di un minore di 2 anni presso il padre, motivando la decisione con la necessità di garantire la stabilità affettiva e il benessere psicologico del bambino, che era legato esclusivamente alla madre per la gestione quotidiana. Così anche Corte di Appello di Bologna, sentenza 7 giugno 2016, in cui si è ritenuto che il padre non fosse in grado di prendersi adeguatamente cura di un bambino di 18 mesi, sia dal punto di vista della cura materiale che psicologico, a causa di evidenti difficoltà nella gestione del bambino e della mancanza di una relazione affettiva consolidata, con esclusione del pernotto in favore di incontri diurni, con la previsione di un programma di visita graduale. Cfr. anche Tribunale di Roma, 10 maggio 2019, in cui il pernotto di un bambino di 2 anni presso il padre era stato escluso in quanto il minore era molto legato alla madre e non aveva sviluppato un legame stabile con il padre. La decisione è stata presa «nel rispetto del principio di continuità affettiva, fondamentale per il benessere del minore di quella fascia di età».

([29]) Trib. Roma, decreto 5 maggio 2017, in DeJure.

([30]) Corte di Appello Perugia, decreto del 25 marzo 2010, confermato da Cass., sentenza n. 19594 del 26 settembre 2011, in Foro it. online.

([31]) Trib. Roma, decreto 11 marzo 2016, in DeJure.

([32]) Cass., sez. 1, 9 aprile 2024, n. 9442, in Rep Foro it., 2024, Diritti politici e civili; in Ced Cass. civ., 2024, rv. 67076001 (m).

([33]) La ricorribilità in Cassazione dei provvedimenti che regolano i tempi di frequentazione viene affermata in ragione della loro suscettibilità di imporre restrizioni che possono protrarsi nel tempo e ledere il diritto al rispetto della vita familiare, al fine di garantire, nell’ottica del pieno rispetto dell’art. 8 C.E.D.U. siccome interpretato dalla Corte EDU, il controllo sull’adozione di misure che assicurino contatti adeguati e frequenti tra figli e genitore non convivente, proprio a prioritaria tutela di questa fondamentale relazione familiare.

([34]) Cass., 11 settembre 2015, n. 17976, in Foro it., 2016, 1, I, 135.

([35]) Cass., 22 dicembre 2016, n. 26767, in Nuova giur. civ., 2017, 857.

([36]) Cfr. Cass., 23 settembre 2015, n. 18817, in DeJure; Cass., 8 novembre 2013, n. 25213, in Famiglia e dir., 2015, 816; Cass., 19 ottobre 2011, n. 21651, in Giust. civ.,2012, I, 695; Cass., 27 giugno 2006, n. 14840, in Foro it., 2007, I, 138; Cass., 30 maggio 1997, n. 4834, in Corriere giur., 1997, 1065; Cass. 24 settembre 1996, n. 8413, in Nuova giur. civ., 1997, I, 78.

([37]) Trib. Milano, decreto del 14 gennaio 2015, in DeJure.