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Pubbl. Lun, 2 Set 2024

L´allocazione dei fatti noti nella successione di polizze claims made

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Cesare Valentino
Dottore di ricercaNessuna



Scopo del presente elaborato é trovare una soluzione all´annosa questione afferente l´allocazione dei fatti noti nella successione delle polizze claims made. Una soluzione che, muovendo dalla ratio sottesa alla disciplina di cui agli artt. 1892 e 1893 cod. civ., consenta all´assicurato di evitare i c.d. buchi di copertura, senza che gli stessi gravino sulla massa degli assicurati, alterando la corretta gestione patrimoniale dell´impresa di assicurazione.


ENG

The allocation of known facts in the succession of claims made policies

The aim of this paper is to find a solution to the age-old question relating to the allocation of known facts in the succession of claims made policies. A solution which, starting from the ratio underlying the discipline referred to in the articles 1892 and 1893 of the civil code, allows the insured to avoid the so-called gaps in coverage, without them affecting the mass of insured people, altering the correct asset management of the insurance company.

Sommario: 1. L’asimmetria bilaterale che connota il contratto assicurativo e la ratio sottesa alla disciplina delle dichiarazioni inesatti e reticenti; 2. La disciplina delle dichiarazioni inesatte e reticenti e l’intrasparenza dell’assicurato: profili generali; 3. I questionari “assuntivi” e la vexata quaestio afferente i c.d. fatti noti nella successione di polizze claims made.

1. L’asimmetria bilaterale che connota il contratto assicurativo e la ratio sottesa alla disciplina delle dichiarazioni inesatti e reticenti

Una questione che da tempo affanna gli interpreti è quella afferente l’allocazione dei “fatti noti” nella successione di polizze claims made, la cui disamina non può prescindere da un previo inquadramento del contenuto precettivo degli artt. 1892 – 1893 cod. civ., recanti la disciplina delle dichiarazioni inesatte e reticenti rese dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore[1], e da cui si desume il principio secondo cui l’asimmetria informativa che connota il contratto di assicurazione assume connotazione bilaterale.

Ed infatti, alla situazione di debolezza dell’assicurando, che si ricollega al presunto gap informativo che lo stesso sconta rispetto all’assicuratore[2], che è la parte che detiene l’informazione, si aggiunge il deficit informativo di quest’ultimo[3], che per la perimetrazione del rischio da assicurare può contare solo sulle informazioni rese dal primo[4]. In tale prospettiva vanno inquadrate le norme de quibus, la cui ratio risiede principalmente nella esigenza di porre la controparte professionale nella condizione di valutare esattamente la portata del rischio[5] e dunque, di pervenire ad un calcolo corretto del premio[6]. Purtuttavia non bisogna pensare che tali norme tutelino solo l’interesse dell’assicuratore, posto che le stesse sembrano garantire finanche l’interesse “mediato” degli assicurati ad una corretta gestione dell’impresa di assicurazione, che costituisce l’unico presidio di tutela affinché quest’ultima possa far fronte ai propri impegni nell’ipotesi in cui si verifichi l’evento assicurato nei singoli contratti[7].

2. La disciplina delle dichiarazioni inesatte e reticenti e l’intrasparenza dell’assicurato: profili generali

L’art. 1892 contempla in particolare il regime delle dichiarazioni inesatte e reticenti “colpevoli”[8], ossia rese con dolo o colpa grave, che possono condurre all’annullamento[9]  del contratto di assicurazione allorquando involgono circostanze tali che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle stesse condizioni[10].

In generale la dichiarazione é “inesatta” allorquando la circostanza riferita dal contraente all’assicuratore é inesistente[11]. Si ha invece una dichiarazione reticente nelle ipotesi in cui il contraente non riferisce all’assicuratore circostanze rilevanti di cui è a conoscenza[12]. In ogni caso la dichiarazione inesatta o la reticenza, per rilevare ex art. 1892, deve involgere circostanze rilevanti ai fini della formazione del consenso dell’assicuratore[13].

Alla violazione dell’obbligo di rendere dichiarazioni esatte e non reticenti sulle circostanze incidenti  sul  rischio, il legislatore riconosce all’assicuratore una duplice facoltà: l’annullamento del contratto se la reale circostanza di rischio è accertata prima della verificazione del sinistro o la possibilità di rifiutare il pagamento dell’indennizzo se il suddetto accertamento è successivo[14].

L’attivazione del rimedio caducatorio presuppone[15] in particolare la sussistenza di una dichiarazione inesatta o reticente “colpevole”, in quanto resa con dolo o colpa grave[16], e che l’inesattezza o la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore[17].

In relazione alla facoltà di rifiutare il pagamento dell’indennizzo, nell’ipotesi in cui l’accertamento della reale circostanza di rischio abbia avuto luogo dopo la verificazione del sinistro, si tende a distinguere a seconda che le dichiarazioni inesatte o reticenti siano state rese o meno con dolo e colpa grave, ritenendo che solo nella prima ipotesi l’assicuratore possa in ogni caso opporsi al pagamento dell’indennizzo[18].

Nelle ipotesi in cui invece l’assicuratore venga a conoscenza della reale circostanza di rischio a seguito della corresponsione dell’indennizzo, egli potrà agire nei confronti dell’assicurato tramite l’azione generale di indebito, poiché il pagamento effettuato non è sorretto da una valida causa giustificatrice.

L’art. 1893 cod. civ. reca invece la disciplina delle dichiarazioni inesatte e delle reticenze “non colpevoli” dell’assicurato, che possono condurre non già all’annullamento del contratto ma allo scioglimento dello stesso[19], tramite recesso dell’assicuratore entro tre mesi dalla conoscenza della inesattezza della dichiarazione o delle reticenze.

In ordine alla ratio, si può ritenere con buona approssimazione che l’art. 1893 cod. civ., al pari dell’art. 1892 cod. civ., tuteli l’assicuratore avverso i fenomeni di intrasparenza, ed in particolare garantisce allo stesso una corretta valutazione del rischio, salvaguardando la costante corrispondenza tra natura del rischio e premio, che come dianzi rilevato, non può non riflettersi, seppur mediatamente, sull’interesse dei singoli assicurati.

Purtuttavia, la linea di confine tra le due norme risiede nel diverso ambito applicativo. Ed infatti, mentre l’art. 1892 cod. civ. presidia, come dianzi indicato, i fenomeni di intrasparenza “colpevole”, l’art. 1893 cod. civ. trova applicazione in presenza di fenomeni di intrasparenza “incolpevole”. Il che ha delle evidenti ripercussioni in ordine ai rimedi attivabili, giacché, come dianzi rilevato, mentre il rimedio apprestato dal legislatore avverso i fenomeni di intrasparenza “colpevole” è costituito dall’annullamento del contratto di assicurazione, lo strumento per reagire invece ai fenomeni di intrasparenza “incolpevole” è costituito dal recesso riconosciuto all’assicuratore.

La previsione di due diversi rimedi, l’uno incidente sul contratto come atto (annullamento), l’altro incidente sull’atto come rapporto (recesso), può spiegarsi tenuto conto che mentre nell’ipotesi di intrasparenza “colpevole” si assiste ad un’alterazione della volontà negoziale dell’assicuratore, indotto alla conclusione di un contratto che in assenza della dichiarazione inesatta o della reticenza colpevole non avrebbe concluso o avrebbe concluso a condizioni diverse, nel caso di dichiarazioni inesatte o reticenti “non colpevoli” invece rileva solo l’inopportunità del regolamento contrattuale rispetto all’interesse di uno dei contraenti (l’assicuratore). Nel caso di inesattezze o reticenze compiute senza dolo o colpa grave, il legislatore ha dunque cercato, attraverso l’art. 1893 cod. civ., di contemperare l’esigenza alla conservazione del contratto con quella ad una valutazione del rischio congrua rispetto al premio. E tale contemperamento è stato realizzato prevedendo per l’appunto non già l’annullabilità del contratto, ma la facoltà di recesso dell’assicuratore[20].

3. I questionari “assuntivi” e la vexata quaestio afferente i c.d. fatti noti nella successione di polizze claims made

Il questionario costituisce lo strumento predisposto dall’assicuratore tramite cui l’assicurato adempie[21], conformemente al canone di trasparenza, all’obbligo di fornire al primo, in modo esatto e completo, tutte le informazioni inerenti la valutazione e l’identificazione del rischio da assicurare[22].

In linea di massima, l’inserzione da parte dell’assicuratore di una domanda nel questionario sottoposto all’assicurando prima della stipula del contratto può esser sintomatico del fatto che la conoscenza di quella determinata circostanza è particolarmente rilevante per la controparte professionale in ordine alla stipula del contratto[23]. Ne consegue che la mancata inclusione, fra i quesiti inseriti nel questionario, di determinati profili, può denotare un atteggiamento di indifferenza dell’assicuratore medesimo, valutabile al fine di escludere a carico dell’assicurando che li abbia taciuti un comportamento reticente. Nondimeno, le dichiarazioni inesatte e le reticenze di quest’ultimo non costituiscono causa di annullamento del contratto, ai sensi dell’art. 1892, allorquando risulta che l’assicuratore era ugualmente a conoscenza della reale situazione di fatto[24].

In ordine al valore, é possibile ritenere, in assenza di un’espressa previsione normativa di segno contrario, che il questionario assuntivo non costituisce di per sé né la prova di tutte le circostanze da esso contemplate, né dell’irrilevanza di quelle non contemplate[25].

Muovendo da tale assunto, nelle ipotesi in cui l’assicuratore dichiara espressamente che una specifica circostanza é essenziale ai fini dell’applicazione della disciplina di cui agli artt. 1892-1893 cod. civ., é possibile profilare la rilevanza di un’eventuale reticenza o inesattezza solo se la circostanza oggetto della domanda incide sul rischio in modo effettivo e solo se il quesito é stato formulato in modo chiaro e preciso, in ossequio al disposto di cui all’art. 166, comma 1, cod. ass[26]. Quindi, per verificare se una circostanza non dichiarata all’impresa può aver effettivamente influito sulla corretta rappresentazione del rischio, non é sufficiente verificare se la stessa é stata o meno richiamata nel questionario. Ed infatti occorre valutare non solo l’oggettiva incidenza della circostanza sul rischio, ma finanche le modalità attraverso cui sono state formulate le domande, posto che domande formulate in termini volutamente generici[27] possono indurre il contraente o a non fornire risposte dettagliate o a non fornire risposte su circostanze rilevanti[28].

Tanto premesso in linea teorica, occorre rilevare che in tempi recenti, come dianzi indicato, è tornata alla ribalta l’annosa questione afferente l’allocazione dei c.d. “fatti noti” nell’ipotesi di successione di polizze della responsabilità civile professionale strutturate secondo lo schema claims made[29]. Questione che involge in particolare tutte quelle condotte “potenzialmente pregiudizievoli” poste in essere durante la vigenza della prima polizza, il cui evento tuttavia si realizza in costanza di una polizza successivamente sottoscritta dal cliente.

In queste ipotesi il rischio che può colpire quest’ultimo risiede nel c.d. buco di copertura. Ed infatti lo stesso può vedersi eccepire anzitutto l’inoperatività della prima polizza claims made priva di clausola di ultrattività, per aver inoltrato la richiesta risarcitoria dopo la scadenza della copertura assicurativa.

Ma può vedersi opporre altresì l’inoperatività della seconda polizza, eventualmente con clausola di retroattività, per non aver dichiarato al secondo assicuratore, in sede di compilazione dei questionari, la sussistenza di condotte potenzialmente pregiudizievoli.

La problematica ruota tutta attorno al quesito formulato nei questionari relativi al rischio della responsabilità civile professionale, afferente “la conoscenza di fatti e/o circostanze che possono dare origine ad una richiesta di risarcimento”, e dunque dei c.d. fatti noti, che dovrebbero esser oggetto di comunicazione in quanto potenzialmente idonei a generare una richiesta risarcitoria e che, se taciuti, legittimerebbe l’opposizione, da parte dell’assicuratore, dell’inoperatività della copertura assicurativa.

E’ evidente la criticità del quesito in analisi, sia nell’ipotesi di interpretazione troppo ampia e indefinita di fatti noti, sia nell’opposta ipotesi di interpretazione “definita”. Ed infatti, mentre la prima delle suindicate interpretazioni è idonea a generare uno squilibrio contrattuale nei confronti dell’assicurato, che si vedrà opposta l’inoperatività della copertura laddove non renda dichiarazioni su qualunque circostanza a lui nota, la seconda rischia di pregiudicare l’impresa di assicurazione, che può vedersi opporre l’indifferenza di quanto a conoscenza dell’assicurato.

Per risolvere l’impasse, una parte della dottrina[30] ha proposto una lettura “evolutiva” degli artt. 1892-1893 cod. civ., ancorando l’operatività delle norme de quibus solo alle informazioni inesatte o reticenti preordinate ad ingannare l’impresa di assicurazione, interpretando le stesse alla stregua dell’art. 1439 cod. civ. Con la conseguenza che per la configurazione di un’intrasparenza colpevole dell’assicurato non basterebbe la mera coscienza e volontarietà della inesattezza o reticenza, ma occorrerebbe in concreto una condotta ingannatoria, commissiva o omissiva, intenzionalmente diretta ad alterare l’altrui volontà.

Tale proposta ricostruttiva, per quanto originale, non si sottrae tuttavia a rilievi critici. Anzitutto la stessa stride con l’intento legislativo di voler approntare, per il contratto di assicurazione, una peculiare disciplina dei vizi del consenso, che per certi versi diverge da quella generale prefigurata agli artt. 1439 ss. Il che si tradurrebbe, all’atto pratico, in un’implicita abrogazione della disciplina tratteggiata agli artt. 1892-1893 cod. civ.

Non meno importante è la considerazione che attraverso la succitata lettura evolutiva di tale disciplina può esser pregiudicato l’interesse ad una corretta gestione patrimoniale da parte dell’impresa di assicurazione e di riflesso, l’adeguata protezione degli assicurati. Ed infatti, profilare l’operatività di una copertura assicurativa in assenza di una dichiarazione sulle condotte “potenzialmente” dannose, rispetto alle quali l’assicurato non è in grado di preventivare una richiesta risarcitoria, significa addossare su questi ultimi il costo dell’eventuale danno conseguente a tali condotte.

Le considerazioni svolte inducono a ricercare altrove una possibile soluzione alla vexata quaestio, che consenta di arginare i c.d. buchi di copertura nella successione di polizze della responsabilità civile professionale senza che venga in concreto alterato l’equilibrio patrimoniale dell’impresa di assicurazione, alla cui tutela è volta la disciplina di cui agli artt. 1892 – 1893 cod. civ.

Sotto tale profilo è innegabile che l’operatività della prima polizza, relativamente a condotte potenzialmente pregiudizievoli, potrà aver luogo sulla base di specifiche clausole di ultrattività.

Quanto alla seconda polizza in successione, si potrebbe profilare l’operatività della stessa sulla base del meccanismo della c.d. denunzia cautelativa[31], tramite cui l’assicurato dichiara all’impresa di assicurazione la sussistenza di una condotta potenzialmente pregiudizievole. Parte della dottrina[32] mostra al riguardo qualche perplessità, muovendo dall’assunto secondo cui il meccanismo de quo implicherebbe un considerevole aumento dei premi.

Tale rilievo tuttavia non coglie nel segno, posto che il meccanismo in analisi esclude non solo il rischio dei c.d. buchi di copertura, giacché consentirebbe nell’ipotesi di verificazione del sinistro di rivolgersi al secondo assicuratore, ma finanche l’eventualità che il costo del danno derivante da una condotta potenzialmente pregiudizievole sia “scaricato” sulla massa degli assicurati, alterando l’equilibrio tra premi raccolti e rischi assunti.


Note e riferimenti bibliografici

[1] La letteratura sul regime delle dichiarazioni inesatte e reticenti è particolarmente cospicua. Senza alcuna pretesa di esaustività si segnalano: F. Romeo, Dovere di informazione e responsabilità precontrattuale: dalle clausole generali alla procedimentalizzazione dell’informazione, in Resp. Civ., 2012, 173 ss.; S. Landini, Reticenze dell’assicurato e annullamento del contratto, in Resp. civ. prev., 2011, 629 ss.; V. Sangiovanni, I contratti di assicurazione tra codice civile e codice delle assicurazioni, in Ass., 2011, I, 112; L. Bugiolacchi, Dichiarazioni inesatte e reticenti: obblighi informativi dell’assicurato e correttezza dell’assicuratore, in Resp. civ. prev., 2006, 659 ss.; A. Antonucci, Commento all’art. 1892 c.c., in Commentario breve al Diritto delle Assicurazioni, (a cura di) G. Volpe Putzolu, Padova, 2013; C. Russo, Trasparenza ed informazione nel contratto di assicurazione, Padova, 2001, 80 ss.

[2] Deficit che involge non solo l’informazione in sé, ma altresì le modalità di trasmissione della stessa. Ed infatti può darsi il caso che l’assicurando possa avere accesso all’informazione, ma la medesima non risulta pienamente accessibile attesa la difficoltà di comprensione della stessa, che consegue alla connaturata tecnicità che involge i contratti assicurativi.

[3] P. Corrias, Le assicurazioni sulla vita, in Trattato dir. civ. comm. Cicu - Messineo,  già diretto da L. Mengoni e P. Schlesinger, continuato da V. Roppo e F. Anelli, Milano, 2021, 192.

[4] Secondo C. Russo, Trasparenza, cit., 63, il rischio nell’assicurazione assume un duplice significato, giacché da un lato costituisce il fondamento dell’aleatorietà del contratto, dall’altro “il presupposto indefettibile, sul piano economico, dell’operazione assicurativa”.

[5] Cfr. G. Facci, Le clausole claims made, le deeming clause ed i fatti noti, in Riv. it. med. leg., 2019, 1461. A tale conclusione interpretativa sembra pervenire anche la giurisprudenza. Si v. al riguardo Cass., 19 dicembre 2008, n. 29894, in De Jure on line. La mancata comunicazione all’assicuratore della sussistenza di altre polizze stipulate per la copertura del medesimo rischio non rientra invece nel raggio operativo degli artt. 1892 e 1893 cod. civ., che disciplinano la diversa ipotesi delle dichiarazioni inesatte o reticenti idonee ad incidere sulla rappresentazione del rischio. Siffatta ipotesi resta dunque assoggettata alla specifica disciplina prefigurata all’art. 1910 cod. civ., secondo cui la perdita del diritto all’indennizzo ha luogo solo nell’ipotesi di comportamento doloso dell’assicurato stesso, preordinato al conseguimento di un indennizzo maggiore rispetto al danno effettivamente subito.

[6] L. Buttaro, voce Assicurazione (contratto di), in Enc. dir., III, Milano, 1958, p. 483; G. Scalfi, Assicurazione (contratto di), in Dig. comm., Torino, 1987, 355.

[7] Come rileva C. Russo, Trasparenza, cit., 85, la disciplina di cui agli artt. 1892 e 1893 cod. civ. “esprime due esigenze che rilevano sul piano economico: di mantenere inalterato l’equilibrio tra le prestazioni del singolo rapporto e di garantire in questo modo la sufficienza della massa dei premi riscossi rispetto al complesso di rischi assunti”.

[8] E. Carbonetti, La formazione ed il perfezionamento del contratto, in Responsabilità e assicurazione, (a cura di) R. Cavallo Borgia, Milano, 2007, 88.

[9] Purtuttavia l’art. 1892, comma 2, subordina l’esperimento dell’azione di annullamento da parte dell’assicuratore pregiudicato dall’intrasparenza colpevole dell’assicurato alla dichiarazione, da parte del primo a quest’ultimo, di voler esercitare l’impugnativa. Dichiarazione che tuttavia deve intervenire entro tre mesi dalla conoscenza della inesattezza o della reticenza. La decadenza è dunque impedita da una dichiarazione recettizia diretta al cliente assicurativo (Sul punto v., M. Rossetti, Il Diritto delle Assicurazioni, I, Padova, 2013, 886). La giurisprudenza (Cass., 4 gennaio 2010, n. 11, reperibile su De Jure on line) distingue a seconda che il contratto assicurativo abbia o meno ad oggetto un rischio “continuato”, ritenendo che solo nella prima ipotesi l’assicuratore, venuto a conoscenza della reticenza colpevole del cliente, avrebbe l’onere di render noto se intenda o meno proporre l’impugnativa del contratto, al fine di evitare la corresponsione dell’indennità relativamente ai rischi futuri.

[10] A differenza di quanto previsto per la disciplina generale del contratto, ai fini dell’annullamento del contratto assicurativo può rilevare finanche il dolo incidente. Cfr. E. Carbonetti, La formazione, cit., 90 ss.

[11] Discussa é la qualificazione della posizione giuridica del cliente assicurativo in ordine alle dichiarazioni sugli elementi di fatto “rilevanti” ai fini della corretta rappresentazione del rischio. Ci si chiede infatti se la stessa è riconducibile alla categoria dell’onere (L. Buttaro, Assicurazione, cit., 485) o a quella dell’obbligo di fonte legale di natura precontrattuale (M. Rossetti, Il Diritto delle Assicurazioni, cit., 867).  Al riguardo sembra preferibile la seconda opzione interpretativa, posto che alla reticenza in ordine a circostanze “rilevanti” si ricollega la sanzione dell’annullamento. Controversa é anche la qualificazione della dichiarazione relativa al rischio, che parrebbe riconducibile al novero delle dichiarazioni di scienza. Con la conseguente non annullabilità della medesima per vizi del consenso.

[12] L’intrasparenza colpevole dell’assicurato si riflette anche sul premio convenuto, che sarà dovuto dallo stesso sino alla domanda di annullamento. Dovuto in ogni caso sarà il premio relativo al primo anno.

[13] Cass., 11 gennaio 2017, n. 416, reperibile su www.laleggepertutti.it.

[14] Cass., 19 giugno 2020, n. 11905, disponibile su www.altalex.com.

[15] La prova in ordine alla sussistenza delle suesposte condizioni necessarie alla pronuncia costitutiva di annullamento del contratto di assicurazione grava sull’assicuratore, e non involgendo il contenuto del contratto di assicurazione, si sottrae ai limiti cristallizzati all’art. 1888 e dunque può essere fornita con qualunque mezzo ed anche attraverso testimoni. Di converso, é a carico del cliente assicurativo la prova che l’assicuratore, pur in presenza di sue dichiarazioni inesatte e reticenti, conoscesse la reale situazione, e dunque l’effettiva entità del rischio cui era esposto.

[16] Secondo la giurisprudenza, per l’integrazione del dolo ex art. 1892 é sufficiente la coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente. Quanto alla colpa grave, occorre invece che la dichiarazione inesatta o reticente discenda da una grave negligenza che presupponga la coscienza dell’inesattezza della dichiarazione o della reticenza unitamente alla consapevolezza dell’importanza dell’informazione, inesatta o mancata, rispetto alla conclusione del contratto. Sul punto si v. Cass., 10 giugno 2015, n. 12086, reperibile su De Jure on line. Recentemente i giudici di legittimità hanno ritenuto che il contratto di assicurazione è annullabile ex art. 1892 cod. civ. allorquando il cliente assicurativo abbia, con coscienza e volontà, omesso di riferire all’assicuratore, nonostante sul punto gli sia stata posta specifica domanda, circostanze idonee ad incidere sul rischio assicurato. Cfr. Cass., 29 maggio 2018, n. 13399, disponibile su www.avvocato.it; Cass., 4 agosto 2017, n. 19520, reperibile su www.laleggepertutti.it.

[17] Cfr. G. Facci, Le claims made, cit., 1461, nonchè, in giurisprudenza, Cass., 20 ottobre 2016, n. 21312, reperibile su www.laleggepertutti.it. e Cass., 10 giugno 2015, n. 12086, reperibile su De Jure on line.

[18] L. Buttaro, Assicurazione, cit., 487.

[19] Cfr. V. Bellomia, Responsabilità precontrattuale tra contrattazione civile, del consumatore e di impresa, Milano, 2012, 161.

[20] La disciplina di cui agli artt. 1892-1893 cod. civ. può essere derogata solo in senso più favorevole all’assicurato ex art. 1932. La deroga più rilevante a questo riguardo si realizza attraverso le cd. clausole di incontestabilità (cfr. F. Peccenini, Assicurazione, cit., 67 ss.), attraverso le quali l’assicuratore, trascorso un certo lasso di tempo, di norma un anno o 6 mesi dalla conclusione del contratto, rinunzia a far valere l’esistenza di eventuali inesattezze o reticenze in merito alle dichiarazioni dell’assicurato, precludendosi per tale via l’attivazione del rimedio dell’annullamento o del recesso o la possibilità di eccepire la non debenza dell’indennizzo o la sua riduzione nell’ipotesi in cui il sinistro si verifica prima che egli sia venuto a conoscenza dell’inesattezza o reticenza.

[21] E. Carbonetti, La formazione, cit., 89; A. Monti, Il silenzio e il questionario assicurativo: “un bel tacer non fu mai scritto”, in Danno e resp., 2016, 1197; I. Sabbatelli, Informazioni e rischio assicurato, in Nuova giur. civ. comm., 2004, 404.

[22] In Italia manca una disciplina espressa dei questionari assuntivi, invece presente in altri ordinamenti, come quello spagnolo o francese. Quanto al primo, la norma di riferimento è l’art. 10, comma, 1 Ley 50/1980, dal cui tenore letterale è possibile inferire che la somministrazione del questionario costituisce una facoltà per l’assicuratore, che non risulta obbligato in tal senso.

[23] Cass., 5 ottobre 2018, n. 24563, reperibile su www.laleggepertutti.it.

[24] Sul versante processuale tale conoscenza può essere dimostrata con ogni mezzo di prova, non essendo soggetta ai limiti probatori prefigurati agli artt. 2721 ss. cod. civ., proprio in quanto avente ad oggetto una circostanza di fatto.

[25] F. Peccenini, Assicurazione, Bologna, 2011, 59.

[26] Cfr. O. Cagnasso, Il codice delle assicurazioni private tra codice civile e codice del consumo, in Dir. ec. ass., 2009, 902.

[27] G. Facci, Le claims made, cit., 1464.

[28] In tale prospettiva una parte della dottrina (S. Landini, Sub art. 117 - 121 octies, in Le assicurazioni, a cura di A. La Torre, Milano, 1754 - 1755) suggerisce un’interpretazione secondo buona fede della normativa sulle dichiarazioni inesatte e reticenti. Si rileva in particolare che la clausola de qua potrebbe esser invocata, relativamente alle eccezioni di inoperatività delle polizze opposte dalle compagnie, allorquando la dichiarazione inesatta o reticente dell’assicurato é stata occasionata da un difetto di informativa. A tal riguardo, relativamente alle polizze sanitarie, l’A. riporta l’esempio della dichiarazione di buono stato di salute, che il più delle volte, a causa della mancanza di informazione, il cliente rilascia ignorando che ai fini della operatività della polizza rilevano anche patologie pregresse “non gravi” o interventi chirurgici comuni.

[29] Sulle polizze claims made si segnalano, senza pretese di esaustività, i seguenti contributi: G. Rossi, Le clausole claims made: dalla valutazione della giurisprudenza alla logica del mercato assicurativo, Milano-Padova, 2018; S. Bosa, Istanze sociali e logiche di mercato nel modello assicurativo claims made, Torino, 2019; I. Partenza-R.V. Nucci, Claims made. L’efficacia temporale della garanzia di responsabilità civile, Pisa, 2020; A. Santoni, Nullità parziale e tutela risarcitoria nell’assicurazione con clausola claims made, in Banca, borsa, e titoli di credito, 2021, 794; M. Gagliardi, I contratti di assicurazione della responsabilità civile con clausola claims made: la perdurante attualità del tema, in Danno e resp., 2019, 228; I. Riva, L’ultima parola delle sezioni unite della cassazione in materia di clausole claims made, in Contratto e impr., 2019, 9; F. Piraino, Critica della causa al servizio dell'adeguatezza in concreto del contratto. Il caso Dell’assicurazione della responsabilità civile con copertura claims made, in Europa e dir. privato, 2019, 1045; P. D’Ovidio, L’assicurazione e la clausola claims made, in Libro Dell’anno del diritto-Encicl. giur. Treccani, Roma, 2019, 45; A. M. Garofalo, L’assicurazione claims made e il dialogo tra formanti, in Riv. dir. civ., 2019, 1039; G. Facci, Le clausole claims made and reported ed il difficile equilibrio con la disciplina sull’obbligo di avviso di sinistro, in Resp. civ. e prev., 2018, 1474; A. Candian, La giurisprudenza e le sorti delle clausole claims made, in Riv. dir. civ., 2018, 685; V. Bachelet, Il fine giustifica i mezzi? Polizze claims made tra «primo», «secondo» e «terzo» contratto, in Europa e dir. privato, 2018, 525; A. Vicari, Polizze claims made, riserve tecniche, rischio operativo e trasparenza contrattuale, in Giur. comm., 2018, I, 301; V. Amirante, Le clausole claims made, in Libro dell’anno del diritto-Encicl. giur. Treccani, Roma, 2017; M. Mazzola, La copertura assicurativa claims made: origine, circolazione del modello e sviluppi normativi, in Europa e dir. privato, 2017, 1013; C. B. N. Cioffi, Modelli assicurativi: validità e vessatorietà della clausola claims made, in Contratto e impr., 2016, 1515; F. Delfini, Clausole claims made e determinazione unilaterale dell’oggetto del B2B: l’equilibrio giuridico del contratto negli obiter dicta della cassazione, in Nuove leggi civ., 2016, 545; P. Gaggero, Validità ed efficacia dell’assicurazione della responsabilità civile claims made, in Contratto e impr., 2013, 401; M. Gazzara, Il difficile rapporto tra clausola claims made e assicurazione obbligatoria della responsabilità professionale, in Nuove leggi civ., 2012, 1213.

[30] G. Mattace, Le reticenze sui sinistri a c.d. manifestazione latente o ritardata nell’assicurazione della responsabilità civile: ancora una necessaria rivoluzione delle clausole claims made, in Resp. civ. prev., 2021, 1603.

[31] Parte della dottrina (G. Facci, Le claims made, cit., 1460) mostra tuttavia un certo scetticismo verso le denunce cautelative, ritenendo che le stesse non sono in grado di risolvere ogni situazione di buco di copertura connessa all’ipotesi di successione di polizze nel tempo. Ed inoltre da tale meccanismo possono discendere conseguenze negative per l’assicurato, potendo la stessa occasionare il mancato rinnovo della polizza alla scadenza o un cospicuo aumento del premio per l’anno successivo.

[32] G. Mattace, I rischi latenti, cit., 1597.