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Pubbl. Lun, 29 Lug 2024

Il valore dell´uguaglianza nell’accesso alla giustizia

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Claudia Migliazza
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Catanzaro Magna Græcia



Questo contributo esamina le teorie fondamentali alla base dei concetti di uguaglianza e giustizia, ricostruendo sinteticamente le principali teorie della giustizia sviluppate nel corso degli anni, con un focus particolare sul pensiero di Kant, Nozick e Rawls. L´obiettivo è evidenziare le problematiche persistenti nelle società moderne, mettendo in luce le sfide e le tensioni tra le diverse concezioni di giustizia. Infine, si propongono alcuni spunti riflessivi sulle nuove frontiere dell´uguaglianza, esplorando come le teorie classiche possano informare e guidare il dibattito contemporaneo verso una maggiore equità e inclusività.


ENG

The value of equality in access to justice

This contribution examines the fundamental theories underlying the concepts of equality and justice, providing a concise reconstruction of the major theories of justice developed over the years, with a particular focus on the thoughts of Kant, Nozick, and Rawls. The objective is to highlight the persistent issues in modern societies, shedding light on the challenges and tensions between different conceptions of justice. Finally, it offers some reflective insights on the new frontiers of equality, exploring how classical theories can inform and guide contemporary debate towards greater equity and inclusiveness.

Sommario: 1. L’uguaglianza e la giustizia nell’ordinamento italiano ed europeo: cenni; 2. Il concetto di equità e quello di giustizia; 3. Il concetto di giustizia secondo Rawls; 3.1. L’evoluzione del pensiero filosofico in materia: da Kant a Rawls; 3.2. Le teorie della giustizia: dal liberalismo di Nozick al liberalismo di Rawls; 4. Il problema di una giustizia globale; 5. La giustizia e le nuove frontiere dell’uguaglianza: alcune conclusioni.

1.L’uguaglianza e la giustizia nell’ordinamento italiano ed europeo: cenni

Il concetto di uguaglianza ha origini antiche[1] ed è alla base dell’intero pensiero occidentale, invero, sin dai tempi dell’Italia preunitaria si assiste alla nascita ed all’evoluzione del principio, con la sola eccezione costituita dal ventennio fascista.

Storicamente, Platone distingue due tipologie di uguaglianza: a) quella “secondo la misura, il peso ed il numero”, con la possibilità in capo ad ogni legislatore di assicurarla nella distribuzione delle cariche pubbliche, regolandola mediante sorteggio; b) quella “più vera e migliore”, consistente nell’assegnazione proporzionale a chi è più grande per virtù ed onori[2].

Diversamente, Aristotele mette in luce l’eguaglianza quale sinonimo di giustizia distributiva, come proporzione, ponendo il problema se debba trattarsi di una proporzione geometrica o aritmetica[3].

Oggi, il principio di uguaglianza[4] è un principio fondamentale sancito dalla Costituzione e dalle norme extra-statali[5].

L’articolo 3 della Costituzione, come noto, recita «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di or dine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Questo si estende anche agli stranieri, articolandosi in una serie di previsioni antidiscriminatorie.

L’articolo in esame, pertanto, pone in essere una distinzione fondamentale tra eguaglianza in senso formale ed eguaglianza in senso sostanziale[6]. La prima ascrivibile alla tradizione liberale, la seconda a quella socialista/cattolico-sociale. Quest’ultima, in particolare, contiene una “norma-programmatica” con effetti giuridici immediati, in quanto produce un effetto normativo quanto all’interpretazione delle norme, un effetto limitativo del potere del legislatore di dettare norme che siano con loro in contrasto, un effetto impositivo del dovere del legislatore di realizzare il programma stabilito[7].

Tale distinzione, di converso, non è presente nella Carta di Nizza che, esplicando il concetto di uguaglianza negli artt. 20[8] e 21[9], non fa riferimento al concetto di uguaglianza in senso sostanziale.

Come emerge dalle norme in narrativa, il principio di eguaglianza ha svolto e continua a svolgere – nell’ordinamento interno e in quello comunitario – diverse funzioni, oltre a quella di vietare arbitrarie discriminazioni fondate sulla considerazione di una tipica condizione soggettiva, riconducibile ad un precetto autonomo e, nel caso della Carta di Nizza, oggetto di una diversa disposizione rispetto a quella che sancisce il principio generale di eguaglianza[10].

Meno lineare rispetto al concetto di uguaglianza è il concetto di giustizia. Volendo utilizzare le parole di Corrado del Bò «l’idea di giustizia è ubiqua. Di giustizia parliamo infatti quando si tratta di assegnare alle persone beni o oneri, oppure di organizzare gli assetti politici ed economici, così come quando occorre valutare il contenuto degli scambi commerciali, individuare e sanzionare illeciti civili e penali, favorire nei contesti di transizione politica il passaggio dalla dittatura alla democrazia. E impieghiamo il termine sia in relazione al diritto positivo, servendoci del concetto “giustizia” per portare avanti istanze critiche, sia in relazione all’etica, ricevendo da esso potenti indicazioni su ciò che va fatto»[11].

Alla luce di quanto esplicato, è possibile affermare che l’eguaglianza è il presupposto necessario per ogni ordinamento che voglia definirsi giusto[12], tuttavia, prima di arrivare a tale soluzione l’evoluzione storica ha posto in essere una certa ambivalenza.

È possibile distinguere due linee di tendenza contrapposte: a) coerenza e continuità dell’affermarsi dei diritti della persona che trova le sue radici nell’antichità classica: la riflessione filosofica greca, l'elaborazione intellettuale e giuridica romana, il pensiero cristiano – che ha sviluppato la nozione di persona – l'umanesimo e la stagione giusnaturalistica, che hanno fondato gran parte dei valori che oggi informano le nostre tradizioni giuridiche, la svolta illuministica e infine, dopo le tragedie del Novecento, il costituzionalismo europeo del secondo dopoguerra. In tale contesto i diritti fondamentali costituiscono il presupposto della giustizia[13]; b) eguaglianza come conquista dal punto di vista giuridico, in quanto vi erano talune concezioni che fondavano le costituzioni sul concetto di diseguaglianza e appartenenza al ceto[14].

2. Il concetto di equità e quello di giustizia

Posti brevi cenni sull’evoluzione del concetto di giustizia ed eguaglianza, appare opportuno, ai fini del presente contributo, porre in essere l’ulteriore distinzione tra equità e giustizia.

Storicamente è Aristotele ad occuparsi della dicotomia tra equità e giustizia nel celebre Libro V dell’Etica Nicomachea, imbattendosi in una apparente aporia[15], in quanto pur apparendo i concetti del medesimo genere, nella realtà si differenziano. Aristotele risolve tale contrasto affermando che in realtà equità e giustizia sono la medesima cosa, con la specifica che l’equo è migliore del giusto in quanto corregge e supera la mera giustizia legale[16].

Tuttavia, l'aspetto positivo dell'equità, ovvero la capacità di garantire una giustizia più adeguata, rappresenta anche un punto debole, poiché solleva interrogativi sulla sua indipendenza concettuale dalla giustizia. In altre parole, l’equità si traduce nella volontà di mitigare la durezza della legge.

Nel binomio equità/giustizia entra, poi, in gioco la differenziazione tra giustizia correttiva e giustizia distributiva. Nella prima ciò che spetta ad ognuno è già stabilito e, pertanto, occorre solamente accertarlo al fine di ripristinare il diritto preesistente; nella seconda, la spettanza non è ancora stabilita e occorre determinare, in primis, ciò che spetta ad ognuno. In altri termini, la giustizia distributiva crea o accerta la spettanza, quella correttiva la fa valere e la protegge[17].

Diversamente, secondo l’impostazione di Tommaso D’Aquino, il diritto ha la precedenza sulla giustizia, della quale è oggetto e l’equità si concretizza in un giudizio critico nei suoi confronti.

Secondo Hobbes, per stabilire cosa sia l’equità, la giustizia e la virtù morale ed al fine di renderle obbligatorie, occorre il comando del potere sovrano. L’Autore sottolinea, inoltre, che l’equità è specificamente prevista come undicesima legge naturale. Sulla base della concezione hobbesiana, Rawls, successivamente, afferma che l’equità debba essere intesa in termini di ragionevolezza[18]: è ragionevole colui che possiede una predisposizione a trattare gli altri come “eguali”, a mettersi nei “loro panni”, tenendo conto del loro punto di vista. Tale concetto sarà, poi, rivendicato da Locke, il quale, differentemente da Hobbes e Rawls, porrà come punto di partenza l’intera umanità considerata come comunità naturale e non l’individuo atomistico e, nonostante ciò, anche per Locke l’equità ha priorità sul giusto legale.

Volendo operare una trasposizione dei due concetti nel diritto processuale civile odierno è possibile affermare che l’equità è indicata come la regola del caso concreto, contrapposta al diritto. In altri termini, l’equità  corrisponde alle norme e può essere impiegata in luogo del diritto oggettivo per risolvere una controversia su diritti soggettivi disponibili, quando le parti hanno così deciso, ai sensi dell’art. 114 c.p.c. o quando è stabilito della legge, ex art. 113 c.p.c. [19]. Pertanto, il giudizio di equità impone di valutare se, in relazione alle circostanze del caso concreto, l’applicazione delle norme di diritto non realizzi la giustizia e, solo in tal caso, consente di discostarsene.

3. Il concetto di giustizia secondo Rawls

Rawls definisce la giustizia come la prima virtù delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Allo stesso modo, dove regna l’ingiustizia è necessario riformare le istituzioni e, a tal fine, sono necessarie regole pubblicamente condivise sull’assegnazione di oneri e benefici, “su come le cose buone e quelle cattive della vita devono essere distribuite tra i membri della società umana”[20].

La teoria di Rawls prende le mosse da una critica all’utilitarismo in nome dell’uguaglianza, per cui nella visione utilitarista, l’eguaglianza degli individui si riduce nella concezione che ogni individuo conti come uno nel calcolo delle utilità. L’utilitarismo, in sintesi, ha quale fine una forma di efficienza e non l’uguaglianza delle utilità[21]. Per il filosofo, la posizione utilitaristica tende a sacrificare gli interessi della minoranza, per cui la sua concezione di giustizia si basa sul fatto che tutti i beni sociali principali debbano essere distribuiti in modo eguale (giustizia distributiva).

Allo stesso modo il pensiero rawlsiano si distingue dal liberalismo di Nozick, secondo cui è ingiusto ogni attentato all’uso che ciascuno può fare dei propri diritti di proprietà, eccetto quelli lesivi del diritto altrui.

La volontà di Rawls è quella di intendere la giustizia come una teoria politica e non metafisica in quanto non discende da una definizione a priori del bene[22]. La situazione delineata è quella per cui i soggetti non conoscono le proprie caratteristiche, la propria posizione sociale, la concezione di bene e, pertanto, gli stessi soggetti, celati in un alone di ignoranza, non potranno che concordare secondo due principi: a) ciascuna persona ha eguale diritto ad un sistema pienamente adeguato di libertà di base uguale per tutti, che sia compatibile con uno stesso sistema di libertà per tutti; b) le diseguaglianze sociali devono essere legate a funzioni e posizioni aperte a tutti (principio di equa eguaglianza delle opportunità) e, al contempo, devono procurare il massimo beneficio ai membri svantaggiati della società (principio di differenza).

Rawls, quindi, prendendo le mosse da Hobbes, Locke, Kant, Rousseau e Mills, con il contratto sociale ipotizza una situazione pre-sociale dove ogni individuo, chiamato a stabilire i principi di giustizia che dovranno governare la sua costituenda società, e le leggi fondamentali di essa, si trovi in una “posizione originaria”[23], nell'incapacità cioè di conoscere e prevedere quale sarà il suo posto nella società : il celebre “velo dell'ignoranza”.

Nel secondo capitolo della sua celebre opera, poi, Rawls si sofferma sul cd. “argomento intuitivo” che riguarda il principio di differenza, ossia quel principio che mira a modellare una distribuzione giusta della risorse, una volta garantite le eguali libertà fondamentali a tutti i soggetti.

Per Rawls, infatti, libertà ed eguaglianza non sono valori confliggenti e l’equità mira a rendere uguale il diseguale.

In altri termini, i principi di giustizia della concezione rawlsiana devono poter essere oggetto di scelta collettiva unanime da parte di individui che si trovino in una situazione iniziale del tipo della posizione originaria (argomento analitico).

Affinché si possa arrivare ad una scelta unanime dei principi di giustizia è necessario che ogni individuo metta a tacere i propri interessi e preferenze .

In definitiva, il disegno di Rawls contiene un progetto relativo alla costituzione di una società giusta vista, al contempo, nella sua perfezione e nella preoccupazione che la teoria ideale tenga conto di alcuni elementi del realismo. Si può parlare di una posizione mediana, in quanto l’Autore riconosce vincoli di fattibilità sensibile a fatti umani e condizioni idealizzanti.

3.1.  L’evoluzione del pensiero filosofico in materia: da Kant a Rawls

Alla base delle grandi teorizzazioni filosofiche in materia di giustizia, vi è senz’altro il pensiero kantiano[24]. Kant, come è noto, esprime un concetto ideale di diritto simbolo della giustizia e finalizzato alla protezione della libertà in chiave sociale. Secondo l’Autore la libertà è il fine del diritto ordinato dalla ragione, attuabile coordinando la libertà singoli, in modo tale che la libertà di un individuo non leda la libertà di un altro. Kant, dunque, coordina i soggetti secondo le leggi universali e il potere di accordare i soggetti spetta allo Stato. La posizione originaria di Kant, pertanto, deve essere vista come una interpretazione procedurale dell’autonomia e dell’imperativo categorico, secondo cui la libertà umana deve essere regolata da principi scelti in base alle restrizioni naturali, convergendo il concetto di giustizia in quello di equità. In altri termini, Kant pone le basi di quella che, poi, sarà la teoria della giustizia umana di Rawls.

Nell’approccio kantiano, invero, è definita giusta una comunità capace di darsi norme giuridiche, tali da garantire il requisito fondamentale della compatibilità delle libertà e, affinchè ciò sia possibile, il filosofo tedesco propone una tripartizione di principi: a) la libertà di ogni membro della società come uomo; b) l’eguaglianza di ogni membro con ogni altro come suddito; c) l’indipendenza di ogni membro di un corpo comune come cittadino.

Specificamente circa il secondo principio, ossia l’eguaglianza giuridica, questo trova il suo fondamento nella comune umanità dal quale, a sua volta, discende il diritto alla libertà che costituisce la giustificazione dell’uguale accesso a tale diritto e della sua eguale tutela di fronte alle norme giuridiche. Kant, poi, nel sviscerare tale pensiero pone il binomio di uguaglianza come suddito, affermando che tutti i soggetti sono uguali di fronte alla legge tranne chi la promulga e la amministra.

Tuttavia, vi sono taluni profili che portano, legati al reddito del soggetto, che comportano una diseguaglianza tra i soggetti. Tali diseguaglianze, pertanto, derivano dalle naturali differenze esistenti tra gli uomini, con particolare riguardo ai talenti. Il filosofo tedesco dunque ha una visione che può essere definita dualistica dell’eguaglianza: da una parte afferma l’eguaglianza davanti alla legge di tutti i soggetti, sottolineando, al contempo, che questa non implica una eguaglianza di talenti; dall’altra, condanna la diseguaglianza negli esiti quando la stessa derivi da una competizione viziata, data, a titolo meramente esemplificativo, dai privilegi ereditari.

Il pensiero di Kant è stato, poi, oggetto di commento da parte di Rawls, nella sua celebre opera del 1971[25]. Il riferimento specifico è al principio di eguale libertà ed al significato della priorità dei diritti che definisce. Secondo Rawls, nella concezione kantiana, esiste una sua interpretazione della concezione di giustizia da cui deriva, basata sulla funzione di autonomia. Secondo Rawls, l’autonomia morale di Kant è connessa intrinsecamente all’idea della scelta razionale dei principi morali che, a loro volta, definiscono la legge morale che i soggetti razionalmente vogliono al fine di guidare la loro condotta in una comunità etica. Partendo da tale assunto, Rawls afferma che una persona agisce autonomamente quando i principi della sua azione sono scelti come espressione più adeguata possibile alla sua natura di ente razionale, libero ed eguale[26].

3.2. Le teorie della giustizia: al liberalismo di Nozick al liberalismo di Rawls

Il concetto di giustizia ed eguaglianza si inserisce nel contesto più ampio e recente di uguaglianza di opportunità. Al fine di porre in essere un corretto inquadramento, appare opportuno, preliminarmente, definire cosa si intenda per “uguaglianza di opportunità”.

In tempi moderni e nell’ambito lavorativo, si può parlare, a titolo meramente esemplificativo, di uguaglianza di opportunità anche nel processo selettivo o, molto più semplicemente, e secondo Rawls, la previsione di un sistema pubblico educativo, al fine di concedere a tutti i consociati la possibilità di istruirsi (cd. libertà naturale). In altri termini, “giocare bene (alla pari) rappresenta una realizzazione collettiva che richiede la cooperazione di tutti”.

Oggigiorno, vi è una tendenza democratica delle società alla base della quale vi è una eguaglianza formale delle opportunità. Tuttavia, il concetto rimane ancorato sul piano formale e non si traspone in quello sostanziale, in quanto, ad esempio, chi ha maggiori possibilità economiche ha la possibilità di accedere a studi e titoli differenti rispetto a chi, invece, può usufruire solamente del servizio pubblico e ciò, pertanto, crea un dislivello non indifferente sul piano sostanziale delle opportunità. Invero, non si riescono ad assicurare le stesse chances di successo a coloro che hanno i medesimi talenti, creando la categoria degli svantaggiati in partenza.

L’obiettivo, dunque, dovrebbe essere quello di abbattere le diseguaglianze di partenza avvantaggiando lo svantaggiato, utilizzando il concetto di uguaglianza non solo come uno scudo a difesa della discriminazione ma anche come una spada che la combatte attivamente[27]. Tale concetto, meglio noto come “azione positiva”, è sposato da Thomas Negel che parla di una uguaglianza formale di opportunità rafforzata[28].

Alla luce di quanto affermato la disamina in oggetto può essere inquadrata secondo due prospettive diametralmente opposte: il liberalismo di Nozick che prevede azioni positive miranti alla riparazione di un’ingiustizia passata ed il liberalismo di Rawls che, di converso, prevede azioni positive fondate e motivate in base all’ideale politico all’interno di una società egualitaria.

Molto brevemente, Nozick nel fondare la sua teoria prende le mosse dallo stato di natura di Locke, in cui gli individui sono titolari di taluni diritti naturali (tra cui la proprietà) in cui lo Stato ha la funzione di garantire la sicurezza e l’ordine pubblico[29]. Nozick sostiene che la redistribuzione della ricchezza è ingiusta solo se nessun diritto è stato violato nell’acquisizione originaria della stessa ed in tutti i successivi trasferimenti della proprietà: si parla di principio di rettificazione[30]. In altre parole, per l’autore è ingiusto redistribuire la ricchezza al fine di ridurre la forbice sociale, la stessa deve essere posseduta ab origine dal soggetto che allo stato è il proprietario.

Tralasciando tutti i problemi applicativi della teoria di Nozick alle azioni positive nonché al superamento dell’esistenza delle sole pari opportunità sul piano formale, ciò che l’Autore consiglia è di «supporre che gli appartenenti al gruppo che nella società stanno peggio abbiano maggiori probabilità di essere i discendenti delle vittime delle passate ingiustizie, ragionamento da cui discenderebbe poi la seguente regola empirica: “organizza la società in modo da massimizzare la posizione di qualsiasi gruppo finisca con lo stare peggio nella società”»[31].

Per quanto concerne il pensiero di Rawls, per il quale si rimanda ai precedenti paragrafi, occorre specificare che l’Autore non si sia mai soffermato realmente sulle cd. azioni positive, tuttavia, volendo operare una interpretazione sistematica del suo pensiero, queste possono essere ricondotte sotto il principio di differenza. Il problema fondamentale è da ricercarsi nel fatto che nella libertà naturale le quote distributive sono soggette a fattori del tutto arbitrari, per tali ragioni Rawls parla di “uguaglianza liberale”, dove alle carriere legate ai talenti si aggiunge l’uguaglianza di opportunità. In altri termini, secondo Rawls, la società deve garantire eguali prospettive di cultura e di successo per coloro che sono dotati allo stesso modo, così mitigando l’effetto rovinoso delle contingenze sociali di famiglia e classe sulla distribuzione di cariche e posizioni e ciò può avvenire, ad esempio, e tornando al punto iniziale del presente paragrafo, garentendo pari opportunità di istruzione.

Dall'analisi condotta, sembra possibile includere le azioni positive nelle teorie del liberalismo dei due Autori, sebbene con alcune importanti precisazioni. Per quanto riguarda Nozick, vi è una chiara distinzione tra l'obiettivo del principio di rettificazione e quello redistributivo delle azioni positive: il primo è sinallagmatico (anche se in modo particolare), mentre il secondo è allocativo. Inoltre, la teoria di Nozick è centrata sull'individuo e difficilmente si adatta a considerare i gruppi sociali. La prospettiva di Rawls è sicuramente più promettente, ma non riesce comunque a comprendere tutte le tipologie di azioni positive all'interno della sua ampia teoria. La teoria ideale di Rawls ammette solo l'uso della prima tipologia di azioni positive, quella non ideale ammette la prima e la seconda, mentre la terza tipologia resta esclusa, in quanto in contrasto con uno dei principi fondamentali e inderogabili della giustizia come equità[32].

Tutte le teorie della giustizia, pertanto, sembrano sposare tutte il principio definibile dell’uguaglianza fondamentale, per il quale le persone hanno uguale valore e come tali devono essere trattate. Tale principio appare emergere perfino nel liberalismo di Nozick, per il quale esso comporta il rispetto dei diritti di proprietà che gli individui hanno su essi e sui frutti del loro lavoro e, pertanto, eventuale redistribuzione costituisce una violazione della proprietà e dell’uguale libertà.

4. Il problema di una giustizia globale

Un ulteriore problema è rappresentato dall’inesistenza e dal concetto di “giustizia globale”.

Le considerazioni sulla giustizia globale si inseriscono nel quadro della teoria politica normativa, un campo più vasto rispetto a quello delle problematiche del diritto internazionale e del design delle istituzioni globali.

Negli ultimi trent'anni, le teorie della giustizia hanno esplorato varie risposte a dilemmi specifici all'interno delle entità politiche nazionali, definite da confini statali. Questo contesto nazionale, che Juergen Habermas definisce “costellazione nazionale”, fornisce il terreno su cui sono state testate le diverse risposte alla legittimità politica attraverso principi alternativi di giustizia.

Le teorie della giustizia globale, invece, si sviluppano sullo sfondo di una “costellazione postnazionale”. Prendendo sul serio l'affermazione che non viviamo in un mondo giusto, emerge la sfida di estendere i principi di giustizia dalle unità politiche nazionali al contesto globale.

Thomas Nagel ha sottolineato la difficoltà di definire chiaramente cosa significhi giustizia su scala globale. L'idea di giustizia può essere intesa, secondo Aristotele, in diversi modi, come giustizia distributiva, di scambio e retributiva,

Gli sviluppi del diritto internazionale, dai crimini contro l'umanità alle carte dei diritti umani, offrono frammenti per una teoria della giustizia globale. Tuttavia, la sfida principale rimane: come possiamo formulare una concezione coerente della giustizia globale? Questo ci porta al problema dell'estensione dei principi di giustizia dalla sfera nazionale a quella internazionale.

Due famiglie di obiezioni devono essere affrontate: il realismo politico e il contestualismo. Il realismo politico, da Tucidide a Hobbes, vede l’arena internazionale come intrinsecamente anarchica, escludendo la possibilità di estendere i principi di giustizia oltre i confini nazionali. Hobbes sostiene che la giustizia presuppone istituzioni sovrane, valide solo nel contesto domestico. In assenza di tali istituzioni a livello globale, la giustizia non può essere applicata universalmente.

Il contestualismo, invece, afferma che la validità dei principi di giustizia è vincolata ai contesti culturali e sociali specifici. Questo approccio nega l'universalismo e sostiene che i principi di giustizia non possono essere applicati indipendentemente dai valori particolari di una comunità.

Per superare queste obiezioni,  è possibile utilizzare due differenti concetti: lo sviluppo come libertà delle persone e la giustizia procedurale di base. La prima, ispirata alle tesi di Amartya Sen, collega la qualità della vita delle persone alla loro capacità di scelta. La seconda riduce l'uso di valori sostanziali, basandosi sull'assioma di non esclusione di nessuno dal processo di deliberazione, arbitrato e negoziazione.

Se accettiamo questi concetti, il problema dell'estensione dei principi di giustizia diventa risolvibile, anche se difficile. Il paradigma kantiano di una pace perpetua offre una prospettiva utile. Kant credeva che fosse possibile superare l'impasse dell'estensione, articolando i requisiti necessari per avvicinarsi alla pace attraverso il diritto pubblico interno, il federalismo internazionale e il diritto cosmopolitico. Rawls e Habermas hanno sviluppato ulteriormente queste idee, cercando di modellare termini equi di cooperazione tra società e ridisegnare le istituzioni internazionali.

La tensione tra le concezioni hobbesiana e kantiana della giustizia globale è essenziale per esplorare le possibilità di estensione dei principi di giustizia. Le istituzioni internazionali devono essere esaminate per la loro legittimità e per la possibilità di migliorare il futuro. Solo sotto la condizione di esistenza delle istituzioni si apre il campo della loro contestabilità e della richiesta di giustificazione da parte di coloro che ne sono influenzati. La sfida è quindi quella di rendere il futuro meno ingiusto del presente, esplorando possibilità realistiche di miglioramento delle istituzioni globali.

In conclusione, la giustizia globale è un concetto cruciale per affrontare le disuguaglianze e le interconnessioni che caratterizzano il mondo contemporaneo. Richiede un approccio olistico che integri dimensioni economiche, sociali, politiche e ambientali, riconoscendo la necessità di una cooperazione internazionale basata sulla solidarietà. Essa si fonda sul rispetto dei diritti umani universali e promuove l'equità economica attraverso meccanismi di redistribuzione. Inoltre, la giustizia globale implica una governance inclusiva e democratica, assicurando che tutte le voci siano rappresentate nei processi decisionali. Infine, abbraccia la sostenibilità, garantendo che le azioni presenti non compromettano il benessere delle future generazioni. In sintesi, la giustizia globale è essenziale per costruire un mondo più equo e sostenibile per tutti.

5. La giustizia e le nuove frontiere dell’uguaglianza: alcune conclusioni

Alla luce di quanto dedotto fino a questo momento è evidente come in una società che voglia definirsi giusta ed eguale emerge un problema di fondo: in tutti i casi di distribuzione avviene a prescindere dalla volontà dell’individuo. Invero, nessun soggetto sceglie dove nasce, in quale famiglia, con quale status, con quale razza, cittadinanza, talento etc. . Il problema di fondo, dunque, non è se tale involontarietà e la condizione dell’uno sia “giusta” quanto, piuttosto, cosa fa la società per abbattere le diseguaglianze tra i soggetti e chi debba essere “avvantaggiato” dalla redistribuzione.

Le nuove frontiere dell'uguaglianza rappresentano una sfida cruciale per la giustizia nel mondo contemporaneo. Mentre la società evolve, emergono nuove forme di disuguaglianza che richiedono risposte innovative e adattabili. La giustizia, intesa come equità, deve affrontare non solo le disuguaglianze economiche e sociali tradizionali, ma anche quelle legate a genere, etnia, orientamento sessuale, abilità e accesso alle tecnologie.

Le teorie classiche della giustizia, pur offrendo un'importante base concettuale, devono essere reinterpretate e adattate per rispondere alle esigenze di un mondo in rapida trasformazione. L'approccio di Rawls, con il suo principio di differenza, e la teoria di Nozick, centrata sui diritti individuali, offrono prospettive complementari ma devono essere ampliati per affrontare le sfide odierne.

In questo contesto, le azioni positive e le politiche di inclusione diventano strumenti essenziali per promuovere un'uguaglianza sostanziale. Tuttavia, queste misure devono essere attentamente bilanciate per evitare di compromettere i principi di equità e meritocrazia. La giustizia deve riuscire a trovare un equilibrio tra il riconoscimento delle differenze individuali e la promozione di opportunità uguali per tutti.

Un altro aspetto cruciale è il ruolo delle istituzioni e della società civile nel promuovere l'uguaglianza. Le politiche pubbliche devono essere orientate a eliminare le barriere strutturali che impediscono a individui e gruppi di raggiungere il loro pieno potenziale. Inoltre, è fondamentale promuovere una cultura della solidarietà e del rispetto reciproco, in cui la diversità sia vista come una risorsa piuttosto che come una fonte di divisione.

In conclusione, le nuove frontiere dell'uguaglianza richiedono un impegno continuo e una riflessione critica sulle nostre concezioni di giustizia. Solo attraverso un approccio dinamico e inclusivo sarà possibile costruire una società più giusta, in cui tutti gli individui possano godere di pari opportunità e diritti. La strada verso l'uguaglianza è lunga e complessa, ma è un obiettivo fondamentale per il progresso umano e la coesione sociale. E, affinché ciò sia possibile, occorre porre in essere, a titolo meramente esemplificativo, una riforma delle politiche pubbliche che preveda una educazione ed un accesso alla salute inclusiva; sostegno economico e lavorativo alle famiglie con politiche di redistribuzione e vere pari opportunità lavorative; un coinvolgimento attivo delle comunità per favorire la partecipazione attiva dei cittadini e la promozione delle rappresentanze politiche delle minoranze e dei gruppi svantaggiati.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Si fa riferimento ad esempio al pensiero di Erodoto, Platone e Aristotele. Specificamente, la questione dell’uguaglianza si pone in termini politici già nel lógos tripolitikós, allorquando, nel Terzo Libro delle Storie, Erodoto erge Otane a paladino dell’eguaglianza nella polemica con Dario e Megàbizo sulla migliore forma di governo. Per Otane è proprio l’eguaglianza (nella specifica veste dell’isonomia) il valore sostanziale fondamentale e la democrazia si presenta come la sua forma politica2 . Infatti, “il governo popolare [...] anzi tutto ha il nome più bello di tutti, l’uguaglianza dinanzi alla legge [l’isonomia, appunto], in secondo luogo niente fa di quanto fa il monarca, perché a sorte esercita le magistrature ed ha un potere soggetto a controllo e presenta tutti i decreti all’assemblea generale”. È per questo ch’egli conclude proponendo di “abbandonare la monarchia e di elevare il popolo al potere, perché nella massa sta ogni potenza”, in ERODOTO, Storie, III, trad. di A. IZZO D’ACCINI, Firenze, 1990.

[2] PLATONE, Le leggi, VI, 757 b), 757 c), trad. di F. FERRARI, S. POLI, Milano, RCS, 2005.

[3] ARISTOTELE, Etica Nicomachea, V, 4, 1131b.

[4] L’eguaglianza è di fatto una conquista recente che emerge con chiarezza solo nella riflessione illuministica e si afferma con la Rivoluzione del 1789. Il frutto maturo di questa stagione, sempre nell’ottica della storia giuridica, è il processo di codificazione, avviatosi in Francia con il celebre Code Napoleon del 1804 (C.F. TRISTAN DE MONTHOLON, Récits de la captivité de l’Empereur Napoléon à Sainte-Hélène, 401) e presto diffusosi in tutta l’Europa continentale; M. FERRANTE, Un secolo sì legislativo. La genesi del modello otto-novecentesco di codificazione e la cultura giuridica, Torino, 2015.

[5] In questo contributo non ci soffermeremo sulle differenze sul piano giuridico intercorrenti tra la legge statale e quella sovrannazionale, essendo l’argomento meramente di inquadramento della fattispecie in esame. In tal senso si rimanda a R. DEL LUCA TAMAJO, I diritti sociali fondamentali nell’ordinamento comunitario e nella Costituzione italiana, in Biblioteca “20 maggio”, 2008, fasc. 2, 3.

[6] Questo aspetto dell’uguaglianza opera una trasposizione giuridica di una concezione in base alla quale è necessario eguagliare le persone non soltanto sul piano del trattamento giuridico ma anche sul piano dei fatti, nel godimento dei beni della vita; F. GHERA, Il principio di eguaglianza nella Costituzione italiana e nel diritto comunitario, Padova, 2003,  20.

[7] M. LUCIANI, I principi di eguaglianza e di non discriminazione, una prospettiva di diritto comparato, in EPRS/ Servizio Ricerca del Parlamento europeo, ottobre 2020, p. VIII.

[8] Rubricato “Uguaglianza davanti alla legge”, per il quale «Tutte le persone sono uguali davanti alla legge».

[9] Rubricato “Non discriminazione”, che recita «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi».

[10] M. MILITELLO, Principio di uguaglianza e di non discriminazione tra Costituzione italiana e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (artt. 3 Cost.; art. 20 e art. 21 Carta di Nizza), in Biblioteca “20 maggio”, fasc. 1, 143, 2010.

[11] C. DEL BO’, La giustizia. Un’introduzione filosofica. Carrocci editore. Studi superiori, 2022.

[12] D. COLONNA, Eguaglianza e giustizia: linearità ed incongruenze nella storia giuridica occidentale, in Uguaglianza e giustizia, a cura di P. IVALDI, L. SCHIANO  DI PEPE, Genova University Press, 241, 2023.

[13] BENEDETTO XVI, Discorso al Parlamento federale tedesco Reichstag di Berlino, 22 settembre 2011 in M. CARTABIA, A. SIMONCINI (a cura di), La legge di re Salomone. Ragione e diritto nei discorsi di Benedetto XVI, Milano, 2013, 244-251.

[14] Il riferimento è all’ancien régim, R.R. DOUCET, Les institutions de la France au XVI siècle, Paris, 1948.

[15] F. D’AGOSTINO, Epieikeia: il tema dell’equità nell’antichità greca, Giuffrè, Milano, 1973.

[16] J. TASIOULAS, The paradox of Equity, in Cambridge Law Journal, LV, 1996, 456-459. Sul punto, Tommaso D’Aquino nella sua opera Commento all’Etica Nicomachea, afferma che essa fa appello al giusto naturale, cioè ad un diritto che è preesistente a quello stabilito dal legislatore, un diritto che ha una funzione direttiva del giusto legale.

[17] F. VIOLA, Equità e giustizia, in M. FERRARI, Il problema della giustizia, 2017, Mimes Edizioni, 79 ss. .

[18] Appare, inoltre, opportuno specificare che Rawls ha distinto il concetto di ragionevolezza dal concetto di razionalità. Infatti, l’uomo razionale è interessato solo al proprio bene ed al proprio interesse, tendendo a massimizzare il proprio utile.

[19] L. AVITABILE, L’equità, simbolo del diritto, in Dalla giustizia all’equità, 2022, 7.

[20] D. MILLER, Principles of Social Justice, Harvard University Press, Cambridge, (Mass.)- London, 2003 (ed. originale 1999), 1.

[21] Per la critica all’utilitarismo si vd. D. MEURET, Rawls, l’educazione e l’uguaglianza delle opportunità. Scuola democratica, 2000, 23 (3), 31-34.

[22] D. MEURET, Rawls, l’educazione e l’uguaglianza delle opportunità. Scuola democratica, 2000, 23 (3), 31-34.

[23] Che si distingue dallo stato di natura teorizzato dal contrattualismo moderno.

[24] Per quanto si dirà sul pensiero kantiano si vd. I. KANT, Sul detto comune, 1793.

[25] J. RAWLS, Una teoria della giustizia, 1971 nella versione pubblicata nel 2017 da Mondadori.

[26] Si vd. sul punto S. VECA, Kant e il paradigma della teoria della giustizia, in Bollettino telematico di filosofia politica, 2001.

[27] M. BARBERA, L’eguaglianza come scuso e l’eguaglianza come spada, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 4, 805-820, 2002.

[28] Per approfondimenti sul tema si vd. F. BORGORELLI, Tipologia delle azioni positive, in L. GAETA, L. ZOPPOLI,  Il diritto diseguale, Torino, Giappichelli, 80-98, 1982. 

[29] C. BAGNOLI, Nozick on the source of morale constraints, in Notizie di politeia, 30, 3, 49-54, 2014.

[30] G. FILDANI, Il rinnovato protagonismo del diritto di proprietà in Nozick, in Critica marxista, 33, 97-139, 2003.

[31] Per approfondimenti sul tema si vd. G. VIGGIANI, Le azioni positive alla prova delle teorie della giustizia. Dal liberalismo di Nozick al liberalismo di Rawls, in Ragion Pratica, Il Mulino, fasc. 2, 595-597, dicembre 2019.

[32] G. VIGGIANI, op. cit., 606.