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Pubbl. Ven, 21 Giu 2024
Sottoposto a PEER REVIEW

Diritto e Letteratura: funzioni e limiti di un recente binomio

Mattia Volpi
Dottore di ricercaUniversità degli Studi di Genova



Questo lavoro intende collocarsi all’interno del filone di studi su diritto e letteratura. Nella prima parte vengono ricostruiti la genesi e lo sviluppo di tale disciplina, con particolare riferimento al mondo anglosassone. Nella seconda parte viene svolto un affondo filosofico sugli statuti epistemologici e sugli obiettivi teorico-pratici del diritto e della letteratura. Dopo aver fornito una lettura del diritto come fatto di cultura (come tale richiedente categorie interpretative umanistiche), vengono esplicitate anche le differenze strutturali tra i due campi, per evitare di abbracciare acriticamente quelle tesi che considerano il momento giuridico come un mero genere letterario (“Law as Literature”).


Sommario: 1. Premessa: un antico pregiudizio; 2. Una disciplina americana: dal realismo giuridico al Law and Umanities Movement; 2.1. Alle origini: Wigmore e le immagini del diritto nella letteratura; 2.2. Cardozo e la stilistica giuridica: il diritto come letteratura; 2.3. Il contributo del decostruzionismo e dell’ermeneutica alla consacrazione del Law and Literature Movement; 3. Origine e peculiarità della disciplina in Italia; 4. La letteratura come mezzo di umanizzazione del diritto; 5. In conclusione. Un memento dei limiti e delle differenze tra diritto e letteratura contro la tesi dell’identificazione.

Sommario: 1. Premessa: un antico pregiudizio; 2. Una disciplina americana: dal realismo giuridico al Law and Umanities Movement; 2.1. Alle origini: Wigmore e le immagini del diritto nella letteratura; 2.2. Cardozo e la stilistica giuridica: il diritto come letteratura; 2.3. Il contributo del decostruzionismo e dell’ermeneutica alla consacrazione del Law and Literature Movement; 3. Origine e peculiarità della disciplina in Italia; 4. La letteratura come mezzo di umanizzazione del diritto; 5. In conclusione. Un memento dei limiti e delle differenze tra diritto e letteratura contro la tesi dell’identificazione.

1. Premessa: un antico pregiudizio  

Sulle prime, un dialogo tra il diritto e la letteratura potrebbe sembrare, soprattutto ai non addetti ai lavori, una forzatura: le due sfere, infatti, sarebbero talmente distanti da non rendere interessante alcun confronto. In fondo, il diritto, da qualunque prospettiva lo si guardi, rimane una disciplina di natura prevalentemente tecnica, mentre la letteratura è certamente e prima di tutto un’arte. Non è un caso che, già nell’antica Grecia, letterati e filosofi nutrissero un pregiudizio negativo nei confronti del diritto e dei suoi operatori: per Platone, per esempio, i giuristi farebbero un uso strategico della parola, a differenza dei filosofi, che se ne servirebbero per comunicare la verità delle cose, e dei letterati, che susciterebbero sentimenti profondi; inoltre, produrre e applicare il diritto sarebbe un’attività di tipo meccanico (e non intellettuale), dato che al pari degli altri lavoratori anche i giuristi dovrebbero vendere le proprie opere[1].         


Il sospetto (quando non l’idiosincrasia) dei letterati e dei filosofi nei confronti del mondo giuridico attraversa i secoli e si rinforza con l’affermazione di correnti culturali intrinsecamente ostili al diritto e al ruolo dei giuristi: il caso principale è chiaramente il cristianesimo, con il divieto di giudicare il prossimo e con l’etica del perdono[2], ma vanno ricordati anche il contributo dell’Umanesimo nella costruzione di un’immagine superflua del diritto e la battaglia dell’Illuminismo contro l’irrazionalità del sistema giuridico previgente[3]. Ne è risultato un pregiudizio da parte dell’alta cultura lungo più di due millenni, che si è tradotto in una sterminata produzione letteraria di taglio critico (o più spesso satirico) nei confronti del mondo del diritto. Gli esempi da addurre sono davvero tanti: da Tertulliano a Manzoni, passando per Shakespeare, Goethe, Swift, Montaigne, Voltaire e molti altri.  Ricostruire queste immagini, per quanto suggestivo, esulerebbe dagli obiettivi di questa ricerca, e del resto esistono già lavori ben condotti che approfondiscono alcune rappresentazioni negative del diritto provenienti dal fronte letterario[4].    

 
Non si può tuttavia fare a meno di notare che, quand’anche ci si limitasse a tale prospettiva di analisi, si compirebbe già un’operazione di dialogo tra il diritto e la letteratura. Come a dire che anche la più semplice ricostruzione compilativa del dileggio dei letterati nei confronti del mondo giuridico presuppone, in qualche misura, la possibilità di instaurare un confronto, una connessione tra i due ambiti. Prima di problematizzare tale constatazione, è opportuno ripercorrere per sommi capi alcune delle fasi che hanno contrassegnato lo sviluppo di questo filone investigativo, che negli ultimi decenni ha assunto la portata di un vero e proprio movimento culturale.  

2. Una disciplina americana: dal realismo giuridico al Law and Umanities Movement

2.1. Alle origini: Wigmore e le immagini del diritto nella letteratura     
      

L’analisi dei rapporti tra diritto e letteratura nasce “ufficialmente” all’inizio del Novecento all’interno delle Law Schools statunitensi, storicamente più aperte (rispetto alle facoltà di Giurisprudenza europee) alle contaminazioni letterarie, politiche e sociologiche[5]. Sono gli anni in cui si sviluppa una nuova sensibilità di tipo anti-formalistico e anti-tecnicistico, che investe molti ambiti del sapere creando correnti nuove: per esempio, in filosofia si sviluppa il pragmatismo; la sociologia fonda la Scuola di Chicago; la psicologia si declina nel comportamentismo; in campo pedagogico si diffondono le scuole attive a partire dagli insegnamenti di John Dewey[6], e sul piano gius-filosofico si delinea il movimento del realismo giuridico[7].    
Quest’ultimo, in particolare, è un fattore non secondario nella genesi degli studi di diritto e letteratura, perché contribuisce a decostruire quella concezione della «giurisprudenza meccanica»[8] che si stava consolidando anche in America a partire dalle teorie formalistiche di Cristopher Langdell. Contrastando la teoria pura del diritto come sistema di regole astratte da applicare con rigore deduttivo (la cosiddetta “Law in books”), Oliver Holmes e Roscoe Pound propongono un modello di «giurisprudenza sociologica»[9], più adesiva alle dinamiche concrete, ai valori reali e alle finalità pragmatiche del diritto (dunque la “Law in action”). Per questo nuovo orientamento, il diritto sarebbe pertanto un fatto di cultura strutturalmente imprevedibile e in costante connessione con le altre produzioni culturali, in quanto dipendente in ultima istanza dalle decisioni dei singoli operatori giuridici.

Se il vero diritto – per dirla con Karl Llewellyn – è solo quello che esce dalle aule dei tribunali[10], allora viene da sé che anche la didattica del diritto non possa essere limitata allo studio dei testi, ma richieda una maggiore contaminazione culturale, psicologica e sociale. Si tratta, in altre parole, di avviare un programma di ri-umanizzazione e di ri-socializzazione del diritto: un’esigenza che per il realismo sarebbe divenuta ineludibile nell’era della tecnicizzazione e della burocratizzazione.   


In questo contesto, ha assunto fin da subito grande importanza la pubblicazione nel 1908 del saggio antologico di John Wigmore A List of Legal Novels[11], vero e proprio atto di nascita degli studi accademici sui rapporti tra diritto e letteratura (“Law and Literature Studies”). Influenzato dalla visione anti-formalistica del realismo giuridico americano, Wigmore intuisce che la letteratura “giuridica”, al pari e forse più dei trattati di diritto, informa e orienta la coscienza morale dei cittadini, presentando in forma narrativa delle opzioni valoriali di tipo normativo. In particolare, l’autore distingue quattro differenti modi di utilizzo dei temi giuridici all’interno dei racconti letterari: 1) opere che descrivono dettagliatamente lo svolgimento di un processo; 2) opere che raccontano la vita professionale e la scansione delle giornate di un uomo di legge; 3) opere che descrivono le procedure di funzionamento delle leggi in ambiti specifici (indagini, carcere, etc.); 4) opere che assegnano uno spazio centrale alle riflessioni di un personaggio sulla legge, sui diritti o sulla giustizia[12]. A questa quadripartizione, nel rispetto delle finalità cataloganti di Wigmore, potrebbe essere aggiunto un quinto gruppo di opere letterarie: quelle di cui si è fatto cenno in apertura, ovvero le trattazioni comico-satiriche dei temi giuridici.


Wigmore prende in esame quasi esclusivamente racconti americani, molti dei quali di fatto sconosciuti nel vecchio continente. E tuttavia, per aiutare a comprendere la portata applicativa della sua classificazione e adattarla ad alcuni classici della letteratura europea, si possono senza dubbio includere sub 1) opere come Il mercante di Venezia e I fratelli Karamazov (dato lo spazio narrativo che entrambe dedicano alla descrizione di un processo[13]), sub 2) L’interdizione di Balzac (per l’avvocato Popinot), Il nostro comune amico di Dickens (si ricorderà Eugene Wrayburn, l’avvocato senza clienti) e Bartleby lo scrivano di Melville[14], sub 3) I miserabili di Hugo, e sub 4) Il processo di Kafka e L’ultimo giorno di un condannato a morte di Hugo[15]. Infine, nella quinta categoria (quella di taglio comico o critico), un posto di primo piano può attribuirsi a I promessi sposi[16] di Manzoni (non soltanto per la figura dell’Azzeccagarbugli).          


Sebbene l’elenco di Wigmore sia stato ampliato e aggiornato a più riprese (si ricorda in particolare il lavoro del 1977 di Richard Weisberg e Karen Kretschman, Wigmore’s “Legal Novels” Expanded: a Collaborative Effort[17]), la sua proposta metodologica rappresenta, ancora oggi, una delle due modalità principali con cui vengono condotti gli studi di diritto e letteratura. È il filone chiamato “Law in Literature”, che si declina nell’analisi di quelle opere letterarie che ritraggono, in una qualche forma, appunto, temi giuridici.

2.2. Cardozo e la stilistica giuridica: il diritto come letteratura    

Vi è tuttavia una seconda modalità di affrontare la questione. Anch’essa nasce con il lavoro di Wigmore e, più precisamente, a partire dai suoi limiti e dalle questioni che l’opera del 1908 lasciava irrisolte: prima tra tutte la difficoltà di tracciare un confine netto tra “opere letterarie” e “opere giuridiche”. Che posto si può riservare, per esempio, alle orazioni di Cicerone, oppure all’Apologia di Socrate o al saggio letterario di Bacone sul tema giuridico dell’usura[18]? Wigmore non forniva un criterio per risolvere la questione.   


È stato Benjamin Cardozo, il noto giudice rooseveltiano della Corte Suprema dal 1932 al 1938, il primo a tentare di risolvere il problema dell’asserita separazione tra il mondo del diritto e quello della letteratura, in un’opera intitolata significativamente Law and Literature[19] (1925). Cardozo prende le mosse dalla ricercatezza stilistica delle sentenze delle Corti superiori americane e nota come la peculiare coesistenza tra esigenze formali e sostanziali che si realizza nei pronunciamenti dei giudici dia origine a modalità di scrittura del tutto paragonabili alle opere letterarie. I giudici sarebbero quindi dei veri e propri scrittori, capaci di utilizzare lo strumento del linguaggio per veicolare in forma narrativa le proprie visioni dei fatti del mondo. Il ruolo del giudice non presenta dunque uno statuto tecnico, bensì artistico, nella misura in cui la sentenza costituisce uno dei tanti generi in cui si declina la letteratura (al pari del romanzo storico, della poesia, dell’autobiografia e così via). Diritto e letteratura sono così imprese intellettuali affini, che esibiscono consonanze non trascurabili: innanzitutto la centralità del linguaggio, quale fattore costitutivo. Entrambe riflettono poi l’espressione in forma narrativa dei valori culturali esistenti nella società[20].      


Cardozo, dunque, proponeva di risolvere il problema del confine tra le due sfere in modo radicale, di fatto squalificando la stessa sensatezza dell’interrogativo su cui si era arrestato Wigmore. A partire dalla sua opera si delinea così il secondo filone di studi sui rapporti tra diritto e letteratura, quello che viene chiamato “Law as Literature”, dove la congiunzione intende esprimere la piena identità tra i due ambiti. Dopo Cardozo, e sempre all’interno del realismo giuridico, vale la pena ricordare almeno il contributo di Jerome Frank, che nel 1947 paragona il diritto alla musica in un saggio intitolato Words and Music[21]. Secondo Frank, il diritto sarebbe come uno spartito musicale per due ordini di motivi: innanzitutto perché ogni produzione giuridica sarebbe un fatto culturale e come tale artistico, soggettivo; in secondo luogo perché, come la musica esiste soltanto quando viene riprodotta da qualcuno, allo stesso modo il diritto non vive astrattamente (“law in books”), ma viene a esistenza solo se qualcuno ne dà interpretazione e applicazione concreta[22] (“law in action”).   


La rilevanza pratica e teorica dei due indirizzi di studi viene suggellata da Ephrain London nella monumentale opera del 1960 The World of Law[23], divisa programmaticamente in due volumi: il primo, intitolato Law in Literature, è dedicato a una ricognizione dei principali istituti e temi giuridici così come raccontati dalla letteratura universale (dalla Bibbia a Herman Wouk); il secondo, Law as Literature, è incentrato sull’analisi e sulla meta-analisi di noti casi giudiziari (anche qui: dalla Apologia di Socrate al Processo di Norimberga, passando per la condanna di Giovanna d’Arco), intesi come racconti normativo-narrativi, dunque come generi letterari tout court.  

2.3. Il contributo del decostruzionismo e dell’ermeneutica alla consacrazione del Law and Literature Movement   

La considerazione del diritto come un fatto letterario, soggettivo e perfino artistico, si interseca con le teorie post-moderne dell’interpretazione[24] (in particolare con il decostruzionismo di Stanley Fish e Jacques Derrida, e con l’ermeneutica di Hans-Georg Gadamer), e da esse emerge teoreticamente rinforzata. In particolare, l’opera di Fish, Literature in the Reader[25] (1970), suggella questa nuova consapevolezza: se non esistono fatti oggettivi né interpretazioni corrette a priori, allora si ha un legame puramente contingente tra la legge scritta e il diritto applicato; quest’ultimo sarà il risultato di un’operazione interpretativa di tipo politico, perché condizionata dalle opzioni ideologiche individuali. Viene così decostruita l’immagine di un diritto impersonale da applicare in modo avalutativo, in favore di una concezione del diritto come attività performativa, che combina elementi descrittivi del reale a giudizi valutativi e a narrazioni di potere. Venendo meno il pregiudizio ricognitivo del formalismo giuridico (un’unica interpretazione corretta da attuare con gli strumenti della pura ragione), da un lato viene colmato lo iato tra diritto e realtà, e dall’altro lato viene imposto all’interprete (tanto al giudice quanto al comune cittadino) l’onere di giustificare la propria costruzione di senso[26].

          
La conseguenza più rilevante di tale approccio è la considerazione del diritto come un fatto di cultura, che, alla stregua della letteratura e delle altre produzioni culturali, richiede una formazione e una metodologia di tipo umanistico. Con il lessico di Clifford Geertz (che contestualmente a Fish pubblica il noto trattato antropologico Interpretazione di culture[27]), si può sostenere che la cultura del diritto risiede nella considerazione dei testi giuridici come “documenti agiti”, cioè come entità espressive di un contesto.  
È evidente che questa consapevolezza tende a modificare (come di fatto si è verificato) la stessa impostazione dell’insegnamento universitario, determinandone una riorganizzazione incentrata sull’indagine interdisciplinare e sulla problematizzazione del sapere giuridico attraverso strumenti di altri campi: letterario, politico, storico, filosofico. Queste stesse istanze, con modalità differenti, vengono portate avanti dalle ribellioni giovanili del Sessantotto e dai Critical Legal Studies, entrambi a vario titolo derivanti dal decostruzionismo francese della scuola di Michel Foucault[28]


L’incontro di tali idee determina, soprattutto negli Stati Uniti, una accelerazione degli studi di Law and Literature, che, a partire dalla metà degli anni Settanta, entrano ufficialmente all’interno dei programmi didattici universitari. Il nome più importante di questa nuova stagione del Movimento (che Allen Smith, nel 1977, definirà come The Coming Renaissance of Law and Literature[29]) è quello di James Boyd White, autore nel 1973 di The Legal Imagination. Studies on the Nature of the Legal Thought and Expression e detentore, l’anno successivo, della prima cattedra di Law and Literature presso l’università di Chicago[30]. White intende sintetizzare realismo giuridico e decostruzionismo, e, riallacciandosi a Cardozo, Frank e London, sostiene l’impossibilità di distinguere il diritto dall’arte e dalla letteratura, in quanto prodotti culturali fondati sul linguaggio. La natura intimamente umanistica e creatrice del diritto si rifletterebbe nella constatazione che le produzioni giuridiche non sarebbero fatti razionali, bensì prima di tutto emotivi, sentimentali, politici, bias (utilizzando un termine di conio successivo). Gli stessi concetti su cui si struttura il diritto (come quelli di “colpa”, di “giustizia”, di “punizione” e così via) sarebbero intrinsecamente letterari[31], quindi soggettivi e dinamici. Dunque il diritto non esprimerebbe un sistema di valori e di norme astratte, ma un universo di pensieri, di punti di vista, di creazioni sempre in divenire, orientate a costruire una «tessitura di senso»[32] condivisibile del mondo. All’analisi letteraria del diritto White dedica altre due opere, che, insieme a quella del 1973, formano una trilogia organica: When Words Lose their Meaning, del 1984, e Hercules’ Bow. Essays on Rhetoric and Poetics of the Law, 1985.  


Oltre a White, altri autori che da prospettive differenti contribuiscono alla costruzione del Movimento Law and Literature (modificandone progressivamente la dicitura nella più estesa Law and Humanities) sono: Richard Weisberg (che, oltre al già ricordato Wigmore’s “Legal Novels” Revisited, pubblica When Lawyers Write e Poethics and Other Strategies of Law and Literature[33]), Robin West (autore di saggi molto critici che pongono in questione lo statuto scientifico della disciplina del Movimento, come per esempio Adjudication is not Interpretation. Some Reservations about the Law-as-Literature Movement[34]), Ronald Dworkin (che, in A Matter of Principle, conduce un parallelismo tra critica letteraria e interpretazione giuridica, quali modalità di selezione del significato di “maggior valore” di un qualunque testo[35]) e, soprattutto, Richard Posner. Quest’ultimo nel 1988 scrive una voluminosa opera di sintesi, Law and Literature. A Misunderstood Relation[36], che integra la nota bipartizione tra “Law in Literature” e “Law as Literature” con una terza direzione d’analisi, “Law of Literature” (ovvero la letteratura come tradizionale oggetto di regolamentazione da parte del diritto).   


Per il tramite di Posner, inoltre, si avvicina al Movimento anche Martha Nussbaum, già nota filosofa neo-aristotelica e studiosa, tra le altre cose, di etica antica[37]. All’autrice si deve in particolare la decostruzione della divisione tra sfera del razionale (a cui, secondo la tradizione, sarebbero riconducibili i fenomeni giuridici) e sfera del sentimento (propria del mondo delle lettere). Al contrario, dietro a ogni tentativo di costruzione di senso (quali i testi giuridici, quelli letterari e le opere artistiche sono) sarebbe centrale il ruolo delle emozioni, dunque il fondamento “sentimentale” dei comportamenti umani[38]. La priorità dei fenomeni emotivi rappresenta pertanto un fattore di incompatibilità con qualsiasi concezione meramente tecnico-riproduttiva del diritto. A questi temi Martha Nussbaum dedica l’opera del 1995 Poetic Justice: the Literary Imagination and Public Life. Ma sull’umanesimo letterario, come condizione necessaria per salvare le società contemporanee dal dominio delle tecniche, l’autrice tornerà venticinque anni più tardi, con la nota opera del 2010 Not for Profit: Why Democracy Needs Humanities[39].         

3. Origine e peculiarità della disciplina in Italia    

Se queste, a grandi linee, sono le tappe principali dell’evoluzione del Law and Literature/Humanities Movement nella propria area di nascita (gli Stati Uniti), una breve riflessione merita il caso italiano[40]. In Italia, tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, si assiste alla diffusione di una certa sensibilità filosofica intorno ai rapporti tra il diritto e la letteratura. Nel 1923 Roberto Vacca, nell’opera Il diritto sperimentale, invitava i giuristi allo studio delle lettere, in quanto mezzo necessario per perfezionare la propria personalità e per comprendere la società e i comportamenti umani[41].

L’anno successivo Piero Calamandrei sosteneva ne Le lettere e il processo civile la necessità di educare i giovani studenti di legge anche alla conoscenza letteraria, per «tenere insieme moralità e istituzioni»[42] e per non considerare il diritto soltanto come una creazione artificiale separata dall’animo umano. Ancora, nel 1936 Antonio D’Amato scriveva La letteratura e la vita del diritto[43], una raccolta di saggi in cui l’autore, da posizioni idealiste crociane, considerava diritto e letteratura due sfere omogenee, in quanto modalità di espressione della vita dello spirito («Spirito»[44], per l’autore).     
Eccezion fatta per queste opere, l’ambito di ricerca è rimasto sostanzialmente inesplorato per mezzo secolo, fino a quando (complice l’importanza che oltreoceano andava assumendo) è tornato a suscitare l’interesse degli studiosi. Il dato interessante, tuttavia, è che, mentre in America gli studi di Law and Literature sono condotti in modo interdisciplinare e costituiscono una materia di insegnamento autonoma, in Italia hanno assunto un taglio completamente differente: si tratta infatti di insegnamenti stabilmente in mano a giuristi positivi (sebbene alcuni di indubbi valore e cultura[45]) e inseriti come esame (tendenzialmente) facoltativo all’interno dei corsi di Giurisprudenza[46].           


In Italia viene dunque privilegiata unicamente la prospettiva dal lato del diritto, che si riduce alla considerazione della letteratura come un fattore migliorativo della personalità degli aspiranti giuristi. Viene invece trascurata la dimensione autonoma degli studi, l’angolatura letteraria del problema e, soprattutto, lo statuto scientifico giocoforza interdisciplinare. Soltanto nel 2008 sono nate la Italian Society for Law and Literature e l’Associazione Italiana Diritto e Letteratura[47], le cui mission ambiscono invece a promuovere l’interdisciplinarietà del movimento italiano e ad avvicinarlo al modello anglosassone (in termini di diffusione, autonomia, prestigio, etc.).    

4. La letteratura come mezzo di umanizzazione del diritto

Ricostruiti questi elementi, è ora più semplice avanzare alcune considerazioni sul senso, ma anche sui limiti, di un dialogo tra il diritto e la letteratura. Senza dubbio, molte opere letterarie che si occupano, a qualche livello, di temi giuridici esibiscono una sensibilità superiore rispetto ai testi di diritto positivo. Shakespeare, Melville, Balzac, Hugo, Dostoevskij e molti altri grandi scrittori hanno il dono di cogliere ciò che non si vede: una capacità che, applicata ai fatti etico-giuridici, si traduce in un punto di vista più penetrante sulla società e sui suoi meccanismi regolativi[48]. In questo senso, la funzione giuridica della letteratura è del tutto paragonabile a quella della filosofia del diritto: una prospettiva di riflessione privilegiata e problematizzante, che consente di comprendere dinamiche invisibili al mero diritto positivo. Questo aspetto risulta particolarmente evidente nella letteratura antica[49]: lo studio dell’epica, delle tragedie e delle commedie greche, per esempio, consente di intendere le prime manifestazioni di questioni morali e giuridiche che, in un contesto di maggiore semplicità del diritto, possono considerarsi degli elementi fondativi (dunque dei primitivi) dell’antropologia sociale. Mi riferisco all’emersione del concetto di “colpa”, di “responsabilità”, di “vendetta”, di “giustizia”, etc.     


Dunque il primo e il più immediato vantaggio procurato dal dialogo tra il diritto e la letteratura è di tipo conoscitivo, nel duplice senso che 1) la letteratura rappresenta un surplus gnoseologico nell’interpretazione di alcuni fatti con cui si confronta anche il diritto e 2) che la sensibilità letteraria consente di risalire a meccanismi antropologici generali e ricorrenti alla base del fenomeno giuridico.  A questo aspetto si può però aggiungere altro: se la letteratura è un utile punto di vista esterno sul diritto, allora portando all’interno del diritto un po’ di letteratura è possibile migliorare la qualità della produzione giuridica e dei suoi operatori. Il punto di partenza di tale affermazione è chiaramente la convinzione à la Nussbaum che la cultura umanistica possa giovare anche alle discipline in senso lato tecniche. E dunque, la letteratura contribuirebbe a formare (o terrebbe vive) la sensibilità, la spiritualità, l’immaginazione, la coscienza etica, insomma l’umanità dei giuristi, contrapponendosi a quelle rappresentazioni anti-passionali e tecnicizzate del diritto culminanti nei programmi di sostituzione dei decisori umani con intelligenze artificiali[50].        


Insomma, letteratura come volano spirituale per l’umanizzazione e la psicologizzazione del diritto, nella consapevolezza che lo studio delle lettere, suscitando emozioni espansive del sé, dà tridimensionalità, profondità, ai fatti giuridici[51]. In questo senso, la letteratura rappresenta l’incerto, lo spirituale che penetra nelle costruzioni ordinate del diritto, le problematizza e le arricchisce con elementi intimamente altri (emotivi, immaginativi, etici, etc.). Ancora, letteratura come antidoto all’omologazione, che alimenta il dialogo tra distinti, il dibattito deliberativo e il pluralismo degli attori sociali (tra i quali gli operatori del diritto occupano un ruolo di prim’ordine).         


Un altro aspetto rilevante è che i contributi letterari a sfondo giuridico forniscono una contestualizzazione dei fatti del diritto utile per comprenderne le caratteristiche e la loro percezione sociale al tempo della narrazione. Sia le produzioni giuridiche sia quelle letterarie vanno infatti considerate dei fatti culturali, espressione dei valori disponibili in un contesto di riferimento[52]. Tale unità di cultura suggerisce di intendere sia il diritto sia la letteratura come due modalità di osservazione e di costruzione del reale solo in apparenza divergenti. Si pensi ancora alla ricchezza di informazioni sul piano sociale e giuridico che si può trarre dalla descrizione del processo di Shylock ne Il Mercante di Venezia. Sarebbe pertanto fortemente riduttivo adottare un approccio collezionistico e attingere dalle opere letterarie con il solo scopo esornativo di individuare luoghi che richiamino il mondo del diritto e che lo promuovano. 


La comune matrice umanistica del diritto e della letteratura emerge nitidamente se si pensa alle affinità tra i miti fondativi degli antichi stati e le costituzioni politiche moderne[53]. L’indeterminatezza del confine tra sfera giuridica (normativa) e letteraria (narrativa) costituisce una prova non eludibile dell’impossibilità di distinguere in modo netto tra le due produzioni culturali. Tanto nel caso dell’epica quanto in quello del diritto, si riflette infatti la comune costruzione di un senso che legittima e rinforza le comunità politiche: insomma, entrambe le produzioni come attività performative di realtà. Entrambi sono poi racconti simbolici che incarnano i valori avvertiti come più urgenti, evidenziando in questo processo l’intrinseca normatività antropologica sottesa alla parola, in quanto intimamente prescrittiva (il codice giuridico come sottoinsieme del codice linguistico).           

5. In conclusione. Un memento dei limiti e delle differenze tra diritto e letteratura contro la tesi dell’identificazione          

Se questi sono tratti comuni che giustificano (e, anzi, impongono perfino come necessario) un dialogo tra diritto e letteratura, occorre anche richiamare, in conclusione, le divergenze che sussistono e che debbono continuare a sussistere tra le due discipline. È forse opportuno partire da una precisazione sul concetto di “connaturalità” e di “unità di cultura”; perché, se è vero che i due ambiti sono accomunati (e dunque confrontabili, dialogabili) da alcuni elementi generali, come la scrittura, la parola, il linguaggio, la narrazione del reale, è ineludibile che l’elemento motivazionale sotteso alle rispettive produzioni sia costitutivamente diverso[54]. A eccezione, infatti, della letteratura impegnata nel sociale, che intende modificare l’assetto della realtà adeguandolo a canoni normativi ideali, ciò che presidia la creazione letteraria è la libera immaginazione soggettiva; il diritto, invece, con intensità diverse a seconda dei differenti generi giuridici, è presidiato da finalità pratiche, operative nel mondo.    


Il diritto agisce come fattore istituente, perché determina cornici deontiche, paradigmi escludenti, attribuzioni di poteri, forme che impediscono o garantiscono le esistenze. Il perimetro del diritto è dunque ontologicamente definitorio. Pertanto, la produzione giuridica non può mai prescindere (né nei mezzi né nei fini) dal reale, e non può dunque mai esprimersi come soliloquio, nel senso che il fine del diritto esula dal rapporto dell’artefice con il proprio sé. In altre parole, la creazione del diritto, almeno per quanto concerne gli obiettivi, è un atto sempre funzionale ad altro e determina un processo in cui il singolo operatore si emancipa, nella misura del possibile, dalla propria personalità (non rileva a questo riguardo il fatto che, per esempio, le sentenze dei giudici riflettano necessariamente la personalità del loro estensore, giacché non si tratta di un elemento definiente, ma di un effetto, per così dire, inevitabile e indesiderato).       


Se si attribuisce ragionevolezza a questa differenza essenziale, allora occorre problematizzare i tentativi che, a partire da Cardozo, sono stati fatti per ricondurre il diritto a un genere letterario tout court. Che si tratti della ricostruzione narrativa di un criminologo, della scrittura di una sentenza o dell’estensione di una legge, la produzione del diritto obbedisce a presupposti epistemologici e intenzionali diversi rispetto al mondo dell’arte e delle lettere[55]. Con lessico aristotelico, il principio costitutivo e giustificativo delle arti risiede in chi le produce (dunque la loro essenza è la motivazione soggettiva), mentre quello delle tecniche, tra cui il diritto, risiede nella cosa prodotta[56]. Il diritto è dunque sempre, almeno in parte, uno strumento necessario per conseguire altro (a livello sociale, economico, politico, culturale anche); le arti sono sempre, almeno in parte, un fine in sé (si ricordino le riflessioni kantiane sull’assenza di scopo del bello artistico-letterario).      


Infine, il diritto si presenta sempre, in una qualche misura, come una produzione ricognitiva di qualcosa che già esiste (per esempio: i documenti e le prove che indirizzano una sentenza[57]) o che, pur non esistendo, rappresenta un ideale normativo da realizzare (è il caso dei valori di libertà e di non discriminazione presenti nelle costituzioni). Per contro, la produzione artistico-letteraria è perfettamente compatibile con un atto di pura creazione, privo di riferimenti condizionanti.            

Forse, è proprio a questo livello che va ricercata la motivazione profonda di quell’antico sospetto del mondo delle lettere nei confronti del diritto, di cui si è dato rapidamente conto in apertura. È il senso di incompletezza che le produzioni giuridiche non risolvono (né possono ambire a farlo) intorno alle questioni decisive della vita; un limite avvertito dai letterati come un giogo incompatibile con quella tensione «ad abbracciare tutto»[58] che tipicamente muove l’anima artistica allorché essa si affranca dalle contingenze della storia. Di qui, sempre dalla prospettiva letteraria, le insidie anti-umanistiche che accompagnerebbero il diritto e i suoi operatori: un rischio che tuttavia verrebbe in parte attenuato proprio contaminando la formazione dei giuristi con un’educazione che sappia essere anche letteraria, artistica, psicologica, e in generale umanistica.           


Note e riferimenti bibliografici

[1] Si veda, in particolare, PLATONE, La Repubblica, a cura di M. Vegetti, Milano, 2019, 409a e 454a.

[2] Cfr. G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Bologna, 1966, I, 165 ss., A.R. VITALE, Cristianesimo e diritto. Sull’anima della civiltà giuridica occidentale, Catania, 2017 e P. PRODI, Cristianesimo e potere, Bologna, 2012.

[3] Si vedano almeno le testimonianze di More, Rabelais, Montaigne, Bacone, e poi di Muratori e Voltaire, solo per richiamare alcuni autori. T. Moro, Utopia, a cura di T. Fiore, Roma, 1974, 120 ss.; F. RABELAIS, Pantagruel, a cura di P. Michel, Paris, 1972, 115 ss.; M. de MONTAIGNE, Saggi, a cura di F. Garavini e A. Tournon, Milano, 2014, 578-585; F. BACON, Saggi, a cura di P. Rossi, Torino, 2016, 167 ss; L.A. MURATORI, Dei difetti della giurisprudenza, a cura di G. Barni, Milano, 1958, 250 ss.; di Voltaire si vedano le inchieste giudiziarie per i casi Calas e Sirven, nonché VOLTAIRE, Premio della giustizia e dell’umanità, a cura di D. Felice, Milano, 2015 e VOLTAIRE, Commento intorno al libro «Dei delitti e delle pene», a cura di R. Rampioni, Roma, 2012.

[4] Si vedano, senza pretesa di completezza, M. LA TORRE, Il giudice, l’avvocato, e il concetto di diritto, Soveria Mannelli, 2002; C. MAGRIS, Letteratura e Diritto. Davanti alla legge, in Cuadernos de Filología Italiana, 2006, 13, 175-181 e ID., Davanti alla legge, Trieste, 2006; G. RESTA, Il giurista nel romanzo italiano: Percorsi letterari tra diritto e letteratura, Napoli, 2008; P. COSTA, Diritto e letteratura: Percorsi di critica testuale, Roma, 2009; A. MENICONZI, Giustizia e letteratura: Studi sulla narrativa giuridica italiana, Firenze, 2015.

[5] Per un supplemento di ricostruzione cfr. M.P. MITTICA, Cosa accade di là dall’Oceano? Diritto e letteratura in Europa, in Anamorphosis, 2015, 1, 3-36; ID., Diritto e letteratura. Disciplina, metodologia o movimento?, in AA. VV. Lingue e diritti. Le parole della discriminazione. Diritto e letteratura, Firenze, 2014, 111-138; ID., La storia di diritto e letteratura e Law and Humanities, Torino, 2024, 5-15; D. CARUSI, Sua maestà legge?, Firenze, 2022, 321-336; G. TUZET, Diritto e letteratura: finzioni a confronto, in Annali dell’Università di Ferrara, 2005, 19, 179-204.

[6] Tra la sterminata bibliografia di Dewey, si segnala questo articolo di stretta pertinenza con il presente lavoro: J. DEWEY, Logical Method and The Law, in Philosophical Review, 1924, 33, 560-572.

[7] Per un inquadramento di massima del fenomeno, si rimanda al classico di G. TARELLO, Il realismo giuridico americano, Milano, 1962 e M. RIPOLI, S. CASTIGNONE, C. FARALLI, Il diritto come profezia. Il realismo americano: antologia di scritti, Torino, 2002. Cfr. infine C. FARALLI, Le origini di «Diritto e letteratura» nel realismo americano, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2012, 1, 81-89.

[8] R. POUND, Mechanical Jurisprudence, in Columbia Law Review, 1908, 8, 605-623.

[9] Cfr. direttamente O.W. HOLMES, The Path of the Law, in Harvard Law Review, 1897, 5, 991-1009; R. POUND, Law in Books and Law in Action, in American Law Review, 1910, 44, 12-36 e ID., The Call for a Realist Jurisprudence, in Harvard Law Review, 1931, 44, 697-711.

[10] Si vedano K.N. LLEWELLYN, A Realistic Jurisprudence. The Next Step, in Columbia Law Review, 1930, 30, 431-465 e ID., Some Realism about Realism. Responding to Dean Pound, in Harvard Law Review, 1931, 44, 1222-1264.

[11] J. WIGMORE, A List of Legal Novels, in Illinois Law Review, 1908, 2, 574-593.

[12] Ibid., 574.

[13] Per i quali si vedano gli approfondimenti di D. VELO DALBRENTA, Il giudice riluttante: intorno all’arte di (non) giudicare in The Merchant of Venice, in Teoria e Critica della regolazione sociale, 2019, 2, 247-266, e G. ZAGREBELSKY, La leggenda del grande inquisitore, Brescia, 2009.

[14] Su Balzac, G. GUIZZI, Il «caso Balzac». Storie di diritto e letteratura, Bologna, 2020; su Dickens, W. S. HOLDSWORTH, Charles Dickens storico del diritto, Rimini, 2015; M. LA TORRE, La disperazione del diritto: Honoré de Balzac e Charles Dickens, in Materiali per una storia della cultura giuridica moderna, 2019, 2, pp. 489-516; su Melville, con riferimento a Billy Budd, R. MARRA, La religione dei diritti, Torino, 2006, 159-184; più in generale, A.S. KONEFSKY, The accidental legal historian. Herman Melville and the history of American law, in Buffalo Law Review, 2004, 52, 1179-1276.

[15] Su Hugo, cfr. R. BADINTER, Victor Hugo et le droit, Paris, 2022; S. BALLESTRA-PUECH, Victor Hugo, juges et avocats, Lille, 2008.

[16] Cfr. A. FRANCIA, Manzoni criminalista, in Diritto e Castigo a cura di R. Marra, Bologna, 2013, 77-95. Ma su tutti questi scrittori (con grande attenzione in particolare a Kafka), si veda l’importante opera di AA. VV., Giustizia e Letteratura, Milano, 2014.

[17] R.H. WEISBERG e K. KRETSCHMAN, Wigmore's “legal novels” expanded: a collaborative effort, in Maryland law forum, 1977, 7, 94 ss.

[18] F. BACONE, Essays, a cura di M.J. Hawkins, Phoenix, 1992, 135-138.

[19] B.N. CARDOZO, Law and Literature, in Yale Review, 1925, 14, 699-718.

[20] Per approfondire la posizione di Cardozo, si rimanda a M. BALL, Confessions, in Cardozo studies in law and literature, 1989, 1, 185 ss. e R.H. WEISBERG, Law, literature, and Cardozo's judicial poetics, in Cardozo law review, 1979, 1, 283 ss.

[21] J. FRANK, Words and Music: Some Remarks on Statutory Interpretation, in Columbia Law Review, 1947, 47, 1259 ss. Per ricostruire la centralità dell’autore all’interno del realism americano, si rimanda a V. MARZOCCO, Nella mente del giudice. Il contributo di Jerome Frank al realismo giuridico americano, Torino, 2018. Sul parallelismo tra diritto e musica, sebbene in epoca successiva, si ricorda anche D. MANDERSON, Fission and Fusion: From Improvisation to Formalism in Law and Music, in Critical Studies in Improvisation, 2010, 6, 1 ss.

[22] Sul punto, G. RESTA, Il giudice e il direttore d’orchestra. Variazioni sul tema: «diritto e musica», in Materiale per una storia della cultura giuridica, 2011, 2, 435-460 e M. SETTE LOPES, A Metaphor: Music and Law, in Revista da Faculdade de Direito da UFMG, 2017, 285-303.

[23] E. LONDON, The world of law; a treasury of great writing about and in the law, short stories, plays, essays, accounts, letters, opinions, pleas, transcripts of testimony; from Biblical times to the present, New York, 1960.

[24] Per una cornice d’insieme, si rimanda a S. LEVINSON e S. MAILLOUX, Interpreting law and literature: a hermeneutic reader, Evanston, 1988 e a B. PASTORE, D. CANALE, E. PARIOTTI, Ermeneutica e positività del diritto, Roma, 2019. Per approfondire le connessioni tra la filosofia ermeneutica e il mondo del diritto, cfr. G. ZACCARIA, Ermeneutica e giurisprudenza. I fondamenti filosofici nella teoria di Hans Georg Gadamer, Milano, 1984. Si segnala peraltro il pionieristico, presto diventato un classico, lavoro di E. BETTI, Teoria generale della interpretazione, Milano, 1955.

[25] S. FISH, Literature in the Reader: Affective Stylistics, in New Literary History, 2, 1970, 123-162. Dell’autore si veda anche S. FISH, Working on the chain gang: interpretation in the law and literary criticism, in Critical Inquiry, 1982, 9, 201-216.

[26] A questo riguardo, si vedano le riflessioni di W.B. MICHAELS, Against formalism: the autonomous text in legal and literary interpretation, in Poetics today, 1979, 1, 23 ss. e Id., Intentionalism again, in Cardozo studies in law and literature, 1989, 1, 89 ss.

[27] C. GEERTZ, The Interpretation of Cultures, New York, 1973. Sull’importanza dell’antropologia di Geertz anche nell’interpretazione dei fatti giuridici, si vedano R. MOTTA, Antropologia del diritto e antropologia giuridica, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2015, 2, 575-586 e R. MARRA, Diritto e castigo, cit., 19 ss.

[28] Coglie bene il punto il già ricordato testo di D. CARUSI, Sua maestà legge?, cit., 338 ss. Per approfondire, cfr. R. UNGER, The Critical Legal Studies Movement, Harvard, 1986 e D. KENNEDY, Legal Education and the Reproduction of Hierarchy, in Journal of Legal Education, 1982, 32, 591 ss.

[29] A. SMITH, The coming Renaissance of Law and Literature, in Maryland Low Forum, 1977, 7, 84-92.

[30] J.B. WHITE, The Legal Imagination: Studies in the Nature of Legal Thought and Expression, Boston, 1973. Si riportano in questa nota anche i riferimenti delle altre opere dell’autore: J.B. WHITE, When Words Loose Their Meaning. Constitutions and Reconstitutions of Language, Character, and Community, Chicago, 1984 e ID., Heracle’s Bow: Essays on the Rhetoric and Poetics of the Law, Madison, 1985. Per una più dettagliata bibliografia dell’autore si rimanda a D. CARUSI, Sua maestà legge?, cit., 341 in nota.

[31] Sul punto, R. MARRA, Diritto e castigo, cit., 30-31; M. P. MITTICA, Cosa accade di là dall’Oceano? Diritto e letteratura in Europa, cit., 3-6; A. CONDELLO, T. TORACCA, Letteratura e Diritto: breve tracciato di una disciplina. Il caso italiano: qualche riflessione, in La letteratura e noi, 2015, 1, online: https://www.laletteraturaenoi.it/index.php/interpretazione-e-noi/386-letteratura-e-diritto-brevetracciato-di-una-disciplina-il-caso-italiano-qualche-riflessione.html.

[32] M. P. MITTICA, Cosa accade di là dall’Oceano? Diritto e letteratura in Europa, cit., 2.

[33] R. WEISBERG, When Lawyers Write, Boston, 1987 e ID., Poethics and Other Strategies of Law and Literature, New York, 1992. Dell’autore si segnala anche la voce Diritto e Letteratura in Enciclopedia Treccani delle Scienze Sociali, Roma, 1993, online: http://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-e-letteratura_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali).

[34] R. WEST, Adjudication is not Interpretation. Some Reservations about the Law-as-Literature Movement, in Tennessee Law Review, 1987, 54, 203 ss.

[35] R. DWORKIN, A Matter of Principle, Harvard, 1985.

[36] R. POSNER, Law and Literature. A Misunderstood Relation, Harvard, 1988. Si segnala anche la recensione al volume di Posner scritta da L.A. GRAGLIA, Book Review: Law & Literature: A Misunderstood Relation. by Richard A. Posner, in Constitutional Commentary, 1989, 6, 436-443.

[37] Di Martha Nussbaum si segnalano almeno: M. NUSSBAUM, The Fragility of Goodness: Luck and Ethics in Greek Tragedy and Philosophy, Cambridge, 1986; ID., Love's Knowledge: Essays on Philosophy and Literature, Oxford, 1990; ID., Poetic Justice: the Literary Imagination and Public Life, Boston, 1995; ID., Women and Human Development: The Capabilities Approach, Oxford, 2000; ID., The Capabilities Approach, Cambridge, 2004. Con riferimento alle suggestioni giuridiche del pensiero dell’autrice, cfr. D. CARUSI, Sua maestà legge?, cit., 344-356.

[38] Queste riflessioni giungono a compimento in particolare in M. NUSSBAUM, Upheavals of Thought: The Intelligence of Emotions, Cambridge, 2003.

[39] M. NUSSBAUM, Not for Profit: Why Democracy Needs Humanities, Princeton, 2010. Sul tema, cfr. anche A. ZACCARO, Educazione umanistica e democrazia nel pensiero di Martha Nussbaum, Roma, 2019.

[40] Sul punto, è utile consultare la ricostruzione di A. CONDELLO, T. TORACCA, Letteratura e Diritto, cit.,

[41] R. VACCA, Il diritto sperimentale, Torino, 1923, 245 ss.

[42] P. CALAMANDREI, Le lettere e il processo civile, in Rivista di diritto processuale, 1924, 2022 ss. Su questi temi, si vedano L. BASCHERINI, Raccontare la crisi: tre decenni di storia repubblicana allo specchio della letteratura, in L. Bascherini e G. Repetto a cura di, Per una storia costituzionale italiana attraverso la letteratura, Milano, 2022, 115 ss.; ID., Il romanzo della resistenza e la transizione costituzionale italiana: la letteratura tra moralità e istituzioni, in F. Cortese a cura di, Resistenza e diritto pubblico, Firenze, 221 ss.; A. VALASTRO, Diritto e vita negli scritti laterale di Piero Calamandrei, in Cosmopolis. Rivista di filosofia e teoria politica, 2022, 1, online: https://www.cosmopolisonline.it/articolo.php?numero=XIX12022&id=3.

[43] A. D’AMATO, La letteratura e la vita del diritto, Milano, 1936.

[44] Ibid., p. 14.

[45] Per esempio, Mario Cattaneo, Giorgio Rebuffa, Antonio Bevere, Fabrizio Cosentino, Adelmo Cavalaglio, Guido Alpa. Del professor Alpa si ricorda, da ultimo, il capitolo Il diritto come letteratura, in G. ALPA, Giuristi e interpretazioni. Il ruolo del diritto nella società postmoderna, Genova, 2017.

[46] Segnala la potenziale anomalia anche M.P. MITTICA, Cosa accade di là dall’Oceano? Diritto e letteratura in Europa, cit., 17 ss., riportando comunque gli esempi virtuosi nella conduzione di tali programmi d’insegnamento (a partire dal pionieristico corso di Remo Ceserani a Bologna del 1998, a cui hanno fatto seguito un decennio più tardi le Università del Sannio, di Torino, di Catanzaro, del Molise, la Federico II di Napoli e successivamente La Sapienza, l’Università di Genova e altri atenei).

[47] L’AIDEL è stata costituita da Daniela Carpi e Pierluigi Monateri, mentre l’ISLL da Enrico Pattaro. Entrambe le fondazioni si devono all’iniziativa di Maria Paola Mittica, Carla Faralli ed Enrico Pattaro. Alle due autrici si deve anche la pubblicazione di quello che può considerarsi il secondo manuale istituzionale italiano in materia: C. FARALLI, M.P. MITTICA, Diritto e letteratura. Prospettive di ricerca, Roma, 2010. Il primo, sebbene di taglio diverso, è quello di A. SANSONE, Diritto e Letteratura. Un’introduzione generale, Milano, 2001. Cfr. anche il più recente testo di M.P. MITTICA, Diritto e letteratura e Law and Humanities. Elementi per un’estetica giuridica, Torino, 2024. Si segnala inoltre l’importante iniziativa sviluppatasi intorno al Centro Studi Federico Stella dell’Università Cattolica di Milano, articolatasi in numerosi seminari a tema Diritto e Letteratura e conclusasi con una raccolta di contributi in tre volumi: AA.VV., Giustizia e Letteratura, Milano, 2012/2014/2016.

[48] Si leggano a tal proposito le belle pagine di R. MARRA, Diritto e castigo, cit., 31 ss., una cui applicazione (incentrata su Gadda) può ritrovarsi nell’ultimo capitolo del medesimo testo: ID., La cognizione del delitto. Reato e «macchina della giustizia» del Pasticciaccio di Gadda, 119 ss.

[49] Sul punto, anche F. OST, Mosè, Eschilo, Sofocle. All’origine dell’immaginario giuridico, Bologna, 2007; E. STOLFI, La giustizia in scena. Diritto e potere in Eschilo e Sofocle, Bologna, 2022; M.P. MITTICA, Raccontando il possibile. Eschilo e le narrazioni giuridiche, Milano, 2006.

[50] Si vedano, senza pretesa di completezza di una letteratura che si sta facendo sterminata: G. PERUGINELLI e M.A. BIASIOTTI, Diritto e Intelligenza Artificiale, Milano, 2020; G.F. FERRARI, L'intelligenza artificiale nel processo decisionale pubblico, Torino, 2019, G. COMANDÉ, L'algoritmo e le decisioni giuridiche. Intelligenza artificiale e giustizia predittiva, Bologna, 2020; U. RUFFOLO, Intelligenza artificiale e diritto: un'introduzione, Milano, 2019; K. YEUNG e M. LODGE, Algorithms and Law, Oxford, 2019; R. CALO, A.M. FROOMKIN, I. KERR, Robot Law, Cheltenham, 2016.

[51] Tocca il tema, per il tramite di Nussbaum, D. CARUSI, Sua maestà legge?, cit., 245 ss. È questo inoltre il filo conduttore che anima il testo di V. VITALE, Diritto e Letteratura. La giustizia narrata, Milano, 2012. Cfr. infine il saggio di S. PRISCO, Diritto, Letteratura, Discipline umanistiche. Teorie, metodi e casi, in S. Torre a cura di, Il diritto incontra la letteratura, Napoli, 2017, 1-24.

[52] Sul punto, sempre utile è il classico di R. ORESTANO, Sociologia e studio storico del diritto, in Ius, 1957, 2, 199-225. In continuità con le riflessioni di Orestano e di Giovanni Tarello (e prima ancora con Max Weber), si leggano ancora le pagine di R. MARRA, Diritto e castigo, 19-29. Per un’estensione di queste categorie alla produzione giuridica medievale, si veda D. QUAGLIONI, La Vergine e il diavolo. Letteratura e diritto, letteratura come diritto, in Laboratoire italien, 2005, 5, 39-55.

[53] Cfr. C. DI COSTANZO, Mitologie costituzionali contemporanee. Alcuni spunti di analisi costituzionale a partire dal mito platonico della caverna, in Nomos. Le attualità nel diritto, 2023, 3, 201-220 e M. TABACCHINI, Mitologie politiche della Costituzione, in I. Belloni e M. Gisondi a cura di, Lessico civico. Teorie e pratiche della cittadinanza, Reggio Emilia, 2011, 1-148.

[54] Trovo pertanto pericoloso, se portato alle estreme conseguenze, l’invito fatto da White a trascurare le differenze tra le produzioni culturali umane e a soffermarsi soltanto su ciò che le tiene unite. Cfr. J.B. WHITE, When Words Lose their Meaning, cit., 3 ss.

[55] A questo riguardo, rappresenta un’utile problematizzazione del rapporto l’analisi di J.M. BALKIN e S. LEVINSON, Law and the Humanities: An Uneasy Relationship, in Yale Journal of Law & the Humanities, 2006, 18, 155-187.

[56] Il riferimento è chiaramente ARISTOTELE, Etica Nicomachea, a cura di C. Natali, Roma, 2018, 229-231.

[57] L’osservazione rimane valida anche adottando una visione costruttivistica della produzione giuridica, come fa F. DI DONATO, La costruzione giudiziaria del fatto. Il ruolo della “narrazione” nel processo, Milano, 2019.

[58] D. CARUSI, Sua maestà legge?, cit., 5.

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