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Pubbl. Sab, 2 Gen 2016

In Spagna vince l´incertezza

Guido Santoro


I risultati elettorali del 20 Dicembre hanno determinato l´incertezza, per la Spagna, di poter avere una legislatura quadriennale. Di seguito, ripercorrendo il dibattito politico che ha fatto da sfondo alle elezioni presidenziali, si evidenziano i difetti di funzionalità del sistema elettorale spagnolo e si fotografa il frammentario scenario politico del Paese.


Il 20 Dicembre si sono tenute in Spagna le elezioni presidenziali. Dopo settimane di accesi dibattiti televisivi ed una massiccia campagna elettorale a quattro duellanti, le urne hanno decretato l’ingovernabilità del paese, mostrando che la frattura sociale creata dalla crisi di questi ultimi anni è lungi dall’essere sanata e che le promesse fatte dai partiti tradizionali hanno avuto un ampio debito di credibilità dopo gli scandali di corruzione che hanno afflitto le due forze politiche principali nel paese iberico.

Il 20 Dicembre si sono tenute in Spagna le elezioni presidenziali. Dopo settimane di accesi dibattiti televisivi ed una massiccia campagna elettorale a quattro duellanti, le urne hanno decretato l’ingovernabilità del paese, mostrando che la frattura sociale creata dalla crisi di questi ultimi anni è lungi dall’essere sanata e che le promesse fatte dai partiti tradizionali hanno avuto un ampio debito di credibilità dopo gli scandali di corruzione che hanno afflitto le due forze politiche principali nel paese iberico.

In campo c’erano quattro forze politiche preponderanti, oltre ai tradizionali PP (Partito Popolare) che stava governando il paese da quattro anni con il premier Mariano Rajoy e PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) che candidava il neo eletto segretario Pedro Sanchez queste elezioni avevano già dai sondaggi pre-elettorali sancito la fine del bipolarismo spagnolo, con due nuove forze straripanti, Podemos (Possiamo) dell’istrionico Pablo Iglesias e Ciudadanos (Cittadini) del giovane catalano Albert Rivera.

Alle elezioni si era arrivati in un clima avvelenato e il mezzo di comunicazione principale è stato il dibattito faccia a faccia: se temi già caldi come diseguaglianza sociale, precarietà, disoccupazione giovanile, indipendentismo ed una orribile legge elettorale non fossero stati sufficienti ad alimentare il dibattito, la corruzione è stata la miccia per vedere discussioni infuocate da pesanti accuse e scompostezza negli interventi dei partecipanti.

Le strategie comunicative sono risultate fondamentali: il premier Rajoy ha rifiutato diversi inviti nei dibattiti a quattro organizzati da media privati, inviando in sua vece la vice-premier Soraya Saenz de Santamaria in un’occasione, ed ha partecipato solo al dibattito a due contro Pedro Sanchez organizzato dalla tv pubblica RTVE, difendendo la sua onorabilità personale dalle accuse di corruzione ed il suo operato di governo che, nonostante abbia vissuto momenti molto difficili, chiude la legislatura con una crescita del 3% del PIL. Le sue scelte strategiche sono risultate efficaci in quanto il premier, che non brilla certo per carisma, ha arginato il possibile tracollo della sua formazione politica, confermandosi prima forza di Spagna, anche se potrebbe trasformarsi nel Pirro spagnolo del XXI secolo.

Il principale rivale di Rajoy, il socialista Sanchez ha cercato di incornare il suo avversario con pesanti accuse di inettitudine e di malafede ed ha difeso a spada tratta l’operato dei precedenti governi socialisti di Jose Luis Rodriguez Zapatero e del suo partito. E’ il vero sconfitto di queste elezioni, è parso troppo zelante nel voler centrare il bersaglio che si era prefisso non capendo che il vero avversario di questa campagna elettorale è stato Iglesias. Il leader di Podemos infatti, nonostante abbia programmi ed idee populiste, tipiche del partito che sa di non dover governare e quindi ha potuto promettere il sole e l’altre stelle ai suoi elettori, ha dimostrato un enorme sangue freddo in tribuna elettorale, si è concentrato sulle proposte e non sulle accuse, non si è inimicato la base del PSOE e soprattutto è sembrato più moderato del suo antagonista socialista. E’ lui il vero vincitore delle elezioni.

Albert Rivera, infine, rappresenta la novità più assoluta nel panorama Europeo. Giovane catalano orgoglioso che si è conquistato una credibilità in terra natia da opposizione all’indipendentista Artur Mas i Gavarro rappresenta la vera novità opposta ai partiti populisti europei. Il suo programma era concreto: riforma del lavoro, con l’istituzione del contratto unico, riforma della legge elettorale, lotta alla corruzione, semplificazione amministrativa, riforma della giustizia, niente indipendenza ai compatrioti catalani e più Europa per la Spagna. Peccato che, nonostante un ottimo lavoro del suo staff in campagna elettorale, sia apparso nei dibattiti su schermo troppo nervoso ed ansioso di ricordare agli spagnoli quanto abbiano fatto i partiti precedenti, tradendo le aspettative dei sondaggi, che lo vedevano addirittura sopra al PSOE come seconda forza del paese.

Le elezioni hanno avuto un’affluenza notevole, il 73,2% degli aventi diritto ha votato, ben il 6,2% in più rispetto al 2011. Il primo partito del paese resta il PP con il 28,72% dei voti e 123 deputati su 350 da assegnare (perde il 33,6% di voti e ben 63 deputati), secondo il PSOE con il 22,01% e 90 seggi in parlamento (perde il 21% di voti e 20 deputati). Podemos si aggiudica la preferenza del 20,66% dei votanti e 69 deputati mentre Ciudadanos ha ottenuto il 13,93% dei voti e 40 seggi.

Se queste elezioni possono definirsi sibilline per il futuro della legislatura, non avendo definito una maggioranza, hanno ben chiarito molte questioni che il prossimo governo sarà costretto ad affrontare. La profonda ingiustizia e inefficienza della legge elettorale sarà dibattito per poter formare un governo. Podemos e Ciudadanos sono già d’accordo per cambiare l’attuale sistema proporzionale D’Hondt, che assegna 2 parlamentari ad ognuna delle 50 province ed uno a quelle di Ceuta e Melilla, i restanti 248 seggi sono allocati in modo proporzionale alla popolazione. Questo sistema è veramente rappresentativo solo nelle provincie più grandi, e favorisce i grandi partiti rendendo più influente il voto delle piccole provincie ed addirittura inutile in queste ultime il voto per i partiti minori. Ad oggi un cittadino spagnolo, soprattutto se non è di una grande provincia, rischia di non vedere il suo voto espresso in parlamento.

Quello che è certo, ora, è che il premier Rajoy non avrà vita facile per formare un governo. L’unico partito ad aver dato precise indicazioni di come si comporterà è Ciudadanos, che ha già proclamato che non voterà contro nessun governo di minoranza a meno che questo non sia composto da Podemos, che ha promesso il referendum agli indipendentisti. Quindi lasciando intendere un “appoggio esterno” ai popolari di Rajoy. Podemos si è già detto disposto ad uno sforzo per cercare un’intesa, con i socialisti, che sia beninteso. Il PSOE non formerà un governo di unità nazionale come in Germania o in Italia, almeno è quello che dichiara, anche se la soluzione è la più plausibile ed auspicabile, almeno per avere una breve legislatura che ridefinisca delle regole elettorali ampiamente condivise.

La stranezza di queste elezioni è il complimento che El Pais ha fatto all’Italia, riconoscendo che nella sua ingovernabilità perenne è sempre stata governata trovando degli strani equilibri politici o, come dicono gli spagnoli, “machiavellici” , mancando però di cogliere che nessuna legislatura della storia italiana è rimasta in carica il quinquennio previsto e che le coalizioni hanno portato ad un immobilismo nelle riforme che solo con quest’ultimo governo sembra essersi attenuato. Spero per la Spagna che non sia veramente invidiosa della situazione italiana, e che presto possa trovare la sua giusta formula per la governabilità.

Fonti e riferimenti