Pubbl. Gio, 28 Dic 2023
La Cassazione sulla denuncia dei vizi nel contratto di appalto
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Luca Ventura
Cass. civ. Sez. II, Ord., ud. 19/10/2023, dep 06/11/2023, n. 30786 della Corte di cassazione offre lo spunto per esaminare alcune delle principali questioni in tema di riconoscimento dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatore. Premesso un inquadramento generale della tematica, l’analisi sarà incentrata sulle modalità e sugli effetti del riconoscimento dei vizi. Con riferimento al primo aspetto, ci si interrogherà sui requisiti del contegno dell’appaltatore (i.e. i suoi aspetti formali e la necessità, o meno, che al riconoscimento si accompagni la confessione stragiudiziale della responsabilità). Con riferimento al secondo profilo, verrà approfondita la questione dell’effetto o meno novativo del riconoscimento e la problematica della sua incidenza sui termini di prescrizione e decadenza
Sommario: 1. Il caso; 2. La garanzia per i vizi nel contratto di appalto: contenuto e natura giuridica; 3. Il riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore; 4. Conclusioni: continuità con i recenti orientamenti in tema di riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore.
1. Il caso
Con l’ordinanza n. 30786/2023 in commento, la Corte di cassazione interviene in una vicenda che vede coinvolte la società C.C. Costruzioni s.r.l. e l’Azienda Agricola A.A.
La prima agiva innanzi al Tribunale di Terni al fine di ottenere la condanna dell’Azienda Agricola al pagamento del corrispettivo dovuto per alcuni lavori che l’attrice aveva eseguito in forza di un contratto di appalto sottoscritto con la convenuta. Costituitasi nel giudizio di primo grado, l’Azienda Agricola A.A. chiedeva il rigetto della domanda attorea e svolgeva domanda riconvenzionale, con la quale chiedeva che la C.C. Costruzioni venisse condannata a eliminare una serie di vizi e difetti riscontrati nelle opere eseguite.
Il Tribunale accoglieva la domanda attorea e rigettava la domanda riconvenzionale, e pertanto condannava la convenuta a corrispondere alla società appaltatrice la somma di € 177.400,61.
La soccombente proponeva appello e la Corte distrettuale di Perugia, dopo aver ritenuto prescritta la domanda di accertamento dei vizi delle opere, riformava parzialmente la decisione di prime cure, condannando l’appaltatore a risarcire il danno cagionato al committente, liquidato in € 22.300,00.
L’Azienda Agricola A.A. sottopone al vaglio della Corte di cassazione la decisione del giudice d’appello, adducendo un principale motivo di ricorso e altre doglianze minori.
Con il primo e principale motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1667, 2697, 2730 e 2733 c.c., per aver la Corte d’Appello erroneamente ritenuto preclusa la domanda di accertamento dei vizi dell’opera eseguita, essendovi stata, da parte del committente, ricezione dell’opera senza riserve. Sostiene infatti la ricorrente che la denuncia dei vizi, da parte del committente, e il loro riconoscimento, da parte dell’appaltatore, sarebbero atti a forma libera, che dunque possono desumersi anche per fatti concludenti. Nel caso di specie, secondo la ricorrente, il giudice del merito avrebbe dovuto ritenere tempestivamente denunciati i vizi dal momento che l’appaltatore ha riconosciuto la presenza di infiltrazioni nel locale interrato.
La Corte di cassazione ha riconosciuto la fondatezza del motivo di ricorso, affermando che nell’ipotesi in cui l’appaltatore si attivi per rimuovere i vizi denunciati dal ricorrente, «tiene una condotta che costituisce tacito riconoscimento di quei vizi, e che – senza novare l’originaria obbligazione gravante sull’appaltatore – ha l’effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1667 c.c.».
Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso è seguito, nel caso di specie, l’assorbimento della quarta censura, con la quale la ricorrente aveva denunciato violazione dell’art. 112 c.p.c., per non aver la Corte d’Appello pronunciato sulla domanda di risarcimento dei danni ulteriori, non suscettibili di riparazione in forma specifica, fra cui il mancato guadagno. Osserva la Cassazione, infatti, che il rigetto di tale domanda risarcitoria fu una conseguenza dell’erronea statuizione della Corte distrettuale in ordine alla tardività della denuncia dei vizi. Spetterà, dunque, al giudice del rinvio valutare l’esistenza dei vizi nelle opere eseguite, nonché quantificare i relativi danni.
La Corte di cassazione ha invece rigettato il secondo e il terzo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo, la ricorrente censurava la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha limitato il danno risarcibile all’importo di € 22.300,00, escludendo – come invece asseriva l’appellante – che il vizio da cui originava il suddetto danno avesse poi provocato – in corso di causa – anche un danno ulteriore. La Cassazione ha ritenuto che il motivo di ricorso si risolva in una richiesta di revisione della pronuncia sul fatto, preclusa nell’ambito del giudizio di legittimità, essendo gli apprezzamenti di fatto «riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento»[1].
Con il terzo motivo, la ricorrente censurava la sentenza d’appello perché il giudice di secondo grado avrebbe accolto le conclusioni del c.t.u. senza dar conto né dei motivi di tale convincimento, né delle criticità sollevate dal consulente di parte dell’Azienda Agricola. Rispetto a tale censura, la Cassazione si limita ad osservare che si tratta di una contestazione del tutto generica, non avendo la ricorrente indicato in modo puntuale quali rilievi del c.t.p. non sarebbero stati considerati dal c.t.u.; inoltre, la Cassazione ha accertato che l’adesione del giudice d’appello alle risultanze della c.t.u. è stata sufficientemente motivata.
2. La garanzia per i vizi nel contratto di appalto: contenuto e natura giuridica
La pronuncia della Corte di cassazione in commento affronta il tema del riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore e della sua incidenza sul termine di prescrizione delle azioni che il committente può esercitare nei confronti dell’appaltatore a norma dell’art. 1668 c.c.
Al fine di comprendere appieno le affermazioni contenute nella pronuncia in esame, è opportuno premettere alcuni cenni generali intorno alla garanzia nel contratto di appalto.
Il profilo della responsabilità dell’appaltatore viene disciplinato dall’art. 1667 c.c., a mente del quale l’appaltatore «è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera». Tuttavia, secondo la norma in esame, la garanzia non è dovuta nell’ipotesi in cui il committente abbia accettato l’opera e le difformità o i vizi fossero da lui conosciuti o riconoscibili, purché, in quest’ultimo caso, non siano stati in malafede taciuti dall’appaltatore.
Il contenuto della garanzia, giusta la previsione dell’art. 1668 c.c., consiste nell’eliminazione dei vizi a spese dell’appaltatore o nella proporzionale riduzione del prezzo, salvo il risarcimento del danno nel caso ricorra la colpa dell’appaltatore. Nell’eventualità in cui le difformità o i vizi dell’opera siano tali da renderla «del tutto inadatta alla sua destinazione», il committente può chiedere la risoluzione del contratto (art. 1668, secondo comma, c.c.).
Dottrina e giurisprudenza si sono poste numerose volte il problema della natura giuridica di una simile “garanzia”[2].
Una prima impostazione ritiene che la garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. sia una garanzia in senso tecnico. Secondo questa tesi, la garanzia in questione costituirebbe, per l’appaltatore, un’obbligazione distinta e ulteriore rispetto a quella principale di eseguire l’opera commissionata[3]. L’appaltatore, in altri termini, assumerebbe il rischio che l’opera realizzata presenti vizi o difformità, e pertanto assicurerebbe al committente un indennizzo per l’eventualità in cui tali imperfezioni dovessero manifestarsi[4].
Una seconda impostazione afferma, invece, che la garanzia cui è tenuto l’appaltatore configuri un’ipotesi di responsabilità per inesatto adempimento, sebbene presenti una serie di differenze rispetto all’ordinaria responsabilità contrattuale, per ciò che attiene ai presupposti, al contenuto, alle modalità di esercizio[5]. Per chi accede a questa tesi, l’appaltatore assume esclusivamente l’obbligo di eseguire l’opera commissionata: la soggezione dell’appaltatore ai rimedi previsti dall’art. 1668 c.c. deriverebbe, anziché da un’obbligazione autonoma e ulteriore, semplicemente dall’inadempimento rispetto all’obbligo di eseguire l’opera secondo le regole dell’arte (e le determinazioni convenzionali)[6].
La questione profilata non è meramente classificatoria e ha invero rilevanti ripercussioni pratiche, dal momento che nella garanzia in senso tecnico non riveste importanza l’indagine intorno all’elemento psicologico, poiché il garante è tenuto a indennizzare il garantito a prescindere dall’esistenza di un atteggiamento colposo. Ad accogliere la tesi secondo cui l’obbligo dell’appaltatore di eliminare i vizi o le difformità rappresenterebbe una garanzia in senso tecnico, discenderebbe che la garanzia dovuta dall’appaltatore – oltre a configurarsi come obbligazione nascente direttamente dal contratto di appalto – troverebbe applicazione indipendentemente dalla valutazione della sua colpa[7].
L’orientamento per primo esposto, che ravvisa nella garanzia de qua un’autonoma obbligazione, risulta oggi minoritario sia in dottrina sia in giurisprudenza. Nettamente prevalente è la seconda soluzione, che qualifica la garanzia dell’appaltatore come una forma di responsabilità contrattuale per inadempimento[8].
Ad ogni modo, anche l’inquadramento della garanzia dell’appaltatore come ordinaria responsabilità da inadempimento apre ad una duplice lettura del requisito della colpa, poiché tale responsabilità potrebbe essere ricondotta tanto al modello della responsabilità per colpa, quanto al modello della responsabilità oggettiva.
Chi afferma la natura oggettiva della responsabilità dell’appaltatore si basa, principalmente, sull’art. 1668 c.c., a mente del quale la colpa dell’appaltatore è richiesta soltanto per il risarcimento del danno, e non anche per la riduzione del corrispettivo o per l’eliminazione dei vizi[9]. Per questi autori, e per la giurisprudenza che accede a questa tesi, elemento necessario e sufficiente a far scattare la responsabilità dell’appaltatore sarebbe l’esistenza di un nesso di causa, consistente nell’«imputabilità dei difetti riscontrati alla sfera di organizzazione e controllo dell’appaltatore», che solo un evento fortuito potrebbe eclissare[10].
Altra dottrina ritiene, invece, che la responsabilità dell’appaltatore dovrebbe necessariamente fondarsi sull’elemento soggettivo della colpa, e ciò in quanto non è ammessa la configurazione di ipotesi di responsabilità oggettiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. A tal riguardo, questa dottrina puntualizza che i rimedi assegnati al committente dalla disciplina dell’appalto non sono rimedi eccezionali, poiché costituiscono applicazione delle previsioni in materia di inadempimento delle obbligazioni[11].
3. Il riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore
L’art. 1667, secondo comma, c.c. stabilisce che il committente decade dalla garanzia se non denuncia tempestivamente – ossia entro 60 giorni dalla scoperta – le difformità o i vizi all’appaltatore. Tuttavia, secondo la norma, tale denuncia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto i vizi o le difformità.
Ne discende che la conseguenza del riconoscimento dei vizi risiede nel superamento dell’eventuale decadenza dalla possibilità di invocare la responsabilità dell’appaltatore in cui dovesse essere incorso il committente[12].
Come chiarito dalla dottrina, il riconoscimento deve essere successivo all’accettazione dell’opera, perché se fosse contemporaneo, o addirittura anteriore, il vizio diventerebbe palese per il committente e dunque questi, accettando l’opera, non potrebbe più esperire l’azione di responsabilità nei confronti dell’appaltatore[13]. Non è invece necessario che il riconoscimento dei vizi avvenga entro il termine di decadenza stabilito per la loro denuncia, potendo così sopraggiungere anche una volta che sia decorso il termine di decadenza di sessanta giorni stabilito dal legislatore[14].
Per poter ritenere il committente esonerato dall’obbligo di tempestiva denuncia delle difformità e dei vizi dell’opera, non è sufficiente la semplice conoscenza dei vizi da parte dell’appaltatore. Occorre, invece, il riconoscimento di essi, vale a dire una dichiarazione – di scienza – con cui l’appaltatore, dopo – per le ragioni più sopra ricordate – che il committente abbia accettato l’opera, dichiari di conoscere le difformità e/o i vizi di cui è affetta l’opera realizzata[15].
La Corte di cassazione ha sottolineato che il riconoscimento, da parte dell’appaltatore, dei vizi non è soggetto al rispetto di alcuna forma, e pertanto, oltre che in forma espressa, potrà essere effettuato anche in maniera tacita o per fatti concludenti (fra cui rientra l’assunzione, da parte dell’appaltatore, dell’impegno di provvedere all’eliminazione dei vizi)[16].
Sia la dottrina che la giurisprudenza ritengono che il riconoscimento dei vizi non debba accompagnarsi dalla confessione stragiudiziale della propria responsabilità. Pertanto, sussiste riconoscimento rilevante ex art. 1668, secondo comma, c.c. anche nell’ipotesi in cui l’appaltatore ammetta l’esistenza del vizio o della difformità e, contestualmente, neghi di doverne rispondere, in qualsiasi modo e per qualsiasi ragione[17].
Quanto appena esposto ribadisce, a fortiori, che l’effetto del riconoscimento risiede nel rendere superflua la tempestiva denuncia da parte del committente. Tuttavia, poiché l’oggettiva presenza di vizi o difformità costituisce inadempimento, e poiché la colpa del debitore – secondo le regole ordinarie – è presunta, nel senso che incombe su di lui la prova liberatoria, occorre constatare che anche il semplice riconoscimento dei vizi farà presumere la colpa dell’appaltatore. Spetterà, quindi, a costui, fornire la prova che i vizi non sono a lui imputabili, avendo egli eseguito l’opera secondo le regole dell’arte[18].
Una delle questioni più dibattute, sia in dottrina sia in giurisprudenza, relativamente al tema oggetto di discussione, riguarda l’effetto o meno novativo del riconoscimento dei vizi che si accompagni anche dall’assunzione dell’impegno dell’appaltatore ad eliminarli (c.d. riconoscimento operoso).
Secondo un’interpretazione che è stata a lungo condivisa dalla dottrina e dalla giurisprudenza, l’assunzione di un impegno ad eliminare i vizi farebbe sorgere a carico dell’appaltatore un’obbligazione nuova e diversa da quella assunta con la stipulazione del contratto di appalto[19]. Secondo questa tesi, con il riconoscimento c.d. operoso l’appaltatore determinerebbe il sorgere di un nuovo rapporto, che si sostituisce a quello originario, e che è fonte di una nuova obbligazione, svincolata dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1667 c.c. e, dunque, soggetta all’ordinario termine prescrizionale di dieci anni[20]. È stato poi puntualizzato che, da un lato, l’assunzione di tale nuova ed autonoma obbligazione non necessita di alcuna accettazione formale da parte del committente e che, dall’altro lato, la nuova obbligazione sussiste solo nei limiti in cui l’appaltatore l’ha riconosciuta, ossia solo per i difetti ammessi e per l’entità ad essi attribuita[21].
Ad una conclusione diversa dall’effetto novativo del riconoscimento operoso è giunta altra dottrina, seguita dalla giurisprudenza, dapprima in tema di compravendita. Con riferimento a questo schema negoziale, è stato affermato che l’impegno del venditore di eliminare i vizi che rendono il bene inidoneo all’uso, o che ne diminuiscono apprezzabilmente il valore economico, non dà vita ad una nuova obbligazione estintiva-sostitutiva, ma, più semplicemente, consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c.[22].
La dottrina e la giurisprudenza hanno gradualmente trasfuso nel rapporto di appalto il principio affermatosi in materia di compravendita, così escludendo l’effetto novativo e qualificando l’impegno assunto dall’appaltatore come comportamento finalizzato a far ottenere al committente il risultato, non ancora conseguito, che questi aveva diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di appalto: ossia, l’esatto adempimento. Tale conclusione poggia sul richiamo all’art. 1176 c.c., in tema di diligenza nell’adempimento, e all’art. 2058 c.c., sull’adempimento in forma specifica, nel senso che, come spiegato dalla dottrina, «l’impegno sostitutivo-riparatorio può finire per essere compreso all’interno del momento funzionale del rapporto obbligatorio, con esclusione della necessità di ricorrere alla novazione del rapporto originario»[23].
La stessa giurisprudenza ha pertanto affermato che l’impegno assunto dall’appaltatore di eliminare i vizi «non rappresenta un quid novi con effetto estintivo/modificativo della responsabilità», bensì «un quid pluris», ossia «un comportamento finalizzato all’esatto adempimento della prestazione e a fare ottenere il risultato che [il committente] aveva diritto di conseguire stipulando il contratto di appalto»[24].
Si è così ritenuto che, non determinando l’assunzione spontanea dell’impegno di eliminare i vizi un effetto novativo dell’originaria obbligazione, la prescrizione, venuta meno la regola eccezionale di cui all’art. 1667 c.c., decorra secondo il termine ordinario di dieci anni previsto dall’art. 2946 c.c.[25].
4. Conclusioni: continuità con i recenti orientamenti in tema di riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore
Nel caso portato all’attenzione della Suprema Corte è emerso che, durante l’esecuzione dei lavori previsti dal contratto di appalto, si era manifestato un allagamento del locale interrato; a seguito di tale evento, pur in assenza di una formale denuncia del vizio da parte del committente, la società appaltatrice aveva eseguito alcuni pozzi di raccolta delle acque di falda, risultati tuttavia inidonei ad eliminare il vizio. La Corte d’Appello, nel ritenere preclusa la domanda di accertamento dei vizi delle opere, svolta in via riconvenzionale dal committente, aveva ritenuto che i vizi fossero stati denunciati dal committente all’appaltatore solo con la comparsa di costituzione e risposta e, dunque, tardivamente.
La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 30786/2023, ha accolto la censura avverso detta statuizione perché, come ricordato dai giudici di legittimità, «l’appaltatore, attivandosi per rimuovere i vizi denunciati dal committente, tiene una condotta che costituisce tacito riconoscimento di quei vizi, circostanza che - senza novare l’originaria obbligazione gravante sull’appaltatore - ha l’effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all´art. 1667 c.c.».
Dall’ordinanza esaminata emerge, indubbiamente, la continuità con gli orientamenti giurisprudenziali recentemente affermatisi in tema di riconoscimento dei vizi nel contratto di appalto. In primo luogo, la Cassazione condivide l’assunto secondo cui il riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore non è soggetto ad una forma determinata e «può esprimersi attraverso qualsiasi manifestazione, purché univoca e convincente». In secondo luogo, la Corte ribadisce che tale riconoscimento non produce alcun effetto novativo dell’originaria obbligazione gravante sull’appaltatore e determina soltanto l’effetto «di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1667 c.c.». In terzo luogo, i giudici di legittimità hanno ribadito come, ai fini della validità del c.d. riconoscimento operoso per gli effetti previsti dall’art. 1667, secondo comma, c.c. non è necessario che il riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore si accompagni alla confessione stragiudiziale della propria responsabilità
[1] Come ricordato dalla Cassazione, sempre con la pronuncia in esame, il giudice del merito non è tenuto «a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificatamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata».
[2] Per un approfondimento, si veda, sin d’ora, G. VILLANACCI, Appalto, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg.***, I, Torino, 2007, 43 ss., spec. 61 ss.; B. GRAZZINI, Natura giuridica della garanzia per vizi nell’appalto e nella vendita e onere della prova in materia di inadempimento contrattuale, in Contr. impr., 2013, 2, 466 ss.; A. CAMEDDA, La «garanzia» per le difformità e i vizi nell’appalto, in Resp. civ. prev., 2020, 4, 1097 ss.
[3] G. VILLANCCI, Appalto, cit., 62; A. CAMEDDA, La «garanzia», cit., 1099. Secondo questa ricostruzione, dunque, l’appaltatore assumerebbe due distinte e autonome obbligazioni: quella di eseguire l’opera commissionata e, secondariamente, quella di garantire il committente qualora l’opera realizzata presenti difformità o vizi.
[4] A. CAMEDDA, La «garanzia», cit., 1099.
[5] A. CAMEDDA, La «garanzia», cit., 1099.
[6] A. CAMEDDA, La «garanzia», cit., 1099-1100.
[7] G. VILLANACCI, Appalto, cit., 62; A. Camedda, La «garanzia», cit., 1099.
[8] B. GRAZZINI, Natura giuridica della garanzia, cit., 472-473.
[9] Dispone, infatti, l’art. 1668 c.c. che «Il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore».
[10] B. GRAZZINI, Natura giuridica della garanzia, cit., 473; A. CAMEDDA, La «garanzia», cit., 1100.
[11] B. GRAZZINI, Natura giuridica della garanzia, cit., 473-474; A. CAMEDDA, La «garanzia», cit., 1100; G. VILLANACCI, Appalto, cit., 62-63. Al di là della rilevanza della questione su un piano teorico, vi è chi nota come, da un punto di vista concreto e applicativo, le differenze tra i due orientamenti finiscano per assottigliarsi, perché «la concreta riconducibilità dei difetti dell’opera ad un evento fortuito è di per sé rara… [e] perché il rigore con cui la prova liberatoria è intesa dai fautori della tesi della responsabilità contrattuale fondata sulla colpa finisce per rendere assai marginali i casi di effettivo esonero dell’appaltatore da responsabilità»; in questi termini, A. CAMEDDA, op. cit., 1101.
[12] G. MUSOLINO, Appalto. Riconoscimento operoso dei vizi e diligenza dell’appaltatore, in Resp. civ. prev., 2013, 4, 1207 ss., 1208.
[13] C. MUCIO, Riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore e natura della garanzia, in I Contratti, 2001, 5, 475 ss., 480.
[14] Come affermato anche da Cass. civ., sez. II, sentenza del 5 settembre 2000, n. 11672. In dottrina, C. MUCIO, Riconoscimento dei vizi, cit., 480.
[15] G. MUSOLINO, Appalto, cit., 1209.
[16] In questo senso, Cass. civ., sez. I, sentenza del 20 giugno 2000, n. 8384.
[17] In questo senso, Cass. civ., sez. II, sentenza del 9 novembre 2000, n. 14598. In dottrina, C. MUCIO, Riconoscimento dei vizi, cit., 480. G. MUSOLINO, Appalto, cit., 1210 ss.
[18] G. MUSOLINO, Appalto, cit., 1211.
[19] In questo senso, Cass. civ., sez. II., sentenza del 9 novembre 2000, n. 14598. In dottrina, C. MUCIO, Riconoscimento dei vizi, cit., 480.
[20] C. MUCIO, Riconoscimento dei vizi, cit., 480. G. MUSOLINO, Appalto, cit., 1212-1216. L’effetto che viene ricondotto a questa manifestazione di volontà dell’appaltatore è quello di produrre la novazione dell’obbligazione, con conseguente estinzione della preesistente obbligazione e sua sostituzione con altra (dal diverso titolo).
[21] G. MUSOLINO, Appalto, cit., 1212-1213.
[22] G. MUSOLINO, Appalto, cit., 1216 ss.
[23] G. MUSOLINO, Appalto, cit., 1218.
[24] Così, Cass. civ, sez. III, sentenza del 20 aprile 2012, n. 6263.
[25] Cass. civ, sez. III, sentenza del 20 aprile 2012, n. 6263; Cass. civ., sez. II, sentenza del 30 maggio 2013, n. 13613. In dottrina, G. MUSOLINO, Appalto, cit., 1216 ss.