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Pubbl. Lun, 23 Ott 2023

Vendita di fiches da parte del Casinò: non utilizzabilità della teoria del collegamento negoziale per applicare l´art. 1933 c.c.

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Andrea Sorrentino
Laurea in GiurisprudenzaUniversità Cattolica del Sacro Cuore



L´articolo si propone di analizzare e commentare la pronuncia Cass. civ., Sez. II, Ord., ud. 02/03/2023, dep. 15/09/2023, n. 26646 in materia di collegamento negoziale nelle obbligazioni naturali, con particolare riferimento ai debiti di gioco.


ENG The article aims to analyze and comment on Cass. civ., Sez. II, Ord., ud. 02/03/2023, dep. 15/09/2023, n. 26646 on the subject of negotiated linkage in natural obligations, with particular reference to gambling debts.


Sommario: 1. Breve cenno ai fatti; 2. Inquadramento sistematico dell'obbligazione naturale; 2.1. Definizione, presupposti ed effetti; 2.2. Il pagamento di un debito prescritto è un'obbligazione naturale?; 3. Collegamento negoziale e statuizioni della Corte di cassazione; 4. Conclusioni.

1. Breve cenno ai fatti 

Il procedimento ad esito del quale viene emanata l’ordinanza in esame trae origine da un’opposizione a decreto ingiuntivo, emesso a favore del casinò - parte resistente, la quale però veniva rigettata dal tribunale, attesa la natura civile – e non, come diversamente sostenuto da parte ricorrente, naturale – dell’obbligazione oggetto di contestazione. 

Il ricorrente impugnava la sentenza dinnanzi alla Corte d’Appello competente che, confermando in toto le motivazioni del giudice di prime cure, rigettava il gravame.

Avverso la sentenza d’Appello veniva dunque presentato ricorso per Cassazione, articolato in due motivi: omessa, insufficiente e contradditoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai senti dell’art. 360, comma 2, n. 5 c.p.c. e violazione e falsa applicazione dell’art. 1933[1].

2. Inquadramento sistematico dell'obbligazioni naturale

2.1. Definizione, presupposti ed effetti

È noto come l’obbligazione naturale rappresenti una sorta di clausola di salvezza dell’ordinamento giuridico e come questa sia uno strumento che consente alla moralità di assumere rilevanza giuridica e di contribuire, inoltre, ad una evoluzione giuridica che tenga in considerazione anche fattori che, tipicamente, “orbitano” al di fuori del contesto giuridico. Si tratta, dunque, di un meccanismo respiratorio che consente all’ordinamento giuridico di adeguarsi all’evoluzione dell’ordinamento morale, secondo la tesi della pluralità degli ordinamenti[2].

L’art. 2034 del Codice civile contiene due categorie di obbligazioni naturali: quelle atipiche, previste al primo comma, e quelle tipiche, disciplinate al secondo comma, nelle quali rientra, appunto, la species dei debiti di gioco ex art. 933 c.c., nonché quelle previste dall’art. 627 del Codice civile[3].

L’obbligazione naturale, per quanto disposto dal 2034 c.c., comporta l’incoercibilità della prestazione – e cioè l’impossibilità di richiederne legalmente l’adempimento -, nonché, come unico ed esclusivo effetto, l’irripetibilità della prestazione effettuata nell’adempimento di un dovere morale o sociale[4].

Tuttavia, non ogni prestazione effettuata nell’adempimento di un dovere morale o sociale soggiace al regime di cui all’art. 2034. Infatti, è altresì necessario che la prestazione possegga determinate caratteristiche, che verranno qui di seguito compendiate.

In primo luogo, è necessario che la prestazione venga adempiuta da un soggetto capace. Ciò si spiega in ragione del fatto che, a differenza dell’adempimento di un’obbligazione civile, il quale rappresenta atto dovuto, la prestazione oggetto dell’obbligazione naturale viene effettuata, appunto, nell’adempimento di un dovere morale o sociale non coercibile e non giuridicamente dovuto.

Inoltre, la norma esige che la prestazione venga adempiuta spontaneamente[5]. Il requisito della spontaneità, soppiantando il precedente requisito della volontarietà, ha suscitato un ampio dibattito sulla natura dell’adempimento dell’obbligazione naturale. 

Per una parte della dottrina[6], questa modifica è inequivocabilmente indicativa della natura di atto giuridico in senso stretto; a differenza della volontarietà, infatti, la spontaneità non richiede la consapevolezza dell’adempimento. Ciò consente di escludere la rilevanza dell’errore del solvens circa la natura doverosa dell’atto che compie[7].

Per un’altra tesi, invece, si tratterebbe di atto negoziale.

A sostegno di tale orientamento viene valorizzata la circostanza che l’adempimento debba essere effettuato spontaneamente e da soggetto capace; secondo questo orientamento, pertanto, tutti i vizi della volontà rileverebbero; tuttavia, potrebbero ipotizzarsi casi in cui l’errore c’è ma non è essenziale[8], e quindi permarrebbe – in questo caso allineandosi alla suesposta tesi dell’atto giuridico in senso stretto - comunque l’irripetibilità della prestazione adempiuta.

Un ultimo requisito affinché possa parlarsi di obbligazione naturale è la proporzionalità. 

Si tratta di un presupposto non espressamente richiesto dalla norma, ma che lo si ricava attraverso due argomentazioni, entrambe di ordine sistematico-interpretativo. Tale ultimo requisito può considerarsi implicito nel concetto di obbligazione naturale, in quanto non sarebbe doveroso, secondo la coscienza sociale, ciò che va oltre quanto è ragionevole fare o pretendere[9].

Ulteriore sostegno della necessità che la prestazione sia proporzionale si ricava implicitamente dall’art. 64 l. fall., il quale menziona espressamente il requisito della proporzionalità per escludere che tali atti rientrino negli atti gratuiti – compiuti nel bienno anteriore alla dichiarazione di fallimento - automaticamente inefficaci.

2.2. Il pagamento di un debito prescritto è un’obbligazione naturale?

Un caso tipicamente ricondotto sotto lo schema dell’obbligazione naturale è rappresentato dall’adempimento del debito prescritto ex art. 2940[10].

Tuttavia, la natura di obbligazione naturale dell’ipotesi appena indicata è stata messa in discussione sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, sulla base di alcune considerazioni qui di seguito sintetizzate.

Sebbene ci sia un forte argomento - a contrario - di ordine letterale, fondato sull’identità terminologica tra l’art. 2034 e l’art. 2940 del Codice civile[11], pare altresì significativa la divergenza che intercorre tra le due disposizioni citate: l’art. 2034 c.c. richiede non solo la spontaneità dell’adempimento, ma esige, altresì, la capacità del soggetto, a differenza dell’art. 2940 il quale richiama solo ed esclusivamente la spontaneità; in questo senso ritenendo applicabile, implicitamente, l’art. 1191 c.c. che ritiene irrilevante l’incapacità del solvens nell’adempimento dell’obbligazione, in quanto atto dovuto[12].

Ad ulteriore sostegno di tale tesi viene addotta una solida argomentazione collegata all’effetto – esclusivo e tipico – riconosciuto all’obbligazione naturale: l’irripetibilità della prestazione. Infatti, è noto come al creditore non è concessa alcun tipo di azione volta a richiedere l’adempimento dell’obbligazione. In materia di prescrizione, però, è altrettanto pacifico come la stessa, nell’ambito di un giudizio, non possa essere rilevata d’ufficio dal giudice ma debba essere rilevata dalla parte che se ne potrebbe avvantaggiare; è allora ben ipotizzabile che il creditore possa agire in giudizio, in deroga, appunto, alla tipica caratteristica dell’incoercibilità dell’obbligazione naturale, per richiederne l’adempimento, rappresentando l’eccezione della prescrizione (che viene ricondotta nella forma del diritto potestativo) una mera eventualità. 

Se il diritto potestativo non viene esercitato allora l’obbligazione civile continua a vivere[13], trovando applicazione le norme in materia di obbligazioni civili e non la disposizione di cui all’art. 2034 c.c.

3. Collegamento negoziali e statuizioni della Corte di cassazione

Come già evidenziato, classica figura tipica di obbligazione naturale è rappresentata dal 1933 c.c., peculiare rispetto alle ipotesi previste dai due articoli seguenti. 

Infatti, a differenza dei debiti di gioco, dai quali non scaturisce azione per il pagamento, le scommesse sportive e le lotterie autorizzate – disciplinati rispettivamente agli articoli 1934 e 1935 – attribuiscono al creditore azione per il pagamento; la differente disciplina che il legislatore appronta per questi casi si giustifica in quanto nelle due ultime ipotesi sovviene l’intervento statale che, con strumenti di controllo e vigilanza, certifica che le scommesse e le lotterie avvengano nei limiti della legalità, per esempio imponendo dei limiti di giocata. 

Il sistema delle scommesse viene dunque tendenzialmente classificato nella bipartizione seguente: scommesse meramente lecite (1933 c.c.) e scommesse meritevoli di tutela[14].

Nella prima categoria rientrano le scommesse con una posta di gioco di modesta entità o con puntate più alte nell’ambito di giochi preventivamente autorizzati (roulette, poker ecc.); mentre le scommesse meritevoli di tutela possono concludersi tra scommettitore e organizzatore come nel gioco del lotto o tra gli stessi partecipanti che scommettono gli uni contro gli altri[15].

È proprio con riferimento ai debiti di gioco e, più nello specifico, ai contratti collegati al c.d. “gioco tollerato” – che rientra, appunto, nella prima categoria delle scommesse lecite -, che si sono presentati dei problemi interpretativi con riferimento all’estensione o meno della disciplina delle obbligazioni naturali anche ai contratti collegati. 

Il caso di cui si occupa la Corte di cassazione nell’ordinanza in esame riguarda il contratto di mutuo stipulato fra giocatore e casinò, con il quale il mutuante-casinò si obbliga a prestare al mutuatario-giocatore delle fiches di gioco per consentire di impiegarle nell’attività del casinò stesso. 

Il provvedimento della Corte si pone in una chiara posizione di continuità con quello che pare essere un orientamento ormai consolidato nel panorama giurisprudenziale[16]: il prestito di fiches configura un’ipotesi vera e propria di obbligazione civile e ne risulta, dunque, la conseguente incompatibilità con il regime di cui all’art. 1933 del Codice civile.

La Corte rigetta sin da subito la tesi, patrocinata da parte ricorrente, del collegamento negoziale, ritenendola assolutamente impertinente al caso concreto, in quanto tale opzione ermeneutica può “ravvisarsi solo tra atti negoziali idonei a produrre efetti giuridici, mentre il risultato del gioco non fa sorgere alcuna obbligazione giuridica (salvo l’effetto legale della soluti retentio)”. Inoltre, non sono presenti indici, nel nostro ordinamento, che portano a ritenere che il contratto collegato debba necessariamente essere assoggettato alla medesima disciplina del contratto a cui si collega. 

Infatti, ragionando a contrario, la giurisprudenza[17] ritiene che non tutti i contratti collegati ai contratti di scommesse sportive o lotterie autorizzate diano luogo ad obbligazione civile, ben potendosi verificare dei casi in cui più privati stipulino tra di loro accordi sorretti da fattori irrazionali, che fuoriescono dallo schema delle obbligazioni civili e rientrano in quello delle obbligazioni naturali; la ratio sottesa al riconoscimento dell’azione, nelle ipotesi di cui agli artt. 1934 e 1935, qui viene meno. Gli accordi tra privati che ruotano attorno al gioco, ancorché autorizzato, infatti, restano al di fuori di ogni regolamento, affidati alle passioni “ed alle influenze reciproche, nell’ambito di quei rapporti sociali che la legge considera non meritevoli di tutela, al di fuori dei limitati effetti della soluti retentio”[18].

I Giudici, dunque, seguono un iter argomentativo già fatto proprio dalla giurisprudenza maggioritaria precedente, per cui il fattore determinante affinché possa applicarsi, anche ai contratti collegati, la disciplina delle obbligazioni naturali, è la c.d. condivisione del rischio da parte del mutuante: “occorre, piuttosto che il mutuante venga in antagonismo con il mutuatario, o comunque, unitamente a quello in quanto, pur non effettuando direttamente la giocata, sia in qualche modo anch’egli effettivo destinatario del risultato del giuoco (abbia scelto cioè di correre l’alea tipica del giuoco d’azzardo)[19].

In sostanza, la giurisprudenza demanda all’accertamento della causa in concreto della complessiva operazione negoziale posta in essere dalle parti, attraverso un approccio “sostanzialistico” finalizzato ad accertare la natura dell’obbligazione[20]

Orbene, se il mutuante, nella dazione a prestito delle fiches, non assume il rischio della giocata, il nesso relazionale tra la prestazione di quanto dato a mutuo e l’impiego della stessa non è in grado di oggettivizzare nella causa del contratto di mutuo la finalità di gioco, rimanendo, quest’ultima, nella sfera dei meri impulsi psichici – ergo motivi – ed essendo, inoltre, “irrilevante a tal fine la mera consapevolezza della destinazione finale delle somme prestate”[21].

4. Conclusioni

Risulta condivisibile la conclusione patrocinata dalla Corte di cassazione, la quale conferma un orientamento ormai già consolidatosi nella giurisprudenza e accolto anche dalla dottrina maggioritaria.

L’accoglimento della tesi diametralmente opposta, come avanzata e sostenuta da parte ricorrente, avrebbe inequivocabilmente creato un vulnus di tutela significativo in capo al creditore assolutamente ingiustificato; se, infatti, l’adempimento di un dovere morale o sociale provoca, come unico effetto, la sua irripetibilità (unica tutela approntata dall’ordinamento giuridico), così non può essere per un contratto di mutuo fonte di obbligazione civile che attribuisce – alle condizioni sopra descritte – di certo azione per il suo adempimento. Viene meno, dunque, la ragione giustificatrice del minore disinteresse dell’ordinamento giuridico nei confronti delle obbligazioni naturali rispetto alle obbligazioni civili.


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’articolo in questione prevede un’ipotesi di obbligazione naturale tipica, che è il debito di gioco, disciplinato nei termini che seguono: “Non compete azione per il pagamento di un debito  di  giuoco  o  discommessa, anche se si tratta di giuoco o di scommessa non proibiti. Il perdente tuttavia non può ripetere quanto abbia  spontaneamente pagato dopo l'esito di un giuoco o di una scommessa in cui non vi sia stata alcuna frode. La ripetizione è ammessa  in  ogni  caso  se  il perdente e' un incapace.

[2] R. GIOVAGNOLI, Manuale di Diritto civile, II edizione, 2022, Torino, p. 665.

[3] La norma, rubricata “Disposizione fiduciaria”, così recita: “Non e' ammessa azione in giudizio per accertare che le disposizioni fatte a favore di persona dichiarata  nel  testamento  sono  soltanto apparenti e  che  in  realta'  riguardano  altra  persona,  anche  se espressioni del testamento possono indicare o far  presumere  che  si tratta di persona interposta. 

  Tuttavia la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni  alla  persona voluta dal testatore, non puo' agire per la  ripetizione,  salvo  che sia un incapace. 

  Le disposizioni di questo articolo non si applicano al caso in  cui l'istituzione o il legato son impugnati come  fatti  per  interposta persona a favore d'incapaci a ricevere.”

[4] Sulla disgiunzione “o” tra morale e sociale c’è, sia in dottrina sia in giurisprudenza, uno spartiacque tra una interpretazione letterale della norma, in base alla quale a giustificare l’irripetibilità della prestazione sarebbe alternativamente sufficiente sia una spinta meramente interna (e quindi moralità) sia una spinta esterna (sociale); per un’altra tesi, invece, la norma, nella parte in cui prevede la disgiunzione, andrebbe interpretata sistematicamente e in senso anti letterale. È solo in questa direzione – si deve trattare, cioè, di una prestazione ritenuta doverosa non solo dal singolo ma anche dalla società – che si riuscirebbe a spiegare la differenza tra la donazione rimuneratoria e l’obbligazione naturale.

[5] P. FRANCESCHETTI, Obbligazioni naturali, 26/02/2016, in Altalex.com.

[6] F. GAZZONI, Manuale di Diritto privato, ed. 2021, 570 ss.

[7] È irripetibile, pertanto, il pagamento fatto nell’erroneo convincimento di adempiere un’obbligazione civile.

[8] Si veda F. FRANCESCHETTI, Obbligazioni naturali, op. cit., che cita, come caso esemplare di errore essenziale, l’ipotesi di adempimento dell’obbligazione a seguito di una diffida formale proveniente, per esempio, da un avvocato.

[9] C.M. Bianca, Diritto civile, L’obbligazione, Milano, 2011, 785 ss.

[10] Rubricato “pagamento del debito prescritto”, così recita: “Non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto”.

[11] Attraverso il quale, appunto, si tenta di fornire un fondamento giustificativo alla natura naturale – e non civile – del debito prescritto.

[12] C. CUNSOLO, Le obbligazioni naturali: l’ipotesi del pagamento del debito prescritto, 14.06.2021, in Egregioavvocato.it.

[13] Ibidem.

[14] A. MATRICARDI, Gioco e scommessa, 24.05.2018, in Altalex.com.

[15] Ibidem.

[16] Cfr. Cass., sez. III, 2.04.2014, n. 7694; Trib. Aosta, 11.03.2021, n.77; Cass., sez. I, 2.09.2004, n. 17689; Cass., sez. I, 6.04.1992, n. 4209; Cass., sez III, 31.01.2008, n. 2386.

[17] Si veda Cass., sez. III, 7.10.2011, n. 20622 in cui si statuisce, testualmente, che “nulla autorizza ad estendere la medesima disciplina [e cioè degli articoli 1934 e 1935 c.c.] ai molteplici e variegati accordi che possono ruotare intorno al giocatore ed ai suoi compari, ma che vengano ad assumere alcuna evidenza esterne, né alcun rilievo, nei confronti dell’ente organizzatore del gioco. Le leggi che regolano il gioco del lotto, citate dalla ricorrente, non contengono alcun accenno a tal genere di accordi e neppure formalmente prevedono la possibilità che la ricevuta della giocata sia intestata a più persone. L’eventuale intestazione plurima darebbe senz’altro luogo ad azione in giudizio, venendo ad istituire un rapporto diretto fra i giocatori e la lotteria. Ma la stessa regola non può valere per gli accordi meramente privati fra 1 giocatori, che si svolgono con modalità normalmente Inidonee a fornire alcuna certezza in ordine al relativi contenuti (non a caso è largamente controversa, nella specie, la stessa esistenza dell’accordo) ed avvengono sotto la spinta di motivazioni largamente influenzate da fattori irrazionali […]

[18] Ibidem.

[19] Così Cass., sez. III, 2.07.2019, n. 17686; Cass., sez. III, 27.05.2019, n. 14375.

[20] Cfr. Cass., sez. I, 26.10.2015, n. 21712 in cui si riconosce natura di obbligazione naturale del contratto di mutuo al verificarsi delle seguenti condizioni: “a) la diretta compartecipazione del mutuante nel giuco svolto con il mutuatario (condivisione del rischio); b) l’interesse economico diretto del mutuante al risultato dell’attività del mutuatario (conseguimento di utili dalla giocata”.

[21] Si veda Cass. n. 17686/2019 cit.