Pubbl. Lun, 9 Ott 2023
L´utilitas publica nell´amministrazione
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Maria Liberti
Il termine utilitas racchiude in se un concetto che come qualsiasi altro concetto giuridico è costituito da una matrice linguistica che si accosta alla natura dell´uomo. Il termine utilitas nel diritto è attualmente molto utilizzato. Questa ricerca si concretizza in un´analisi esegetica di vari testi pervenuti nel corso della storia del Diritto Romano, dove rinveniamo l´utilizzo frequente sia del termine utilitas sia il suo accostamento al termine publica. L´uso del termine utilitas è frequente nelle fonti Severiane accostato al termine publica . L´analisi esegetica dei vari testi presenti nella ricerca, dove si impiega il termine utilitas publica, vanno a delineare uno schema diviso in quattro ambiti determinati ovvero: stato delle persone, interesse pubblico/privato e amministrazione.
The public utility in administration
The term utilitas embodies a concept which, like any other legal concept, is made up of a linguistic matrix that approaches the nature of man. The term utilitas is currently widely used in law. This research takes the form of an exegetical analysis of various texts received throughout the history of Roman Law, where we find the frequent use of both the term utilitas and its combination with the term publica. The use of the term utilitas is frequent in Severan sources combined with the term publica. The exegetical analysis of the various texts present in the research, where the term utilitas publica is used outlines a scheme divided into four specific areas, namely: state of people, public and private interest, administration.Sommario: 1. I municipia e l’autonomia amministrativa; 1.1 Munus publicum; 1.2 Civitates e Collegia; 2. Collegia e corpora: immunità e privilegi; 2.1 Utilitas publica e immunitates; 3. I municipia, le civitates, e i collegia; 3.1 La publica utilitas e la necessitas in Callistrato; 4. Da corpi intermedi ad organismi amministrativi; 5. Brevi considerazioni finali.
1. I municipia e l’autonomia amministrativa
La giurisprudenza Romana individua come centri di funzioni giuridiche non soltanto le persone fisiche, ma anche entità diverse; ovvero figure pubbliche aventi funzioni similari alla persona singola, andando a delineare una bipartizione tra figure pubbliche a cui son attribuite funzioni riconducibili allo stato e figure private riconducibili all’utilitas singulorum. In questo modo si è andata delineando la figura della persona giuridica. La nozione di persona giuridica è costruita su concetti provenienti dal Corpus Iuris.[1].
Quello sul quale si sono soffermati i giuristi romani è di individuare un ente titolare di relazioni, ma caratterizzato da autonomia patrimoniale e con obblighi e funzioni separate dai soggetti che lo compongono. La giurisprudenza Romana individua come aggregazione di persone, attraverso una visione comune i municipia[2], le civitates e i collegia. I giuristi in questa visone comune di queste tre strutture si sono soffermati maggiormente sulla titolarità di relazioni giuridiche private, sugli effetti degli atti di cui esse siano eventualmente destinatarie e i relativi effetti, nonché i privilegi a queste riconosciute.
Ora passiamo ad un’analisi delle singole strutture. I municipia sono costituiti da cittadini delle popolazioni conquistate da Roma formando così una sorta di organizzazione. A Roma era previsto un sistema di organizzazione dei rapporti con le comunità conquistate basate sull’annessione.
L’annessione avveniva con diverse modalità infatti poteva esserci l’annessione con riconoscimento della piena cittadinanza optimo iure, oppure il non pieno riconoscimento della cittadinanza ovvero sine suffragio che comportava il non pieno riconoscimento dei diritti politici. Roma principalmente era solita ammettere una parte della comunità sottomessa alla sconfitta, lasciandola per la restante parte come comunità autonoma.
Il punto centrale dell’autonomia si sostanzia nella figura del municipio. Il municipio pian piano si trasformò per Roma in uno strumento di integrazione. Abbiamo Ulp,2 ad ed in D.50.1.1.1: “Et proprie quidem municipes appellantur muneris praticipes, recepti in civitate ut munera nobiscum tacerent: sed nunc abusive municipes dicemus suae cujusque civitatis cives; ut puta campanos, puteolanos”.[3][E certamente quelli che partecipano ad un dovere <munus> sono chiamati abitanti di un municipio accolti nella cittadinanza romana, affinchè compiano insieme a noi i doveri].[4]
Ci soffermiamo sul termine <munus>, che in generale viene accostato ad una prestazione di una certa attività, una funzione, un compito. Alla luce del tema qui analizzato, il termine munus viene accostato ad officium in ambito amministrativo, individuando così le regole o più precisamente i doveri inerenti alla sfera pubblica. Il termine munus viene accostato ora al munus publicum ora al munus civile o privatum, non individuando mai un univoco significato del termine.
Da testi di Pomponio[5] si evince che il termine munus fosse associato ad un’attività ovvero servizio pubblico del privato; andando ad effettuare una netta differenziazione dall’officium del magistrato. Il termine munus si contrappone ad honos, e gli studiosi di diritto romano spesso hanno individuato tale contrapposizione. Giuristi hanno invece spesso accostato il termine honos e munus come facenti parte della medesima realtà amministrativa.
Ulpiano[6], Marciano[7], Modestino[8] invece rimandano il termine munus alle sole attività onerose. Honos è un termine che indica riconoscenza verso qualcuno, in ambito politico; si sostanzia in un atto il più delle volte del popolo che conferisce una magistratura, una carica. Ma torniamo ora all’analisi del minicipium, tornando in seguito all’analisi del munus. Abbiamo già detto che il municipio si trasforma pian piano in uno strumento di integrazione per Roma dal punto di vista amministrativo.
Quindi attraverso l’annessione vi era l’estensione della cittadinanza Romana alla comunità sottomessa, che terminava così di essere civitas. L’amministrazione veniva svolta da organi del municipio; in base al tipo di annessione cambiava l’amministrazione in termini di condizioni del municipio.Infatti le condizioni di amministrazione derivavano da due ipotesi; la prima si verificava nel corso in cui attraverso un foedus vi era un incorporazione concorde della comunità annessa alla città Romana; la seconda invece prevedeva un annessione conseguente ad un atto unilaterale senza condizioni. Da ciò si scaturisce a seconda dei casi una distinzione fra municipia optimo iure e sine suffragio.
I municipia optimo iure godeva di una piena autonomia, caratterizzata da un proprio senato, assemblee del popolo e proprie magistrature; altresì avevano una propria giurisdizione estesa anche ai nuovi cittadini, che godevano ugualmente dell’elettorato attivo e passivo da esercitare nelle assemblee. Mentre i municipia sine suffragio non godevano di un’autonomia paragonabile agli optimo iure, infatti non venivano riconosciuti agli abitanti diritti politici; l’amministrazione interna variava, i municipia conservavano i propri organi di governo, ma in determinate ipotesi vi era una totale assenza di autonomia e l’amministrazione veniva svolta direttamente da Roma. Le condizioni per la totale mancanza di autonomia variavano in base al grado di resistenza che la comunità aveva posto in essere nei confronti dei Romani. Come abbiamo detto l’amministrazione Romana era caratterizzata dal principio di autonomia amministrativa, infatti con il tempo i municipia sine suffragio andarono a ridursi, generalizzando i municipia optimo iure di lì a poco dalla guerra sociale.[9]
Mentre invece nella formulazione di Paolo l’elemento comune alle tre definizioni di municipium è rappresentato dall’integrazione dei genera hominum nella piena cittadinanza Romana: 1)Qui post ali quot annos cives romani effecti sunt; 2) quorum civitas universa in civitatem romanam venit; 3) qui ad civitatem romanam ita venerunt.[10]
Paolo divide quindi i municipia in tre categorie distinte dalla modalità con cui ciascun genera hominum sia pervenuto alla cittadinanza Romana. La prima è formata da quel genus hominum costituito da cittadini che venuti a Roma, ad essi erano riconosciuti tutti i diritti e doveri dei cittadini Romani, ad eccezione dell’elettorato attivo e passivo: in un secondo momento però divennero cittadini a tutti gli effetti. Quindi in questo caso la cittadinanza è stata concessa a singole comunità; solo in seguito con provvedimenti specifici. Paolo fa riferimento ai cives sine suffragio , infatti a questi inizialmente nello Stato Romano non venivano riconosciute condizioni di parità; solo successivamente in tempi diversi hanno ottenuto la piena cittadinanza, essendo iscritti nelle liste del censimento come cives sine suffragio.
Nella seconda categoria di municipia appartengono quelle comunità che hanno ricevuto unitariamente la cittadinanza romana. In questo caso la cittadinanza è stata concessa in blocco alla comunità attraverso provvedimenti specifici. Infine rientrano nella terza categoria quelle comunità che hanno ricevuto il riconoscimento della cittadinanza romana a seguito della guerra sociale. Nell’ultima ipotesi la cittadinanza è stata quindi concessa sempre in blocco a singole comunità attraverso dei provvedimenti di carattere generale.
Quindi attraverso la struttura logica individuata da Paolo in riferimento ai municipia possiamo effettuare una precisazione tra la prima categoria nella quale rientrano i cittadini in origine sine suffragio; alla seconda categoria nella quale rientrano i cittadini sin dall’origine optimo iure; infine alla terza categoria di municipia si fanno rientrare quelli istituiti da precedenti città o colonie latine a seguito della guerra sociale.[11]
1.1 Munus publicum
Ritorniamo ora ad analizzare il termine munus individuato già in precedenza in Ulp, 2, ad ed in D.50.1.1.1. Ritroviamo il termine munus nel frammento di Varrone[12] nel De lingua Latina; questi frammento ci aiuta a capire il significato e valore che il termine assume nell’età Ciceroniana. Varro ling.5.179: Munus quod muto animo qui sunt dant officii causa. Alterum munus quod muniendi causa imperatum.[13 Poniamo in via preliminare questo frammento in raffronto con un altro di Paulo che spiega il significato del termine munus. Paul. Fest. 125 Lindsay: Munus significant officium cum dicitur quis munere fungi; item donum quod officii causa datur.[14] Paulo nel frammento accosta il termine munus ad officium come già precedentemente accennato; munus è sinonimo di officium, designando una prestazione di fare un facere che assume varie accezioni; il facere è l’essenza del munus. Nell’opera filosofica di Cicerone de Cato Maior[15]il termine officium e munus si incontrano delineando in maniera unitaria tutto ciò che è eticamente conveniente attraverso l’attività umana. Ma il riferimento etico riguarda l’officium per cui l’accostamento al munus può anche non esserci.
Cato 72: Senectutis autem nullus est certus terminus recteque in ea vivitur quoad munus officii exsequi et tueri possis.[16 In Cicerone il termine munus viene accostato al lavoro dei funzionari tolemaici o dei re peregrini, ed anche l’adempimento della mansione assegnata da Dio all’uomo. Rab. Post. 28: Oderat vestitum etiam illum, sed sine eo nec nomen illud poterat nec munus tueri.[17]
Il termine munus viene individuato spesso anche come munus publicum in riferimento alle esenzioni onerose a favore dello Stato, sostenute da peregrini e cives. Nel V editto di Augusto ai Cirenei i munera delineano funzioni pubbliche come giurato del consiglio per una questione. I giuristi del I secolo a.C. si soffermarono maggiormente sugli officia, non analizzando l’accostamento invece al munus. Solamente Ulpiano analizzò il rapporto tra munus e donum, in età di Augusto Labeone.
Dig. 50.16.194(Ulp. libro quadragenisimo tertio ad edictum). Inter donum et munus hoc interest quod inter genus et speciem: nam genus esse donum Labeo a donando dictum, munus speciem: nam munus esse donum cum causa, et puta natalicium, nuptalicium[18]. Il giurista inserisce il termine munus nello schema genus-species, schema caratterizzante la tipica logica giuridica romana, quindi riduce il munus a species di questo genus, andando a sottolineare il disinteresse per altri significati del termine. Andiamo ora invece ad individuare che in Cicerone principalmente il termine munus publicum va ad essere accostato alla vita della res publica romana.[19]
Cicerone contrappone il munus publicum agli studia nella gestione abituale della rei publicae, infatti nel De officiis, munus publicum sta ad indicare il negozio attraverso il quale viene esercitata l’attività pubblica dei cittadini. I giuristi spesso accostano come già detto il termine munus publicum a honor[20]; sono questi concetti diversi che possono cogliere uno stesso fenomeno. L’honor sta ad indicare quella posizione superiore di colui che gestisce la cosa publica, mente munus indica l’operare ovvero delinea un’attività generica. Quindi individuiamo un’unione tra munus e honor, non sempre però è così. Non è investito dell’honor gli iudices privati, i membri dei consilia questionum. Cicerone usa frequentemente il termine munus publicum. Munus publicum alla fine del I secolo viene ancora utilizzato per indicare le funzioni effettuate in riferimento alla vita pubblica. Quindi sono munera publica i tributi dei provinciali, i compiti dei magistrati provinciali, i compiti del principe.
Essendo la magistratura un honor la vocatio dei munera publica non può essere richiamata da chi ha una carica magistratuale. Dig. 50.4.12, Iavol. Libro sexto ex Caaio: cui muneris publici vocatio datur, non remittitur ei, ne magistratus fiat, quia id ad honorem magis quam ad munera pertinet. Cetera omnia, quae ad tempus extra ordinem exiguntur, veluit munitio viarum, ab huiusmodi persona exigenda non sunt.[21]
Giuristi affermano la necessità di scindere munus e la dignitas che accompagna spesso il munus, e altresì di marcare i limiti tra honor e munus, in modo da delineare il significato di munus publicum sul piano giuridico. Come affermato il munus delinea un’attività onerosa, un facere, nella magistratura il munus ovvero l’onere è congiunto con l’honor che indica la posizione di supremazia, ovvero la superiorità della figura del magistrato in questo caso che gestisce la cosa pubblica. Questa distinzione considera al tempo stesso sia separatamente i due aspetti della magistratura, sia la contrapposizione che vi è tra magistratura e munus.[22. Pomponio riprende nuovamente in un suo passo i munera publica.
Dig.50.16.239.3(Pompon. Libro singulari enchiridii): Munus publicum est officium privati hominus ex quo commodum ad singulos universosque cives remque eorum impero magistratus extraordinarium pervenit.[23] Secondo Pomponio il munus publicum non è altro che un officium che un privato adempie per la civitas senza essere investito di alcuna dignitas, rimanendo quindi fuori da suddetta definizione le magistrature. Pertanto il problema della natura giuridica in riferimento al munus non viene analizzato da Pomponio. Né in Pomponio ma neanche in Gaio le attività svolte dai municipes a favore della civitas sono distinte. In Gaio le funzioni municipali sono definite munera publica e ciò si individua nel Dig. 50.1.29: “Gaius libro primo ad edictum provinciale; Incola et his parere debet apud quos incola est, et illis apud quos civis est: nec tantum municipali iurisdictioni in utroque municipio subiectus est, verum etiam omnibus publicis muneribus fungi debet”.[24]
Andando così a sottolineare nel frammento che chi dimora in una civitas diversa da quella di origine è sottoposto alla giurisprudenza municipale ma altresì anche ai munera municipii. In una lettera di Caio Plinio Cecilio Secondo vi è un ulteriore riferimento al munus, egli recita in Ep. I 8,13. “…Sed ut tunc communibus magis commodis quam privatae iactantiae studebamus, quam intentionem effectumque muneris nostri vellemus intelligi”.[25] Andando a delineare il criterio guida di chi dona è il raggiungimento dell’utilitas publica. Ciò delinea una superiorità degli interessi della civitas su quelli individuali quando si compie un’azione benevola. Il riferimento al munus inteso come facere, attività, funzione, in questo caso deve essere utilissimum e non populare, diventando così un esempio per la collettività da seguire.
Quindi l’honor in questo caso inteso come l’insieme di virtù civiche coincide con la civilista che regola nei diversi significati il munus, andando in questo modo ad individuare una figura di cittadino diversa, un cittadino pronto a servire lo Stato, il municipia, l’intera civitas. Garantendo cosi allo stato che ogni singolo adempia al proprio munus, alla propria funzione.
L’honor e il munus vengono qui presentati come due istituti autonomi e obbligatori, contemporaneamente si fissarono modalità per accedere agli honores con inasprimento delle condizioni di accesso, delineandosi così un esercizio di supremazia da parte degli alti dirigenti dei municipia esercitato attraverso mezzi economici e meccanismi amministrativi.[26]
Ritornando ora alla ricerca del significato di munus publicum, questo si arresta alle funzioni pubbliche svolte dai cives nella comunità. Ma alla fine del secondo secolo Callistrato individua in uno schema unitario, tutti i munera che la dottrina ha accolto, individuando l’antinomia tra munus e honor e configurando il munus come obbligo, onere giuridico. Il giurista raccoglie in questo modo le attività con cui si delinea la vita di ogni singolo cittadino, attraverso attività sia pubbliche che private. Dig. 50.4.14.1 Call. Libro primo de cognitionibus: Honor municipalis est administrati rei publicae cum dignitatis gradu sive cum sumptu sive sine erogatione contingens. Munus aut publicum aut privatum est. Publicum munus dicitur quod in administranda re publica cum sumptu sine titolo dignitatis subimus.[27]
Anche qui vi è una distinzione tra munus e honor, sottolineando la non obbligatorietà della presenza di entrambi nei confronti di chi amministra, infatti colui che administrat la rei publicae cum dignitatis non è sempre investito dall’honor.
Vi è altresì un espresso riferimento alla dignitatistipico degli honores, delinenado gli ideali borghesi dell’aristocrazia provinciale, contrapponendosi cosi le funzioni senza l’dignitatise quindi senza l’investitura dall’honor ovvero l’officium privati hominius di Pomponio individuato nel frammento Dig.50.16.239.3(Pompon. Libro singulari enchiridii). In definitiva munus e honor anche se considerati in una diversa valutazione sociale, sono accumunati da un identica natura, essendo entrambi administratio rei publicae.[28]
1.2 Civitates e Collegia
Abbiamo già detto che la giurisprudenza Romana individua come aggregazione di persone, attraverso una visione comune i municipia, le civitates e i collegia. Affrontiamo ora l’analisi delle civitates e dei collegia[29]. Le civitates non sono altro che le comunità cittadine sottoposte al potere di Roma, dove con il tempo viene riconosciuto ad ogni singolo cittadino la condizione di cives Romani.
Bisogna ricordare che in alcuni contesi la civitas è sinonimo di municipium ma può anche indicare un’entità diversa ovvero la colonia. In questo modo individuiamo uno schema convergente tra queste organizzazioni di cittadini che somigliano alla struttura della civitas romana anche essendo subordinate ad essa e non godendo mai di una piena autonomia. Quindi la nozione di civitas comprende anche quella di munucipia e di coloniae[30]. La civitas cosi descritta designa un luogo, una comunità di cittadini, un’organizzazione o più in generale una forma associativa avente come fine il perseguimento di interessi generali. Forme associative che esistono su un determinato territorio regolando la vita della comunità.
L’autonomia delle stesse è in funzione della comunità nei confronti della quale sono sottomesse, ovvero del populus Romanus e sono dette infatti civitate sub imperio populi Romani. L’appartenenza a queste comunità, il sottostare alle norme delle stesse non dipende dalla scelta dei singoli, ma bensì dal potere imposto. Ciascuna di queste comunità può essere al centro di rapporti di diritto privato, infatti tali comunità in certi casi sono considerate singoli individui.
Un equiparazione similare vale anche per i collegia, anche se vi è una diversità fondamentale, infatti queste si formano liberamente a Roma e nei territori dominati dalla stessa. Qui non individuiamo un’organizzazione che regola e organizza la comunità in un determinato luogo, ma bensì solo segmenti di comunità. Non sono portatori di un interesse generale, e vengono in essere volontariamente senza alcuna imposizione. Hanno un’origine antica, e il fine delle stesse è sempre l’interesse della civitas. Infatti tra questi vi sono sempre coloro che svolgono servizi che portano ad entrate pubbliche es. societates publicanorum oppure lavori pubblici. Ai membri di ciascuna organizzazione veniva riconosciuto il potere di porre in essere uno statuto a condizione di non essere in contrasto con l’ordinamento Romano. I soci di ciascun collegium[31] si riunivano periodicamente. Lo statuto regolava i fondi comuni e l’esercizio delle cariche direttive, poteva essere riconosciuta anche una giurisdizione interna nei confronti di chi non rispettava lo stesso.[32
2. Collegia e corpora: immunità e privilegi
Abbiamo effettuato un excursus sui corpi intermedi, ora passiamo ad analizzare il regime speciale degli stessi alla luce della publica utilitas. In riferimento ai privilegi e di conseguenza anche delle relative esenzioni vi è una testimonianza individuata in un frammento di Callistrato nel libro 1 de cognitionibus inserito poi in D. 50.6.6.12: “Quibsdam collegii vel corporibus, quibus ius coeundi lege permissum est, immunitas tribuitur: scilicet eis collegiis vel corporibus, in quibus artificii sui causa unusquisque adsumitur, ut fabrorum corpus est et si qua eandem rationem originis habent, id est idcirco instituta sunt, ut necessariam operam publicis utilitatibus exhiberent. Nec omnibus promiscue, qui adsumpti sunt in his collegiis immunitas datur, sed artificibus dumtaxat. Nec ab amni aetate allege possunt, ut divo Pio placuit, qui reprobavit prolixae vel imbecille admodum aetatis nomine. Sed ne quidem eos, qui augeant facultates et munera civitatium sustinere possunt, privilegiis, quae tenuioribus per collegia distributis concessa sunt, uti posse plurifariam constitutum est”.[33
Il frammento ha ad oggetto l’immunità ovvero l’esenzione da compiere funzioni e attività di interesse della civita, riferita a quelle associazioni quali corpora e collegia, venute in essere attraverso un’autorizzazione rilasciata dalla legge, parliamo delle organizzazioni dove i singoli cittadini in forza della propria professione ne facciano parte, come corporazioni di artigiani e qualsiasi altra corporazione avente lo stesso fine ovvero il porre in essere una prestazione necessaria publicis utilitatibus.
L’immunità di cui parliamo non era rivolta a tutti i membri della corporazione ma solamente agli attivi e non oltre una certa età, come appunto avrebbe stabilito Antonino Pio che disapprovò che uomini anziani o immaturi potessero farne parte. Attraverso vari provvedimenti si stabilì anche che coloro che avessero potuto sostenere i munera ovvero le funzioni imposte dalla civitas, non avevano diritto ai privilegi distribuiti nei collegia ai poveri. Il testo esaminato può essere suddiviso in tre parti corrispondenti a tre tematiche, l’attinenza delle quali alla publica utilitas si ridue ma mai del tutto. Il giurista illustra i principi generali attravero i quali le corporazioni e i singoli facenti parte, avrebbero usufruito di immunitates e privilegia.
Il frammento doveva trattare in primo luogo dei collegium, il cui diritto a riunirsi fosse stato legittimato da un provvedimento legislativo, delineando la qualificazione giuridica attraverso l’attività professionale svolta dai membri dell’organizzazione e qui è giusto il richiamo alle associazioni di artigiani e similari, create per il medesimi fine. La caratteristica essenziale del frammento è appunto l’esenzione dei corpi o collegi dai munera civilia giustificati dalle prestazioni che questi sono pronti a fare per il pubblico interesse.
Nel frammento si sottolinea che la fruizione delle immunità non spetta a soggetti inattivi facenti parte dell’organizzazione anche se gli stessi avessero operato inizialmente le mansioni tipiche della corporazione. Ciò viene rafforzato attraverso la cancellazione dei nominativi degli iscritti se questi non avessero partecipato attivamente alla corporazione, ipotizzando di ravvivarne in questo modo la partecipazione. Ma gli interventi imperiali del II secolo d.C delineano una posizione completamente opposta andando a limitare l’iscrizione ai colegia per coloro che fossero stati impossibilitati di svolgere la mansione tipica del collegio si pensi all’anzianità.
Nel caso di adlectio di soggetti impossibilitati vi sarebbe stata un’impossibilità del collegio di svolgere la sua attività dedita ad una finalità di pubblico interesse. In questo modo Callistrato[34] non fa che confermare una concezione già affermata nell’età del Principato, ovvero che la concessione o il riconoscimento dei benefici non sarebbero stati riconosciuti in forza dell’importanza che aveva la tipologia professionale, ma bensì in base all’utilitas, ovvero in base all’apporto che la corporazione potesse dare alla collettività in termini di utilità.
Infatti i benefici concessi dall’autorità imperiale non erano riconosciuti a tutti, ma venivano concessi in base ad una logica premiale, in base all’apporto che il singolo dava con la propria prestazione. Nella parte finale del frammento vi è un accenno a membri della corporazione che abbiano accresciuto il proprio patrimonio, la propria ricchezza, sottolineando come questi abbiano privatamente continuato a porre in essere le proprie prestazioni, sottolineando altresì che la semplice appartenenza alla corporazione non legittimava automaticamente ad avere accesso ai privilegi.
Nel frammento si vuole sottolineare come vi è una netta preferenza per coloro che fossero stati attivi nella collaborazione, rispetto a coloro i quali avessero invece messo al primo posto gli interessi personali. Infine il giurista ha posto sul piano dell’equità le corporazioni più disagiate, sottolineando che vi era un comportamento scorretto da parte dei benestanti che si sottraessero ai doveri, dove l’unica deroga individuabile era riconosciuta ai colegia tenuiorum posti in essere per finalità diverse da quelle riguardanti la publica utilitas, nella misura in cui erano inseriti soggetti appartenenti a categorie più umili.[35]
2.1 Utilitas publica e immunitates
Ritorniamo ora ad una frase ubicata nella prima part del frammento “..ut necessariam operam publicis utilitatibus exhiberent”, andando ad individuare quella ratio su cui si basa il riconoscimento dell’immunità a muneribus civilibus.
Nel frammento ci si sofferma sulla struttura e funzioni delle corporazioni alle quali vengono riconosciuti i privilegi, individuando come elemento di unione la collaborazione tra le associazioni e le autorità imperiali messe a capo di ogni singolo settore, per il raggiungimento della publica utilitas. Bisogna prendere atto della situazione in età ante severiana e ciò viene descritto in un frammento da Gai. 3 ad ed. prov. D. 3.4.1 pr.-1: “Neque societas neque collegium neque huiusmodi corpus passim omnibus habere conceditur: nam et legibus et senatus consultis et principalibus constitutionibus ea res coercetur. Paucis admodum in causis concessa sunt huiusmodi corpora: ut ecce vectigalium publicorum sociis permissum est corpus habere vel aurifodinarum vel argentifodinarum et salinarum. Item collegia Romae certa sunt, quorum corpus senates consultis atque constitutionibus principalibus confirmatum est, veluti pistorum et quorundum aliorum, et naviculariorum, qui et in provinciis sunt. 1. Quibus autem permissum est corpus habere collwgii societatis sive cuiusque alterius eorum nomine, proprium est ad exemplum rei publicae habere res communes, arcam commune et actorem sive syndicum, per quem tamquam in re publica, quod communiter agi fierique oporteat, agatur fiat”.[36]
Il frammento di Gaio inizia specificando che il porre in essere associazioni non era sorretto da alcuna iniziativa individuale libera, ma bensì la materia era regolata da leges, senatusconsulta e costitutiones principum. Si descrivono le tipologie di atti che legittimavano l’esistenza delle associazioni, ovvero di fonti legislative, inclusa la lex comitialis. Mentre il senatusconsultum oramai avente efficacia normativa, delineava la subordinazione ad un intervento senatorio o ad una decisione imperiale il venire in essere della corporazione. Il frammento fa riferimento a corpora e collegia. I corpora ovvero le società pubbliche aventi come fine riscuotere ricavi o le associazioni che sfruttavano le miniere, per collegia invece si intendevano attività richiamanti pistores e navicularii.
L’esistenza di tali associazioni sarebbe avvenuta mediante delibere senatorie o statuizioni imperiali e ciò viene confermato anche dall’utilizzo del verbo permettere e confirmare , suscitando anche dubbi sulla titolarità di colui che promuoveva la formazione dell’ente. Si è altresì ipotizzato che tali associazioni fossero già presenti anteriormente, attraverso la costituzione per volontà privata, anche se prive di quella personalità giuridica che sarebbe potuta essere riconosciuta soltanto attraverso un’autorizzazione legislativa, ma ciò non sembra seguire la direzione dell’intervento augusteo né successivamente la legislazione cesariana. Nel 22 a.C. viene in essere una legge che prevedeva lo scioglimento di tutti i collegia che non fossero antichi e legittimi, in un periodo in cui vi fu il crollo del sistema repubblicano con la leges Licinia-Sextiae, andando ad eliminare i collegi nati in maniera disordinata a causa della mancanza di controllo in riferimento alle finalità che questi perseguivano. Nel passo di Gaio si delinea quindi una condizione essenziale affinchè potesse istituirsi un collegio ovvero finalità di pubblico interesse.[37]
Si è poi ipotizzato che vi è una derivazione dei corpora professionali dai collegia tenuiorum. Questa ipotesi non veniva dalla dottrina del tutto esclusa perché sarebbero stati valorizzate le corporazioni nelle quali vi fossero gli appartenenti alle classi più umili, trasformando lo statuto giuridico in maniera facilitata dalla comunanza di mestiere, spiegando così l’originaria presenza nelle corporazioni di soggetti inidonei rispetto alle mansioni da porre in essere.
Questo sarebbe stato considerato un incentivo per riprendere le attività interrotte e ciò spiegherebbe anche i numerosi provvedimenti imperiali tesi a preservare l’esercizio delle attività necessarie per l’utilitas publica. Non sembra però possibile far convergere questa ipotesi con il garantire l’attività svolta nelle organizzazioni, ciò infatti necessitava di una disponibilità finanziari, soprattutto con talune associazioni tipo quella dei navicularii, questa non poteva appartenere a persone appartenenti a strati disagiati della popolazione, visto che l’attività presupponeva la disponibilità di mezzi per effettuare il trasporto merce o in alternativa utilizzare navi date in disponibilità dalle autorità imperiali.
Con la lex Iulia de collegiis l’iniziativa pubblica divenne il perno centrale, e la ragione d’essere si individua nell’interesse della collettività.
Ci fu maggiore rigidità nel rilascio dei permessi per porre in essere tali organizzazioni e si andò delineando una struttura interna dove vi era una separazione tra le vicende dell’ente e quelle dei soggetti appartenenti allo stesso. In questo senso si individua il richiamo di Gaio ai beni e alla cassa comune, sottolineando l’esistenza di un actor che rappresentava materialmente le scelte fatte dagli associati. Secondo i provvedimenti imperiali tali associazioni dovevano funzionare seguendo uno schema gerarchizzato e rigido. Quindi l’attività oggetto di ciascuna associazione veniva valutato esternamente ai membri del corpus o collegium ma altresì anche le articolazioni interne non venivano lasciate alla libertà dei membri, ma seguendo schemi che garantivano le esigenze per cui l’autorizzazione era stata rilasciata ovvero interessi pubblici per l’intera comunità. Nel II secolo d.C vi fu un’entificazione effettuata dall’amministrazione imperiale, per semplificare i rapporti fino a quel momenti intrapresi con esse.
3. I municipia, le civitates e i collegia
Ci furono degli editti che regolarono la tutela giudiziaria che i municipia, le civitates e i collegia fecero valere nelle relazioni di cui erano titolari, sostenendo le proprie pretese o resistendo ad azioni di cui questi erano titolari. I tesi relativi a ciò sono risultati essere riuniti in un titolo del Digesto (D. 3, 4): “Quod cuiuscumque universitatis nomine vel contra eam agatur”. “Quanto al fatto che si agisca in nome di una qualsiasi universitas o contro di essa”.[38]
Si è ritenuto che il termine universitas sia stato inserito dai giustinianei. I giuristi quando affrontano in termini processuali la materia delle organizzazioni fanno riferimento al concetto di universitas. Ulpiano sembra avere utilizzato il termine universitas in molti casi, andando ad attribuirgli anche significati differenti. Vi è il frammento D. 3.4.2 (8 ad ed.): “Si municipes vel aliqua universitas ad agendum det actorem, non erit dicendum quasi a pluribus datum sic haberi: hic enim pro re publica vel universi tate intervenit, non pro singulus” [39]. Emilio Albertario afferma che il passo è in qualche modo alterato infatti si nota un’incongruenza tra l’astratto universitas dopo il concetto di municipes.
Non si individuerebbe una contrapposizione tra una nozione astratta ed una concreta, ma bensì di una considerazione dello stesso insieme. Il termine municipes deve essere inteso come riferimento alla collettività, ovvero deve essere colto l’aspetto unitario della collettività dei soggetti che compongono il municipium. Ulpiano sembrerebbe negare il valore di universitas ai municipes andando anche contro il senso stesso della frase che sarebbe municipes o una qualche universitas>. Però vi è non solo un altro frammento di Ulpiano dove i munici possono inclusi tra le ipotesi di universitas, ma vi è anche un frammento di Paolo dove facendo riferimento alla figura dell’actor di un’organizzazione di uomini definito actor universitas, sembrerebbe evidente l’intenzione del giurista di alludere al caso del municipium. Il frammento di Paolo (9 ad ed.) è contenuto in D. 3.4.6.3: “Actor universitatis si agat, compellitur etiam defendere, non autem compellitur cavere de rato, sed interdum si de decreto dubitetur, puto interponendam et de rato cautionem. actor itaque iste procuratoris parti bus fungiyur et iudicati actio ei ex edicto non datur nisi in rem suam datus sit. et constitui ei potest, ex isdem causis mutandi actoris potestas erit, ex quibus etiam procuratoris. Actor etiam filius familias dar ipotest”.[40]
La questio del frammento ha ad oggetto la responsabilità dell’universitas, per quegli atti effettuati dai suoi rappresentanti. L’universitas è responsabile essa stessa a meno che il responsabile che ha posto in essere l’atto non sia andato oltre le competenze a lui spettanti. Paolo quindi afferma che può essere richiesta la cautio de rato, solamente nel momento in cui vi siano una dubbia legittimazione del soggetto rappresentante, come nell’ipotesi del decretum che nomina l’actor e si vada a sollevare qualche riserva riguardante difetti di competenza o di merito dello stesso. Bisogna altresì leggere anche il principio del passo di Paolo per comprenderne il significato sotteso . Il passo nel principium dice: “Item eorum, qui in eiusdem potestate sunt: quasi decurio enim hoc dedit, non quasi domestica persona. Quod et in honorum petitione erit servandum, nisi lex municipii vel perpetua consuetudo prohibeat”.[41]
Nel frammento si parla della nomina di un actor da parte del consiglio dei decurioni[42], e si ritiene che verrà considerato anche il voto di coloro che sono sottoposti alla patria potestà del padre essendo il voto dato come decurione e non invece come persona di casa, si sottolinea altresì che tale modalità di votazione verrà adottata anche per cariche magistrali, nei limiti in cui ciò non venga proibito da una lex municipii. Richiamando la lex municipii, non solo si nota il riferimento alle norme di organizzazione interna di un municipium ma si individua proprio l’intenzione di Paolo di intendere l’universitas proprio intesa come municipium.[43]
Ritornando all’analisi del frammento di Ulpiano il D. 3.4.2 (8 ad ed.) precedentemente menzionato, bisogna dire che Ulpiano va ad allinearsi a Gaio e Paolo che in riferimento alla rappresentanza processuale nel concetto di universitas includono i collegia, le societas e similari, includendo altresì i municipia. Il richiamo nel frammento all’universitas ovvero vel alia universitas includerebbe tutte le ipotesi sottoposte alla disciplina della rappresentanza, prevedendo una separazione posta in essere proprio dall’universitas tra i membri intesi sia come singoli sia unitariamente. Infatti la maggior parte dei giuristi contrappone l’universitas ai singuli.[44]
Non si può non dire che tra i testi aventi ad oggetto le comunità territoriali e i collegia vi è una stretta connessione, questo giustifica la trattazione unitaria di organizzazioni anche diverse tra loro, ma aventi elementi in comune nella visione dei giuristi. Nel frammento di Gaio il D. 3.4 già in precedenza analizzato, si individua una connessione un’affinità tra la civitates e collegia.
Vi è un accostamento tra collegia e corpora alla res publica, ma questo accostamento non fa riferimento all’intero popolo facente parte della res publica, ma solo a quella parte separata dal popolo ovvero l’organizzazione municipale. Questa ha una cassa comune si affida ad un actor per l’amministrazione e sostituzione dei processi.
Ma per porre in essere azioni private vi è la necessità di un delegato, sia per la civitates, sia per i collegia e corpora. Le attività svolte dal delegato, in riferimento alla tutela giudiziaria sono di particolare rilevenza, infatti qualora non vi sia assunzione della difesa si procederà con la missioin possessionem e la vendita dei relativi beni appartenenti al collegium.[45] Anche nel passo finale il riferimento all’extraneus “se un extraneus voglia intervenire a difesa di un’universitas, il proconsole lo permette come si osserva nella difesa dei privati, poiché in questo modo la condizione dell’universitas diventa migliore”. [46]Qui la parola universitas è bene sottolineare che viene interpretata come facente riferimento sia al municipium sia al collegium.
Come si è accennato in precedenza vi sono molti frammenti dove in materia di tutela giudiziaria interviene l’actor o amministratore facente parte dell’organizzazione. L’impiego della parola universitas ricorre nelle fonti e funge da fattore unificante, viene utilizzato dai giuristi per indicare il tutto.
Questo tutto indica il punto di riferimento a cui l’actor deve fare riferimento. Il tutto funge da titolare dei crediti trasmessi e debiti da estinguere. Andando così ad individuare che se viene nominato un actor dai cittadini di un municipium o se una universitas nomina essa stessa l’actor, qui non si può identificare la nomina effettuata da più persone singole, infatti l’actor agisce per la civitas publica o perl’universitas e quindi non per i singoli. L’universitas si estende anche ai collegia. Ulpiano chiarisce il rapporto tra actor e universitas, andando a riconoscere che il pretore avendo riconosciuto l’azione legittima dei cittadini nei confronti del municipio allo stesso modo ha riconosciuto anche un’azione contro di loro nell’editto.
Ci si chiede quali possano essere gli effetti dell’azione effettuata contro l’actor che agisce in sostituzione del municipio. La condanna dell’attore non sarà sottoposta solamente ad una serie di pagamenti dovuti dai singoli, ma agirà a carico dell’universitas, andando ad incidere sulle proprie ricchezze, al contempo anche l’eventuale vittoria del giudizio sarà addebitata all’intera organizzazione in maniera unitaria, ugualmente vale per i collegia che come abbiamo detto in precedenza sono caratterizzati da una cassa comune. Quindi possiamo dire che il patrimonio dell’organizzazione gode di un’autonomia patrimoniale, ovvero non può essere aggredito dai creditori dei singoli facenti parte della comunità territoriale e altresi che i componenti dell’organizzazione non assumono crediti e debiti dell’organizzazione. [47]
Possiamo quindi notare come vi sia quasi una simmetria contenutistica tra l’assetto organizzativo dei collegium, dei corpora e dei municipia nell’antica Romacon le attuali organizzazioni, più nello specifico delle società, sul piano generico delle persone giuridiche alle quali viene riconosciuta autonomia patrimoniale perfetta disciplinata dagli artt. 2325, 2472, 2514 e 2546 c.c. Vi è però da sottolineare una differenziazione sul fine da raggiungere mente l’attuale assetto organizzativo delle persone giuridiche alle quali viene riconosciuta autonomia patrimoniale perfetta tutelano i singoli dal rischio dell’attività economica, qui abbiamo invece il fine di stabilizzare le entità collettive che rientrano nel termine universitas, garantendo alle stesse un ambito tutelato, sicuro, dove potere porre in essere azioni sul piano privatistico.
3.1 La publica utilitas e la necessitas in Callistrato
D. 50.6.6.12: “Quibsdam collegii vel corporibus, quibus ius coeundi lege permissum est, immunitas tribuitur: scilicet eis collegiis vel corporibus, in quibus artificii sui causa unusquisque adsumitur, ut fabrorum corpus est et si qua eandem rationem originis habent, id est idcirco instituta sunt, ut necessariam operam publicis utilitatibus exhiberent. Nec omnibus promiscue, qui adsumpti sunt in his collegiis immunitas datur, sed artificibus dumtaxat. Nec ab amni aetate allege possunt, ut divo Pio placuit, qui reprobavit prolixae vel imbecille admodum aetatis nomine. Sed ne quidem eos, qui augeant facultates et munera civitatium sustinere possunt, privilegiis, quae tenuioribus per collegia distributis concessa sunt, uti posse plurifariam constitutum est”.[48]
Il frammento in esame delinea esattamente la situazione nel periodo della dinastia severiana, il brano può essere analizzato alla luce della nostra indagine direttamente in termini attinenti alla publica utilitas. La legittimazione delle associazioni attraverso una permissio, sarebbe avvenuto solo mediante un provvedimento imperiale o una deliberazione senatoria, ciò viene ipotizzato alla luce del termine lex. Il passaggio ius coeuendi lege permissum est si sarebbe riferita all’autorizzazione rilasciata dal principe, ciò viene confermato anche dall’attivismo riconosciuto ad Alessandro Severo, infatti ad esso sono attribuiti atti di legalizzazione di molti collegia e corpora. Il passo di Callistrato farebbe riferimento ad uno scenario piuttosto esteso ricomprendendo i collegia incaricati di pubblico servizio, non riservando spazio ad altre associazioni anche se lecite, per le quali i membri avessero aderito per ragioni diverse da esigenze professionali, ciò viene confermato dal passo che tende a sottolineare l’importanza della ratiooriginis delle associazioni oggetto del frammento.
La ratio originis da ricercare nelle associazioni si sostanzierebbe nel fine di realizzare opere necessarie aventi quali scopo la publica utilitas. Questa visione funge da giustificazione alla concessione sia del ius coeundi e verrebbe considerato anche criterio valutativo per l’ulteriore concessione di immunitates.
Il tratto caratterizzante e che rispecchia la ricerca oggetto di tesi del frammento è necessariam operam publicis utilitatibus, essendo racchiuso il concetto che il giurista ha del fenomeno associativo. Questa espressione farebbe riferimento ad una prestazione professionale coattiva, andando intorno al III sec. d.C a delineare in capo all’autorità imperiale qualsiasi controllo nei corpora e collegia, in modo che ciascun soggetto facente parte dell’associazione non potesse così sottrarsi.
L’aggettivo necessaria farebbe riferimento alla prestazione oggetto dell’associazione andando a delineare altresì il rapporto quindi necessario tra l’organismo e il collegio o corpora. In questo caso vi è da menzionare il pensiero di De Robertis che si contrasta con l’intenzione di Callistrato, infatti mentre l’uno afferma che l’aggettivo necessaria faccia riferimento appunto al rapporto intercorrente tra l’organismo e gli affiliati quindi sottolineando l’elemento soggettivo, l’altro ovvero Callistrato nel frammento si sofferma sull’elemento oggettivo ovvero l’attività assunta liberamente dagli affiliati.
Infatti non vi sono elementi che potrebbero ipotizzare l’obbligatorietà dell’attività posta in essere dai collegia professionali. Dai testi classici in cui vi è la locuzione necessaria opera non vi sono elementi che farebbero ipotizzare che si tratterebbe di un’operazione obbligatoria o doverosa, ciò oltremodo viene rafforzato anche dal fatto che tali prestazioni hanno ad oggetto un utilita publica riferita quindi ad un interesse generale. In questo modo si sottolinea nel frammento la rilevanza dei collegia in riferimento alla gestione dei settori essenziali, il giurista mira a riconoscere immunità e privilegi come retribuzione attinente alla collaborazione che viene garantita dai corpi professionali, in una visione dove vi sono ancora vantaggi reciproci e fuori quindi da provvedimenti iure imperii.
La necessità delle prestazioni connotate dalla publica utilitas, troverebbero giustificazione nella serie di benefici concessi ai soggetti dell’associazione, sotto una visione di reciprocità dei vantaggi. L’identificazione nel frammento di necessità e coattività darebbe una visione economico-sociale dove si assiste ad una trasformazione dei corpi intermedi in strumenti amministrativi sottoposti alla regolamentazione imperiale per raggiungere risultati in conformità alle esigenze dettate dall’impero.[49]
4. Da corpi intermedi ad organismi amministrativi
Callistrato nel suo frammento D. 50.6.6.12 lascia intravedere come il passaggio ad un pieno controllo vincolante nei confronti dei collegia e corpora non fosse avvenuto del tutto. De Robertis considera il passaggio dei soggetti membri dei collegi alla condizione di obnoxii[50]in maniera graduale, individuando una prima adesione volontaria degli affiliati incentivata da una serie di premialità, consentendo cosi di caratterizzare tali associazioni da una visione collettiva del servizio.
Tale libertà prima riconosciuta viene affievolita dalla situazione politica ed economica avutasi, comportando un minore impegno da parte degli affiliati tale da ritenere doveroso interventi autoritativi in modo che sarebbe stato impossibile evitare la collaborazione. Quindi tra una libertà di adesione degli associati tramutatasi poi in un vincolo dal quale era pressoché impossibile sottrarsi, situazioni avvenute rispettivamente nel periodo ante severiano e post severiano, si individua attraverso il frammento di Callistrato un periodo intermedio.
La parte iniziale del frammento ha ad oggetto l’attività che viene assicurata dalle associazioni, tale attività viene connotata dall’aggettivo necessaria, riguardante non già il singolo soggetto facente parte dell’associazione ma bensì prima l’organismo complessivamente. L’immunitas caratterizzata dalla temporaneità, personalità e individualità, si sarebbe protratta per molto tempo, anche in età severiana se pur mutata.
In età severiana infatti pur essendo presente l’immunitas questa viene riconosciuta in termini premiali all’entità associativa in termini di adesione e non al singolo affiliato, ciò venne dettato da esigenze di garantire una maggiore efficienza organizzativa dei corpora o collegia per fini di publica utilitas.
Quindi nel periodo severiano l’autorità imperiale anche se poneva in essere ingerenze nei corpora e collegia giustificate dal fine di coordinare l’attività con le esigenze imperiali, era sempre riconosciuto il sistema delle corporazioni basato sulla libertà di adesione dei singoli, pur prediligendo di raggiungere un sostegno dalle corporazioni attraverso un dialogo con le stesse. Il legame tra necessitas e utilitas non compromette il sistema dei collegia basati sulla libera adesione ma la necessità della prestazione andrà a breve a rappresentare l’istaurazione dell’obbligatorietà del servizio. Infine bisogna chiedersi se Callistrato utilizzando il termine publicis utilitatibus al plurale possa introdurre differenze rispetto alle ipotesi in cui ricorra la publica utilitas.
Si noti che Callistrato ha sotteso l’espletamento delle attività dei collegia e dei corpora ad esigenze di publicis utilitatibus e non di publica utilitate. Callistrato tra le tante premialità tra cui vi rientrano deroghe, esenzioni, riconosciute sia alle corporazioni sia rispetto all’espletamento dei munera civilia, non avrebbe fondato la propria ratio sulla pubblica utilità quale fine dei servizi, ma bensì sul funzionamento dei meccanismi di tali servizi che avrebbero inciso tanto sugli erogatori quanto sui fruitori. Quindi l’espressione publicis utilitatibus andrebbe a racchiudere tutti i settori caratterizzati dall’espletamento di attività dirette a realizzare vantaggi diffusi.[51]
5. Brevi considerazioni finali
Alla fine della disamina in riferimento al termine publica utilitas conseguono determinate considerazioni. Risulta evidente che tale termine sia stato utilizzato maggiormente dal giurista Ulpiano. Risulta ascrivibile alla giurisprudenza severiana. L’analisi si è basata su frammenti dove ricorre il termine publica utilitas,brani appartenenti nella maggior parte proprio al giurista Ulpiano. Nel brano di Callistrato il D.50.6.6.12, vi è anche qui il richiamo alla publica utilitas, costituendo elemento giustificativo alla concessione di immunità e privilegi ai membri di taluni collegia. Queste associazioni sarebbero caratterizzate dalla necessitas, questa caratteristica sarebbe menzionata anche nel frammebto D. 16.3.8 [52] dove l’interesse pubblico si sostanzia nei traffici commerciali e nella fiducia dei cives nella attività di credito.
Riproposti alcuni dei frammenti oggetto della ricerca esegetica effettuata si può affermare che l’utilitas publica funge da elemento argomentativo con il quale si risolvono conflitti sia normativi che interpretativi; altresì costituisce la ratio argomentativa di singole soluzioni; ed infine deroga alla disciplina ordinaria, dove si denota un bisogno di motivi vantaggiosi per l’autorità imperiale. Un elemento di differenziazione rispetto alla res publica si individua nell’assetto governativo ormai caratterizzato dall’autosufficienza, burocraticamente stabile e ruotante attorno alla figura della prefettura, non viene più adempiuta l’ utilitas rei publicae caratterizzata da un rapporto unitario tra cives e autorità titolare del potere decisorio. L’utilitas publica quindi può esser intesa come entità complessa, individuabile attraverso una gerarchia di ruoli dove vi è l’individuazione di una potestà esercitata iure imperii.[53
[1] Il Corpus iuris civilis o Corpus iuris Iustinianeo, è la raccolta di materiale giurisprudenziale e normativo di diritto romano, voluta dall’impratore bizantino Giustiniano I( 527-565) per riordinare il sistema giuridico dell’Impero Romano. Ha rappresentato per secoli la base del diritto comune europeo, sino agli inizi del XIX secolo quando venne superato dal codice napoleonico.
[2] La parola municipium deriva dal latino munera ovvero assumere i doveri, gli obblighi, gli impegni del cittadino romano. Con il termine municipio si identificava nell’antica Roma, una comunità di cittadini legata a Roma.
[3] A. Petrucci, Corso di diritto pubblico romano, Torino, 2017, p. 417.
[4]Ibid.
[5] Sesto Pomponio giurista romano appartenente all’età classica. Contemporaneo ma più giovane dei due grandi dell’età adriana, Celso e Giuliano. Anticipa il programma, proseguito poi da Ulpiano e Paolo, di esporre attraverso una serie di commentari il diritto vigente al suo tempo.
[6]Domizio Ulpiano, giurista romano e politico, viene considerato uno dei maggiori esponenti della dottrina giuridica romano.
[7] Elio Marciano giurista romano dell’età dei Severi, insieme a Modestino fu particolarmente attento alle esigenze dei cittadini dell’Impero romano; è stato l’unico a riportare tra le fonti di produzione normativa imperiale i mandata, non seguirono il suo esempio Ulpiano e Gaio ancora legati alle fonti di produzione normativa di matrice repubblicana.
[8] Elio Floriano Ennio Modestino giureconsulto romano, fu studente di Ulpiano; rientra tra i cinque insieme ad Ulpiano, Papiniano, Gaio e Paolo, le cui opere erano utilizzabili automaticamente nei processi legali. Nel Digestodi Giustiniano I all’incira 345 passi sono tratti dagli scritti di Modestino.
[9] G. Valditara, Diritto pubblico romano, Torino, 2013, pp. 126-127.
[10] U. Laffi, Studi di storia Romana e di diritto, Roma, 2007, p. 137.
[11] Cfr, Ibid.
[12] Marco Terenzio Varrone nacque a Rieti nel 116 a.C. Egli ebbe una grande fama in tutta l’antichità definendolo il più grande erudito Romano. Fu questore, poi tribuno della plebe ed anche pretore. Fu al fianco di Pompeo nella guerra contro Sertorio, poi contro i pirati ed anche nella campagna contro Cesare, si arrese a Cesare nel 49 a.C. di cui divenne amico, proponendolo anche come direttore della prima biblioteca pubblica.
[13] F. Grelle, Diritto e società nel mondo Romano, a cura di Lucia Fanizza, Roma, 2005, p. 40.
[14]Ibid.
[15]Cato Maior de senectute opera filosofica scritta da Cicerone nel 44 a.C. poco prima della morte e deicata all’amico Attico. Composta di 23 capitoli ha la forma di un dialogo, che s’immagina accaduto nell’anno 151, dove Catone il Censore, da cui è tratto anche il titolo dell’opera aveva già 83 anni.
[16]F. Grelle, Diritto e società nel mondo Romano, a cura di Lucia Fanizza, Roma, 2005, p. 41.
[17]Ibid.
[18]Ivi, p. 43.
[19] Per comprendere il concetto di res publica, bisogna ricordare la definizione data da Cicerone, presente nel suo trattato politico de re publica (1,25,39): “La res publica è cosa del popolo, e il popolo non è qualsiasi aggregato di gente, ma un insieme di persone associatosi intorno alla condivisione del diritto e per la tutela del proprio interesse”.
[20]Honor deriva dall’ius honorarium, costituente il complesso di norme creato dai magistrati e così chiamato dall’honor che caratterizzava la magistratura. L’ius honorarium è caratterizzato dall’ius praetorium creato dal praetor urbanus organo tipico della giurisdizione inter cives Romanos sin dal 367 a.C.
[21] F. Grelle, Diritto e società nel mondo Romano, a cura di Lucia Fanizza, Roma, 2005, p. 48.
[22] Cfr. Ivi, pp. 39-49.
[23]Ibid.
[24]Ivi, p. 50.
[25] M. Pani, Epigrafia e territorio politica e società: Temi di antichità romane III, Bari, 1994,
p. 371.
[26] Cfr. Ivi, pp. 372-373.
[27] F. Grelle, Diritto e società nel mondo Romano, a cura di Lucia Fanizza, Roma, 2005, p. 51.
[28] Cfr.Ibid.
[29] Il collegium in diritto romano era un’associazione avente un proprio statuto che stabiliva finalità e organi, oltre che i criteri per ammettere gli associati. Lo statuto del collegium poteva riguardare corporazioni di mestiere simili ai moderni sindacati.
[30] Come riporta U. Laffi, Colonie e municipi nello Stato romano, Roma, 2007, cit. p. 17 “Le coloniae civium Romanorum , che possiamo chiamare più semplicemente coloniae romane o coloniae cittadine, erano costituite da cittadini romani, i quali formavano piccole comunità dipendenti, fondate dallo stato romano sull’ager Romanus. Il numero canonico dei coloni che vi venivano inviati era di 300. Le prime colonie romane furono dedotte nel 338, dopo lo scioglimento della lega latina. Non costituivano delle comunità giurisdizionalmente autonome: solo dopo la guerra sociale (91-88) i magistrati di queste comunità acquisirono la iurisdictio”.
[31] Affermava F. De Robertis, Storia delle corporazioni e del regime associativo nel mondo romano,II, Bari, 1971, p. 414 s. “Essendo però intenzione precipua dello stato nell’autorizzare un collegio quella di servirsene per uno scopo di pubblica utilità; è evidente che sarebbe venuto meno ai fini per cui era stato autorizzato il collegio il quale avesse ammesso nel proprio seno persone che , per le speciali condizioni in cui si trovavano, non avrebbero potuto dedicarsi al servizio, anche se l’avessero voluto”.
[32] Cfr. M. Brutti, Il diritto privato nell’antica Roma, Torino, 2011, pp. 239-240.
[33] R.Scevola, UtilitasPublica, II, Elaborazione della giurisprudenza severiana,in L’arte del diritto, a cura di Luigi Garofolo, Trentino, 2012, p. 182.
[34] Callistrato giureconsulto e giurista del III sec. d.C. contemporaneo di Papiniano e di Alessandro Severo, di origine greca, diede uno speciale rilievo alle istituzioni provinciali dell’Oriente. Autore di numerose opere, i cui numerosi frammenti sono prsenti nel Digesto.
35] Cfr. R.Scevola, UtilitasPublica, II, Elaborazione della giurisprudenza severiana, in L’arte del diritto, a cura di Luigi Garofolo, Trentino, 2012, pp. 181-185.
[36]Ivi, p. 186.
[37] Importante riflessione effettuata da F. De Robertis, Il diritto associativo romano. Dai collegi della repubblica alle corporazioni del basso impero, Bari, 1938, p. 390 ss., “ è evidente infatti che se la Lex Iulia facultava il senato a concedere l’autorizzazione solo nel caso che fosse stato in giuoco un interesse pubblico, lo scopo della istituzione doveva essere essenzialmente pubblico. Con ciò non intendiamo negare che qualche volta anche la privata iniziativa abbia concorso alla istituzione di questa o quella associazione, ma si è dovuto trattare di un intervento solo occasionale, di cui lo stato avrebbe anche potuto fare a meno, istituendo di propria iniziativa i collegi di cui è parola” in R.Scevola, UtilitasPublica, II. Elaborazione della giurisprudenza severiana, in L’arte del diritto, a cura di Luigi Garofolo, Trentino, 2012, p. 189.
[38] M. Brutti, Il diritto romano nell’antica Roma,Torino, 2012, p. 246.
[39] R. Siracusa, La nozione di universitas in diritto Romano, 2016. p. 64.
[40]Ivi, p. 53.
[41]Ibid.
[42]I decurioni dal latino decurio, in Antica Roma erano i funzionari che amministravano e governavano le colonie e i municipia ad opera del potere centrale. Quest’autonomia garantita da Roma comportava per essi l’impegno di adempiere agli obblighi delle città verso l’Urbe.
[47] Cfr. Ivi, pp. 248-249.
[48] R.Scevola, UtilitasPublica, II, Elaborazione della giurisprudenza severiana,in L’arte del diritto, a cura di Luigi Garofolo, Trentino, 2012, p. 181.
[49] Cfr. Ivi, pp. 194-200.
[50] Infatti in F. De Robertis, Storia delle corporazioni e del regime associativo nel mondo romano,II, Bari, 1971, p. 139, afferma “In un secondo tempo quando questa convenienza fu venuta meno e il servizio si fu rilevato eccezionalmente gravoso e i guadagni sempre più scarsi, i corporati cercarono di sfuggirvi: intervenne allora lo stato che, per assicurare l’espletamento dei servizi pubblici e in nome della longa consuetudo e della veneranda antiquitas, vincolò i beni e le persone, dichiarando gli uni e le altre obnoxia functioni. E il carattre obbligatorio del servizio risulta a chiari note dalla terminologia che lo qualifica di functio, munus, onus, condicio, necessitas, obsequium: con richiamo, specie negli ultimi due termini, più ad un rapporto di dipendenza servile che alla condizione di uomini liberi”.
[51] Cfr. Ivi, pp. 201-206.
[52]Pap. 9 quaest. D. 16.3.8: Quod privilegium exercetur non in ae tantum quanti tate, quae in bonis argentarii ex pecunia deposita reperta est, sed in omnibus fraudatoris: idque propter necessarium usum argentario rum ex utilitate publica receptum est. Plane sumptus causa, qui necessarie factus est, semper precedit: nam deduct eo bonorum calculus subduci solet” in in R.Scevola, UtilitasPublica, II. Elaborazione della giurisprudenza severiana, in L’arte del diritto, a cura di Luigi Garofolo, 2012, p. 207.
[53]Da R.Scevola, UtilitasPublica, II. Elaborazione della giurisprudenza severiana, in L’arte del diritto, a cura di Luigi Garofolo, Trentino, 2012, esso osserva che “Entro questo quadro va collocato il carattere eterodosso di talune soluzioni ulpianee, intese a perseguire la realizzazione di un vantaggio condiviso, laddove esse presippongono propriola incipiente scissione tra gli interessi perseguiti dalle due componenti, funzionalmente ricongiunti attraverso l’utilizzo dell’aggettivo publica”.