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Pubbl. Mar, 29 Ago 2023

Le Sezioni Unite sui danni subiti per effetto della trasfusione di sangue

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Aurora Ricci
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Perugia



L´elaborato esamina il contenuto della sentenza n. 19129/2023 delle Sezioni Unite civili, pubblicata il 06.07.2023, finalizzata a ricomporre il contrasto giurisprudenziale sull´efficacia probatoria, nel giudizio di risarcimento del danno, della valutazione espressa, in relazione alla sussistenza del nesso causale tra emotrasfusione e insorgenza della patologia, dalla Commissione medica ospedaliera di cui all´art. 4 della l. n. 210/1992.


ENG The paper examines the content of the judgment n. 19129/2023 of the United Civil Sections, published on 06.07.2023, aimed an reconstructing the jurisprudential contrast on probative effectiveness, in the judgement on the claim for damages, the assessment expressed, as to the causal link between blood transfusion and onset of pathology, by the Hospital Medical Commission referred to in art. 4 of Law No. 210 of 1992.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il casus decisus; 3. Il decisum delle Sezioni Unite della Cassazione: il valore probatorio del verbale della Commissione Medica Ospedaliera di cui all'art. 4 della L. 25 febbraio 1992, n. 210; 3.1. Sull’incidenza nel giudizio civile di risarcimento del danno del riconoscimento in via amministrativa della prestazione assistenziale; 3.2. Sull’efficacia del giudicato formatosi fra le stesse parti in merito al diritto alla liquidazione dell’indennizzo ex lege n. 210/1992; 3.3. I principi di diritto affermati da Cass. Civ., Sez. Unite, 6 luglio 2023, n. 19129; 4. Conclusioni.

1. Introduzione

L’elaborato analizza nel dettaglio la recente sentenza delle Sezioni Unite del 6 luglio 2023, n. 19129, che si sono pronunziate su una questione centrale riguardante il c.d. danno da emotrasfusione. In particolare, la Suprema Corte esamina il profilo attinente all'efficacia probatoria, nel giudizio avente ad oggetto l'azione di risarcimento del danno, della valutazione espressa dalla Commissione Medica Ospedaliera di cui all'art. 4 della legge n. 210 del 1992 con specifico riferimento alla prova del nesso causale fra emotrasfusione e insorgenza della patologia.

Viene dato atto del contrasto giurisprudenziale riguardante il valore di prova o di mero indizio da assegnare, nel giudizio civile di risarcimento del danno, al verbale della predetta Commissione medica, finalizzato a riconoscere la sussistenza del nesso eziologico fra l'emotrasfusione e la malattia insorta, ai fini della liquidazione delle prestazioni assistenziali disciplinate dalla legge richiamata.

Si esaminano, inoltre, gli ulteriori due profili sui quali le Sezioni Unite hanno ritenuto di doversi pronunciare in ragione del dibattito giurisprudenziale sollevato dall’ordinanza di rimessione ed alla luce del ruolo nomofilattico attribuito alla Corte di Cassazione nella sua massima espressione.

In particolare, verranno analizzate le motivazioni sottese alla risoluzione della seconda questione concernente l’incidenza nel giudizio civile di risarcimento del danno del riconoscimento in via amministrativa della prestazione assistenziale e del terzo profilo afferente all’efficacia nel giudizio civile di risarcimento del danno del giudicato formatosi fra le stesse parti sul diritto all’indennizzo ex lege n. 210 del 1992.

L’impianto motivazionale della pronuncia in commento sarà poi sottoposto ad un’analisi critica di taluni passaggi logico-argomentativi che destano perplessità e che necessiteranno in futuro di un ulteriore approfondimento.

2. Il casus decisus

Nel caso di specie, con atto di citazione notificato il 26 ottobre 2007 M. L. conveniva davanti al Tribunale di Roma il Ministero della Salute e la Casa di Cura A.- Policlinico della Città di omissis S.r.l., sostenendo di essere stato ricoverato in conseguenza di un incidente stradale, dal 6 maggio al 7 giugno 1988 presso la predetta casa di cura, ove aveva subito un intervento chirurgico in relazione al quale era stato sottoposto a emotrasfusione.

Successivamente, nel settembre del 2004, apprendeva, a seguito di accertamenti, di aver contratto l'infezione da virus dell'HIV. Pertanto, M.L. presentava domanda amministrativa per il riconoscimento del proprio permanente stato invalidante come derivante dalla trasfusione di sangue a cui era stato sottoposto.

Con verbale del 15 settembre 2005 la Commissione Medica di prima istanza di Roma gli riconosceva lo stato invalidante permanente al 100°/o ex artt. 2 e 12 I. 118/1971.

Il 24 aprile 2007 M.L. presentava, poi, domanda di indennizzo ai sensi della I. 210/1992, accolta a seguito di verbale della C.M.O. del 1 aprile 2008.

M.L. chiedeva, inoltre, che l'accertamento dei danni dal medesimo subiti e riconducibili ad un comportamento colposo, solidale e/o individuale dei convenuti, con conseguente condanna, in via solidale e/o alternativa, al risarcimento di tali danni, patrimoniali e non patrimoniali.

Si costituiva il Ministero della Salute, resistendo e negando la sussistenza del nesso causale intercorrente tra l'emotrasfusione e la patologia. Si costituiva, altresì, la Casa di Cura S. A., chiedendo di essere manlevata da omissis Assicurazioni S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa. Anche quest'ultima si costituiva, eccependo il difetto di giurisdizione a favore del commissario liquidatore e chiedendo il rigetto della domanda.

Durante l'istruttoria veniva disposta CTU, il cui esito escludeva la sussistenza di un nesso causale tra l'emotrasfusione e la patologia insorta.

Il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 8172/2012, accertava la responsabilità del Ministero "per la commissione di fatti ed atti illeciti, ai sensi dell'art. 2043 c.c., nella raccolta e distribuzione a scopo trasfusionale del prodotto costituito dalla unità di sangue n. 900 somministrato al paziente .. produttivi del danno biologico irreversibile accertato e derivato dalla trasmissione del virus HIV", condannandolo a risarcire all'attore i "danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali" come sarebbe stato determinato nel prosieguo del giudizio. Con la medesima sentenza, il Tribunale rigettava la domanda attorea nei confronti della Casa di Cura S. A. e dichiarava non esaminabile la domanda di quest'ultima nei confronti della chiamata compagnia assicuratrice in liquidazione coatta amministrativa.

La causa veniva, quindi, rimessa in istruttoria per quantificare i danni, e veniva disposta ulteriore CTU. Con sentenza definitiva n. 5260/2013 il Tribunale condannava il Ministero a risarcire l'attore per i danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali nella misura, comprensiva di rivalutazione ed interessi, di euro 651.994,82, oltre a rifondergli le spese processuali.

Il Ministero proponeva appello principale, cui resisteva M.L. mediante appello incidentale in relazione alla responsabilità della Casa di Cura S. A. e ad una superiore rideterminazione del quantum risarcitorio. Si costituiva, altresì, la Casa di Cura S. A. resistendo all'appello incidentale e insistendo in subordine nella domanda di garanzia. Si costituiva, inoltre, resistendo la Compagnia di Assicurazioni.

Nelle more del giudizio, il 15 marzo 2017 M. L. decedeva. Il 17 novembre 2017 si costituivano, quindi, gli eredi di M.L. chiedendo il rigetto dell'appello principale e insistendo nell'appello incidentale.

La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 13 maggio 2019, rigettava l'appello principale e, in accoglimento di quello incidentale nei confronti del Ministero, condannava quest'ultimo a corrispondere un importo risarcitorio superiore, cioè euro 926.688,62 oltre accessori. Il Giudice del secondo grado condannava, altresì, il Ministero a rifondere le spese agli appellati, dichiarava inammissibile l'appello incidentale nei confronti di Casa di Cura S. A. e compensava le spese per tutti gli altri rapporti processuali.

Durante l'iter processuale traente origine dalla domanda risarcitoria avanzata dal danneggiato, la Corte Distrettuale aveva, inoltre, respinto l'eccezione di prescrizione del diritto risarcitorio oggetto della lite, sollevata dal Ministero della Salute, sul presupposto per cui il decorso temporale utile a far valere il diritto stesso può aver inizio solamente dal momento in cui la malattia viene percepita e vi è la consapevolezza della derivazione della patologia dall'emotrasfusione.

Nel contempo, la Corte d'appello aveva statuito che l'accertamento della riconducibilità del contagio all'emotrasfusione, effettuato dalla Commissione medica ex art. 4 della legge n. 210 del 1992, non poteva essere messo in discussione dal Ministero nel giudizio di risarcimento del danno, in quanto proveniente da un organo dello Stato ed imputabile allo stesso Ministero.

A seguito del ricorso per Cassazione proposto dal Ministero della Salute, con ordinanza interlocutoria del 31 ottobre 2022 n. 32077, la Terza Sezione Civile della Suprema Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza sull'efficacia probatoria, nel giudizio avente ad oggetto l'azione di risarcimento del danno, della valutazione espressa, quanto al nesso causale fra emotrasfusione e insorgenza della patologia, dalla Commissione medica ospedaliera di cui all'art. 4 della legge n. 210 del 1992.

3. Il decisum delle Sezioni Unite della Cassazione: il valore probatorio del verbale della Commissione Medica Ospedaliera di cui all'art. 4 della L. 25 febbraio 1992 n. 210.

Le Sezioni Unite Civili, con la recente sentenza n. 19129 pubblicata in data 6 luglio 2023, ricompongono una questione oggetto di contrasto giurisprudenziale in relazione ai danni subiti per effetto della trasfusione di sangue infetto, dettando una serie di fondamentali principi.

Nella vicenda in oggetto, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso formulato dal Ministero della Salute in relazione al motivo di censura del capo della sentenza oggetto di gravame che ha considerato provato il nesso causale fra somministrazione della emotrasfusione e insorgenza della patologia, valorizzando il solo giudizio espresso dalla Commissione medica ospedaliera, nell'ambito del procedimento disciplinato dalla citata legge n. 210 del 1992.

La censura in esame concerne la questione sottoposta dalla Terza Sezione alle Sezioni Unite attinente al valore di prova o di mero indizio da attribuire nell'ambito del giudizio civile di risarcimento del danno al verbale della Commissione medica di cui all'art. 4 della L. 25 febbraio 1992 n. 210, attestante la sussistenza del nesso causale fra l'emotrasfusione e la patologia insorta ai fini della liquidazione delle prestazioni assistenziali disciplinate dalla predetta legge.

Al riguardo, occorre dare atto di un contrasto giurisprudenziale emerso nell'ambito della giurisprudenza di legittimità ed evidenziato dall'ordinanza interlocutoria. Invero, quest'ultima richiama il principio di diritto espresso da Cass. Civ. S.U. 11 gennaio 2008 n. 577, in base alla quale il verbale redatto ai sensi della disposizione summenzionata, al di fuori del procedimento amministrativo per la concessione dell'indennizzo, costituisce prova legale ex art. 2700 c.c. solo limitatamente ai fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o dalla stessa compiuti. Per converso, le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione espresse forniscono unicamente materiale indiziario, sottoposto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l'importanza ai fini della prova, ma non può attribuire alle medesime il valore di vero e proprio accertamento.

Tale orientamento, seguito per circa un decennio è stato, tuttavia, revocato in dubbio a partire da una pronuncia della Suprema Corte del 2018. In particolare, Cass. Civ., 15 giugno 2018 n. 15734 ha ritenuto inapplicabile il suesposto orientamento all'ipotesi in cui l'azione risarcitoria venga proposta nei confronti del Ministero della Salute, in quanto in tale fattispecie le parti del giudizio coincidono con quelle del procedimento amministrativo, l'accertamento è imputabile allo stesso Ministero, che lo ha espresso per il tramite di un suo organo, e, pertanto, nel giudizio di risarcimento del danno il giudice deve ritenere "fatto indiscutibile e non bisognoso di prova" la riconducibilità del contagio alla trasfusione1.

Le Sezioni Unite con la pronuncia in commento e a definizione del predetto contrasto, disattendono l’orientamento seguito da Cass. Civ., 15 giugno 2018 n. 157341, ribadendo, per contro, il principio di diritto enucleato da Cass. Civ., S.U. 11 gennaio 2008 n. 577, applicabile sia alle controversie promosse nei confronti delle sole strutture sanitarie, sia ai giudizi nei quali venga convenuto anche il Ministero.

Il Supremo Consesso perviene a tale conclusione sulla scorta di una serie di passaggi logico-motivazionali di seguito analizzati nel dettaglio.

In via preliminare, la Suprema Corte evidenzia che il diritto all'indennizzo ex lege n. 210 del 1992 e quello al risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ., che l'ordinamento riconosce come concorrenti, presuppongono entrambi un medesimo fatto lesivo, ossia l'insorgenza della patologia, derivato dalla medesima attività.

Ciò posto, il rimedio risarcitorio si differenzia da quello finalizzato al riconoscimento della prestazione assistenziale in quanto presuppone un fatto illecito e può trovare applicazione solo qualora il trattamento sanitario sia stato in concreto attuato senza adottare le cautele o omettendo i controlli ritenuti necessari sulla base delle conoscenze scientifiche.

Per contro, l'indennizzo nei casi di lesione irreversibile scaturita da emotrasfusioni o dalla somministrazione di emoderivati rinviene il suo fondamento nel dovere di solidarietà sociale prescritto dall'art. 2 Cost. e, "in un'ottica più avanzata di socializzazione del danno incolpevole", valorizza i principi desumibili dall'art. 38 Cost., in merito alla protezione sociale della malattia e dell'inabilità al lavoro, consentendo alla collettività di partecipare al ristoro del danno alla salute che, altrimenti, in quanto incolpevole, rimarrebbe esclusivamente a carico del danneggiato.

Le Sezioni Unite si addentrano, poi, in un’articolata disamina della normativa involgente, in particolare, la materia delle prestazioni assistenziali, nonché il giudizio sanitario ex art. 4 della L. n. 210 del 1992 attinente al nesso causale tra la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati e la menomazione dell’integrità psico-fisica riservato alla Commissione medico-ospedaliera di cui all’art. 165 del D.P.R. 29 dicembre 2973, n. 1902, per inferirne una fondamentale conclusione: la Commissione medica in questione è estranea all'organizzazione del Ministero della Salute.

Per contro, essa costituisce un’articolazione del Ministero della Difesa, alla quale è affidata la competenza ad esprimere valutazioni tecniche, che integrano atti endoprocedimentali strumentali all'adozione di provvedimenti riservati a Ministeri diversi da quello di appartenenza.

Dall'art. 5 della legge n. 210 del 1992, che attribuisce al Ministero della Salute la competenza a decidere il ricorso avverso la decisione della Commissione medica, non si possono trarre le conseguenze indicate nella motivazione della sentenza della Cass. Civ., n. 15734/2018, perché si è in presenza di un ricorso gerarchico improprio, ravvisabile ogniqualvolta un'espressa previsione normativa attribuisce il potere di decisione ad una determinata autorità, pur in assenza di rapporto gerarchico con quella che ha emanato l'atto, che dalla prima non dipende.

Pertanto, la Commissione medica nell'effettuare l'accertamento ex art. 4 della L. n. 210 del 1992, non agisce quale organo del Ministero della Salute e la valutazione espressa impegna quest'ultimo, anche in sede amministrativa, nei soli limiti della disciplina dettata per il procedimento nel quale l'atto si inserisce.

Non solo: secondo la pronuncia in commento, l'orientamento inaugurato dalla sentenza Cass. Civ., n. 15734/2018, fondato sulla natura di organo del Ministero della Salute da riconoscere alle Commissioni mediche che intervengono nel procedimento disciplinato dalla legge n. 210 del 1992, contrasta con il principio, di carattere generale, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza giuslavoristica e dalle stesse Sezioni Unite, secondo cui il giudizio espresso nella materia della previdenza ed assistenza obbligatoria dai collegi medici è espressione di discrezionalità tecnica, non amministrativa.

Da ciò, ne consegue che il predetto giudizio risulta privo di efficacia vincolante, sostanziale e procedimentale, in quanto l'accertamento sanitario è solo strumentale e preordinato “all'adozione del provvedimento di attribuzione della prestazione in corrispondenza delle funzioni di certazione assegnate alle indicate commissioni1.

Pertanto, le Sezioni Unite ritengono condivisibile e coerente con il quadro generale sopra richiamato il principio di diritto enucleato dalla predetta Cass. Civ., S.U. n. 577 del 2008, in merito al valore probatorio del verbale di accertamento.

Per converso, non si pone in linea con il predetto contesto normativo, nonché con l’orientamento generale della giurisprudenza giuslavoristica e delle stesse Sezioni Unite sopra richiamato, il diverso indirizzo espresso da Cass. n. 15734/2018, che oltre a qualificare in maniera erronea la Commissione quale organo del Ministero della Salute attribuendole un’inesistente capacità di rappresentare l'amministrazione statale, riconosce al predetto verbale, nel giudizio di risarcimento del danno, il valore di prova legale. Il verbale della Commissione medica, invece, non assume tale valore per espressa indicazione normativa, anche nel giudizio nel quale si discute della prestazione assistenziale, in relazione alla quale il procedimento amministrativo viene avviato1

Nel proseguo della motivazione della sentenza in esame si inserisce poi la questione attinente all’eventuale valore confessorio del giudizio medico.

Al riguardo, il Supremo Collegio precisa che l’orientamento giurisprudenziale del 2018 da ultimo richiamato rinviene nell’accertamento del nesso causale tra emotrasfusione e contagio contenuto nel parere tecnico della Commissione medica una vera e propria confessione, non solo per quanto già sopra espresso, ma anche in quanto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova. Secondo le Sezioni Unite ciò, invece, non è condivisibile anche per la dirimente argomentazione che il nesso causale non costituisce un “fatto obiettivo”, bensì una relazione tra un’azione od omissione ed una data conseguenza che non si sarebbe verificata se l’azione non fosse stata posta in essere o la condotta doverosa fosse stata tenuta.

Tale nozione viene impiegata per escludere che, nel caso di specie, si possa trattare di una confessione. Invero, non assurgendo il predetto nesso causale al rango di “fatto obiettivo”, non può trovare applicazione il principio consolidato espresso dalla Suprema Corte, in base al quale la confessione non può avere ad oggetto giudizi, opinioni o assunzioni di responsabilità, e concerne unicamente “fatti”, la cui qualificazione giuridica è comunque riservata al giudice1.

Di conseguenza, l’affermazione del nesso causale fra l’emotrasfusione ed il contagio non può costituire oggetto di confessione, tanto nel caso in cui detto accertamento sia contenuto nel solo verbale della Commissione medica, quanto nell’ipotesi in cui il procedimento si concluda con il riconoscimento dell’indennizzo in favore del richiedente. Ciò in quanto anche quel provvedimento è espressione di discrezionalità tecnica e presuppone un accertamento della sussistenza dei requisiti richiesti ai fini dell’accesso alla prestazione assistenziale.

In relazione al primo punto controverso, quindi, le Sezioni Unite con la sentenza in commento hanno stabilito che nel giudizio risarcitorio promosso nei confronti del Ministero della Salute in relazione ai danni subiti per effetto della trasfusione di sangue infetto, il verbale redatto dalla Commissione medica di cui all’art. 4 della legge n. 210 del 1992 non ha valore confessorio e, al pari di ogni altro atto redatto da pubblico ufficiale, fa prova ex art. 2700 cod. civ. dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti. Diversamente, le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione integrano materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice che, pertanto, può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può attribuire allo stesso il valore di prova legale.

3.1. Sull’incidenza nel giudizio civile di risarcimento del danno del riconoscimento in via amministrativa della prestazione assistenziale.

In ragione del dibattito processuale sviluppatosi successivamente all’ordinanza di rimessione ed in considerazione del ruolo nomofilattico che l’ordinamento assegna alla Corte di Cassazione, nella sua massima espressione, le Sezioni Unite hanno ritenuto di doversi pronunciare anche su due ulteriori questioni, seppure non ricomprese nell’ambito di devoluzione circoscritto dall’ordinanza interlocutoria.

Una prima questione riguarda l’incidenza nel giudizio civile di risarcimento del danno del riconoscimento in via amministrativa della prestazione assistenziale.

In particolare, poiché il diritto all’indennizzo ex lege n. 210/1992 e quello al risarcimento ex art. 2043 c.c. postulano elementi costitutivi comuni, la Suprema Corte prende, altresì, in esame l’ulteriore questione attinente all’incidenza nel giudizio civile di risarcimento del danno del riconoscimento in via amministrativa della prestazione assistenziale.

Dall’impianto motivazionale della sentenza in esame, emerge, inoltre, che il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all'indennizzo ex lege n. 210 del 1992, sul presupposto dell’avvenuto accertamento in sede amministrativa dei requisiti integranti gli elementi costitutivi del diritto alla prestazione assistenziale, assume una diversa valenza rispetto al verbale delle commissioni mediche.

Nel novero dei predetti elementi costitutivi è riconducibile il nesso causale che correla l’emotrasfusione alla patologia oggetto di liquidazione. Pertanto, l’atto con il quale l’amministrazione si riconosce debitrice della prestazione assistenziale presuppone l’accertamento del nesso eziologico, che, pur non integrando una confessione stragiudiziale, dall’altro costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale.

Il predetto accertamento è, quindi, sufficiente a far ritenere integrata una valida prova presuntiva ex art. 2729 c.c. e, pertanto, l’amministrazione, nel giudizio di risarcimento del danno, non si può limitare alla generica contestazione del nesso causale ed all’altrettanto generica invocazione della regola di riparto dell’onere probatorio fissata dall’art. 2697 c.c.. Ciò in quanto la presunzione “forte” che deriva dal riconoscimento amministrativo richiede che il Ministero, per contrastarne l'efficacia, alleghi specifici elementi fattuali che non sono stati apprezzati in sede di liquidazione dell'indennizzo o sopravvenute acquisizioni della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dal danneggiato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano.

In tal modo, osservano le Sezioni Unite, richiamandosi alla già citata Cass. Civ., S.U. n. 582/2008, che non si realizza alcuna inversione dell’onere della prova, che permane a carico del danneggiato, in quanto la regola di giudizio attiene alla idoneità dell’elemento presuntivo a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit. Tale idoneità va ritenuta comprovata, salva l’allegazione di contrari elementi specifici e concreti che rendano il primo inattendibile, in modo da precludere che sullo stesso possa essere fondato il giudizio di inferenza probabilistica.

3.2. Sull’efficacia del giudicato formatosi fra le stesse parti in merito al diritto alla liquidazione dell’indennizzo ex lege n. 210/1992.

In ultima analisi, le Sezioni Unite esaminano la questione inerente all’efficacia nel giudizio civile di risarcimento del danno del giudicato formatosi fra le stesse parti sul diritto all’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, che presuppone l’accertamento del nesso eziologico fra l’emotrasfusione e l’insorgenza della patologia indennizzata.

In particolare, la Suprema Corte ritiene che l’accertamento del nesso causale in questione, contenuto nella sentenza che riconosce l’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, e’ suscettibile di passaggio in giudicato e, rispetto al successivo giudizio risarcitorio instauratosi fra le stesse parti, integra un giudicato esterno, come tale vincolante per il giudice, che è tenuto a rilevare anche d'ufficio la formazione del giudicato.

Le Sezioni Unite motivano tale conclusione rievocando il principio ormai consolidato nell’ambito della giurisprudenza della Suprema Corte in base al quale: "qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo1".

Viene, altresì, precisato che il summenzionato principio è stato già in precedenza applicato dalla giurisprudenza di legittimità1 proprio in relazione alla fattispecie per cui è causa, ovvero con riguardo al rapporto fra il giudicato formatosi sull’azione formulata ex lege n. 210/1992 e il successivo giudizio risarcitorio, sul presupposto che quest’ultimo fosse instaurato nei confronti del Ministero della salute, già legittimato passivo nella vicenda assistenziale2, e non nei confronti della sola struttura sanitaria.

Il Supremo Consesso rileva, infatti, che anche nella controversia sottoposta al suo vaglio vengono in rilievo azioni differenti che presentano, tuttavia, un nucleo di requisiti comuni richiesti ai fini dell'insorgenza del diritto. Di conseguenza, l'accertamento definitivo dei predetti requisiti esplica i suoi effetti anche nel giudizio nel quale quel medesimo elemento costitutivo è stato fatto valere, seppur per il conseguimento di un bene diverso da quello già oggetto della prima domanda.

Sul piano processuale, infine, vengono richiamati i precedenti arresti delle Sezioni Unite che a più riprese hanno enunciato i principi regolatori della rilevabilità del giudicato nel giudizio di merito e di legittimità.

In particolare, è riaffermato il principio in base al quale nel nostro ordinamento vige la regola della normale rilevabilità d’ufficio delle eccezioni, richiedendosi, per contro, una specifica previsione normativa per ritenere necessaria un’apposita istanza di parte. Pertanto, “l'eccezione di giudicato esterno, in difetto di una tale previsione, è rilevabile d'ufficio ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa, qualora il giudicato risulti da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito, con la conseguenza che, in mancanza di pronuncia o nell'ipotesi in cui il giudice del merito abbia affermato la tardività dell'allegazione - e la relativa pronuncia sia stata impugnata - il giudice di legittimità accerta l'esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena1”.

Viene, inoltre, ribadito che in sede di legittimità il giudicato esterno è rilevabile d'ufficio non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nel caso in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata2.

3.3. I principi di diritto affermati da Cass. Civ., Sez. Unite, 6 luglio 2023, n. 19129

In via conclusiva, le Sezioni Uniti Civili con la pronuncia in commento affermano, sulla base delle considerazioni sopra esposte, importanti principi di diritto in materia di giudizi risarcitori promossi in relazione ai danni subiti per effetto della trasfusione di sangue, che si enunciano di seguito:

a) nel giudizio risarcitorio promosso nei confronti del Ministero della Salute in relazione ai danni subiti per effetto della trasfusione di sangue infetto, il verbale redatto dalla Commissione medica di cui all'art. 4 della legge n. 210/1992 non ha valore confessorio e, al pari di ogni altro atto redatto da pubblico ufficiale, fa prova ex art. 2700 c.c. dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice che, pertanto, può valutarne l'importanza ai fini della prova, ma non può attribuire allo stesso il valore di prova legale;

b) nel medesimo giudizio, il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all'indennizzo ex lege 210/1992, pur non integrando una confessione stragiudiziale, costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale, sicché il Ministero per contrastarne l'efficacia è tenuto ad allegare specifici elementi fattuali non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell'indennizzo o sopravvenute acquisizioni della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dal danneggiato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano;

c) nel giudizio di risarcimento del danno il giudicato esterno formatosi fra le stesse parti sul diritto alla prestazione assistenziale ex lege n. 210/1992 fa stato quanto alla sussistenza del nesso causale fra emotrasfusione e insorgenza della patologia ed il giudice del merito è tenuto a rilevare anche d'ufficio la formazione del giudicato, a condizione che lo stesso risulti dagli atti di causa”.

4. Conclusioni

La sentenza delle Sezioni Unite è sicuramente degna di nota e condivisibile nel suo nucleo di principi fondamentali che recepiscono, a vario titolo, tutta una serie di precedenti giurisprudenziali ormai consolidati della Corte di Cassazione.

Tuttavia, la pronuncia in esame reca taluni passaggi motivazionali che presentano profili di criticità e che necessitano, pertanto, di un maggiore approfondimento.

In primo luogo, la Suprema Corte afferma che non può condividersi l’orientamento espresso da un precedente della Cassazione del 2018, in base al quale l’accertamento del nesso causale tra emotrasfusione e contagio contenuto nel parere tecnico della Commissione medica costituisce una vera e propria confessione, alla luce del dirompente rilievo per cui il nesso causale non costituisce un “fatto obiettivo”, bensì una relazione tra un’azione od omissione ed una data conseguenza che non si sarebbe verificata se l’azione non fosse stata posta in essere o la condotta doverosa fosse stata tenuta.

Da ciò, si trae come precipitato logico che, se non si è in presenza di un “fatto obiettivo”, opera il principio secondo cui la confessione non può avere ad oggetto giudizi, opinioni o assunzioni di responsabilità, e riguarda solo “fatti”, la cui qualificazione giuridica è comunque riservata al giudice.

Al riguardo, tuttavia, non può non rilevarsi, in chiave critica, che il nesso causale costituisce un elemento obiettivo della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.

Dal punto di vista processuale, infatti, non vi è dubbio che la confessione abbia ad oggetto fatti e non giudizi. Tuttavia, un conto è asserire che il verbale della Commissione Medica contiene un giudizio sul nesso causale, altro conto è sostenere che il nesso eziologico non integri un fatto obiettivo.

Il riconoscimento del nesso eziologico avviene tramite un giudizio, che può implicare una valutazione medico-scientifica e che, se anche promanante da una Commissione afferente ad un diverso Ministero, è la legge che vincola il Ministero della Salute a tale valutazione. Invero, si tratta di una valutazione operata da un organo dello Stato ed imputabile allo stesso Ministero per espressa previsione normativa.

Peraltro, le Sezioni Unite attenuano la portata della propria argomentazione evidenziando che: “Ciò, peraltro, non significa che nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della Salute per il risarcimento del danno derivato dall'emotrasfusione l'accertamento effettuato in sede amministrativa del nesso causale fra quest'ultima e l'insorgenza della patologia non possa essere utilizzato ai fini della prova del nesso medesimo, che deve essere offerta dalla parte che agisce in giudizio”.

Tuttavia, ferma la differenza tra rimedio risarcitorio ed azione diretta al riconoscimento della prestazione assistenziale, salvo la comunanza scaturente dall’identità del fatto lesivo coincidente con l’insorgenza della patologia, non può sottacersi come il nesso di causalità sia uno degli elementi costitutivi “oggettivi” dell’architettura del rimedio risarcitorio aquiliano.

Pertanto, il suesposto rilievo sul nesso causale non convince quale argomento sostenuto per escludere il valore confessorio del verbale della Commissione Medica.

Non solo: le Sezioni Unite operano anche un distinguo tra il giudizio effettuato dalla Commissione Medica e il provvedimento di liquazione dell'indennità.

Anche tale profilo, tuttavia, non convince del tutto, perché ciò che rileva è la valutazione medico-scientifica sul nesso causale contenuta nel verbale della Commissione Medica e non il provvedimento amministrativo di liquidazione.

Una diversa valenza viene, quindi, riconosciuta al provvedimento che, sulla base dell'istruttoria svolta e del parere tecnico acquisito, dispone la liquidazione dell'indennizzo in favore del richiedente, sul presupposto dell'avvenuto accertamento in sede amministrativa dei requisiti integranti gli elementi costitutivi del diritto alla prestazione assistenziale. Fra questi ultimi rientra, infatti, il nesso causale che lega emotrasfusione e patologia indennizzata.

Pertanto, l'atto con il quale l'amministrazione si riconosce debitrice della provvidenza assistenziale, presuppone la valutazione positiva della derivazione eziologica, valutazione che costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale. Quest’ultimo presuppone, in base agli artt. 3 e 4 della legge n. 210 del 1992, un giudizio espresso da organi tecnici qualificati, in forza di puntuali dati fattuali, allegati e documentati dal richiedente.

 

 


Note e riferimenti bibliografici

1. Cfr. Cass. Civ., 30 giugno 2020 n. 13008, che al principio hanno prestato integrale adesione, nonché Cass. Civ., 5 ottobre 2018 n. 24523 e Cass. Civ., 17 novembre 2021 n. 34885, che hanno ribadito il valore di prova legale dell'accertamento amministrativo ma, in un caso, valorizzando non il verbale della commissione, bensì il provvedimento di riconoscimento dell'indennizzo, nell'altro richiamando congiuntamente Cass. Civ., n. 15734/2018 e Cass. Civ., S.U. n. 577/2008 (citate) per trarne la conseguenza che il giudice del merito "se avesse voluto disattendere il giudizio positivo già dato dalla commissione ai fini della spettanza dell'indennizzo avrebbe dovuto indicare le ragioni dell'esclusione...".

2. In tal senso cfr. anche Cass. Civ., 4 marzo 2021 n. 5878 e Cass. Civ., 23 febbraio 2021 n. 4795.

3. Sul punto, cfr. Cass. S.U. 23 ottobre 2014 n. 22550; Cass. S.U. 22 novembre 2006 n. 24862; Cass. S.U. 11 dicembre 2003 n. 18960 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione.

4. In tal senso, cfr. l’art. 147 disp. att. c.p.c., secondo cui “sono privi di qualsiasi efficacia vincolante, sostanziale e processuale, ... le collegiali mediche, quale ne sia la loro natura”.

5. Sul punto, cfr. Cass. S.U. 25 marzo 2013 n. 7381, Cass. S.U. 5 maggio 2006 n. 10311, Cass. 18 ottobre 2011 n. 21509.

6. Cass. S.U. 17 dicembre 2007 n. 26482 e negli stessi termini Cass. S.U. 1 giugno 2006 n. 13916.

7. In tal senso, cfr. Cass. 5 ottobre 2018 n. 24523, Cass. 29 gennaio 2019 n. 2359, Cass. 13 maggio 2022 n. 15379.

8. Cfr. Cass. S.U. 9 giugno 2011 n. 12538.

9. Sul punto cfr. Cass. S.U. 26 maggio 2001 n. 226.

10. Sul punto cfr. Cass. S.U. 1 giugno 2006 n. 13916 che precisa altresì che: “In tal caso la produzione del giudicato, da effettuare unitamente al ricorso se formatosi in pendenza del termine per l'impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva, fino all'udienza di discussione, non trova ostacolo nel divieto posto dall'art. 372 c.p.c., che si riferisce esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, e non a quelli dei quali non era possibile la produzione in quella sede”.

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