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Pubbl. Mar, 4 Lug 2023

Natura e funzioni dell´assegno divorzile alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali: nodi problematici da sciogliere

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Raffaella Granata
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Napoli Federico II



L´articolo si prefigge di analizzare l´evoluzione dei criteri di determinazione dell´assegno divorzile, con particolare attenzione alle pronunce giurisprudenziali sul tema e alle questioni problematiche che interessano oggi i giudici


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Nature and functions of divorce allowance and case-law: problematic knots to be resolved

The article aims to analyze the evolution of criteria for determining divorce allowance, with particular attention to case-law and problematic issues that affect judges today

Sommario: 1. La crisi del concetto di indissolubilità del matrimonio; 2. Gli effetti della sentenza di divorzio: il diritto all’assegno divorzile; 3. La querelle giurisprudenziale e il recente intervento delle Sezioni Unite; 4. Il ruolo (marginale?) dell’autonomia negoziale; 5. La rilevanza della convivenza intrapresa all’indomani del divorzio; 6. La rilevanza della convivenza more uxorio nel variegato panorama delle unioni civili: la questione rimessa alle Sezioni Unite.

1. La crisi del concetto di indissolubilità del matrimonio

Il divorzio è stato introdotto nell’ordinamento dalla legge n. 898/1970 e costituisce una causa di scioglimento del matrimonio o, nelle ipotesi di matrimonio concordatario, di cessazione degli effetti civili dello stesso, e la relativa domanda giudiziale può essere promossa solo al ricorrere di alcune cause obiettive tassativamente previste.

L’introduzione di siffatta legge segna dunque il tramonto di quella convinzione, di matrice giuridica ma soprattutto culturale, legata all’indissolubilità del vincolo matrimoniale[1].

È opinione comune, infatti, che si assiste, attualmente, ad uno scenario in cui le compagini familiari sono plurime e variegate, mentre la filiazione ha raggiunto la tanto anelata unitarietà, senza più alcuna distinzione tra le modalità della procreazione ovvero tra figli legittimi e naturali[2].

Prima dell’intervento della riforma Cartabia, la domanda giudiziale di divorzio doveva necessariamente essere proposta dopo almeno un anno dall’avvenuta comparizione dei coniugi dinanzi all’organo giudicante nella procedura di separazione, la quale, a differenza del divorzio, comporta una semplice sospensione degli effetti del matrimonio, e veniva vista quale indispensabile precursore per addivenire allo scioglimento definitivo del vincolo coniugale.

All’indomani dell’entrata in vigore della suddetta riforma, invece, è possibile formulare congiuntamente domanda di separazione e divorzio all’interno del medesimo procedimento, fermo restando l’obbligo per il giudice di pronunciarsi sulla domanda di divorzio solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza parziale di separazione e la cessazione ininterrotta della convivenza.

2. Gli effetti della sentenza di divorzio: il diritto all’assegno divorzile

Tra gli effetti della pronuncia di divorzio emerge la possibilità per il giudice di decidere sulla destinazione della casa coniugale e di altri beni di proprietà, oltre al riconoscimento dell’obbligo, a carico di uno dei due coniugi, di corrispondere un assegno periodico in favore dell’altro economicamente meno abbiente, fintantoché quest’ultimo non contragga nuove nozze.

Quanto alla funzione dell’assegno divorzile, è sorto sul punto un dibattito- sia in dottrina che in giurisprudenza-dovuto ad una formulazione forse eccessivamente generica della norma in esame: in particolare, la norma cardine in materia di assegno divorzile è l’articolo 5 della legge n.898/1970.

La lettera dell’articolo 5 stabilisce che, quanto all’an debeatur, l’assegno divorzile deve essere corrisposto al coniuge più debole solo laddove quest’ultimo, al momento della cessazione degli effetti civili del matrimonio, provi di non essere economicamente autosufficiente e di non avere ovvero non potersi procurare mezzi adeguati per il proprio sostentamento per ragioni oggettive[3].

Tale formulazione- che è il frutto della riforma del 1987-ha comportato il sorgere di un dibattito in relazione al concetto di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge destinatario dell’assegno.

Per molto tempo la giurisprudenza ha riferito la mancanza di mezzi adeguati ad un parametro estraneo al dato normativo, relativo alla possibilità di mantenere il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio, specie con riferimento al giudizio sulla spettanza o meno dell’assegno (quindi all’an debeatur)[4].

Invece, ai fini della determinazione del quantum, tale orientamento prende in considerazione altri elementi menzionati dalla norma, quali il contributo dato dai coniugi alla vita familiare, alla formazione del patrimonio comune, le ragioni della decisione cui era imputabile la crisi coniugale e così via.

Vi sono state, tuttavia, anche pronunce di senso opposto: degno di nota è un altro orientamento interpretativo che, valorizzando la differenza tra separazione e divorzio, e quindi la distinzione tra una semplice attenuazione dei doveri che derivano dal matrimonio e lo scioglimento definitivo del vincolo coniugale, afferma che l’idea del permanere di un dovere di assistenza economica da parte del coniuge più forte, ancorato al tenore di vita pre-divorzile, di fatto finisce per far sopravvivere allo scioglimento del vincolo i doveri di natura economica e finisce per attenuare la regola della dissolubilità del matrimonio.

3. La querelle giurisprudenziale e il recente intervento delle Sezioni Unite

L’adeguatezza dei mezzi, in tale ottica, deve dunque valutarsi con riferimento ad uno standard medio e normale di vita libera e dignitosa, reputandosi irrilevante un eventuale pregresso tenore di vita superiore goduto durante il matrimonio.

Tale difformità di vedute rende necessario un intervento delle Sezioni Unite già nei primi anni Novanta[5]: il supremo consesso valorizza, in questa occasione, il carattere eminentemente assistenziale dell’assegno divorzile, che presuppone uno squilibrio economico e patrimoniale tra i coniugi; tuttavia, la Cassazione ancora il requisito dell’adeguatezza dei mezzi al tenore di vita goduto dal coniuge destinatario durante il matrimonio.

Tale orientamento sopravvive fino al 2017[6], anno in cui la Corte di Cassazione, con diversi interventi, ritorna sull’argomento: in quell’anno la Suprema Corte afferma, contrariamente alle SS.UU del 1990, che il parametro dell’adeguatezza va rapportato a ciò che è necessario per condurre una vita auto-responsabile (che riecheggia il concetto di “vita autonoma e dignitosa”), indipendentemente dalle caratteristiche della vita matrimoniale passata.

Vengono così superati i problemi di compatibilità della norma di cui all’art. 5 legge divorzio rispetto al principio di uguaglianza, che avevano indotto il Tribunale di Firenze a sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale della norma[7].

Le Sezioni Unite intervengono nuovamente sul punto nel 2018[8], affermando la natura composita dell’assegno divorzile: quest’ultimo non assolve esclusivamente ad una mera funzione assistenziale, ma altresì ad una funzione perequativo-compensativa, in quanto bisogna tener conto del fatto che il coniuge beneficiario, durante la vita matrimoniale, può aver sacrificato la propria esperienza professionale per adempiere ai doveri familiari[9].  

Il giudice è dunque chiamato a svolgere un ragionamento di carattere ipotetico, valutando l’efficacia dei sacrifici sostenuti da uno dei coniugi rispetto alla vita coniugale, nell’ottica di valorizzare la persistenza di un vincolo di solidarietà post-coniugale[10].

Ne consegue che, ai fini della determinazione dell’assegno, il coniuge beneficiario deve provare l’inadeguatezza dei propri mezzi o l’impossibilità di procurarseli in funzione di una redistribuzione della ricchezza tra le parti, avuto riguardo non ad uno standard medio di vita ma alla comparazione delle posizioni economico-patrimoniali dei coniugi e ad altri parametri, come l’età del beneficiario e il contributo dato da quest’ultimo alla vita familiare, alla formazione del patrimonio comune e personale[11].

4. Il ruolo (marginale?) dell’autonomia negoziale

Prima di questo intervento della Suprema Corte, la conclamata natura assistenziale dell’assegno divorzile, volto a tutelare il coniuge più debole, ha costituito uno degli argomenti cardine su cui si fonda la tesi volta a sancire la nullità dei patti diretti a regolamentare un’eventuale futura crisi coniugale[12].

Le tradizionali resistenze in tal senso da parte della giurisprudenza hanno risentito di una concezione fortemente istituzionale della famiglia, propugnata da una dottrina risalente, la quale negava che in tale ambito potesse riservarsi spazio all'autonomia negoziale dei coniugi.

Molteplici sono gli argomenti che hanno indotto la giurisprudenza ad affermare la nullità dei patti in vista del divorzio.

In primo luogo, si è parlato di nullità di tali patti per illiceità della causa, in quanto gli stessi, mediante la previsione di un corrispettivo per il consenso allo scioglimento del vincolo, realizzerebbero una commercializzazione dello status coniugale: tali accordi, dunque, andrebbero a condizionare la volontà dei coniugi su scelte di carattere personale che riguardano diritti indisponibili.

A tali argomenti, si è affiancato poi il fondamentale richiamo all’articolo 160 c.c., che sancisce l'indisponibilità dei diritti e dei doveri nascenti dal matrimonio: autorevole dottrina ritiene infatti che gli effetti del divorzio sono, seppure indirettamente, da inquadrarsi tra gli effetti del matrimonio, il quale, ai sensi dell'art. 160 c.c., impedisce ai coniugi di derogare ai diritti e ai doveri che derivano dalla loro unione[13].

Ne consegue che i coniugi non possono validamente stipulare un patto che abbia ad oggetto la sussistenza e la misura di un futuro assegno divorzile, in quanto tale patto conterrebbe un’implicita rinuncia ad un effetto connesso ad uno status che, per sua natura, è indisponibile.

Nel corso del tempo vi è stata un’evoluzione giurisprudenziale dovuta anche al mutare del sentire sociale e alla consapevolezza che tali accordi, in altri ordinamenti, risultano invece perfettamente validi: si pensi, fra tutte, alla celebre sentenza Redmaker, considerata la pietra miliare in tema di validità dei patti prematrimoniali negli ordinamenti di common law.

Progressivamente si è passati dunque dalla tesi della declaratoria di nullità assoluta a quella di nullità relativa, sino alle pronunce di ammissibilità di alcuni accordi preventivi, seppur con specifici limiti.

Giova richiamare, in tema, la distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra accordi in vista del divorzio ed accordi in occasione del divorzio: i primi sono da reputarsi certamente nulli, mentre i secondi vengono giudicati validi, alla luce dell’articolo 1322 c.c., in quanto in quelle ipotesi il divorzio non assurge ad elemento causale ma incide solo sugli effetti della pattuizione[14].

In quest’ottica, il divorzio viene interpretato alla stregua di una condizione sospensiva di un accordo in cui l’oggetto è altro, e che produrrà effetti soltanto nell’eventualità del divorzio.

Tuttavia, nonostante si siano registrati dei segnali di apertura in ordine all'ammissibilità delle pattuizioni dirette a regolamentare la crisi coniugale, deve darsi atto che tali pronunce risultano isolate rispetto al granitico orientamento della Corte che propende per la loro invalidità; tale visione risulta certamente inattuale a fronte dell'evoluzione normativa nell'ambito della regolamentazione della crisi coniugale, unitamente all'orientamento prevalente della dottrina che ne ammette la liceità[15].

A conferma di quanto affermato, giova richiamare la disciplina in tema di negoziazione assistita, introdotta nel 2014, che ha fortemente ampliato i poteri riconosciuti ai coniugi in caso di crisi coniugale, e la successiva approvazione della legge sul c.d. divorzio breve, che ha ulteriormente comportato una limitazione della centralità delle procedure di separazione[16].

Diversi sono stati inoltre i tentativi, ancorché fallimentari, di riforma del codice civile mediante l’introduzione di norme ad hoc che legittimassero la conclusione di accordi pre-matrimoniali in vista dell'eventuale separazione o divorzio: si pensi, in tal senso, al disegno di legge volto ad introdurre nel corpus del codice l’articolo 162 bis, rimasto inattuato[17].

Da ultimo, si individua un ulteriore argomento a sostegno della validità dei patti in vista del divorzio: si fa riferimento, in particolare, all’introduzione dell’articolo 473 bis 19 del decreto legislativo 149 del 2022 in seno alla così detta Riforma Cartabia.

Si tratta di una disposizione di natura eminentemente processuale che pone alcune eccezioni alle ordinarie decadenze previste nella fase iniziale del procedimento, con specifico riferimento alla facoltà delle parti di introdurre nuove domande, nuovi mezzi di prova relativi all'affidamento e al mantenimento dei figli minori.

La norma in esame stabilisce infatti che le parti possono proporre, nella prima difesa utile successiva e fino al momento della precisazione delle conclusioni, nuove domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e relativi mezzi di prova, laddove sopraggiungano mutamenti delle circostanze o a seguito di nuovi accertamenti istruttori.

Tale modifica legislativa sembrerebbe, secondo alcuni autori, aprire uno spiraglio all’ipotesi che le domande relative al contributo economico fra i coniugi e le domande relative al contributo economico relativo ai figli maggiorenni non siano indisponibili: se fossero indisponibili, infatti, non opererebbero affatto le decadenze previste dalla norma, e non sarebbe necessario specificare l’eccezione relativa al sopraggiungere di nuovi elementi.

Se si trattasse di un diritto realmente indisponibile, infatti, le parti potrebbero proporre una domanda nuova in qualunque momento, indipendentemente dal sopraggiungere di un fatto nuovo: la norma in esame, invece, sembra propendere per la tesi che qualifica i rapporti di mantenimento, almeno tendenzialmente, quali diritti disponibili, salva la rilevanza del fatto nuovo.

5. La rilevanza della convivenza intrapresa all’indomani del divorzio

Un’ulteriore questione problematica che viene posta dall’istituto dell’assegno divorzile, ed emersa di recente in occasione di una pronuncia delle Sezioni Unite[18], concerne la rilevanza della convivenza intrapresa dal coniuge beneficiario della prestazione patrimoniale in ordine alla tenuta o meno della stessa.

La legge stabilisce che l’obbligo a carico del coniuge onerato di corrispondere l’assegno divorzile in favore della controparte meno abbiente sussiste finché quest’ultima non passi a nuove nozze: è ormai risalente l’orientamento giurisprudenziale che riconosce rilevanza, in tal senso, anche alla convivenza more uxorio intrapresa dall’ex coniuge beneficiario, qualificabile in termini di famiglia di fatto, conformemente anche ad una rinnovata concezione della famiglia intesa come qualsivoglia forma di stabile convivenza retta da vincoli di solidarietà, morale e materiale, e non basata esclusivamente sul matrimonio[19].

Di conseguenza, si è proposta di frequente in giurisprudenza la tesi secondo cui la formazione di una nuova famiglia di fatto da parte del coniuge divorziato determina la perdita definitiva del diritto all'assegno divorzile, in antitesi rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale che, attribuendo alla convivenza more uxorio il carattere della precarietà, la reputava irrilevante ai fini dell'accertamento del diritto alla suddetta prestazione patrimoniale[20].

Tale orientamento valorizza invece l'aspetto sostanziale e relazionale della convivenza, la quale non soltanto incide sul quantum dell'assegno divorzile, ma anche sull'an, influendo principalmente sull'unico presupposto necessario per l'accoglimento dell'istanza di assegno divorzile, identificabile nel parametro dell'adeguatezza dei mezzi: secondo tale impostazione, ciò che conta è che sussista uno squilibrio economico fra i coniugi, giacché in sua mancanza non è possibile accogliere l'istanza avanzata dal coniuge economicamente meno abbiente.

Si argomenta quindi che una convivenza more uxorio dotata dei caratteri di stabilità e continuità, che determina una condizione reddituale nuova per il coniuge istante, faccia venir meno il suo diritto all'assegno divorzile, annullandone la funzione assistenziale[21].

Tale tesi è stata oggetto di critica in ragione dell’acclarata duplice funzione dell’assegno di divorzio, il quale, all’indomani dell’evoluzione ermeneutica inaugurata dalle Sezioni Unite, non assolve ad una semplice funzione assistenziale ma, altresì, ad una funzione compensativa.

Parte della giurisprudenza ha così ritenuto che il sopravvenire di una convivenza more uxorio, modificando le condizioni personali ed economiche del coniuge, possa incidere tuttalpiù sull'ammontare dell'assegno, comportando dunque la necessità di revisionarne il quantum, ma sarebbe inidonea ad estinguere quello stesso diritto all'assegno del coniuge beneficiario[22].

Tuttavia, viene ribadito che la sola sussistenza di una nuova relazione non consente di fornire la prova certa dell'avvenuto mutamento delle condizioni patrimoniali del coniuge, visto anche il carattere intrinsecamente precario di una convivenza non fondata su alcun vincolo giuridico: per consentire la revisione dell’assegno, infatti, si rende necessaria la sussistenza di una convivenza che si è consolidata e protratta nel tempo; in secondo luogo, il miglioramento economico deve essere concretamente provato, ancorché tramite presunzioni, dal coniuge onerato.

Tale divergenza di vedute si è recentemente posta all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[23], le quali hanno accolto una soluzione intermedia:  la scelta del beneficiario dell’assegno divorzile di intraprendere una stabile convivenza di fatto con un altro soggetto non determina l'automatica e definitiva cessazione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno, potendo invero sopravvivere un residuo obbligo, in capo all’onerato, concernente la sola componente compensativa della prestazione.

Ciò significa che laddove uno dei coniugi, nonostante abbia intrapreso una nuova convivenza, sia stato riconosciuto beneficiario dell’assegno in virtù del contributo personale e patrimoniale apportato in costanza di matrimonio a proprio detrimento, del quale si è avvantaggio l'altro, mantiene il diritto a percepire un assegno di divorzio, ma solo nella misura rapportabile a questa componente riconosciuta in funzione esclusivamente compensativa[24].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Bocchini F., Quadri E., Diritto Privato. Giappichelli, 2022

[2] Donati P., Il diritto di famiglia come diritto relazionale in “Diritto di Famiglia e delle persone” Fasc.4 dicembre 2022

[3] Gazzoni F., Manuale di Diritto Privato. Edizioni scientifiche italiane, 2021

[4] Giovagnoli R., Manuale di Diritto Civile. ITA Edizioni, 2022

[5] Cfr. Cass. SS.UU sent. n. 11490/1990

[6] Cfr. Cassazione civile, sez. I sent. n. 11504/2017

[7] Il Tribunale di Firenze ha proposto la questione di legittimità costituzionale con riferimento alla Legge sul divorzio ed in particolare all’assegno divorzile e specificatamente all’art. 5 comma 6 L. 898/70, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione. .
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 11 dell’11 febbraio 2015, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata avendo rilevato che il tenore di vita non può essere ritenuto l’unico elemento ai fini della determinazione dell’assegno divorzile essendo determinanti ulteriori parametri quali il reddito dei coniugi, l’apporto di ciascuno dei coniugi alla costituzione del patrimonio comune e l’effettiva durata del matrimonio .

[8] Si veda sul punto Cass. SS.UU sent. n. 18287/2018

[9] Gazzoni F. ,Manuale di Diritto Privato. Edizioni scientifiche italiane, 2021

[10] Spadafora A., Dal matrimonio dissolubile al patrimonio indissolubile: il radicarsi di un paradosso? in “Diritto di famiglia e delle persone” Fasc. 1 marzo 2023

[11] Savi G., Il “compenso” all’ex coniuge, ovvero l’assegno divorzile avvolto dalle nebbie di stagione in “Diritto di Famiglia e delle Persone (Il)”, fasc.4, dicembre 2022, pag. 1748

[12] Gazzoni F. ,Manuale di Diritto Privato. Edizioni scientifiche italiane, 2021

[13] Rimini C., I patti in vista del divorzio: spunti di riflessione e una proposta dopo l’introduzione della negoziazione assistita per la soluzione delle controversie familiari  inDiritto di Famiglia e delle Persone (Il)”, fasc.1, 2015, pag. 207

[14] Spadafora A., L’incedere della causa familiare sul terreno della negozialità in “Diritto di Famiglia e delle Persone (Il)”, fasc.4, dicembre 2021, pag. 1788

[15] Giovagnoli R., Manuale di Diritto Civile. ITA Edizioni, 2022

[16] Mineo J., Gli accordi preventivi della crisi coniugale: evoluzioni giurisprudenziali e riflessioni prospettiche inDiritto di Famiglia e delle Persone (Il)”, fasc.4, dicembre 2022, pag. 1708

[17] Irti C., Gestione condivisa della crisi familiare: dalla mediazione familiare alla negoziazione assistita in “Diritto di Famiglia e delle Persone (Il)”, fasc.2, 2016, pag. 665

[18] Su impulso dell’ordinanza interlocutoria 27 ottobre - 17 dicembre 2020, n. 28995/2020, la Sezione I della Cassazione poneva all’attenzione delle Sezioni Unite un quesito interessante e cioè se la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice, l’immediata ed automatica soppressione dell’assegno di divorzile.

[19]Cfr. Cass. civ. 2466/2016; Cass. civ. 6855/2015

[20] Cfr. Cass. civ. 2466/2016; Cass. civ. 6855/2015; Cass. civ. 29317/2019; Cass. civ. 22604/2020

[21] Cicero C., Rinaldo M., Formazione di una nuova famiglia non fondata sul matrimonio e perdita del diritto all’assegno divorzile inDiritto di Famiglia e delle Persone (Il)”, fasc.1, 2016, pag. 314

[22] Si tratta di una tesi che, in verità, si era già affermata prima dell’emanazione della sentenza delle SS.UU del 2018. In tal senso, si veda Cass. 1477/1982; Cass. 3253/1983; Cass. 25691986; Cass. 3270/1993; Cass. 13060/2002; Cass. 12557/2004; Cass. 1179/2006; Cass. 24056/2006; Cass. 2709/2009; Cass. 24832/2014

[23] Cfr. Cass. SS.UU. sent. n. 32198/2021

[24] Dell’Anna Misurale F., Nuova relazione e perdita dei benefici economici postconiugali in “Giustizia Civile”, fasc.3, 1 Marzo 2020, pag. 603

[25] Savi G., Lo scioglimento volontario dell’unione civile in “Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile”, fasc.2, 1 giugno 2017, pag. 681

[26] La prima sezione della Cassazione, ordinanza 27 gennaio 2023, n. 2507, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite per la soluzione del seguente quesito: se, ai fini del riconoscimento dell’assegno di cui all’art. 5, comma 6, L. n. 898/1970, nel caso di unione civile – conclusa ai sensi dell’ art. 1, comma 25, L. n. 76/2016 – per la quale è stato pronunciato lo scioglimento, sia possibile valutare i fatti intercorsi tra le parti, anteriori alla costituzione dell’unione stessa.