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Pubbl. Gio, 22 Giu 2023

Il nuovo codice della crisi dell´impresa e dell´insolvenza, tra dichiarati intenti ed effettività

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Olga Paola Greco
Funzionario della P.A.Ministero della Giustizia



Il 15 luglio del 2022 è entrato in vigore il nuovo codice della crisi e dell´insolvenza, il d.lgs 14/2019 (CCI), che ha abrogato la legge fallimentare e innovato profondamente, armonizzandola, la disciplina della crisi di impresa e dell´insolvenza alla luce dei dettami del legislatore europeo. Con il presente contributo si analizzano le principali novità e perplessità a quasi un anno dalla sua entrata in vigore


ENG

The new code of business crisis and insolvency, between declared intentions and effectiveness

On july 15, the new crisis and insolvency code , d.lgs. 14/2019, came into force which repealed the bankruptcy law and innovated the discipline of business crises. Let´s analyze what´s new after a year

Sommario: 1. Inquadramento sistematico e ratio della riforma; 2. Le novità in materia di impresa; 2.1. Dalla prima stesura del CCI al recepimento della Direttiva Ue: la composizione negoziata della crisi; 3.Il nuovo CCI entrato in vigore il 15 luglio 2022; 4.Il concordato preventivo in continuità; 5.Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO); 6.I rimedi liquidatori; 6.1. La liquidazione giudiziale; 7.La nascita del procedimento unitario; 8.Conclusioni

1.Inquadramento sistematico e ratio della riforma

Il nuovo codice della crisi della crisi e dell’insolvenza (CCI), il d.lgs. 14 del 2019, è entrato in vigore il 15 luglio del 2022 a seguito del recepimento della direttiva UE 1023/2019 (c.d. direttiva insolvency). Esso ha abrogato la legge fallimentare e la legge sul sovraindebitamento disciplinando in un unico corpus normativo gli strumenti per la crisi e l’insolvenza di tutti i debitori a prescindere dalla natura (imprenditore agricolo e commerciale, professionista e consumatore) e dalle dimensioni (impresa minore, non minore e gruppi di imprese).

La riforma si è realizzata in tre tempi ed è stata oggetto di numerosi rinvii dovuti alla pandemia e alla necessità di adeguare il corpo normativo ai principi della direttiva Ue 1023/2019.

Nello specifico il d.lgs. 14/2019 è stato emanato in attuazione della legge delega n.155/2017 per la riforma delle discipline della crisi e dell’insolvenza. Successivamente il d.lgs. 147/2020 ha introdotto le prime disposizioni correttive, portato della crisi dovuta alla pandemia e, infine, il d.lgs. 83/2022 ha dato attuazione alla direttiva Insolvency 1023/2019 e ha comportato l’entrata in vigore del CCI.

L’idea di fondo della legge delega era quella di realizzare l’armonizzazione, la snellezza e l’efficacia delle procedure concorsuali.

Ruolo fondamentale nella spinta riformatrice ha avuto il legislatore europeo che con il regolamento 848/2015 e la raccomandazione 135/2014, ha introdotto i concetti normativi di emersione tempestiva della crisi ed opportunità di ristrutturazione precoce in un’ottica di salvaguardia dell’attività di impresa. Il presupposto di partenza, infatti, è che il rischio è insito nell’attività di impresa, il che è testimoniato già dalla possibilità di scelta del tipo societario (società a responsabilità piuttosto che società di capitali ecc.). Per tale motivo le eventuali difficoltà di impresa devono essere considerate fisiologiche e non necessariamente patologiche e quindi non sfociare necessariamente in responsabilità penale o in conseguenze civili indelebili.

Sono stati, così, previsti strumenti idonei all’emersione tempestiva della crisi ed alla sua risoluzione concordata. L’idea di fondo è che la liquidazione giudiziale, che ha sostituito il fallimento, debba venire in rilievo solo quando strettamente necessario.

Ci si è resi conto, infatti, che la crisi di impresa, in assenza di un interesse pubblicistico non deve trovare nello Stato il soggetto che individui la miglior soluzione bensì essa deve essere ricercata dai soggetti più interessati, ovvero, il debitore e i creditori.

Lo scopo originario della riforma, infatti, era proprio quello di limitare l’intervento dello Stato dando maggior rilievo all’iniziativa dei privati e all’imprenditore quale dominus dell’impresa.

2.Le novità in materia di impresa

Come chiarito, il nuovo codice ha unificato in un unico corpus normativo, abrogandole, la legge fallimentare in materia di imprese e quella relativa alla composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla Legge 3/2012.

2.1. Dalla prima stesura del CCI al recepimento della Direttiva Ue: la composizione negoziata della crisi

L’idea di base, già della riforma del 2005, era quella di realizzare una “privatizzazione del fallimento” e, infatti, erano state eliminate talune “sanzioni” del fallito nella nuova convinzione che l’impresa insolvente non dovesse essere punita se non in taluni casi. Tuttavia, nella formulazione originaria del codice, nonostante le manifestazioni programmatiche, la gestione della crisi veniva affidata comunque allo Stato. Nel caso di concordato, infatti, era previsto che il Tribunale dovesse verificare non solo la fattibilità giuridica dello stesso, ma anche la fattibilità economica del piano di risanamento[1]. Egualmente, la composizione assistita[2]non veniva lasciata all’autonomia ed alla discussione dei soggetti interessati, ma richiedeva l’intervento di un soggetto terzo e, cioè, l’OCRI (organismo di composizione della crisi di impresa).

A seguito della pandemia, che ha fortemente influito sulle imprese, tuttavia, tale sistema è stato ritenuto inopportuno e si è avvertita la necessità di introdurre strumenti che potessero supportare le imprese in difficoltà[3].

Il codice, infatti, secondo molti era ancora troppo chino sulla necessità di reprimere eventuali abusi dell’imprenditore e di tutelare il “preminente” interesse dei creditori, piuttosto che sulla salvaguardia delle imprese in difficoltà e della loro continuità aziendale.

Solo con la pandemia il legislatore si è orientato nel senso di una tutela della crisi piuttosto che sulla repressione degli abusi. Fondamentale è stato in tal senso il d.lgs 118 del 2021 (convertito con L.147/2021)[4]che ha introdotto la composizione negoziata della crisi in luogo di quella assistita e obbligatoria, cui il debitore-imprenditore può accedere liberamente, a differenza di prima, anche in presenza di segnalazioni. Questa, infatti, tende a contemperare tutti gli interessi in gioco attraverso una contrattazione che ha i caratteri tipici dell’autonomia negoziale e che si basa sui principi privatistici dell’equilibrio e della buona fede che si sostanziano negli ulteriori principi di solidarietà e correttezza.

Sulla scorta dei principi propri della direttiva Ue, la contrattazione negoziata sostituisce, dunque, quella assistita ma per la sua effettività necessita dell’adozione di sistemi di rilevazione precoce della crisi e vengono così meno gli indicatori, i segnali e gli indici della precedente disciplina. Alla composizione negoziata possono accedere tutti gli imprenditori senza limiti dimensionali, anche quelli agricoli, nel caso di campanelli di insolvenza, quando risulti “ragionevolmente perseguibile il risanamento”. L’imprenditore accede a tale percorso (ex art 12 co 1 d.lgs. 118/2021) chiedendo la nomina di un esperto al segretario generale della camera di commercio competente e corredando la richiesta di una serie di documenti sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa e sulle prospettive di risanamento (art 17 co 3); Il segretario generale, se riconosce formalmente completa la documentazione, trasmette la domanda ad una commissione che nomina l’esperto (art 13 co. 6 e 7) e dalla sua accettazione inizia il percorso. Si tratta di una procedura stragiudiziale la cui domanda non è sottoposta ad istanza giudiziaria[5] motivo per cui il tribunale non effettua alcun controllo giudiziale sull’effettiva sussistenza dei presupposti di attivazione dello strumento[6].

Si passa in tal modo da un sistema afflittivo ad un sistema attivato dall’imprenditore, affiancato da un terzo esperto[7], indipendente e imparziale, che svolge sostanzialmente un ruolo di mediatore e 2014, che agevola le trattative.

Il mancato raggiungimento dell’accordo, non comporta necessariamente l’intervento del Pubblico Ministero a meno che non sussista una responsabilità dell’imprenditore e solo ove non sia possibile accedere ad altri strumenti di regolazione della crisi sarà necessaria l’apertura della liquidazione giudiziale.

3. Il nuovo CCI entrato in vigore il 15 luglio 2022

Solo con il d.gs 83/2022, però, il legislatore fa propri i principi espressi dalle direttive Ue e, in particolare, la possibilità di una ristrutturazione preventiva che consenta di preservare la continuità aziendale o di prevenire l’insolvenza e l’accumulo di crediti deteriorati. Ristrutturazione che per essere effettiva ed efficiente ed incentivare, quindi, l’imprenditore ad accedere ad essa, necessita di strumenti di allerta precoci.

A tal fine è stato previsto che tutte le imprese, non solo quelle in difficoltà, debbano dotarsi di assetti organizzativi che consentano di rilevare precocemente lo stato di crisi[8]. Le imprese, infatti, devono essere strutturate in maniera tale da poter rilevare eventuali squilibri di carattere economico-finanziario e da poter verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i 12 mesi successivi. A tal fine è previsto il rafforzamento dei sistemi di controllo interni atti ad identificare difficoltà economico-finanziarie quali debiti per retribuzioni non versate, debiti verso fornitori, esposizioni verso banche e/o altri intermediari finanziari. I creditori pubblici, quali Agenzia delle entrate, Inps, Inail nonché le banche, dal canto loro, hanno obblighi di segnalazione in presenza di segnali di allarme e, cioè, nel caso di superamento di determinate soglie di indebitamento contributivo e previdenziale. Tale segnalazione è rivolta al solo debitore e all’organo di controllo della società e costituisce un invito a valutare se sussistano i presupposti per l’apertura della composizione negoziata.

Anche lo stato di crisi ha, poi, subito una modifica nella definizione e, oggi, è qualificato come “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi[9].

La vecchia disciplina delle “procedure” ha, dunque, lasciato il posto a agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza che presuppongono l’intervento dell’autorità giudiziaria e che risultano ampliati e modificati.

La loro applicazione, inoltre, non è limitata alla singola impresa ma viene estesa anche al gruppo quando più società facciano capo ad un medesimo soggetto. Per la prima volta, infatti, è stata prevista una disciplina organica della crisi e dell’insolvenza di gruppo, che ruota intorno al concetto di direzione e coordinamento, favorendo il coordinamento tra le procedure nell’interesse unitario del gruppo.

Oggi per le imprese abbiamo, dunque, come strumenti per la ristrutturazione, la convenzione moratoria, i piani di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il concordato preventivo in continuità (quest’ultimo è quello maggiormente modificato) e il piano di ristrutturazione soggetto ad omologa (cd. PRO)[10]che costituisce una novità. Tra gli strumenti di liquidazione, invece, vengono in rilievo il concordato preventivo liquidatorio, il concordato semplificato e la liquidazione giudiziale.  Nell’ambito degli strumenti per la ristrutturazione le modifiche più significative riguardano il concordato preventivo (che ora si distingue in due tipologie prevalenti: in continuità e liquidatorio) e l’introduzione del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (cd. PRO).

4. Il concordato preventivo in continuità

Il concordato preventivo in continuità, come chiarito, è lo strumento di ristrutturazione maggiormente innovato[11].

Esso non prevede requisiti minimi di accesso, neanche per la soddisfazione minima dei creditori e, infatti, non richiede più la verifica della fattibilità economica da parte del tribunale che deve limitarsi alla valutazione della fattibilità giuridica. Questo deve verificare, dunque, la sola compatibilità con le norme inderogabili e la sua capacità di realizzare la continuità aziendale.

Dato che l’art. 84 c 1 CCI[12] richiede il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale[13] ci si è chiesti quale sia il valore attribuibile alla continuità. In particolare, qualora essa venga interpretata come mezzo per garantire il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore alla liquidazione, se il tribunale la ritiene funzionale a tale scopo deve ammettere il concordato. Se, invece, si ritiene che la continuità abbia lo stesso valore della soddisfazione dei creditori il tribunale dovrebbe valutare anche tale requisito ai fini dell’ammissibilità, il che renderebbe l’accesso ad esso più complesso.

Per tale motivo la dottrina più attenta ha rilevato che prevedendo l’art. 84 CCI un rapporto di fine a mezzo tra soddisfazione e continuità, il piano di ristrutturazione astrattamente idoneo a realizzare le pretese dei creditori rende ammissibile il concordato senza necessità di ulteriori valutazioni. Solo la lettura combinata delle due norme consentirebbe, infatti, di far salva la ratio della riforma, in quanto ritenere che continuità e soddisfazione dei creditori abbiano valore paritetico significherebbe attribuire al tribunale anche la valutazione della fattibilità economica, disattendendo i propositi di fondo del legislatore sottesi al recepimento della direttiva UE e rendendo più complesso l’accesso al concordato in continuità.

5. Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)

Costituisce la vera novità del recepimento della direttiva UE[14]. Questo strumento consente la distribuzione della liquidità derivante dall’esecuzione del piano anche in deroga alle regole di cui agli artt. 2740[15]e 2741[16] c.c. e, cioè, quelle sulla responsabilità patrimoniale e sul concorso dei creditori e cause di prelazione. In tal modo si consente all’imprenditore, nel caso di accordo con i creditori privilegiati di utilizzare anche parte del valore di liquidazione loro spettante per pagare le altre categorie di creditori, salvo che si tratti di diritti dei lavoratori.

In tal caso il tribunale valuta, con decreto, la mera ritualità della proposta (al pari di quanto avveniva per il concordato fallimentare) ed omologa, con sentenza, il piano anche nel caso di dissenso del creditore, quando il credito risulti soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale. Per tale motivo alcuni ritengono che in tal modo il ruolo del tribunale sia limitato alla sola verifica dell’approvazione ed alla definizione delle opposizioni da parte dei creditori dissenzienti.  Come rilevato da altri, invece, analizzando la normativa nel complesso e alla luce dell’art. 10 della direttiva UE sarà necessario anche valutare che il piano possa ragionevolmente garantire la sostenibilità economica dell’impresa.

6. I rimedi liquidatori

I rimedi liquidatori vengono in rilievo nel caso di insolvenza e, quindi, in una fase più avanzata rispetto a quella della crisi e, nello specifico è lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori che dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Sono rimedi liquidatori il concordato liquidatorio, il concordato semplificato e la liquidazione giudiziale. Il rimedio che, sicuramente, rappresenta le maggiori novità è la liquidazione giudiziale.

6.1 La liquidazione giudiziale

La liquidazione giudiziale ha sostituito il fallimento eliminando, già a livello terminologico, quell’aurea di negatività e di discredito che storicamente caratterizzava il fallimento[17]. Si è cercato, infatti, di allineare il nostro ordinamento ai principi europei partendo dal presupposto che la crisi e la successiva insolvenza rappresentino un fenomeno fisiologico e non sempre patologico dell’attività di impresa. La liquidazione giudiziale è, infatti, collocata già topograficamente[18] dopo gli strumenti di ristrutturazione in quando vige il principio della priorità degli strumenti che favoriscano la continuità aziendale rispetto alle procedure liquidatorie che costituiscono, invece, l’ultima ratio.

La procedura di liquidazione giudiziale non ha subito profonde modifiche rispetto a quella previgente del fallimento e le novità riguardano principalmente l’ampliamento del novero dei soggetti legittimati a presentare la domanda di liquidazione[19]nonché la necessità di una procedura più rapida e snella. Ulteriore novità è rappresentata, inoltre, dalla previsione del diritto di ogni debitore, compresi quelli collettivi, di ottenere l’esdebitazione nel termine massimo di tre anni dall’apertura della procedura di liquidazione giudiziale (o della liquidazione controllata) anche se essa non si è ancora conclusa[20]. Lo scopo della liquidazione resta quello di liquidare il patrimonio del debitore insolvente, ripartendo il ricavato tra i creditori in base alla graduazione dei loro crediti.

Tra le novità più rilevanti vi è l’attribuzione al curatore della possibilità di effettuare azioni di responsabilità più ampie senza autorizzazione da parte del giudice delegato e parere del comitato dei creditori. In capo a questi sono stati, inoltre, introdotti nuovi obblighi informativi e, infatti, è prevista la tenuta di un registro informatico consultabile dal giudice delegato e dai componenti del comitato dei creditori. Oggi, inoltre, per valutare eventuali atti pregiudizievoli ai creditori si guarda si guarda al deposito dell’istanza con cui si chiede la liquidazione giudiziale e non alla data di apertura della liquidazione. Viene disciplinata in modo innovativo, inoltre, la liquidazione dell’attivo prevedendo un obbligo di stima dei beni, il ricorso al portale delle vendite pubbliche, una durata massima delle procedure[21]e sono state previste disposizioni specifiche sulla vendita dei beni, sul numero dei tentativi da esperire e sul prezzo di aggiudicazione attribuendo al giudice delegato significati poteri in merito.

7. La nascita del procedimento unitario

Da un punto di vista pratico il codice ha introdotto una disciplina unitaria per tutte le domande dirette all’apertura di un procedimento di ristrutturazione o di liquidazione. La ratio è quella di far confluire in un unico “contenitore” processuale tutte le domande relative ad uno stesso soggetto, anche se contrapposte. Oggi, infatti, è previsto un meccanismo automatico di riunione per tutte le domande presentate, anche successivamente, nei confronti del medesimo soggetto. Pur essendo il contenitore unico, però, il principio è quello della trattazione prioritaria delle domande dirette all’accesso a strumenti di ristrutturazione rispetto a quelli liquidatori.

Con la domanda con cui si instaura il procedimento unitario è possibile chiedere misure protettive o cautelari, sia per le imprese che per i consumatori. Nel caso di imprese le misure protettive acquistano efficacia fin dal momento della pubblicazione della domanda nel registro delle imprese ma per conservare efficacia devono essere successivamente confermate dal tribunale. Differiscono da queste le “misure selettive” che possono essere chieste dal debitore, anche nel corso della procedura, al fine di tutelare il patrimonio da singoli creditori o categorie di creditori.

Autorevole dottrina sostiene che il procedimento sia unitario solo di nome ma non di fatto in quanto all’interno dello stesso possono oggi convivere procedimenti totalmente diversi tra loro di cui uno si rivolge alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale ed un altro all’omologazione dei piani di ristrutturazione. L’unitarietà sembra a molti solo apparente o, quantomeno parziale in quanto riguarda domanda, documenti da presentare, competenza ma nel prosieguo diviene necessariamente discontinuità[22].

All’interno del procedimento unitario, infatti, possono convivere segmenti processuali distinti sorretti da logiche e regole proprie anche se in alcuni passaggi concorrenti. Il primo grado del giudizio, dopo l’introduzione della domanda nel contenitore unitario, infatti, si caratterizza per la diversificazione dei percorsi processuali, a seconda che si voglia accedere alla regolazione pattizia o a quella liquidatoria. Vi è riunione dei procedimenti ma non un procedimento unico anche se l’epilogo oggi, salvi i casi di rigetto, è sempre una sentenza anche qualora il tribunale opti per l’omologazione e non per l’apertura ella liquidazione giudiziale[23]. Quelle che erano le idee alla base dei lavoratori preparatori, dunque, sembrano ai più disattese per le notevoli differenze dei differenti procedimenti.

Il procedimento volto all’apertura della liquidazione giudiziale, infatti, è un giudizio a cognizione piena anche se semplificata, egualmente è un giudizio a cognizione piena e semplificata quello relativo all’omologazione dello strumento pattizio di regolazione della crisi e dell’insolvenza mentre sono a carattere sommario le fasi di concessione del termine per la presentazione della proposta, del piano e degli accordi e quella di apertura del concordato preventivo. Alcuni ritengono, infatti, che il legislatore non abbia preso in considerazione tutti gli snodi processuali in cui può dipanarsi il procedimento, visto che i riti che confluiscono nel procedimento unitario hanno natura e finalità differenti[24].

8. Conclusioni

È indubbio che il processo normativo non possa dirsi ancora concluso e, infatti, la Commissione europea nel dicembre scorso ha presentato una nuova proposta di direttiva europea relativa all’insolvenza. Oltre ai dubbi già espressi in relazione al nuovo procedimento unitario ed alla possibilità di racchiudere in unico contenitore procedure tanto diverse tra loro, varie sono ancora oggi le incertezze in merito all'effettiva applicazione della nuova disciplina. Crea perplessità, ad esempio, il vaglio del tribunale in materia di composizione negoziata della crisi.

Nella prassi giudiziaria, infatti, la tendenza è quella di valutare la sussistenza delle condizioni di accesso alla composizione negoziata quando il tribunale sia investito, in via incidentale, di questioni relative alla composizione quali la conferma o la proroga delle misure protettive[25] o cautelari, o nel caso di autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili ecc. In tali casi, infatti, si ritiene che il debitore possa ottenere taluni provvedimenti solo ove dimostri la sussistenza dei requisiti per l’accesso alla composizione negoziata.

Il dato normativo, infatti è ambiguo[26]in quanto l’art.12 CCI sembra richiedere che sussistano tre condizioni per l’accesso alla composizione negoziata e, cioè, lo squilibrio, la crisi e la prospettiva di risanamento[27]. Come rilevato da attenta dottrina, inoltre, anche la nozione di “risanabilità” è dubbia[28]. E forse nella consapevolezza della difficoltà di interpretare un concetto così sfuggente, gli stessi giudici, infatti, hanno fatto spesso affidamento sulle valutazioni dell’esperto nominato

Note e riferimenti bibliografici

[1] L’art.47 del codice, antecedente al recepimento della direttiva Ue, infatti, recitava così : “1. A seguito del deposito del piano e della proposta di concordato, il tribunale, verificata l’ammissibilità della proposta e la fattibilità economica del piano ed acquisito, se non disponga già di tutti gli elementi necessari, il parere del commissario giudiziale, se nominato ai sensi dell’ art. 44, comma 1, lettera b), con decreto: a) nomina il giudice delegato;
b) nomina ovvero conferma il commissario giudiziale;
c) stabilisce, in relazione al numero dei creditori, alla entità del passivo e alla necessità di assicurare la tempestività e l’efficacia della procedura, la data iniziale e finale per l’espressione del voto dei creditori, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi e fissa il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori;
d) fissa il termine perentorio, non superiore a quindici giorni, entro il quale il debitore deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma, ulteriore rispetto a quella versata ai sensi dell’art.44, comma 1, lettera d), pari al 50 per cento delle spese che si presumono necessarie per l’intera procedura ovvero la diversa minor somma, non inferiore al 20 per cento di tali spese, che sia determinata dal tribunale.
2. Il decreto è comunicato e pubblicato ai sensi dell’articolo 45.
3. Il tribunale, quando accerta la mancanza delle condizioni di ammissibilità e fattibilità di cui al comma 1, sentiti il debitore, i creditori che hanno proposto domanda di apertura della liquidazione giudiziale ed il pubblico ministero, con decreto motivato dichiara inammissibile la proposta e, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale.
4. Il decreto di cui al comma 3 è reclamabile dinanzi alla Corte di appello nel termine di quindici giorni dalla comunicazione. La Corte di appello, sentite le parti, provvede in camera di consiglio con decreto motivato. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile.
5. La domanda può essere riproposta, decorso il termine per proporre reclamo, quando si verifichino mutamenti delle circostanze.

[2] Disciplinata dal Capo I, Titolo II, parte I CCI

[3] Lo stesso presidente della commissione di riforma Rordof ha ritenuto che il continuo rinvio dell’entrata in vigore del nuovo codice fosse dovuto ad un certo scetticismo legato alla sua efficacia.

[4] Si fa largo l’autonomia privata e la composizione negoziata dotata di un sistema di allerta prima solo interna e poi anche esterna sostituisce così la composizione assistita.

[5] Trib di Siracusa, Sez I, 14 settembre 2022, Pres. Milone, est. Maida rileva come non integri un vaglio di ammissibilità neanche il sindacato circa la corretta attivazione di una data composizione negoziata. In tal senso anche Tribunale di Verona

[6] Parte della dottrina dubita dell’assenza di un controllo da parte del tribunale sui presupposti per l’accesso ad essa o, quantomeno, sulla nomina dell’esperto. Si leggano in proposito A. Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma, in dirittodellacrisi.it, 2021, p.11 e R. Russo, Il Giano bifronte della composizione negoziata: la circolazione dell’azienda tra nuovo dato normativo e problemi irrisolti, in Il dir. Fall. E delle soc.comm., 2022 n.6, pag.1224

[7] Questi viene selezionato da un elenco costituito presso la Camera di commercio

[8] Ex art. 3 CCI “1. L'imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.

2. L'imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative.

3. Al fine di prevedere tempestivamente l'emersione della crisi d'impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di:

1.     a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore;

2.     b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4;

3.     c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13 al comma 2.

4. Costituiscono segnali per la previsione di cui al comma 3:

1.     a) l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;

2.     b) l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;

3.     c) l'esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni;

4.     d) l'esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall'articolo 25 novies, comma 1.

 

[9] L’art 2 c lett a) nella versione precedente la riforma lo definiva, invece, come “lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.

[10] Ex art 64 bis “1. Con il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione l'imprenditore commerciale che non dimostra il possesso congiunto dei requisiti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d) e che si trova in stato di crisi o di insolvenza può prevedere il soddisfacimento dei creditori, previa suddivisione degli stessi in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, distribuendo il valore generato dal piano anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile e alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione, purché la proposta sia approvata dall'unanimità delle classi. In ogni caso i crediti assistiti dal privilegio di cui all'articolo 2751 bis, n. 1, del codice civile, sono soddisfatti in denaro integralmente entro trenta giorni dall'omologazione.

2. La domanda è presentata nelle forme dell'articolo 40, anche con accesso ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera a). Con il ricorso il debitore deposita la proposta e il piano, con la documentazione di cui all'articolo 39, commi 1 e 2. Alla domanda si applicano i commi 4 e 5 dell'articolo 46.

3. Un professionista indipendente attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.

4. A seguito della presentazione del ricorso, il tribunale pronuncia decreto con il quale:

1.     a) valutata la mera ritualità della proposta e verificata la correttezza dei criteri di formazione delle classi, nomina un giudice delegato al procedimento e nomina oppure conferma il commissario giudiziale;

2.     b) adotta i provvedimenti di cui all'articolo 47, comma 2, lettere c) e d).

5. Dalla data della presentazione della domanda e fino all'omologazione, l'imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa, sotto il controllo del commissario giudiziale secondo quanto previsto nel comma 6. L'imprenditore gestisce l'impresa nel prevalente interesse dei creditori.

6. L'imprenditore informa preventivamente il commissario, per iscritto, del compimento di atti di straordinaria amministrazione nonché dell'esecuzione di pagamenti che non sono coerenti rispetto al piano di ristrutturazione. Il commissario giudiziale, quando ritiene che l'atto può arrecare pregiudizio ai creditori o non è coerente rispetto al piano, lo segnala per iscritto all'imprenditore e all'organo di controllo. Se, nonostante la segnalazione, l'atto viene compiuto, il commissario giudiziale ne informa immediatamente il tribunale ai fini di cui all'articolo 106.

7. Alle operazioni di voto si applicano gli articoli 107, 108, 109, commi 2, 4, 6 e 7, 110 e 111. In ciascuna classe la proposta è approvata se è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in mancanza, se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe. I creditori muniti di diritto di prelazione non votano se soddisfatti in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall'omologazione, e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di crediti assistiti dal privilegio di cui all'articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile, il termine di cui al periodo precedente è di trenta giorni. Se non ricorrono le condizioni di cui ai periodi precedenti, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta.

8. Il tribunale omologa con sentenza il piano di ristrutturazione nel caso di approvazione da parte di tutte le classi. Se con l'opposizione un creditore dissenziente eccepisce il difetto di convenienza della proposta, il tribunale omologa il piano di ristrutturazione quando dalla proposta il credito risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.

9. Anche ai fini di cui all'articolo 64 ter, al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 48, commi 1, 2 e 3, 84, comma 8, 87, commi 1 e 2, 89, 90, 91, 92, 93, 94 bis , 95, 96, 97, 98, 99, 101 e 102, nonché le disposizioni di cui alle sezioni IV e VI, del capo III del titolo IV del presente codice, ad eccezione delle disposizioni di cui agli articoli 112 e 114. Ai giudizi di reclamo e di cassazione si applicano gli articoli 51, 52 e 53.

 

[11] Ex art 47 CCI “1.  A seguito del deposito del piano e della proposta di concordato, il tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se già nominato, verifica:

1.     a) in caso di concordato liquidatorio, l'ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati;

2.     b) in caso di concordato in continuità aziendale, la ritualità della proposta. La domanda di accesso al concordato in continuità aziendale è comunque inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali.

2. Compiute le verifiche di cui al comma 1, il tribunale, con decreto:

1.     a) nomina il giudice delegato;

2.     b) nomina ovvero conferma il commissario giudiziale;

3.     c) stabilisce, in relazione al numero dei creditori, alla entità del passivo e alla necessità di assicurare la tempestività e l'efficacia della procedura, la data iniziale e finale per l'espressione del voto dei creditori, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi, e fissa il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori;

4.     d) fissa il termine perentorio, non superiore a quindici giorni, entro il quale il debitore deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma, ulteriore rispetto a quella versata ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera d), pari al 50 per cento delle spese che si presumono necessarie per l'intera procedura ovvero la diversa minor somma, non inferiore al 20 per cento di tali spese, che sia determinata dal tribunale.

3. Il decreto è comunicato e pubblicato ai sensi dell'articolo 45.

4. Il tribunale, quando accerta la mancanza delle condizioni di cui al comma 1, sentiti il debitore, i creditori che hanno proposto domanda di apertura della liquidazione giudiziale e il pubblico ministero, con decreto motivato dichiara inammissibile la proposta. Il tribunale può concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti. Il tribunale dichiara con sentenza l'apertura della liquidazione giudiziale quando è presentato ricorso da parte di uno dei soggetti legittimati.

5. Il decreto di cui al comma 4 è reclamabile dinanzi alla corte di appello nel termine di trenta giorni dalla comunicazione. La corte di appello, sentite le parti, provvede in camera di consiglio con decreto motivato. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile. La domanda può essere riproposta, decorso il termine per proporre reclamo, quando si verifichino mutamenti delle circostanze.

 

[12] Ex art 84 c 1 CCI, infatti, “1.  L'imprenditore di cui all'articolo 121, che si trova in stato di crisi o di insolvenza, può proporre un concordato che realizzi, sulla base di un piano avente il contenuto di cui all'articolo 87, il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l'attribuzione delle attività ad un assuntore o in qualsiasi altra forma. Possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate. È fatto salvo il disposto dell'articolo 296”.

[13] A differenza di quanto prevedeva l’art 186 bis L.F. c 2 lett b)

[14] Di cui all’art. 64 bis CCI

[15] Art 2740 c.c. “Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Le limitazioni della resonsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge [490, 2313; 514 c.p.c., 515 c.p.c., 545 c.p.c.; 46 l. fall.]

 

[16] Art 2741 c.c. “ I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione.

Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche”

 

[17] Così si legge nella relazione illustrativa che accompagna l’entrata in vigore del nuovo Codice

[18] Essa è collocata nel titolo V

[19] Oggi può proporre ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale anche l’organo di controllo ove esistente

[20] L’esdebitazione consiste nella liberazione dai debiti residui e trova la sua ratio nella possibilità di ripartire ex novo. A seguito della L.176/2020 possono accedere ad essa anche i consumatori che non hanno alcunchè da offrire ai debitori

[21] Durata fissata in 5 anni prorogabili a 7

[22] Sul punto F.De Santis, il processo c.d. unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in Fall., 2020,157

[23] V. I. Pagni, l’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Fall, 2019,550.

[24] V. tra gli altri F.De Santis, il procedimento cd unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in Fall.,2020, 157 ss.

[25] V. artt. 18 e 19

[26] Ex art 12 CCI la nomina dell’esperto può essere richiesta dall’imprenditore “quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico- finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”

[27] I.Pagni e M.Fabiani, la transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), 17 e ss.

[28] V.Minervini, Disciplina della crisi e diritto alla concorrenza, in Riv. Dir. Comm., 2019, I, 299 e ss.