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Pubbl. Mer, 14 Giu 2023

Il Consiglio di Stato sulla responsabilità civile del legislatore e sui presupposti della responsabilità per lesione dell’affidamento

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Alessandra Mozzi



Cogliendo l´occasione di commentare la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 4523/2023, il presente articolo ripercorre sinteticamente la distinzione tra illecito esercizio del potere legislativo ed illegittimo esercizio del potere amministrativo, nonché i rispettivi riflessi sulla posizione del soggetto interessato.


ENG Taking the opportunity to comment the recent pronuncement of the Council of State number 453/2023, the present paper retrace the distinction between the incostitutional excercise of legislative power and illegal excercise of the administrative power, as well as the consequences on the position of the person concerned

Sommario: 1. Inquadramento della vicenda sottesa alla pronuncia del Consiglio di Stato; 2. La sentenza di I grado; 3. L’appello della società attuale interessata; 4. Inquadramento della questione di legittimità costituzionale della legge regionale; 5. I presupposti per il rilievo della questione di costituzionalità e suoi rapporti con l’esercizio del potere amministrativo; 6. L’illecito “costituzionale” del legislatore: margini di sussistenza; 7. Nessuna responsabilità pre-contrattuale della P.A. in presenza dell’autotutela “doverosa”; 8. Nessuna indennità ex art. 21-quinquies in seguito ad annullamento in autotutela; 9. Conclusioni.

 

 

1. Inquadramento della vicenda sottesa alla pronuncia del Consiglio di Stato

La presente sentenza origina da una vicenda inerente all’Autorizzazione all’installazione di un nuovo complesso per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (IAFR), ottenuta dall’impresa succeduta dall’attuale appellante nel giugno 2014.

La Regione Molise, competente per il procedimento di rilascio del provvedimento in questione ai sensi dell’art. 12 comma 3 Dlgs. 387/2003, autorizzava all’installazione di un impianto in Zona di Protezione Speciale nonché IBA (Important Bird Area), in conformità agli obblighi assunti dall’Italia ai sensi della Direttiva dell’Unione Europea 2009/147/CE, (direttiva “Uccelli”), assumendo così un provvedimento illegittimo in quanto contrastante con la Legge Regionale del Molise n. 22/2009[1], la quale preclude l’installazione di simili impianti in Zone di Protezione Speciale.

Solo in data 22 gennaio 2015 la Regione Molise è intervenuta in autotutela, annullando il provvedimento autorizzatorio in questione con effetti ex-tunc, salvo l’esercizio del potere di una revoca intervenuto precedentemente, nel novembre 2014.

Come si avrà modo di chiarire, il provvedimento in autotutela è da considerare sostitutivo a tutti gli effetti della precedente revoca, rappresentando rispetto a quest’ultima un “atto dovuto”[2] dalla P.A., necessario a ristabilire la legittimità dell’azione amministrativa.

Le società succedutesi nella veste di “autorizzate” all’installazione dell’impianto in questione hanno proceduto ad impugnare, rispettivamente, la revoca e l’annullamento (quest’ultimo mediante ricorso con motivi aggiunti), dinanzi al TAR per il Molise; mentre alcuni Comuni nonché imprese locali ed un’associazione di tutela ambientale, tutti nella veste di controinteressati alla realizzazione dell’insediamento, proponevano già distinti ricorsi chiedendo l’annullamento della determina autorizzatoria.

Quanto al ricorso di I grado proposto dalle società ricorrenti, queste hanno chiesto:

  • l’annullamento del provvedimento di revoca e la condanna al pagamento dell’indennizzo per il ritardo nella conclusione del procedimento autorizzatorio;
  • la condanna al pagamento dell’indennizzo ex art. 21-quinquies l. 241/1990;
  • la condanna, previo esperimento di accertamenti tecnici, al risarcimento del danno economico subito dall’impresa in termini di danno emergente e lucro cessante, per la mancata messa in opera dell’installazione, nonché i costi sostenuti per la procedura autorizzatoria.

Nello specifico, la domanda di condanna al risarcimento del danno è stata ricondotta alla fattispecie dell’annullamento del provvedimento favorevole (essendo oggetto del ricorso ex art. 43 c.p.a. il provvedimento in autotutela), dunque sussunto quale risarcimento da responsabilità precontrattuale della P.A. ex artt. 1337 e 1338 c.c.

2. La sentenza di I grado

Il TAR per il Molise, una volta riuniti tutti i ricorsi presentati per identica materia del contendere, ne ha dichiarati improcedibili quattro, accogliendo invece le censure mosse dalla Provincia di Campobasso e da uno dei Comuni controinteressati, dichiarando illegittima l’autorizzazione per violazione della l.r. n. 22/2009.

Invece, per quanto attiene alla posizione delle imprese interessate, il ricorso veniva dichiarato in parte improcedibile ed in parte rigettato, nella fattispecie per quanto concerne la richiesta risarcitoria, questa veniva rigettata per difetto di giurisdizione.

3. L’appello della società attuale interessata

L’appello dinanzi al Consiglio di Stato è stato affidato ai motivi seguenti, così sintetizzabili:

Erroneità della sentenza per mancata sollevazione d’ufficio della questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 2 della L.R. Molise n. 22/2009.

Con tale motivo, la società interessata ritiene che il Giudice Amministrativo avrebbe dovuto rilevare, senza un esplicito motivo di parte, la questione di illegittimità costituzionale sottesa alla normativa invocata dalla Regione a sostegno del provvedimento di annullamento dell’Autorizzazione precedentemente rilasciata.

Invero, l’impianto normativo richiamato che disciplina le competenze nonché le procedure per il rilascio dell’Autorizzazione all’installazione di nuovi impianti per la produzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili discende dal combinato degli art. 12 comma 3 del Dlgs 387/2003 e delle linee-guida nazionali dettate il 10 settembre 2010.

Tra le due norme, s’insedia la L.R. del Molise n. 22/2009 con la quale la Regione Molise ha stabilito, prima ancora dell’adozione delle predette linee-guida, il divieto di installazione di nuovi impianti in Zone di Protezione Speciale, individuate in conformità all’art. 2 della L.R.

Il contrasto normativo evidenziato dalla società si fonda dunque sul necessario raccordo tra la legge regionale e le linee-guida nazionali, tale per cui la prima, a detta dell’appellante, avrebbe dovuto semmai attendere l’emanazione delle seconde, ovvero “adeguarsi” alle stesse, prevalendo per la materia inquadrata ex art. 117 comma 2 lettera s) la potestà legislativa statale nonché quella sovrastatale (uni-europea).

Di conseguenza, anche se non esplicitamente oggetto di doglianza del ricorrente, il giudice a quo avrebbe dovuto ravvisare tale contrasto e pertanto sollevare la questione di legittimità d’ufficio.

In ordine ai restanti motivi, l’appellante reitera la richiesta di indennizzo ex art. 21-quinquies l. 241/1990, essendosi creata la situazione di vantaggio in seguito all’adozione dell’Autorizzazione Unica, nonché l’ulteriore richiesta risarcitoria ex artt. 1337 e 1338 c.c., derivantegli dall’annullamento in autotutela la lesione dell’affidamento riposto dall’ottenimento dell’autorizzazione. (motivi II e III dell’atto di appello).

4.Inquadramento della questione di legittimità costituzionale della legge regionale

La sezione IV del Consiglio di Stato, chiamata a pronunciarsi sul ricorso in questione, ha modo di tornare sulla discussa questione del rilievo di legittimità costituzionale di una normativa posta quale base giuridica per l’esercizio del potere amministrativo. Secondo il Supremo Collegio di giustizia amministrativa, il rilievo della questione per la prima volta in sede di appello violerebbe nel caso di specie il divieto dei “nova” in secondo grado, ledendo l’art. 104 c.p.a.

Tale questione infatti, cosi come innestata sul caso de qua, sarebbe introduttiva di motivi di doglianza mai affrontati apertamente dal ricorso di I grado, con il quale invero in via principale la società ricorrente impugnava il provvedimento di revoca, integrando solo con motivi aggiunti le contestazioni avverso l’atto di annullamento.

Ebbene, già in base a tale rilievo, la questione di costituzionalità della normativa regionale ha assunto una dimensione marginale rispetto alle doglianze del ricorrente, non essendo le stesse incentrate sulla (mai contestata) applicazione della norma sub-statale, ed invece rivolte al provvedimento di revoca nonché alle discendenti richieste risarcitorie.

Ma a margine della ricostruzione gerarchica tra ricorso principale e per motivi aggiunti, il Consiglio di Stato individua una sorta di scala di equilibri tra principio di legalità/legittimità costituzionale e principi di giusto procedimento nonché quello dispositivo che regola il processo amministrativo. L’uno infatti pretende che il Giudice a quo dia sempre rilievo alle questioni di legittimità costituzionale; in base all’altro invece le stesse questioni possono essere distinte a seconda di come e se influiscano sull’esercizio del potere amministrativo, concretizzato dal provvedimento impugnato in via principale (o, come in questo caso, con motivi aggiunti).

Da una parte sono isolati i casi in cui la norma della cui costituzionalità si discute dispone dell’esercizio del potere amministrativo, ovverosia individua l’organo amministrativo competente, attribuendogli il potere “in astratto”. Da ciò discende che la patologia della norma (illegittima) disciplinante il potere provvedimentale della P.A. fonda il vizio più grave rispetto ai provvedimenti eventualmente adottati in base alla stessa, ovverosia il vizio di nullità degli atti ex art. 21-septies l.241/1990, rilevabile, in ogni stato e grado, dal Giudice e dalla stessa P.A., nonché dal privato, (sebbene quest’ultimo entro il termine di 1 anno, ex art. 31 c.p.a.).

Sicchè, il vizio di nullità “assoluta” derivante dall’atto adottato in carenza di potere per via dell’illegittimità costituzionale della norma attributiva dello stesso non abbisogna che il thema decidendum nel giudizio a quo sia incentrato sull’applicazione della norma al caso di specie, ovvero che questa sia comunque richiamata nei motivi di ricorso, essendo l’ipotesi di illegittimità radicale e valendo comunque in via retroattiva ed erga omnes.

A queste ipotesi di illegittimità costituzionale può essere affiancata quella inerente la disapplicazione di una norma europea da parte del legislatore ovvero della stessa P.A.

Partendo infatti dal presupposto per cui, ai fini della compatibilità dell’ordinamento interno al sistema normativo sovranazionale, quest’ultimo non considera rilevante il fatto per cui la mancata applicazione dei principi europei sia derivata dal legislatore e/o dalla P.A., a livello interno la disapplicazione rileva sempre quale vizio intrinseco all’esercizio del potere (legislativo o amministrativo) e di fatto sempre rilevabile, in ogni stato e grado.

Il principio del primato della normativa europea, poi, consente affinché gli effetti del pronunciato contrasto si estendano anche oltre il caso di specie, con conseguenze diverse tuttavia a seconda che l’atto interno contrastante sia di natura legislativa o amministrativa: nel primo caso, gli effetti erga omnes sono sempre salvi; nel secondo caso occorrerà il ricorso espresso per l’annullamento di tutti gli atti analoghi emanati dalla P.A.

5.I presupposti per il rilievo della questione di costituzionalità e suoi rapporti con l’esercizio del potere amministrativo

Quanto al caso di specie, il vizio di illegittimità riscontrato non affonda le proprie radici nella disciplina dell’attribuzione del potere autorizzatorio, bensì si rivolge al modus procedendi per l’individuazione delle aree assoggettabili all’installazione di nuovi impianti o meno. In altre parole, il vizio di incostituzionalità si riferisce alla legge regionale molisana in quanto emanata prima dell’adozione delle linee-guida statali e non modificata in base alle stesse, dunque eleva un vizio “procedimentale”, non già di incompetenza. Vizio, quest’ultimo, che non assurge a motivo di contrasto con la normativa europea, non essendo per questa rilevante il riparto di competenze interne allo Stato membro, né tantomeno i vizi procedurali eventualmente occorsi nel recepimento dei principi sovranazionali.

Di riflesso, il provvedimento autorizzatorio assunto sulla base della norma viziata (proceduralmente), non incarnerebbe un atto privo di potere (e quindi nullo), bensì un atto affetto da vizio di illegittimità, quale quello riconosciuto come “cattivo esercizio del potere”, o più efficacemente, eccesso di potere. Quest’ultimo, come noto, è rilevabile esclusivamente dal soggetto interessato mediante ricorso ex art. 29 c.p.a., nell’ambito del quale il vizio andrà opportunamente ricostruito sulla base della questione di incostituzionalità.

E proprio la mancata ricostruzione del vizio di invalidità siffatta del provvedimento di ritiro e/o di annullamento dell’Autorizzazione nel ricorso di I grado (sia in quello principale che per motivi aggiunti) conduce il Consiglio di Stato a denegare il rilievo della questione di costituzionalità, così come sollevata per la prima volta in appello con esplicito motivo di doglianza.

Peraltro, il rilievo della questione di costituzionalità della legge regionale nel secondo grado di giudizio non solo introdurrebbe surrettiziamente un nuovo motivo di ricorso, violando il disposto dell’art. 104 c.p.a., bensì secondo il Supremo Consesso di giustizia amministrativa, sarebbe altresì non utile all’appellante, che non potrebbe giovarsi degli effetti retroattivi di un’eventuale pronuncia di illegittimità.

In altre parole, la questione di costituzionalità della legge regionale avrebbe dovuto essere sollevata tramite un espresso motivo di ricorso del provvedimento in autotutela, e nella fattispecie mediante il rilievo della carenza di potestà legislativa da parte della Regione Molise rispetto alla decisione di vietare del tutto e/o non autorizzare l’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in determinate aree (c.d. ZPS o IBA).

Soltanto in tal senso il provvedimento di annullamento in autotutela sarebbe decaduto automaticamente, poiché emanato in carenza di potere (in concreto).

Come tuttavia è a leggersi dall’art. 117 Cost. commi 2 e 3, in combinato con il Dlgs n. 387/2003 nonché le direttive del Consiglio Europeo sull’istituzione di Zone di Protezione Speciale per le specie animali (dir. “Uccelli”), l’ente regionale ha potestà normativa concorrente in materia di energia; mentre, rispetto alla trasversale materia riguardante la protezione dell’ambiente (afferente alla competenza esclusiva statale), la Regione appare autorizzata a mantenere standard di protezione più elevati, ancorché ad esercitare i discendenti poteri amministrativi (rilascio di autorizzazioni e/o concessioni)[3].

6.L’illecito “costituzionale” del legislatore: margini di sussistenza

Da quanto rilevato si evince che la fattispecie da illecito “costituzionale” del legislatore non può essere ritenuta sussistente ancorché sia riconosciuta l’ingiustizia del danno provocato al soggetto cui la normativa sia stata applicata.

Tale ingiustizia, a differenza del “danno ingiusto” provocato dalla P.A. nell’emanazione di un provvedimento illegittimo, non trova infatti fondamento in una pregressa situazione da “interesse legittimo” o “diritto soggettivo”, fintantoché l’attività legislativa rimanga, così com’è, libera nei fini. Ne discende che la valutazione del danno effettuata dal giudice è direttamente proporzionale alla gravità dell’ingiustizia sostanziale riscontrata nella legge, e comunque ha quale suo effetto solo quello di demolire ex-tunc gli effetti della norma illegittima, compresi i provvedimenti amministrativi adottati in base a questa.

Diverso tenore invece assume la responsabilità del legislatore da “ritardo” o inadempimento nel recepimento della direttiva europea, essendo per la prima previsto un regime risarcitorio ed indennitario per la seconda il quale, a differenza della responsabilità extracontrattuale, non abbisogna di prove quanto all’ingiustizia del danno[4].

Solo nel caso di dis-applicazione del regolamento europeo ovvero di ritardo nel suo recepimento, è possibile attribuire una responsabilità c.d. da “atto lecito” direttamente al legislatore nazionale e/o regionale, essendo per entrambe le ipotesi lo Stato membro chiamato a rispondere dinanzi all’organo giurisdizionale (interno o europeo).

7.Nessuna responsabilità pre-contrattuale della P.A. in presenza dell’autotutela “doverosa”

Strettamente connessa alla paventata questione di illegittimità costituzionale della Legge Regionale del Molise n. 22/2009 risulta essere l’esame del motivo inerente il risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale, così come riscostruito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato nella sentenza n. 7/2021.

La società appellante infatti agiva in primo grado chiedendo l’accertamento della responsabilità della Regione derivante dal ritiro dell’atto autorizzatorio, invocando quale posta risarcitoria il danno emergente (consistente nelle spese affrontate per richiedere l’autorizzazione), sia il lucro cessante (rilevato nella perdita economica subita a causa dell’improvviso dietrofront della P.A.).

La fattispecie di responsabilità “precontrattuale” della P.A., di cui al dettato degli artt. 1337 e 1338 c.c., è ricostruibile a partire dalla citata sentenza del Consiglio di Stato quale lesione da affidamento del privato nel corretto agere della P.A., obbligata al rispetto delle regole di correttezza e buona fede, applicate al procedimento amministrativo.

Risolvendo un contrasto giurisprudenziale sul punto, con la sentenza n. 7/2021 il Consiglio di Stato ha ritenuto il danno da affidamento procedimentale tutelabile dinanzi al Giudice Amministrativo, anche se trattasi di una responsabilità da mero comportamento della P.A.[5]

A differenza tuttavia del danno da affidamento precontrattuale sussistente tra privati, nel caso di lesione della fiducia “procedimentale” da parte della P.A. viene dato maggior risalto al presupposto di legittimità dell’affidamento stesso.

Sussiste in effetti un parallelismo tra l’attività contrattuale privata e quella legislativa (entrambe libere nei fini, salvo il limite di meritevolezza per la prima), e l’attività della P.A., pur sempre vincolata al principio di legalità, oltre che al perseguimento dell’interesse pubblico.

Orbene, se in merito all’attività contrattuale privata la valutazione del danno da affidamento va affrontata guardando al comportamento complessivo tenuto dal danneggiante, tale da potersi dire produttivo di legittima fiducia e/o aspettativa nella buona riuscita dell’affare; nel caso in cui il danno sia da attribuire al comportamento della P.A., l’affidamento sarà tutelabile solo se ed in quanto considerato legittimo.

Legittimità che andrà valutata tenendo presenti i seguenti elementi, di natura oggettiva e soggettiva: da una parte il presupposto di legge vigente al tempo dell’adozione dell’atto amministrativo; dall’altra il grado di colpa del privato, consistente nella valutazione di conoscenza/conoscibilità dei vizi del provvedimento rilasciato dalla P.A.

Nel caso di specie, poiché il provvedimento autorizzatorio veniva rilasciato dalla Regione Molise in aperto contrasto con la legge regionale che vieta di fatto l’installazione di nuovi impianti IAFR in Zone di Protezione Speciale, nessun affidamento legittimo è stato possibile riconoscere in capo al privato beneficiario. L’assenza del primo presupposto (legittimità dell’atto autorizzatorio/concessorio) esime dall’indagine riguardante la colpa del privato, essendo questa presunta in base all’evidenza del contrasto.

E ciò tantomeno è possibile nell’ipotesi in cui la legge disciplinante l’esercizio del potere amministrativo sia ritenuta conforme alla Costituzione nonché ai vincoli europei, non rilevando, come prima si è osservato, che il privato ne contesti la legittimità.

In definitiva, all’assenza di un illecito costituzionale del legislatore si affianca l’assenza dell’illecito (comportamento) amministrativo, qualora quest’ultimo sia conforme alla norma.

Come è dato rilevare in base ai delineati principi, è sulla base della stessa ratio che è stato possibile teorizzare la salvezza dell’atto amministrativo contrastante con la legge anti-europea, ma in armonia con la stessa norma sovranazionale. In questa ipotesi, infatti, il Giudice Amministrativo dovrà fare salvo l’atto interno, applicando direttamente la norma sovranazionale, violata dal legislatore.

8.Nessuna indennità ex art. 21-quinquies in seguito ad annullamento in autotutela

Quanto infine all’esame della richiesta indennitaria ex art. 21-quinquies l. 241/1990 avanzata da parte dell’appellante, questa viene esclusa in virtù della prevalenza dell’atto di annullamento in autotutela su quello precedente di revoca. Se il primo infatti si basa sulla esclusiva ri-valutazione dell’interesse pubblico sotteso al rilascio del precedente atto attributivo di vantaggi economici, con il secondo la P.A. non si limita ad effettuare una nuova valutazione di interessi, in via discrezionale, bensì è chiamata a rivedere il proprio operato alla luce dei principi di legittimità e buon andamento.

L’effetto demolitorio operante in via retroattiva travolge altresì gli effetti della revoca pregressa, compresi quelli indennitari

9. Conclusioni

In conclusione, la sentenza in questione coglie l’occasione per ribadire i delicati equilibri sussistenti tra gli interessi legittimi (pretensivi) del privato e l’esercizio del potere legislativo, e successivamente, amministrativo. A margine dell’ipotesi della dis-applicazione e/o ritardo nel recepimento della norma europea, manca nel panorama interno una fattispecie di “illecito costituzionale” del legislatore, sicché il privato non è autorizzato ad adire l’autorità giudiziaria lamentando la lesione diretta subita a causa della (paventata) illegittimità della norma. Quest’ultima, infatti, deve aver prodotto almeno una volta i suoi effetti, e nella fattispecie dovrà essersi manifestata attraverso il provvedimento amministrativo (lesivo) dell’interesse legittimo. D’altra parte, la ratio è perfettamente corrispondente alla natura soltanto incidentale del giudizio di costituzionalità esistente nel nostro ordinamento.

Ciononostante, il Consiglio di Stato effettua un ulteriore passo per delimitare la rilevanza nonché l’effettiva “utilità” del giudizio di costituzionalità ai fini del riconoscimento dell’illegittimità provvedimentale. Tale giudizio è infatti utile fintantoché la norma “incostituzionale” abbia illegittimamente attribuito il potere nel caso di specie alla P.A. Non altrettanto dirimenti appaiono invece gli altri vizi di invalidità costituzionale, per i quali cioè l’esercizio del potere amministrativo appaia comunque legittimato dalla norma nell’ “an”, essendo casomai affetto da altre patologie riguardanti il “quomodo” dell’esercitato potere, le quali andranno sussunte in altra ipotesi viziante (eccesso e/o di sviamento di potere).


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’art. 2 della citata legge regionale così recita: “1. Nell'ambito delle competenze regionali stabilite dall'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e successive modificazioni ed integrazioni, la Regione Molise individua le seguenti aree come non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: […] 2. Le Zone di protezione ambientale (ZPS) e le aree IBA (important bird area) sono da intendersi quali aree non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili […].

[2] Il provvedimento in annullamento emesso ai sensi dell’art. 21-nonies è inquadrato in effetti nell’ambito della c.d. “autotutela doverosa” della P.A., in quanto restauratrice della legalità nell’azione amministrativa.

[3] Sul punto, v. la sentenza della CGUE del 21/07/2011 nella causa C-2/10, inerente l’applicazione di una normativa regionale (in quel caso, la Legge della Regione Puglia, n. 31/2008) contenente medesime disposizioni della Legge molisana, nella parte in cui stabilisce che : “si deve rilevare che l’art. 193 TFUE prevede la possibilità per gli Stati membri di adottare misure di protezione rafforzata. Questo articolo subordina tali misure alle sole condizioni che esse siano compatibili con il Trattato FUE e che siano notificate alla Commissione. La Corte ha pertanto dichiarato che, «nell’ambito della politica comunitaria dell’ambiente, qualora una misura nazionale persegua gli stessi obiettivi di una direttiva, il superamento dei requisiti minimi stabiliti da tale direttiva è previsto e autorizzato dall’art. 176 CE, alle condizioni stabilite da quest’ultimo”

[4] La responsabilità dello Stato per mancato e/o ritardato adeguamento alle Direttive dell’Unione Europea assume in effetti le caratteristiche della responsabilità da fatto illecito, di cui all’art. 2043 c.c., come desumibile dall’art. 4 comma 43 del DLGS 183/2011: “La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell'ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all'articolo 2947 del codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si e' effettivamente verificato”.

[5] V., in particolare il § 8 della citata sentenza, nella parte in cui stabilisce il principio di concentrazione della tutela di “ogni interesse legittimo” dinanzi al Giudice Amministrativo.