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Pubbl. Sab, 27 Mag 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

Sull´illegittimità del richiamo alla c.d. sindrome da alienazione parentale (PAS) per far venire meno la responsabilità genitoriale

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Chiara Ghionni



Il contributo trae origine dalla pronuncia della Cassazione n. 9691/2022, con la quale trova conferma l’illegittimità del richiamo alla cd “sindrome di alienazione parentale” in relazione all’affidamento dei minori. Deve condividersi la soluzione circa la necessità di valutare in concreto qual è il loro interesse alla luce dei comportamenti riscontrati, anche tramite l’ascolto del minore, potendo così svolgere ulteriori riflessioni sulla recente evoluzione della disciplina dell’ascolto e sull’importanza di una serie di regole di soft law esistenti in proposito.


ENG

On the illegitimate reference to the Parental Alienation Syndrome (PAS) to deny parental responsibility

The contribution stems from the ruling of the Supreme Court No. 9691/2022, which confirms the illegitimacy of referring to the Parental Alienation Syndrome (PAS) in relation to the custody of minors. The solution regarding the need to concretely assess the minors’ best interest in light of observed behaviors must be agreed upon, including through listening to the minor, thus allowing for further reflection on the recent evolution of the discipline of listening and the importance of a set of existing soft law rules on the matter.

Sommario: 1. La questione; 2. Lo stato dell’arte; 3. La Sindrome da Alienazione Parentale – PAS (tra diritto e psicologia); 4. Recenti novità legislative in tema di ascolto del minore e c.d. Sindrome da Alienazione Parentale; 5. Regole di soft law; 6. Conclusioni.

1. La questione

Il recente caso affrontato dalla Suprema Corte, con sentenza n. 9691/2022, consente di svolgere una serie di riflessioni in ordine all’incidenza della c.d. sindrome da alienazione parentale sulla responsabilità genitoriale, anche in relazione al ruolo fondamentale svolto in questi casi dall’ascolto del minore. 

La fattispecie concreta, presa in esame dai giudici di legittimità riguarda la decadenza, disposta in primo grado, dall’esercizio della responsabilità genitoriale di una madre dovuta alla c.d. sindrome di alienazione parentale, con conseguente collocamento del figlio in casa famiglia e interruzione di ogni rapporto tra loro. 

La Corte d’Appello ha confermato il provvedimento del Tribunale dei Minorenni in ragione della necessità di stabilire una relazione tra padre e figlio (diritto alla bigenitorialità) allo stato inesistente a causa del comportamento ostativo della madre. I giudici di secondo grado hanno confermato il provvedimento del tribunale, facendo riferimento alle consulenze tecniche d’ufficio svolte sulla genitrice, senza ascoltare il minore (quasi dodicenne).

Interviene, cosí, la Suprema Corte[1] per dichiarare l’inutilizzabilità di generici, piú o meno evidenti, richiami alla sindrome da alienazione parentale, quali fondamento dei provvedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale, nonché per, ancora una volta, ricordare, la necessità di ascolto del minore.

2. Lo stato dell’arte

È consolidato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di affidamento del figlio minore di età, la denuncia di un genitore di comportamenti dell’altro tesi all’allontanamento morale e materiale del figlio da sé, sintomatici di una sindrome di alienazione, deve essere verificata solo rispetto alla veridicità o no dei fatti denunciati, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia[2]. Non è accettabile, quindi, la decisione dei giudici del merito che, nell’àmbito di una controversia sull’affidamento del figlio minore, dispongono l’affidamento c.d. “super esclusivo” ad un solo genitore. I fatti ascritti alla madre, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), nella specie nella forma della sindrome della c.d. madre malevola (MMS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, non presentano caratteristiche tali da giustificare la scelta del giudice di merito. 

Sul punto, si è espressa, in epoca successiva e ancora più recente, altresí la Corte edu. La Corte è stata chiamata a verificare se lo Stato italiano avesse violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 Cedu, per avere omesso di proteggere ed assistere due minori, i quali erano stati obbligati, al di fuori di ambienti protetti e senza adeguati professionisti qualificati, a partecipare alle visite del padre, tossicodipendente, alcoldipendente, manipolatore e minaccioso verso la madre. Inoltre, la Corte è stata chiamata a valutare la violazione dei suddetti divieti e diritti ai danni della ricorrente, sospesa dall’esercizio della responsabilità genitoriale per tre anni, perché considerata genitore ostile al rapporto padre-figli e, per questo motivo, inidonea ad esercitare l’ufficio, senza considerare la condizione di violenza domestica[3].

Con specifico riferimento alla violazione dell’art. 8 Cedu, la Corte edu non è convinta che le autorità giudiziarie italiane, nel caso di specie, abbiano giustificato con motivi pertinenti e sufficienti la sospensione per ben tre anni della responsabilità genitoriale della prima ricorrente. Le giurisdizioni interessate non hanno esaminato con cura la situazione e hanno deciso di sospendere la responsabilità genitoriale dell’interessata basandosi sul comportamento asseritamente ostile di quest’ultima agli incontri e all’esercizio della bigenitorialità, senza tenere conto di tutti gli elementi pertinenti del caso[4]. Dunque, è stato riscontrato che, nella giurisprudenza italiana, quando un genitore, vittima di violenza domestica, intrattiene una condotta ostile nei confronti dell’altro, si evoca la c.d. sindrome da alienazione parentale e si giunge tout court ad un giudizio di inidoneità nei suoi confronti[5]. Peraltro, in questo modo, non vengono accertate le irrecuperabili carenze d’espressione delle capacità genitoriali e non vengono prese in debita considerazione le conseguenze sul minore del c.d. “super affido”, in ordine alla rilevante attenuazione dei rapporti con l’altro.

L’orientamento espresso dalla Corte edu appare quindi, in linea con quanto espresso dalla Suprema Corte, secondo cui il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità dei concreti comportamenti denunciati, utilizzando i comuni mezzi di prova[6], anche perché il diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena passa, altresí, attraverso la capacità di ciascuno dei due genitori di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro[7]

In tale contesto, così delineato, pur sempre nell’interesse della persona minore, non mancano precedenti di merito singolari, propensi ad affermare che la tutela della bigenitorialità debba essere considerata come la soluzione migliore per il minore, anche quando lo stesso si oppone e riferisce di aver subíto gravi e profondi maltrattamenti riconducibili all’alienazione parentale, sul presupposto del rischio di perdere in via irrimediabile e non sufficientemente motivato il rapporto con l’altro genitore[8]; oppure soluzioni che, pur di affermare il principio di bigenitorialità, dispongono l’affidamento del minore al servizio sociale, in ragione della consumata violazione del suo stesso diritto e della conflittualità in atto tra i genitori[9]. Tuttavia, l’esasperazione del diritto alla bigenitorialità è stigmatizzata dalla Corte edu, la quale ha affermato che il ricongiungimento di un genitore con il figlio non è un valore assoluto e la comprensione e la cooperazione di tutti gli interessati costituisce sempre un fattore importante,  «dovendosi tenere in considerazione gli interessi, i diritti e le libertà delle persone coinvolte e, in primis, l’interesse preminente del minore e dei diritti che l’art. 8 gli riconosce»[10]; nonché adottare la massima cautela quando si ricorre alla coercizione in questo delicato àmbito[11].

Parimenti, si discostano dall’orientamento maggioritario quelle pronunce che si spingono a ritenere l’alienazione genitoriale una fattispecie idonea a integrare una patologia clinicamente accettabile, riportandola ad un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore affidatario per emarginare e neutralizzare l’altro[12].

Appare perciò necessario verificare meglio in cosa consiste, a fini meramente conoscitivi, la c.d. sindrome e la sua genesi, al solo scopo di comprenderne i risvolti in àmbito giuridico in virtù del valore ambivalente che le è stato riconosciuto in giurisprudenza.

3. La Sindrome da Alienazione Parentale – PAS (tra diritto e psicologia)

La Parental Alienation Syndrome – PAS fu teorizzata da uno studioso americano (R. Gardner)[13] e descrive una molteplicità di comportamenti e di risposte messe in atto da parte di figli e di un genitore (definito “alienante”) nei confronti dell’altro genitore (definito “alienato”) nell’àmbito di separazioni altamente conflittuali sul tema dell’affidamento dei minori. 

Nello studio dello psichiatra, sono individuati otto sintomi primari nel bambino, ai quali ne sono stati aggiunti successivamente (anche a séguito delle critiche ricevute dalla comunità scientifica) altri quattro. 

Essi sono: i) la “campagna di denigrazione” nella quale il bambino imita e ripete i messaggi di disprezzo del genitore alienante verso l’altro; ii) la “razionalizzazione debole dell’astio” per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio con motivazioni superficiali o insensate; iii) la “mancanza di ambivalenza” secondo cui il bambino descrive un genitore “tutto in positivo” e l’altro “tutto in negativo”; iv) il “fenomeno del pensatore indipendente” che indica la determinazione del bambino a voler affermare di essere un pensatore indipendente, avendo elaborato autonomamente le sue convinzioni; v) l’ “appoggio automatico al genitore alienante” che si traduce in una presa di posizione del bambino sempre a favore del genitore alienante; vi) l’ “assenza di senso di colpa” che significa non avvertire, da parte del bambino, sensi di colpa per il disprezzo nei confronti del genitore escluso; vii) gli “scenari presi a prestito” sono affermazioni del bambino che non possono ragionevolmente provenire da lui direttamente; viii) l’ “estensione delle ostilità alla famiglia allargata” del genitore rifiutato, che coinvolge anche amici e nuove eventuali relazioni affettive di quest’ultimo. 

A seguito del dibattito suscitato sul punto, nella sua successiva elaborazione, nel 1998, Gardner aggiunge gli altri quattro fattori definiti «additional differential diagnostic considerations»: i) “difficoltà di transizione” nel momento in cui il figlio si separa dal genitore alienante per trascorrere il periodo di visita con il genitore alienato; ii) “comportamento antagonistico o distruttivo durante le visite” presso il genitore alienato; iii) “legame patologico o paranoide con il genitore alienante”; iv) “legame forte e sano con il genitore alienato” prima che intervenisse il processo di alienazione.

Inoltre, Gardner si spinge a definire la sindrome come il risultato della partecipazione attiva del genitore alienante e del contributo attivo del figlio attraverso tre diversi livelli di gravità, al fine di individuare i diversi tipi di intervento giudiziale a tutela del minore. 

Il livello lieve evidenzia una manifestazione attenuata di tutti o alcuni dei sintomi e l’ambivalenza verso il genitore alienato; pertanto, in questi casi, viene suggerito un intervento psicoterapeutico. 

Nel livello moderato, il piú diffuso, sono presenti, anche se non in maniera pervasiva, tutti gli otto sintomi primari. Tuttavia, v’è ancora uno spiraglio per la relazione col genitore alienato e si può osservare una mitigazione del rifiuto quando il figlio e il genitore alienato trascorrono tempo esclusivo assieme. In questo livello, il genitore alienante ha un rapporto relativamente sano con i figli e tendenzialmente non accetta i provvedimenti dell’Autorità giudiziaria. In tali casi viene suggerito all’Autorità giudiziaria di mantenere il collocamento presso il genitore alienante, anche se con un monitoraggio dei servizi psico-sociali volto a garantire la frequentazione del figlio con il genitore alienato, adottando provvedimenti sanzionatori per imporre al genitore alienante il rispetto della bigenitorialità. Eventualmente, è pure suggerito un trattamento condotto da un professionista che conosca la PAS e l’organizzazione di incontri protetti tra genitore alienato e figlio. 

Nell’ultimo livello, c.d. livello grave, rientrano i bambini che sono radicati nelle loro convinzioni e per i quali sono riconoscibili segni sia degli otto sintomi primari sia dei quattro fattori aggiuntivi. In tali situazioni, il genitore alienante è determinato nel processo di denigrazione dell’altro genitore e comporta la chiusura totale del figlio nei suoi confronti del genitore alienato. Secondo Gardner, in questa gradazione di PAS, la relazione esclusiva con il genitore alienante rappresenta un potente e diretto fattore di rischio per la salute mentale del minore, che potrebbe sviluppare una psicopatologia permanente. È per questo che viene ritenuto opportuno che l’Autorità giudiziaria ordini di trasferire il collocamento del bambino, così da favorire il cambiamento; inoltre, viene suggerito l’allontanamento temporaneo del bambino dal genitore alienante per evitare interferenze e di riprenderli gradualmente sotto la supervisione dei Servizi competenti. 

Dall’esame sin qui descritto, gli unici casi meritevoli di essere considerati validi ai fini di una eventuale diagnosi di PAS sono quelli rapportabili al livello grave; infatti, i casi definiti come lievi e moderati, in sostanza, non evidenziano gli elementi necessari nemmeno per la stessa diagnosi di PAS e dovrebbero essere studiati in modo differente per individuare la dinamica che giustifichi l’allontanamento del figlio da un genitore nel contesto della conflittualità genitoriale[14].

La ricostruzione di Gardner, anche nella successiva evoluzione è dovuta a un continuo e corposo dibattito scientifico che si è alimentato nel tempo in ordine a una serie di aspetti controversi della c.d. sindrome da alienazione parentale[15]. Basti pensare che, fin dalla prima proposta di Gardner nel 1985, già l’utilizzo del termine «sindrome» ha contribuito ad accendere la discussione sull’esistenza stessa di una simile patologia, fermo restando il merito di aver ulteriormente messo in luce di quante e quali possano essere le problematiche connesse alle separazioni conflittuali. 

In effetti, la c.d. sindrome da alienazione parentale, pur essendo oggetto di dibattito in diversi Paesi, ad oggi, non è riconosciuta come disturbo psicopatologico dalla grande maggioranza della comunità scientifica e legale internazionale e anche negli USA è molto discussa. Essa, quale «ipotetica e controversa dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzio conflittuale dei genitori» non risulta inserita in alcuna delle classificazioni in uso attualmente, come la «International classification of diseases» (ICD 1O), o il «Diagnostic and statistical manual of mental disorders» (DSM 5), in ragione della sua evidente “ascientificità” dovuta alla mancanza di dati a sostegno[16].

A riguardo, nel nostro ordinamento, l’Istituto Superiore di Sanità esclude che l’alienazione di un genitore corrisponda ad una sindrome o a un disturbo psichico individuale definito, e piuttosto ritiene si tratti di un disturbo relazionale tra piú soggetti, una relazione disfunzionale alla quale contribuiscono il genitore alienante, quello alienato e il figlio, ciascuno con le proprie responsabilità e con il proprio “contributo”, che varia di caso in caso.

Su tale scia, il Ministero della Salute, già nel 2012, ha affermato la non attendibilità della PAS e il rischio dell’uso distorto di tale diagnosi nei casi dei bambini contesi, proprio a fronte del mancato riconoscimento del disturbo in questione sia da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sia da parte di tutta la Comunità scientifica internazionale. Inoltre, il Ministero precisa che qualora siano segnalati casi di diagnosi di PAS da parte di medici o psicologi, avrà cura di informare con sollecitudine gli Ordini professionali di appartenenza, per gli accertamenti sulle eventuali violazioni di norme deontologiche e suggerisce Ministero della giustizia di intraprendere tutte le opportune iniziative finalizzate a garantire che, nelle sedi processuali, non vengano riconosciute patologie prive delle necessarie evidenze scientifiche, tanto piú pericolose, poiché aventi ad oggetto decisioni in materia di minori. 

Il concetto di alienazione parentale, insomma, si innesta in uno spazio trasversale, interdisciplinare, nel quale si mescolano categorie psicologiche e giuridiche. Si fa riferimento, infatti, agli eventi collegati ad una separazione coniugale conflittuale all’interno della quale vengono coinvolti i figli al punto da farli diventare oggetto di contesa o di ricatto in àmbito giudiziario. Peraltro, con la conseguenza che gli stessi figli non assistono passivamente alle liti tra i genitori, ma con i loro comportamenti si inseriscono nella dinamica conflittuale familiare.

Ad ogni modo affidarsi a “false credenze” compromette l’osservazione fattuale e psicologica e mina l’adeguata considerazione di spiegazioni alternative alle cause di alienazione di un bambino. Peraltro, tutto ciò mostra ancor piú i suoi limiti se si pensa che le falsità sull’alienazione genitoriale danneggiano i bambini e i genitori, sostenendo risultati che non solo non forniscono un sollievo efficace a coloro che vivono questo problema, ma in alcuni casi danneggiano irrimediabilmente le dinamiche relazionali dei minori coinvolti[17].

Per tale ragione, la giurisprudenza di legittimità più recente ha correttamente sottolineato la necessità di guardare in concreto i fatti accaduti a prescindere dalla riconducibilità o no degli stessi all’interno della c.d. sindrome da alienazione parentale e della sua stessa legittimità scientifica. In proposito, poi, che particolare rilevanza può assumere sul piano probatorio l’ascolto del minore, quale adempimento che può risultare indispensabile[18]

4. Recenti novità legislative in tema di ascolto del minore e c.d. Sindrome da Alienazione Parentale

L’indagine sul ruolo dell’ascolto del minore in tema di c.d. sindrome da alienazione parentale rende opportuno, in via preliminare, ripercorrere, in sintesi, le tappe che ne hanno visto l’ingresso nel nostro ordinamento. Sul punto, in nostro ordinamento si è adeguato anzitutto alla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (ratificata con l. 176/1991) la quale, dichiarata dalla Corte Costituzionale come immediatamente precettiva (Corte Cost., 16 gennaio 2002, n. 1), ha riconosciuto, tra i diritti del fanciullo, quello di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessi, in particolare, di essere ascoltato nei procedimenti giudiziari e amministrativi che lo riguardano purché capace di discernere[19].

Inoltre, la normativa italiana rispetta anche la Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con 1. 77/2003, che, disciplinando l’esercizio dei diritti dei fanciulli, dispone che il minore dotato di discernimento sufficiente ha il diritto di ricevere tutte le informazioni pertinenti, di essere consultato e di esprimere la propria opinione durante la procedura, di essere informato delle eventuali conseguenze dell’attuazione della sua opinione, nonché di quelle di ogni decisione prevedendo, ulteriormente, che le parti esaminino l’opportunità di concedere al fanciullo il diritto di essere assistito da una persona appropriata di sua scelta che lo aiuti ad esprimere la propria opinione e il diritto di chiedere la designazione di un rappresentante speciale nei procedimenti che lo riguardano.

Degna di nota, ovviamente, risulta anche la previsione circa l’«ascolto informato» del minore prima dell’adozione di una qualsiasi decisione assieme alla specificazione dei criteri guida da rispettare a riguardo. Il riferimento è alla norma di cui all’abrogato art. 336 bis c.c. Ormai, l’ascolto assume una valenza anche squisitamente processuale per effetto della c.d. riforma Cartabia (su cui v. anche infra § 6)[20]. Il diritto all’ascolto, diviene, un diritto “processuale” personalissimo e fondamentale, la cui tutela non cede nemmeno di fronte all’esigenza di attuare altre garanzie, parimenti meritevoli di protezione, quale è l’economia processuale, che, invero, va ricercata concentrando i tempi dell’organizzazione del procedimento[21].

Privo di disciplina espressa risultava, in ogni caso, il profilo attinente alle modalità da rispettare in sede di ascolto del minore, soprattutto in merito alla questione circa il carattere delegabile o meno dello stesso a soggetti terzi diversi dall’autorità giudiziaria dinanzi alla quale pende lo specifico procedimento ovvero altro magistrato delegato[22]. Questione, quest’ultima, decisamente risolta per effetto della riforma del processo civile della famiglia. In virtù della riforma processuale, in tema di ascolto del minore, il principio generale è quello dell’ascolto diretto. 

Detto principio, è la linea guida ispiratrice del legislatore delegato nella (ri)scrittura della disciplina dal punto di vista sia sostanziale sia processuale (si pensi al nuovo titolo IV bis inserito al libro II del Codice di Procedura Civile ovvero alla abrogazione del 336 bis c.c.) e viene richiamato in diversi àmbiti, quali, ad esempio: i) in sede di adozione dei provvedimenti d’ufficio in merito ai quali si dispone che il giudice non può delegare l’ascolto del minorenne, anche infradodicenne, ove capace di esprimere la propria volontà, fatti salvi i casi in cui questi sia impossibilitato e, inoltre, in particolare, il giudice potrà adottare, d’ufficio e anche in assenza di istanze, provvedimenti relativi ai minori comunque salvaguardando il contraddittorio tra le parti a pena di nullità del provvedimento; ii) disporre d’ufficio mezzi di prova a tutela dei minori, nonché delle vittime di violenze, anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, sempre garantendo il contraddittorio e il diritto alla prova contraria.

La tutela del minore viene, inoltre, accentuata dalla disposizione relativa alla video registrazione dell’audizione del minore, per limitare l’impatto che lo stesso possa avere con gli uffici giudiziari, anche se il legislatore delegato ha attenuato di molto il senso di questa tutela per il minore perché ha lasciato un po’ ai margini tale facoltà e non ne prevede l’utilizzabilità in ogni caso. Sotto questo profilo il legislatore ha forse perso un’occasione per adeguare il sistema ad un utilizzo oggi sempre più accentuato degli strumenti informatici, così come, più in generale, quelli della c.d. intelligenza artificiale nel diritto privato. E, sempre nella segnalata ottica di accentuare la tutela del minore, si colloca la predisposizione di un’autonoma regolamentazione della consulenza tecnica psicologica, anche prevedendo l’inserimento nell’albo dei consulenti tecnici d’ufficio di indicazioni relative alle specifiche competenze; nonché, in termini più ampi, il riordino delle disposizioni in materia di ascolto del minore anche alla luce della normativa sovranazionale di riferimento.

L’accoglimento del principio generale dell’ascolto diretto trova conferma anche con riferimento ai procedimenti in tema di responsabilità genitoriale in merito ai quali si rinvengono tutti i princípi e i criteri direttivi della riforma volta a garantire l’ascolto del minore nell’àmbito dei citati procedimenti e a valorizzare il ruolo del curatore speciale. In particolare, l’ascolto deve essere condotto direttamente dal giudice e, qualora sia ritenuto necessario, mediante l’ausilio di un esperto il cui ruolo, tuttavia, non si concretizza in termini di “sostituto” dell’autorità giudiziaria, bensì quale soggetto che affianca la stessa e che, attraverso la propria competenza, può coadiuvarla in questa importante e delicata opera.

Da questo punto di visa, allora, che la riforma del processo civile in àmbito di ascolto del minore risulta sintomatica della scarna disciplina previgente in materia, soprattutto circa le modalità di svolgimento di tale fase procedimentale la quale, come è facile comprendere, necessita di particolari premure vista la minore età dei soggetti interessati.

La previsione della non delegabilità dell’ascolto del minore si inserisce nel complesso delle norme volute dal legislatore al fine di tutelare le parti più deboli nei procedimenti in materia di famiglia, come ad es. le vittime di violenza domestica assieme al minore di età alla cui maggiore protezione è volta, altresì, la previsione relativa alla necessaria specializzazione dei giudici del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Proprio per questo, nel tempo, sono proliferate regole di soft law volte a favorire la comprensione di queste dinamiche da parte del giudice data la sempre crescente complessità delle fattispecie concrete. 

5. Regole di soft law

Il riferimento alle regole di soft law riguarda, in primo luogo, l’elaborazione di una serie di specifici protocolli nell’àmbito dei procedimenti in materia di famiglia, volti a prescrivere i comportamenti e le tutele alle quali sono tenuti il giudice, le parti, i difensori, i consulenti etc. in sede di ascolto del minore in relazione alle dinamiche di alienazione genitoriale.

Tra questi spicca il “Documento psico-forense sugli ostacoli al diritto alla bigenitorialità e al loro superamento” redatto da 64 esperti della materia[23].

Tale documento non vuole si propone di definire una posizione assoluta in materia né tantomeno intende identificare una categoria diagnostica; ed invero, rispetto al tema dell’alienazione genitoriale, valuta la necessità di una valutazione del fenomeno caso per caso «in funzione dell’età del minore coinvolto, della sua capacità di autodeterminazione e delle responsabilità dei genitori e dei familiari coinvolti» specificando che «in ambito giuridico l’attenzione alla particolarità di ogni singola situazione rappresenta un elemento fondamentale di rispetto dei componenti del nucleo familiare e soprattutto, nel caso specifico, di tutela dei diritti relazionali del minore». Si tratta di un approccio non distante da quello adottato dalla più recente giurisprudenza di legittimità e che, pertanto, merita adeguata considerazione. 

Il documento in questione è formulato in 12 articoli e costituisce un valido punto di riferimento per l’esame del caso concreto nelle dinamiche genitoriali conflittuali, rappresentando un utile strumento per procedere al corretto inquadramento della situazione concreta e svolgere un esame della condizione complessiva familiare. 

Nella pratica clinica spesso i rifiuti di un figlio verso un genitore (solitamente non affidatario) sono spesso letti come frutto dell’inadeguatezza del genitore rifiutato, e si ritiene di tutelare l’interesse del minore ascoltando la sua volontà, senza indagarne i vissuti piú profondi[24]. Tuttavia, negando l’origine relazionale del rifiuto, specie nei casi piú seri che si traducono in alienazione, si rischia di irrigidire la condizione familiare compromessa, anzi, di piú, si potrebbe finire per amplificare la situazione. La finalità, invece, di una valutazione giuridica della vicenda deve rispondere alla tutela del minore, garantendogli la continuità relazionale con entrambi i genitori e la possibilità di coltivare relazioni significative con entrambi. È ovvio che l’esclusione di un genitore da parte del figlio che si coalizza con l’altro, per motivi indipendenti la relazione genitore-figlio, non può rispondere al best interest del figlio stesso, in quanto oltre a ledere il suo diritto alle bigenitorilità, potrebbe implicare una scissione a livello relazionale ed emotivo del minore che andrebbe a determinare la perdita non soltanto dell’altro genitore, ma anche del sistema parentale allargato.

Un’altra, più recente, esperienza condotta congiuntamente da giuristi e psicologi, riguarda le Linee di indirizzo per la Consulenza Tecnica di Ufficio in materia di famiglia e minori costituite su iniziativa dell’Ordine degli Psicologi della Regione Campania[25]. Queste linee guida sono un prezioso strumento di orientamento, anche con riferimento al “nuovo ascolto del minore”.

Le scelte delle linee guida in tema di ascolto del minore sono appunto per un ascolto «condotto dal giudice relatore», scegliendo, però, di non escluderlo dalle stesse ed inserirlo in apposita Appendice enunciando «fedelmente», anche più di quanto non abbia fatto il legislatore delegato, tutti i punti innovativi della riforma Cartabia. In particolare, si evidenziano i seguenti aspetti: i) ascolto diretto; ii) rispetto degli orari e delle esigenze del minore; iii) eventuale affiancamento dell’esperto (non delega) e del curatore speciale se presente nel processo; iv) informazione del minore circa l’ascolto e relative modalità; v) redazione del verbale.

Va rilevato, comunque, che le linee di orientamento mantengono aderenza all’esperienza pregressa dando così all’ascolto del minore il rilievo che merita poiché esso è da considerare un diritto assoluto del minore quale parte sostanziale del processo. Tale documento, quindi, si presenta come uno strumento di enorme utilità, pure da questo punto di vista, perché aiuta anche a determinare i confini delle CTU, nonché costituisce un mezzo di indirizzo adatto pure nella attuale fase di sperimentazione delle novità legislative.

6. Conclusioni

La decisione della Suprema Corte in esame appare senz’altro condivisibile, perché pone correttamente al centro del problema l’interesse del minore per ricostruire qual è la soluzione piú idonea a tutelarlo e a garantire il suo diritto alla bigenitorialità non ad ogni costo, ma sulla base delle circostanze del caso concreto e delle evidenze fattuali, a prescindere dal riconoscimento o no della validità della c.d. PAS [26]. Infatti, ai sensi dell’art. 337 ter c.c., introdotto ad opera del d.lg. n.154 del 2013, è riconosciuto alla persona minore di età il diritto alla bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, cosí da garantirgli una stabile consuetudine di vita e relazioni significative con entrambi i genitori, nel dovere di questi ultimi di cooperare nell’assistenza ed educazione dei figli[27].

Per ricostruire, nella singola fattispecie concreta, quale sia la migliore soluzione, assume un ruolo centrale l’ascolto del minore, se capace di discernimento, anche sotto i 12 anni[28]. L’ascolto del minore serve a raccogliere le sue opinioni e a valutare i suoi bisogni: tale adempimento non può essere sostituito da un richiamo alla sindrome da alienazione parentale, pure se emergente dalle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio[29]. Diversamente, invece, in altri casi, la Corte di legittimità ha ritenuto legittimo l’utilizzo della relazione Asl che diagnosticava una sindrome da alienazione parentale, poiché accompagnato dalla valutazione logica di altri elementi[30].

Ad ogni modo, sulla base dell’esito dall’ascolto dell’interessato (diretto del giudice e non piú delegabile a séguito della c.d. riforma Cartabia: art. 473 bis 4 c.p.c.) si può arrivare sia alla soluzione che provi a ripristinare il corretto ed equilibrato rapporto con entrambi i genitori ex art. 337 ter c.c., come oggi ritiene la giurisprudenza dominante, sia, invece, alla conclusione estrema di recidere il rapporto con il genitore “alienante”[31]. È inammissibile, infine, “rimuovere” la figura genitoriale prevalente sulla base di relazioni tecniche di PAS e, quindi, di una presunta pericolosità per la salute psico-fisica del minore, poiché vanno sempre considerate le ripercussioni sull’assetto cognitivo del minore di una brusca e definitiva sottrazione dello stesso dalla relazione familiare consuetudinaria.

Tutto ciò considerato, tuttavia, proprio con la riforma processuale da poco entrata in vigore, si insinua un pericolo volto a far cadere tutto quanto sin qui faticosamente ricostruito da giurisprudenza e dottrina in tema di PAS. Le nuove disposizioni del c.p.c. sembrano rispondere alle sollecitazioni della Corte edu e della Suprema Corte di Cassazione per il superamento della sindrome da alienazione parentale, specie nei casi caratterizzati da violenza domestica. Ma, nei casi privi di vicende caratterizzate da violenza domestica, l’art. 473 bis.6, comma 2, c.p.c. sembra porsi in controtendenza: è proprio la norma che cita le «condotte di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo tra il minore e l’altro genitore o la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale», rischiando di fornire una base giuridica per lo spazio applicativo della PAS, fino ad ora utilizzata come argomentazione a sostegno dell’inidoneità educativa, avallata solo da una parte residuale e, per lo più, superata della giurisprudenza. In ogni caso, la previsione normativa prevede che, in presenza di tali condotte ovvero quando il minore si rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori, il giudice lo ascolti «senza ritardo», riconoscendo così rilevanza alla mancata cooperazione del genitore proprio in relazione all’ascolto del minore.

In definitiva, non può effettuarsi un giudizio prognostico su quali saranno le applicazioni e i risvolti del nuovo assetto normativo; tuttavia, può affermarsi ancora una volta che, nell’interesse del minore, non si possa fondare decisioni su situazioni privi di riscontro concreto, anche sulla base dell’ascolto del minore stesso.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., ord., 24 marzo 2022, n. 9691, in Dejure online. Per una lettura del caso con riferimento alla PAS e al processo, M. BASSETTI, La cassazione sulla illegittimità del richiamo alla sindrome da alienazione parentale nei provvedimenti incisivi sulla vita del minore, in questa rivista. Per ulteriori approfondimenti, F. DANOVI, Diritto alla bigenitorialità e interesse del minore (per un definitivo rifiuto della sindrome di alienazione parentale), in Fam. dir., 2022, p. 920 ss.; B. AGOSTINELLI, La PAS, la bigenitorialità e i limiti intrinseci di un diritto “bifronte”, in Giur. it., 2022, p. 2630 ss.; M. DI MASI, Interesse del minore e rigore argomentativo dei giudici al di là della PAS, in Nuova giur. civ. comm., 2022, I, p. 867 ss. e C. MAGLI, PAS, decadenza della responsabilità genitoriale, allontanamento del figlio dalla residenza familiare e valutazione del migliore interesse del minore, in giustiziacivile.com.

[2] Si veda, Cass., 17 maggio 2021, n. 13217, in Foro it., 2021, I , c. 2340; Trib. Castrovillari, 27 luglio 2018, n. 728, Dejure online; Cass., 13 settembre 2017, n. 21215, in Dir. fam. pers., 2019, p. 9; e, in dottrina, v. C. CICERO e M. RINALDO, Principio di bigenitorialità, conflitto di coppia e sindrome da alienazione parentale, in Dir. fam. pers., 2013, p. 871 ss.; C. CASALE, Coniugi separati e litigiosi, la PAS e la Suprema Corte, 2019, p. 14 ss.; L. LENTI, PAS o non PAS? Non è questo il problema, in Questionegiustizia.it; A. SPANGARO, Condotta ostativa di un genitore e affidamento c.d. “super-esclusivo”, in Fam. dir., 2022, p. 265 ss.; piú nette nel senso di dichiarare l’assenza di fondamento sul piano scientifico della c.d. sindrome da alienazione parentale, Cass., 20 marzo 2013, n. 7041, in in Dir. fam. pers., 2013, p. 859; Trib. Milano, 13 ottobre 2014, in Dir. fam. pers., 2015, p. 203. Per una analisi sulla PAS, in gergo definita anche “sindrome della madre simbiotica”, v. M. CASONATO, Conflitti familiari e sindrome da alienazione parentale: note su una discussa patologia, in Fam. dir, 2013, p. 758 ss., e ivi ulteriore bibliografia, anche straniera

[3] Cfr. Corte edu, 10 novembre 2022, I.M. e altri c. Italia, in giustizia.it

[4] Per una riflessione sul rapporto tra violenza domestica, alienazione parentale e interesse del minore, M. RENNA, Violenza domestica, alienazione parentale e regolazione dell’affidamento minorile, in Fam. dir., 2023, p. 305 ss.

[5] La Corte edu, in tale decisone richiama anche il rapporto sull’Italia, adottato nel 2020, dal Gruppo di esperti sull’azione contro la violenza contro le donne e la violenza domestica istituito nel quadro della Convenzione di Istanbul (c.d. GREVIO). Sul punto, S.P. PERRINO, Condannata l’Italia per la sospensione della responsabilità genitoriale della madre “ostile”, in Giur. it., 2023, p. 29 ss. la quale concentra il suo esame sul rapporto tra violenza domestica e PAS.

[6] Sul punto, Cass., 15 giugno 2022, n. 19305, in Dejure online; Cass., 20 settembre 2021, n. 25339, ivi; Cass., 16 maggio 2019, n. 13274, in Dir. fam. pers., 2019, p. 1156; Cass., 8 aprile 2016, n. 6919, in Foro it., 2016, I, c. 1655; in tal senso, v. C. CICERO e M. RINALDO, Principio di bigenitorialità, conflitto di coppia e sindrome da alienazione parentale, cit., p. 875 ss.; sull’opportunità di verificare caso per caso le violazioni sofferte dal minore in tema di PAS, G. RECINTO, Il diritto alla salute della persona di età minore e il suo superiore interesse, in Rass. dir. civ., 2014, p. 1239.

[7] Specialmente, Corte edu, 10 febbraio 2011, Tsikasis c. Germania, in hudoc.echr.coe.int, la quale chiarisce che non deve mai venire meno il diritto di visita del genitore non affidatario, pure quando il genitore convivente attua dinamiche alienanti nei confronti dell’altro, impedendo a quest’ultimo e al proprio figlio di incontrarsi; Cass., 17 maggio 2021, n. 13217, cit.; Cass., 13 settembre 2017, n. 21215, in Dir. fam. pers., 2019, p. 9; Cass., 8 aprile 2016, n. 6919, cit.; Trib. Cosenza, 7 novembre 2019, n. 549, in Dejure online; Trib. Castrovillari, 27 luglio 2018, n. 728, cit.

[8] Cfr. Trib. Brescia, 19 novembre 2018, in ilfamiliarista.it

[9] V. Cass., 22 maggio 2014, n. 11412, in Dejure online

[10] Cosí, Corte edu, 2 novembre 2010, Piazzi c. Italia, in giustizia.it; Corte edu, 29 giugno 2004, Voleský c. Repubblica Ceca, in hudoc.echr.coe.int

[11] In questi termini,, Corte edu, 22 novembre 2005, Reigado Ramos c. Portogallo, in hudoc.echr.coe.int; Corte edu, 18 luglio 2006, Fiala c. Repubblica Ceca, ivi.

[12] V. App. Venezia, 16 dicembre 2019, n. 8607, in Dejure online; App. Brescia, 3 maggio 2013, in Dir. fam. pers., 2013, p. 926; Trib. Milano, 11 Marzo 2017, ivi, 2017, p. 1243

[13] Il noto psichiatra Richard Gardner ha ricostruito gli elementi costitutivi della PAS in diversi lavori auto-pubblicati e, quindi, per i quali è dubbia la attendibilità in ragione della assenza di verifica scientifica come quella realizzata dalla revisione tra esperti – c.d. peer review. Su youtube.com è possibile rivedere l’intervento di Gardner tenuto ad una conferenza del novembre 1998 a Vancouver nel quale spiega come riconoscere i sintomi (otto, piú quattro) nel bambino.

[14] Sugli aspetti di maggiore criticità della PAS, S. MAZZONI, V. NASSISI, Dalla Parental Alienation Syndrome (PAS) allo studio delle diverse forme di Alienazione Genitoriale, in Inf. e Ado, 2014, p. 44 ss. 

[15] Per una lettura della situazione dall’angolo visuale del minore, F. MONTECCHI, F.R. MONTECCHI, Separazioni ad alta conflittualità e Sindrome di Alienazione Genitoriale (Pas): imbroglio diagnostico o realtà clinica? Dalla parte dei minori, in Minorigiustizia, 2013, p 186 ss.

[16] Sul punto cfr. la nota del Ministero della Salute (Ufficio Legislativo) del 29 maggio 2020 N. 1.6.b.b/2019/1629 disponibile su ovd.unimi.it

[17] Per tali conclusioni, R.A. WARSHAK, Ten Parental Alienation Fallacies That Compromise Decisions in Court and in Therapy, in Professional Psychology: Research and Practice, 2015, p. 235–249.

[18] Cosí, Cass., 16 maggio 2019, n. 13274, cit.

[19] Sull’ascolto del minore, con particolare riguardo al delicato procedimento di adozione, sia consentito il rinvio a C. GHIONNI, Adozione internazionale e diritto alla famiglia, Napoli, 2016, p. 144 ss. ed ivi ulteriore bibliografia. Per un lettura specifica, sul diritto del minore a “non essere ascoltato” ovvero a disattendere le sue opinioni, G. BALLARANI, Il diritto del minore a non essere ascoltato, in Dir. fam. pers., 2010, p. 1814 s.

[20] Per le osservazioni sulla «grande riforma del processo civile», F. DANOVI, Il nuovo rito unitario per i processi relativi alle persone, ai minorenni e alle famiglie, in Giur. it., 2023, p. 713 ss.

[21] In questa direzione, S. TARRICONE, L’ascolto del minore è garanzia di effettività della tutela giurisdizionale, in Fam. dir., 2023, p. 27 ss.

[22] Da un esame delle pronunce della Suprema Corte, emerge la tendenza ad ammettere il c.d. ascolto indiretto, vale a dire, non condotto personalmente dal giudice al quale, di conseguenza, è riconosciuta la possibilità di avvalersi di professionisti ovvero esperti dallo stesso nominati, quali, ad esempio, un consulente tecnico d’ufficio (Cass., 29 settembre 2015, n. 19327, in Dejure online; Cass., 24 luglio 2013, n. 17992, ivi) o uno psichiatra infantile purché, tuttavia, l’esperto che vi provvede sia fornito di una specifica delega a tal fine (Cass., 22 luglio 2015, n. 15365, in Dejure online; Cass., 15 maggio 2013, n. 11687, ivi).

 

[23] Per consultare il documento, v. tribmin.reggiocalabria.giustizia.it

[24] Sul punto, G. MAUGERI, Dalla Sindrome di Alienazione Parentale (PAS) all’Alienazione Genitoriale nei procedimenti di separazione giudiziale, in aipgitalia.org

[25] Il documento è disponibile su oprc.it (alla stesura delle linee di indirizzo hanno preso parte delegati di: Ordine degli Psicologi della Regione Campania, Tribunale Ordinario di Napoli, Procura della Repubblica di Napoli, Tribunale per i Minorenni di Napoli, Procura della Repubblica per i Minorenni di Napoli, Ordine Medici – Chirurghi e Odontoiatri di Napoli e Provincia, Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli).

[26] Sul punto, S. POLIDORI, Affidamento dei figli minori in séguito alla crisi, diritto all’ascolto, responsabilità genitoriale, in Foro nap., 2014, p. 794 ss., che esclude un affido condiviso nel caso di fenomeni particolarmente laceranti di disgregazione familiare idonei mettere a disagio la stabilità emotiva del minore e il suo rapporto sereno ed equilibrato con entrambi

[27] In tal senso, Cass., 16 dicembre 2020, n. 28723, in Dejure online; Cass., 8 aprile 2019, n. 9764, in Guida al dir., 2019, 20, p. 60; Cass., 23 settembre 2015, n. 18817, in Foro it., 2016, I, c. 902; sull’attuazione del principio di bigenitorialità nella giurisprudenza di legittimità, v. M. PANEBIANCO, La bigenitorialità tra contrasti interpretativi ed approdi recenti della Corte di Cassazione, in Comparazione e diritto civile, 2019, p. 959 ss.

[28] In argomento, S. POLIDORI, Affidamento dei figli minori in séguito alla crisi, diritto all’ascolto, responsabilità genitoriale, cit., p. 790 ss.

[29] Secondo C. CICERO e M. RINALDO, Principio di bigenitorialità, conflitto di coppia e sindrome da alienazione parentale, cit., p. 884 ss., nell’ascolto del minore va, comunque, sempre verificato che le opinioni non siano conseguenza del comportamento del genitore ‘alienante’.

[30] Cfr. Cass., 8 marzo 2013, n. 5847, in Dejure online

[31] Cosí, Cass., 15 gennaio 1998, n. 317, in Dir. fam., 1999, p. 77 in cui si afferma che, qualora il figlio provi sentimenti di ripulsa nei confronti del genitore non affidatario, il giudice, nel suo interesse può sospendere, totalmente e a tempo indeterminato, il diritto di visita del genitore dal figlio rifiutato, tanto piú che l’imposizione coattiva di rapporti potrebbe sortire effetti dannosi.