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Pubbl. Lun, 17 Apr 2023

L´evoluzione della Golden Share e l´utilizzo del Golden Power per i settori strategici

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Corrado Sodo Migliori



Il presente contributo ha l´obiettivo di analizzare il controllo operato dalla Golden Share fino alla sua evoluzione nel Golden Power, i limiti e le problematiche connesse all´esercizio delle imprese nei settori strategici


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The evolution of the Golden Share and the use of the Golden Power for strategic sectors

This contribution aims to analyze the control operated by the Golden Share up to its evolution in the Golden Power, the limits and the problems connected to the exercise of companies in strategic sectors

Sommario: 1. Introduzione; 2. Profili di diritto comparato; 3. La situazione in Italia; 4. Il passaggio al Golden Power.

1. Introduzione

Prima di procedere nell'analisi, è necessario indicare cosa di intenda con Golden Share.

Si tratta di una tipologia di azione detenuta in una società che conferisce a colui che la possiede determinati poteri, come il diritto di veto su alcune decisioni strategiche.

Tale istituto è normalmente utilizzato dagli Stati per poter mantenere un forte potere di controllo su società rilevanti ai fini strategici.

2. Profili di diritto comparato

L'istituto della Golden Share nasce in Gran Bretagna al fine di assicurare al Governo la possibilità di incidere nelle decisioni fondamentali di gestione societaria.

La grande differenza sostanziale dei poteri riconosciuti dal possesso della Golden Share britannica, rispetto al potere speciale previsto dalla Golden Share In Italia, consiste nella diversa fonte da cui tale diritto deriva.

In Inghilterra non è presente disciplina legislativa specifica, dato che le uniche previsioni normative adottate si occupano di stabilire le autorità competenti insieme al Tesoro che possano acquistare azioni delle società privatizzate entro alcune soglie.

Di conseguenza, la disciplina di tale tipologia particolare di azione deriva dallo Statuto sociale.

La Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 13 maggio 2003, causa c-98/01, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord c. Commissione ha affermato:

«La situazione giuridica alla base della causa C-98/01, Commissione/Regno Unito, non sembra per nulla adeguarsi ai principi della giurisprudenza recente, come trasposta in questo nuovo ambito.

È irrilevante la circostanza che i poteri di intervento esercitabili dalle pubbliche autorità siano conferiti dallo statuto della società (e non da un atto normativo) e che la figura delle azioni prive di voto che attribuiscono poteri speciali sia prevista dal diritto interno.

Se è vero che questa situazione rientra perfettamente nella categoria tradizionale dei «regimi di proprietà», è altrettanto vero che questi ultimi sono sottratti all'applicazione dei principi fondamentali posti dal Trattato, senza che la Corte abbia formulato - o che convenga formulare - alcuna distinzione in base alla natura esatta di un determinato regime.

Ai fini della qualifica della restrizione, ciò che conta sono le conseguenze economiche del regime, non i particolari tecnici di ciascuna normativa. In caso contrario, in futuro agli Stati membri basterebbe convertire tutti i tipi di prerogative di diritto pubblico in poteri statutari per sottrarli all'applicazione del Trattato.

Pertanto, il regime istituito dagli artt. 10 e 40 dello statuto della BAA dev'essere considerato, conformemente alle sentenze 4 giugno 2002, contrario alla libera circolazione dei capitali, senza che occorra esaminare i provvedimenti controversi separatamente, alla luce delle norme relative alla libertà di stabilimento».

La Corte ha, quindi, introdotto il principio secondo cui configurano violazione dei principi di libera circolazione del mercato unico non solo le limitazioni all'acquisto delle azioni di società privatizzate, ma anche il potere riconosciuto ai governi di poter limitare o escludere la possibilità di prendere decisioni autonome per le società dismesse.

3. La situazione in Italia

La Golden Share in Italia nasce con l'introduzione dell'articolo 2 del decreto legge 31 maggio 1994 n.332, convertito con modificazioni con legge 30 luglio 1994 n.474.

Nello specifico, tale normativa prevede che negli Statuti societari delle società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, operanti in determinati settori (difesa, trasporti, telecomunicazioni, fonti di energia ed altri pubblici servizi) ed individuate con Decreto del Consiglio dei Ministri deve essere inserita una clausola statuaria che attribuisca al Ministero dell'Economia e delle Finanze alcuni poteri speciali.

Innanzitutto, si tratta del diritto di opposizione all’assunzione di una parte rilevante della partecipazione azionaria da parte di investitori non graditi, quantificato generalmente con il 5% salvo limite inferiore espressamente stabilito dal MEF, oppure del diritto di opposizione a patti e accordi tra azionisti che rappresenterebbero il 5% del totale azionario, sempre qualora il MEF non avesse provveduto con specifico decreto per istituire un limite inferiore. 

Inoltre, è previsto il diritto di veto per tutte quelle operazioni che comportino un cambiamento significativo della società (si tratta delle delibere di scioglimento della società, di trasferimento dell'azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all'estero, di cambiamento dell'oggetto sociale, di modifica dello statuto che sopprimono o modificano i poteri di cui al suddetto articolo 2).

Infine, come ultimo potere riconoscibile, è presente quello della nomina di un amministratore estraneo.

L' incompatibilità di questo istituto con i principi disciplinati agli articoli 43 e 56 del trattato CE è impossibile da ignorare.

La Comunità ha iniziato a risolvere le questioni inerenti alle disfunzioni causate da tali incongruenze a distanza di diversi anni, tramite un insieme di pronunce della Corte di Giustizia, mantenendo sempre come filo conduttore il fine principale della costituzione di un mercato unico e sancendo, quindi, l'incompatibilità con le libertà di circolazione di capitali e con le libertà economiche su cui si fonda l’intero assetto economico europeo[1].

La prima pronuncia della Corte di Giustizia nella quale è stata sanzionata la disciplina italiana della Golden Share è stata quella del 23 maggio 2000, causa c-58/99, Italia c. Commissione.

Nello specifico, in tale pronuncia la disciplina italiana è stata ritenuta contrastante con le norme previste negli articoli 43, 49 e 56 del trattato CE.

Tramite tale pronuncia, la Corte ha voluto specificare l'esigenza di individuare non in modo generico gli elementi su cui fondare il riconoscimento di poteri speciali, ritenendo insufficiente i generici obiettivi di politica economica ed industriale previsti dal sopra citato articolo 2.

Il legislatore italiana è, quindi, intervenuto con l'introduzione di limitazioni a specifici settori e a situazioni prestabilite per l’utilizzo di poteri speciali, precisandole nel D.P.C.M. 11 febbraio 2000, che all'articolo 1 prevede che l'obiettivo di detti poteri risiede nella salvaguardia di vitali interessi dello Stato e che gli stessi rispondono a motivi di interesse generale (ordine pubblico, sicurezza pubblica, sanità e difesa).

Nonostante i tentativi da parte del legislatore di uniformarsi alle richieste della Corte di Giustizia, a distanza di tre anni nel Febbraio del 2003 la Commissione Europea ha intentato una nuova procedura nei confronti dell'Italia in materia di Golden Share, ritenendo la disciplina, anche a seguito delle modifiche, ancora in contrasto con i principi del Trattato CE.

Di conseguenza, il legislatore è intervenuto con una riforma contenuta nell'art. 4, commi 227-231 della legge 24 dicembre 2003, n. 350.

Con tale intervento la Golden Share è stata limitata ad alcuni settori individuati come vitali per l'interesse dello Stato.

Con il D.P.C.M. 10 giugno 2004 sono individuati i criteri per l'esercizio dei poteri speciali previsti dal sopra citato articolo 2.

Nonostante tale intervento riformatore da parte del legislatore italiano, la Commissione Europea ha ritenuto che detta disciplina dettata in materia di Golden Share risultasse ancora in contrasto con il diritto dell'Unione Europea ed in particolare con la libertà di circolazione dei capitali e con la libertà di stabilimento, previste rispettivamente dagli articoli 56 e 43 CE.

Per capire la ratio delle pronunce condannanti l'operato del legislatore italiano è necessario riprendere quanto disposto dalla sentenza della Corte di Giustizia del 4 giugno 2002, nella causa c-483/99, al punto 45, e precisamente:

«La libera circolazione dei capitali, in quanto principio fondamentale del Trattato, può essere limitata da una normativa nazionale solo se quest'ultima sia giustificata da motivi previsti all'art. 73 D, n. 1, del Trattato o da ragioni imperative di interesse pubblico e che si applichino ad ogni persona o impresa che eserciti un'attività sul territorio dello Stato membro ospitante.

Inoltre, per essere così giustificata, la normativa nazionale deve essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di quest'ultimo, al fine di soddisfare il criterio di proporzionalità».

4. Il passaggio al Golden Power

L'evoluzione dal Golden Share al Golden Power è avvenuta con il decreto-legge n.21 del 15 marzo 2012, convertito in legge n.56 del 11 maggio 2012, che ha conferito al Governo poteri speciali in determinati settori, vale a dire difesa e sicurezza nazionale, energia e nel settore delle comunicazioni e dei trasporti.

Tale nuova disciplina a differenza della precedente, subordina l'utilizzo dei poteri speciali allo svolgimento di un'attività considerata di rilevanza strategica, indipendentemente dalla sua natura pubblica o privata.

Il potere riconosciuto al Presidente del Consiglio riguarderà soltanto l'individuazione dell'attività di rilevanza strategica, e quindi l’effettivo e concreto esercizio del potere speciale.

La nuova disciplina prevede, inoltre, la possibilità di determinare i criteri per l'esercizio dei Golden Power soltanto dalla fonte di diritto primaria, vale a dire il decreto-legge, a differenza di quanto stabilito dalla normativa precedente che permetteva l'individuazione dei criteri da una norma secondaria, come il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

In relazione ai nuovi poteri il legislatore ha introdotto un insieme di disposizioni attraverso le quali l'esecutivo ha facoltà di: 1) adottare determinate condizioni ed impegni diretti per tutelare gli interessi essenziali dello Stato; 2) apporre veti riguardo l'adozione di alcune delibere societarie; 3) opporsi all'acquisto di partecipazione da parte di un soggetto diverso dallo Stato, ente pubblico, o soggetto controllato da questi, che comporti la possibilità per l'acquirente di esercitare in qualsiasi modo il diritto di voto che potrebbe compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale.


Note e riferimenti bibliografici

[1] L. Scipione, La «golden share» nella giurisprudenza comunitaria: criticità e contraddizioni di una roccaforte inespugnabile, in Società, 2010, 855.