Pubbl. Mar, 11 Apr 2023
Alle Sezioni Unite il sequestro preventivo in materia di reati tributari e fallimento
Modifica paginaCon l’ordinanza 22 febbraio 2022 (ud. 29 novembre 2022), n. 7633, la Terza Sezione della Corte di Cassazione torna ad occuparsi della vexata quaestio relativa ai rapporti tra le misure patrimoniali (cautelari e sanzionatorie) penali in materia di reati tributari e la tutela dei creditori del soggetto fallito, raggiunto da un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Dopo aver passato in rassegna le precedenti pronunce della Suprema Corte, la Terza Sezione rimette la questione alle Sezioni Unite, con l’auspicio di un intervento chiarificatore sul punto, che possa definitivamente rispondere alla domanda circa la prevalenza o meno della misura ablatoria reale sulla tutela dei creditori del soggetto sottoposto alla procedura concorsuale.
To the United Sections the preventive seizure in matter of tax crimes and failure
With its Order No. 7633 of February, 22nd 2022 (hearing on November, 29th 2022), the Third Section of the Supreme Court of Cassation once again deals with the vexed question relating to the relationship between criminal property measures (precautionary and punitive) in the field of tax offences and the protection of creditors of the bankrupt subject, reached by a preventive seizure order aimed at confiscation. After reviewing the previous rulings of the Supreme Court, the Third Section refers the matter to the United Sections, in the hope of a clarifying intervention on the point, which may definitively answer whether or not the ablative measure prevails over the protection of the creditors of the person subject to insolvency proceedings.Sommario: 1. Il caso oggetto dell’ordinanza di rimessione; 1.1. La tesi del Tribunale di Pescara; 1.2. Il ricorso per Cassazione; 2. Le misure ablatorie reali e il difficile rapporto con le procedure concorsuali; 2.1. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca; 3. Il dibattito giurisprudenziale; 3.1. La decisione delle Sezioni Unite nel caso “Bacherotti” (Cass. Pen., Sez. Un., n.9/1999); 3.2. La pronuncia “Focarelli” (Cass. Pen., Sez. Un., 9 luglio 2004, n. 2995); 3.3. Il caso “Uniland” (Cass. Pen., Sez. un., 17 marzo 2015, n. 11170); 3.3.1. Le critiche alla sentenza “Uniland”; 3.4. L’ultimo intervento delle Sezioni Unite: il caso “Mantova Petroli” (Cass. Pen., Sez. Un., 13 novembre 2019, n. 45936); 4. L’iter argomentativo della Sezione rimettente; 4.1. I più recenti contrasti ermeneutici all’interno della stessa Corte di Cassazione; 4.2. Le obiezioni della Terza Sezione e la rimessione della questione alle Sezioni Unite; 5. Conclusioni.
1. Il caso oggetto dell’ordinanza di rimessione
L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. III, 22 febbraio 2022 (ud. 29 novembre 2022), n. 7633, prende le mosse da una decisione del Tribunale di Pescara che aveva rigettato l’appello sull’istanza di dissequestro – presentata dalla Curatela del fallimento – delle quote di capitale sociale e di un immobile di proprietà di una società in nome collettivo (beni oramai attratti alla massa fallimentare), beni sottoposti a sequestro finalizzato alla confisca di cui all’art. 12-bis d. lgs. 74/2000 – in quanto correlati alla commissione di un reato tributario – rispetto alla quale la sentenza dichiarativa di fallimento era intervenuta prima del decreto di sequestro preventivo emesso ai sensi dell’art 321 cod. proc. pen.
1.1. La tesi del Tribunale di Pescara
Il Tribunale – nel rigettare il ricorso in veste di giudice dell’appello cautelare – in prima battuta rilevava come la questione riguardasse la tematica dei rapporti tra il sequestro preventivo in materia di reati tributari e il fallimento dell’impresa in essi coinvolta[1].
Rispetto alla fattispecie in esame, il suddetto Tribunale affermava che «il sequestro preventivo (…) prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale (…) attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro, per cui il rapporto fra il vincolo imposto dall’apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro deve essere risolto a favore della seconda misura»[2].
Il Tribunale sottolineava, inoltre, che la prevalenza della misura ablatoria penale sui diritti di credito derivanti dalla procedura concorsuale sarebbe stata confermata per tabulas dalle disposizioni di cui agli artt. 317 e ss. del d.lgs. 14/2019 (c.d. “nuovo” Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), sebbene limitatamente all’ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi del comma 2 dell’art. 321 c.p.p., restando esclusa, invece, in caso di sequestro conservativo e limitata solo ad alcune ipotesi relativamente al c.d. sequestro impeditivo.
Questa conclusione sarebbe stata avvalorata anche dalla precedente interpretazione della stessa Corte di Cassazione che, come ricordato dal Tribunale di Pescara, aveva affermato la prevalenza del sequestro preventivo sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale, anche qualora la dichiarazione di fallimento fosse intervenuta prima del sequestro (Cass. Pen., Sez. III, 1 febbraio 2022, n. 3575).
In definitiva il Tribunale, non attribuendo rilevanza alcuna al dato della disponibilità (o meno) dei beni presso il fallito – atteso che la natura e la ratio del sequestro funzionale alla confisca prescinderebbero da tale dato – né ravvisando in tale conclusione alcuna lesione del principio della par condicio creditorum, rigettava l’appello promosso dalla Curatela avverso il rigetto dell’istanza di dissequestro.
1.2. Il ricorso per Cassazione
Contro l’ordinanza del Tribunale di Pescara la difesa della Curatela fallimentare propone ricorso per Cassazione, adducendo come unico motivo di impugnazione la violazione di legge, segnatamente degli artt. 321 c.p.p., 42 l. fall. e art. 12-bis d.lgs. 74 del 2000.
Secondo il ricorrente il Tribunale dell’appello cautelare avrebbe errato nell’interpretare l’inciso “salvo che appartenga a persona estranea al reato” di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 il quale, nel sancire l’obbligatorietà della confisca (diretta o per equivalente) dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato tributario, fa salvo il caso in cui detti beni appartengano a persona che al reato stesso è estranea.
A mente della difesa del ricorrente, infatti, la dichiarazione di fallimento importerebbe lo spossessamento dei beni del soggetto fallito, con la conseguente perdita di disponibilità degli stessi; tanto che la sentenza dichiarativa di fallimento è atto soggetto a trascrizione e la vendita dei beni del fallito – preordinata al soddisfacimento del ceto creditorio – è posta in essere dal Curatore fallimentare, soggetto al quale si trasferirebbe il possesso materiale e giuridico dei beni attratti alla massa fallimentare.
Evidenzia, ancora, il ricorrente che alla medesima conclusione sono giunte anche le Sezioni Unite penali (sentenza n. 45936 del 13 novembre 2019[3]), le quali hanno sostenuto la legittimazione della Curatela fallimentare ad impugnare i provvedimenti cautelari reali incidenti sulla dotazione della massa fallimentare (nello stesso senso, successivamente, si è espressa anche Cass. Pen., Sez. III, 8 luglio 2022, n. 26275).
L’ordinanza del Tribunale di Pescara sarebbe dunque viziata nella parte in cui sostiene che il sequestro potrebbe applicarsi anche su beni non più nella disponibilità del fallito, con ciò espressamente contrastando con la lettera dell’art. 12-bis del d.lgs. 74/2000.
Il Tribunale erra inoltre – sempre secondo il ricorrente – nella parte in cui non rinviene alcuna violazione del principio della par condicio creditorum; il mantenimento del sequestro, infatti, farebbe sì che l’Erario potrebbe trovare un soddisfacimento preferenziale anche a discapito di quei creditori che, nell’ambito di un ordinario piano di riparto dell’attivo fallimentare, sarebbero stati ad esso certamente preferiti[4].
Ad evitare questa obiezione non varrebbe neanche l’argomento fondato sulla natura sanzionatoria della confisca posto che, in tal caso, l’ordinamento sanzionerebbe sì l’autore del reato, ma solo attraverso il sacrificio dei creditori fallimentari, soggetti del tutto estranei al reato.
2. Le misure ablatorie reali e il difficile rapporto con le procedure concorsuali
Nel rimettere la questione alle Sezioni Unite, il Collegio sottolinea come il «rapporto tra misure ablatorie penali e sottoposizione a procedura fallimentare del soggetto destinatario della misura è stato oggetto di un articolato dibattito giurisprudenziale, tutt’ora non sopito»5], del quale si ripercorreranno nel prosieguo i principali approdi ermeneutici.
Il dibattito giurisprudenziale e dottrinale sul rapporto tra sanzioni patrimoniali e procedure concorsuali è stato alimentato nel tempo dalla molteplicità di fattispecie introdotte negli anni dal legislatore[6], il quale non è mai tuttavia pervenuto ad una disciplina organica della materia; solo di recente, infatti, il legislatore pare aver accolto le doglianze della dottrina e della giurisprudenza, introducendo una disciplina del fenomeno con il d.lgs. n. 14 del 2019[7] (c.d. “nuovo” Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) entrato in vigore, tuttavia, solo il 15 luglio 2022.
Prima di tale intervento normativo si è tuttavia registrato un costante impegno della giurisprudenza volto ad un riordino della materia, che ha portato a conclusioni diverse nelle differenti vicende giudiziarie, inevitabilmente legate anche alle peculiarità del caso concreto oggetto di giudizio; conclusioni che, in molti casi, sono state anche inficiate da una «confusione concettuale» tra profili di diritto penale sostanziale e processuale, «laddove sono state indebitamente sovrapposte le questioni procedurali relative alla legittimazione ad impugnare con quelle, di tipo sostanziale, inerenti alla prevalenza fra sanzioni patrimoniali e procedure concorsuali»[8].
Preliminarmente, tuttavia, si rende necessaria una seppur breve disamina della normativa de qua, onde evidenziarne i principali risvolti applicativi individuati nel tempo da dottrina e giurisprudenza.
2.1. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca
La lettura della norma che prevede la sanzione della confisca evidenzia immediatamente il delicato rapporto tra il provvedimento di sequestro disposto dal giudice penale e il problema della tutela dei diritti dei terzi.
Infatti, dopo aver distinto le ipotesi di confisca c.d. discrezionale – (comma 1) delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché delle cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto – e di confisca c.d. obbligatoria – (comma 2) del prezzo del reato – il terzo comma dell’art. 240 c.p. afferma testualmente che la confisca non si applica se la cosa o il bene appartiene a persona estranea al reato.
In tali casi non pare poter trovare applicazione l’art. 321, comma 2, c.p.p., che prevede il potere del giudice di applicare il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca. Specularmente, medesima soluzione dovrebbe adottarsi in relazione alla particolare ipotesi di cui all’art. 322-ter c.p. – che prevede la confisca in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione – cui fa espresso riferimento il comma 2-bis dell’art. 321 c.p.p., nonché con riguardo alla confisca (e al connesso sequestro preventivo) prevista dall’art. 12-bis del d.lgs. 74/2000 in materia di reati tributari.
Tale sistema di tutela dei terzi titolari della proprietà (o di una quota di essa) sui beni è rafforzato dalla previsione di cui al terzo comma dell’art. 321 c.p.p., che ammette la revoca del sequestro su richiesta dell’interessato – locuzione nella quale non può non farsi rientrare anche il terzo estraneo al reato proprietario del bene – qualora manchino le condizioni di applicabilità della misura cautelare reale, nonché dalla possibilità di esperire i rimedi di impugnazione delle misure cautelari di cui agli artt. 324 e ss. c.p.p. e, da ultimo, dalla possibilità di chiedere la revoca della confisca in sede esecutiva ai sensi dell’art. 676 co.1 c.p.p.[9].
Fattispecie speciale rispetto a quella codicistica è la norma contenuta nell’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 10 marzo 2000 che, in tema di reati tributari, che prevede la confisca obbligatoria (diretta o per equivalente) dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, salvo che appartengano a persona estranea al reato.
3. Il dibattito giurisprudenziale
Proprio sull’esatta interpretazione dell’inciso “salvo che appartengano a persona estranea al reato” di cui all’art. 12-bis testé citato si concentra l’ordinanza di rimessione in commento, che richiede alle Sezioni Unite uno sforzo ermeneutico volto a chiarire definitivamente i rapporti tra misure ablatorie penali e tutela dei diritti dei terzi estranei al reato, tema – come detto – oggetto di copiosa giurisprudenza.
3.1. La decisione delle Sezioni Unite nel caso “Bacherotti” (Cass. Pen., Sez. Un., n.9/1999)
La più risalente pronuncia delle Sezioni Unite, che per prima si è occupata del tema, è la c.d. sentenza Bacherotti[10] (dal nome del suo ricorrente); in tale occasione il Supremo Consesso ha riconosciuto la prevalenza del vincolo penale sulla tutela dei diritti dei terzi eventualmente incisi dalla misura patrimoniale a carico del reo.
Più nello specifico, le Sezioni Unite, nell'occasione, hanno affermato che il requisito dell'appartenenza dei beni a persona diversa dal reato (quale limite alla confisca previsto dall’art. 240 co. 3 c.p.p.) non può ritenersi limitato al solo diritto di proprietà, ma deve essere esteso anche ai diritti reali di godimento e di garanzia i quali, dunque, sopravvivono alla misura di sicurezza patrimoniale.
Alla base della confisca vi è, infatti, una presunzione di pericolosità che, tuttavia, non si riferisce ai beni in sé considerati, quanto, piuttosto, alla relazione che detti beni hanno con il reo. Talché, detta presunzione di pericolosità non potrebbe giustificare la compromissione dei diritti che i terzi estranei al reato vantano sui beni oggetto di confisca.
Senonché, come affermano le Sezioni Unite, una differenza si coglie tra il diritto di proprietà e i diritti reali di godimento e di garanzia; se il primo, infatti, opera come limite di carattere assoluto alla misura ablatoria reale, configurandosi quale «vero e proprio divieto di confisca», i secondi opererebbero solo come limite di carattere relativo, con conseguente sub-valenza di questi ultimi rispetto alla confisca (e al relativo sequestro ad essa finalizzato)[11].
Pertanto, in una situazione di tal fatta, ci si troverebbe di fronte a due vincoli sui medesimi beni: il vincolo penale derivante dalla misura ablatoria ed il vincolo derivante dal diritto reale; con la conseguenza che – almeno in relazione ai diritti reali di godimento e di garanzia – la ritenuta prevalenza del vincolo penale comporterebbe l’esclusione della legittimazione dei terzi a chiedere la revoca o ad impugnare il decreto di sequestro preventivo, limitandosi la loro iniziativa alla sola fase esecutiva, che prevede degli strumenti di tutela operanti nei confronti della confisca (nella specie, il già richiamato art. 676 co. 1 c.p.p.)[12].
3.2. La pronuncia “Focarelli” (Cass. Pen., Sez. Un., 9 luglio 2004, n. 2995)
Nel 2004 le Sezioni Unite sono intervenute nuovamente sul tema, con la nota sentenza Focarelli[13], in occasione della quale la Corte si è trovata ad affrontare un caso di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari e truffa ai danni dello Stato, in cui era stato disposto un sequestro preventivo finalizzato alla confisca facoltativa ex art. 240 co. 1 c.p. nei confronti di una società successivamente dichiarata fallita. Il quesito rimesso alle Sezioni Unite riguardava proprio l’ammissibilità del sequestro preventivo di beni provento dell’attività illecita dell’indagato ma di pertinenza dell’impresa dichiarata fallita.
Nell’individuare il reale significato da attribuire allo spossessamento patrimoniale del fallito a seguito della dichiarazione di fallimento ex art. 42 l. fall., la Cassazione aderisce all’orientamento in forza del quale detto spossessamento implica un assoggettamento dei beni alla procedura concorsuale, senza che ciò possa però rappresentare un ostacolo all’applicabilità del sequestro e della successiva confisca (non accogliendo, dunque, l’orientamento più restrittivo, che vedeva nello spossessamento la privazione del fallito di qualsiasi disponibilità, diretta o indiretta, dei beni oggetto attratti alla massa fallimentare, facendo così venir meno gli stessi presupposti del sequestro).
Nonostante la non ostatività della procedura concorsuale rispetto alla adozione della misura cautelare o ablatoria, la sentenza Focarelli ritiene tuttavia che il preminente rilievo pubblicistico della procedura concorsuale non possa comportare una totale indifferenza, rispetto ad essa, delle misure patrimoniali, affidando al giudice penale il delicato compito di un – non sempre facile – bilanciamento tra contrapposti interessi.
Come sottolineato in dottrina, in tale occasione la Cassazione si è profusa in un «encomiabile sforzo definitorio, andando oltre la mera formulazione del quesito che gli era stato posto»[14], operando una distinzione tra le varie ipotesi di sequestro e i relativi rapporti con la procedura fallimentare.
In primis, occupandosi del sequestro c.d. probatorio di cui all’art. 253 c.p.p., la Cassazione ritiene che le superiori esigenze pubblicistiche – funzionali all’accertamento della verità nel processo penale – ne comportano la prevalenza rispetto al fallimento, salva la possibilità di restituzione dei beni alla Curatela fallimentare una volta cessate le esigenze probatorie[15].
In relazione al sequestro conservativo di cui all’art. 316 c.p.p., invece, la Cassazione afferma la prevalenza della procedura fallimentare – e la relativa legittimazione del curatore ad impugnare il decreto di sequestro, anche qualora sia disposto prima della sentenza dichiarativa di fallimento; secondo la Cassazione, infatti, è vero che la misura reale all’esecuzione individuale nei confronti del fallito, ma è anche vero che tale esecuzione risulta tuttavia espressamente preclusa dalla disposizione contenuta nell’art. 51 l. fall., norma alla base della quale vi è l’idea che la gestione dei beni da parte del curatore è già di per sé idonea a tutelare i diritti dei creditori sui beni attratti alla massa fallimentare[16].
Il Supremo Consesso opera poi un’ulteriore distinzione, in materia di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., tra il sequestro preventivo c.d. “impeditivo” di cui al comma 1 e il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, previsto invece dal secondo comma dell’art. 321 c.p.p.; nella prima ipotesi, la misura cautelare reale è legittimata dalla libera disponibilità della cosa pertinente al reato, circostanza che viene a cessare nel momento in cui i beni vengono attratti alla massa fallimentare. Per tale ragione le Sezioni Unite affidano al giudice penale il compito di un bilanciamento tra contrapposti interessi, per valutare l’opportunità del mantenimento o della revoca del sequestro, soppesando le esigenze cautelari con la tutela degli interessi del ceto creditorio[17].
Nel caso di sequestro finalizzato alla confisca, invece, la Cassazione afferma che la misura cautelare prevale sempre rispetto alla procedura fallimentare; la presunzione assoluta di pericolosità della res ne preclude definitivamente la circolazione, onde poterne dedurre il necessario sacrificio dell’interesse dei creditori rispetto alla misura cautelare de qua.[18] E ciò a differenza dei casi di confisca c.d. facoltativa la quale, presupponendo un semplice nesso di strumentalità tra la res e la commissione del reato – in cui la presunzione di pericolosità che legittima la misura non è correlata alla natura del bene, bensì al rapporto sussistente con l'autore del reato – rimette indirettamente al giudice penale il bilanciamento di interessi, al fine di verificare se lo spossessamento derivante dalla procedura sia idoneo a far cessare le condizioni di applicabilità della misura cautelare, soddisfacendo al contempo le garanzie dei creditori[19].
Per tale via le Sezioni Unite, nella sentenza “Focarelli”, hanno dunque affermato che nell’ipotesi di confisca obbligatoria ex art. 240 co. 2 c.p. le prevalenti ragioni di tutela della collettività sottese all’applicazione della sanzione patrimoniale renderebbero recessive le ragioni di tutela dei terzi creditori, poiché la presunzione assoluta di pericolosità della res[20] oggetto di confisca precluderebbe che il bene venga rimesso in circolazione, sia pure per il tramite dell’espropriazione del reo.
3.3. Il caso “Uniland” (Cass. Pen., Sez. un., 17 marzo 2015, n. 11170)
Un ulteriore passo nella ricostruzione del fenomeno oggetto dell’ordinanza di rimessione in commento è stato compiuto dalle Sezioni Unite nella nota sentenza “Uniland”[21] – richiamata dall’ordinanza in commento al punto 2.1. – in occasione della quale ebbero a confrontarsi con la misura della confisca prevista dall’art. 19 del d. lgs. 231/2001, in materia di responsabilità da reato delle persone giuridiche, disposta nei confronti di due società – poi dichiarate fallite – e successivamente impugnata dal curatore fallimentare.
Invero, la sentenza “Focarelli” del 2004 aveva ritenuto la prevalenza della sanzione patrimoniale rispetto alla procedura concorsuale ancorando la sua argomentazione sul carattere intrinsecamente pericoloso del bene omettendo però, per tale via, di considerare che la l’indefettibilità della confisca non richiede la sussistenza di detto requisito.
Due gli orientamenti che si fronteggiarono sul punto: secondo un primo indirizzo, nei rapporti tra fallimento e confisca sarebbe dirimente la sola circostanza della previsione o meno dell’obbligatorietà della confisca; per un secondo orientamento, invece, la prevalenza della confisca obbligatoria sulle ragioni dei creditori del fallimento sarebbe giustificata solo dall’intrinseca pericolosità della res oggetto di apprensione all’attivo fallimentare.
La Corte, chiamata a dirimere il contrasto interpretativo, con la pronuncia “Uniland”, dimostra di abbandonare il criterio della intrinseca pericolosità del bene oggetto di misura ablatoria.
La stessa Corte afferma, invero, che l’art. 19 d. lgs. 231/2001, in tema di responsabilità da reato dell’ente, fa salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede, che quindi non vengono travolti dalla misura ablatoria. Nel novero di tali diritti, tuttavia, vi rientrano esclusivamente il diritto di proprietà e gli altri diritti reali che gravano sui beni oggetto dell’apprensione da parte dello Stato, restandovi invece esclusi i meri diritti di credito; i creditori, infatti, prima della conclusione della procedura concorsuale e della assegnazione dei beni, non sono titolari di alcun diritto su questi ultimi e, quindi, sono privi di un titolo restitutorio (Cass. Pen., Sez. Un., 17 marzo 2015, n. 11170).
Per queste ragioni, la Cassazione esclude la legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare il provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, dei beni della società fallita, «posto che, non essendo questi titolare di alcun diritto sui beni del fallito, né in proprio, né quale rappresentante dei creditori del fallito i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale, non hanno alcun diritto restitutorio sui beni, lo stesso non è portatore di alcuna posizione soggettiva tutelabile, né in relazione al sequestro preventivo né, a maggior ragione, in ordine alla successiva confisca, sia essa diretta o anche per equivalente»[22] (cfr. Cass. Pen., Sez. II, 19 giungo 2019, n. 27262).
Una «tale impostazione giurisprudenziale, escludendo in capo al soggetto titolare del diritto di agire in giudizio per conto della massa fallimentare la facoltà di impugnare i provvedimenti, sia cautelari che definitivi, che, nell’ambito della giurisdizione penale incidevano pregiudizievolmente sull’entità della massa fallimentare, sanciva la prevalenza sulla integrità di questa delle istanze ablatorie di carattere penale»[23].
La sentenza "Uniland", da ultimo, sottolinea che, a ben guardare, il curatore fallimentare non ha un vero e proprio interesse concreto giuridicamente tutelabile ad opporsi alle misure in esame; dette misure, infatti, non arrecherebbero alcun pregiudizio alla massa fallimentare, poiché la pretesa dello Stato sui beni potrebbe essere fatta valere solo a conclusione della procedura e, comunque, salvaguardando i diritti dei creditori del fallito cui sia stato nel frattempo assegnato, a titolo definitivo, quanto presente nell'attivo fallimentare.
3.3.1. Le critiche alla sentenza “Uniland”
La conclusione della sentenza "Uniland" è stata tuttavia, sin dai primi commenti, ritenuta poco soddisfacente, sia per gli inconvenienti di ordine pratico da essa scaturenti – attesa la necessità di attendere, per una compiuta definizione dei rapporti tra le due procedure, la liquidazione dell’attivo fallimentare e la irrevocabilità delle misure ablatorie – sia per i dubbi giuridici sottesi.
Il curatore fallimentare, infatti, sebbene soggetto estraneo al ceto creditorio, è comunque investito del compito istituzionale di preservare la massa fallimentare, ponendo in essere tutte le azioni necessarie alla sua ricostruzione tra le quali, per l’appunto, dovrebbe rientrare anche la facoltà di impugnare i provvedimenti che su detti beni impongono dei vincoli cautelari penali.
Inoltre, la conclusione della sentenza “Uniland” sembra applicabile al caso della misura cautelare antecedente al fallimento, mentre non potrebbe trovare applicazione qualora la misura ablatoria intervenga successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, caso in cui i diritti dei terzi creditori sarebbero già salvaguardati dalla avvenuta liquidazione dell’attivo fallimentare e dalla successiva assegnazione dei beni.
Da ciò aveva preso piede quell’orientamento in forza del quale, nell'ipotesi in cui la misura ablatoria fosse stata disposta successivamente alla dichiarazione di fallimento, il curatore, avendo intrapreso la gestione dell'attivo fallimentare, avrebbe già conseguito ex art. 42 l. fall. l'effettiva disponibilità di tali beni, perciò la sua legittimazione a impugnare la misura sarebbe rinvenibile direttamente negli artt. 322,322-bis e 325 c.p.p., ove questi fanno riferimento alla «persona cui le cose sono state sequestrate».
3.4. L’ultimo intervento delle Sezioni Unite: il caso “Mantova Petroli” (Cass. Pen., Sez. Un., 13 novembre 2019, n. 45936)
Il perdurante contrasto interpretativo aveva generato una nuova ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, sfociata nella sentenza “Mantova Petroli”[24], in cui la Corte – chiamata a giudicare su un caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’art. 12-bis d. lgs. 74/2000 di somme di denaro derivanti da reati di omesso versamento dell’IVA – è intervenuta nuovamente sul tema.
Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione della Terza Sezione in commento, la Corte – nel caso “Mantova Petroli” – con un revirement, ha «scardinato»[25] il precedente orientamento delle stesse Sezioni Unite del caso “Uniland”, chiarendo che il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale[26].
Nello specifico, secondo le Sezioni Unite nel caso “Mantova Petroli” «la giurisprudenza civilistica qualifica esplicitamente il curatore come detentore dei beni del fallimento. E si tratta senz’altro di una detenzione qualificata, anche per il carattere pubblicistico della funzione per la quale la stessa è attribuita»; le stesse Sezioni Unite hanno, inoltre, rilevato che «la legittimazione all'impugnazione del curatore, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell'attivo fallimentare. Ciò corrisponde peraltro al dato normativo rinvenibile nel già rammentato contenuto dell'art. 42 legge fallimentare, per il quale la dichiarazione di fallimento, privandone il fallito, conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest'ultimo esistenti alla data del fallimento; e quindi anche di quelli già sottoposti a sequestro».
4. L’iter argomentativo della Sezione rimettente
Queste considerazioni, secondo i giudici della Terza Sezione, conducono quindi ad individuare la «specifica questione» oggetto dell’ordinanza di rimessione e cioè «se, una volta dichiarato il fallimento e, pertanto, attratti alla massa fallimentare i beni dei soggetti attinti dal provvedimento in questione (…) l’eventuale sequestro penale (…) disposto successivamente alla apertura della procedura concorsuale possa distogliere (prima della formale assegnazione dei beni ai creditori, fenomeno quest'ultimo che […] rende certamente i beni in questione, una volta assegnati, immuni rispetto alla misura ablatoria, cautelare o definitiva che essa sia) dalla massa fallimentare dei beni già acquisiti ad essa»[27].
4.1. I più recenti contrasti ermeneutici all’interno della stessa Corte di Cassazione
La Terza Sezione, con uno sforzo classificatorio, passa, dunque, in rassegna i vari approdi giurisprudenziali che si sono occupati del tema.
I giudici rimettenti rammentano, innanzitutto, il fronteggiarsi dei due orientamenti sul punto: da un lato, l’orientamento secondo il quale il sequestro preventivo prevale sui diritti di credito (data l’obbligatorietà della misura ablatoria a cui il sequestro è finalizzato); dall’altro, invece, i sostenitori della tesi della prevalenza degli interessi dei creditori fallimentari rispetto al sequestro (disposto, nello specifico, ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000 a fronte del reato tributario) in forza dell’avvenuto spossessamento del fallito, il cui patrimonio è oramai soggetto alla gestione del curatore fallimentare.
A sostegno del secondo orientamento la Terza Sezione riprende un precedente intervento della stessa Sezione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 luglio 2022, n. 26275), nel quale si precisa che «il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento sul patrimonio (…) ne importa lo spossessamento ed il venir meno del potere di disporne; (…) a partire da tale momento il Curatore subentra ope legis nell'amministrazione della massa attiva nella prospettiva della sua conservazione ai fini della tutela dell'interesse dei creditori» specificando inoltre che «i riflessi pubblicistici cui lo stesso procedimento, attraverso l'indisponibilità dei beni del fallito, è sotteso - correlati alla necessità che il tracollo dell'impresa non si estenda a macchia di leopardo ai soggetti che con questa abbiano avuto rapporti e dunque posti a salvaguardia delle esigenze economiche della collettività (...) - non ne consentono l'assoggettabilità al vincolo penale per effetto del sequestro finalizzato alla confisca».
La Sezione rimettente individua, poi, altre recenti pronunce di segno contrario, a mente delle quali «i termini della questione non erano risolvibili sulla base della regola della priorità temporale, attribuendosi prevalenza al provvedimento intervenuto prima dell'altro (…) dovendo, invece, valutarsi a quale delle diverse esigenze che i due fenomeni tendono a salvaguardare (…) assicurare preminenza ed in che termini ciò debba avvenire (così Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 maggio 2020, n. 15779)».
A conclusioni diverse è invece giunta la Corte in altri casi, ribadendo nuovamente la prevalenza della misura ablatoria reale, nell'ottica della finalità evidentemente sanzionatoria perseguita dalla confisca espressamente prevista in tema di reati tributari quale strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato (cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 maggio 2020, n. 15776).
In altre pronunce ancora, invece, la Corte è giunta ad altre conclusioni, sposando la tesi della prevalenza del fenomeno concorsuale rispetto a quello strettamente penale (il riferimento è a Corte di cassazione, Sezione III penale, 18 marzo 2022, n. 11068).
In tale occasione la Corte – dopo aver ricordato l’espressa previsione legislativa della cedevolezza della misura ablatoria in caso di appartenenza dei beni a persona estranea al reato di cui all’art. 12-bis d. lgs. 74/2000 – sottolinea che lo spossessamento comporta la perdita della disponibilità dei beni da parte del fallito e che, ai fini della individuazione della relazione con la res che giustifica l’applicabilità della confisca, rileva non solo la proprietà o la formale titolarità dei beni, quanto il «sostanziale dominio su di essi»[28].
Da ciò, secondo la Cassazione, si potrebbe dedurre che, una volta dichiarato il fallimento, i beni della massa fallimentare non appartengono più «in senso dinamico» al fallito, in quanto sono esclusivamente finalizzati al soddisfacimento dei creditori del fallito, il quale di essi non può più disporre o godere; per tale ragione, detti beni devono considerarsi come beni appartenenti a persona estranea al reato, con la conseguente impossibilità di essere attinti dal sequestro preventivo (e dalla successiva confisca).
Da ultimo la Corte ricorda la particolare natura del profitto conseguito a seguito della commissione di un reato tributario, consistente per lo più nel risparmio dl spesa derivante dal mancato adempimento della obbligazione tributaria; l’Erario, dunque, in qualità di persona offesa, è da considerarsi nella stessa posizione degli altri soggetti insinuatisi al fallimento, che parimenti vantano una posizione creditoria insoddisfatta nei confronti del fallito.
Per tale ragione l’eventuale applicazione della confisca comporterebbe, da un punto di vista sostanziale, l’attribuzione al Fisco di una posizione privilegiata rispetto agli altri creditori (anche rispetto agli altri creditori tributari, nei confronti dei quali il mancato adempimento della prestazione tributaria non è presidiato dalla sanzione penale), anche quelli che beneficiano della c.d. prededuzione dei crediti[29].
L’eventuale applicabilità della misura ablatoria reale comporterebbe dunque, oltre ad una lesione della par condicio creditorum, anche una sorta di privilegium Fisci – al quale sarebbe attribuita una posizione dominante rispetto agli altri creditori – con evidente violazione della regola di eguaglianza sostanziale. Né il contenuto eminentemente sanzionatorio della confisca potrebbe condurre all’affermazione della sua prevalenza sulle ragioni del fallimento, posto che andrebbe inammissibilmente a ricadere su soggetti diversi dall’autore dell’illecito penale, e cioè sui suoi creditori.
Infine, la Sezione rimettente richiama un altro intervento della Suprema Corte sul tema (segnatamente, Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 febbraio 2022, n. 3575) la quale, utilizzando «un diverso tipo di approccio, peraltro adottato anche dal Tribunale di Pescara nella ordinanza ora in esame», ribalta ancora una volta le precedenti statuizioni, nel senso della prevalenza della misura cautelare reale sulle ragioni dei creditori del fallimento.
Si legge, infatti, nell’ordinanza di rimessione de qua che, argomentando sulla base della disciplina introdotta dal d. lgs. 14 del 2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), in tale occasione la Corte ha ribadito che «il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall'art. 12-bis, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto del fallimento, attesa l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia il sequestro è finalizzato, con la precisazione che tale prevalenza, la quale incontra il solo limite dell'appartenenza dei beni a terzi estranei al reato, trova giustificazione anche nelle disposizioni degli agli artt. 317 e ss. del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al d.lgs. n. 14 del 2019, non escludendo la sua differita entrata in vigore la possibilità che le norme definitorie in esso contenute, venute ad esistenza e a conoscenza con la promulgazione e la pubblicazione, siano utilizzate nell'ambito di una interpretazione logico-sistematica delle norme vigenti, contenute in altre leggi»[30].
4.2. Le obiezioni della Terza Sezione e la rimessione della questione alle Sezioni Unite
Una tale soluzione, tuttavia, secondo i giudici rimettenti non può considerarsi soddisfacente: da un lato, infatti, sembra considerare risolto il tema della appartenenza dei beni – una volta intervenuto al fallimento – al soggetto fallito oppure al Curatore fallimentare; dall’altro, invece, «incontra il limite ermeneutico di fondare buona parte del suo ragionamento su di una disposizione legislativa che, al momento in cui la stessa era stata adottata, ancora non era entrata in vigore (sicché la stessa non aveva alcuna valenza normativa) per scelta dello stesso legislatore»[31].
In definitiva, la Terza Sezione, ritenendo sussistente l’«elevata opportunità di una indicazione ermeneutica definitiva sull'argomento», rimette alle Sezioni Unite la questione la questione «se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l'avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell'art. 12-bis, comma1, d. lgs. 74/2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato».
5. Conclusioni
L’ordinanza di rimessione, facendo il punto sui vari orientamenti in campo, ha avuto modo di evidenziare le varie problematiche sottese alla tematica in esame, sottolineando l’avvicendarsi di più pronunce delle Sezioni Unite che, nonostante la pregevolezza o meno delle argomentazioni sostenute, non sono mai riuscite a dirimere i contrasti interpretativi insorti, che hanno infine portato alla nuova ordinanza di rimessione in commento.
In sintesi, si può affermare che due sono gli orientamenti prevalenti sul tema: da una lato, infatti, si colloca chi ritiene che le misure ablatore penali siano destinate a prevalere sui diritti di credito vantati sui medesimi beni in seno alla procedura fallimentare; dall’altro lato, invece, si rinvengono le decisioni che ritengono impossibile un’aggressione dei beni in sede penale successivamente allo spossessamento del fallito, trattandosi ormai di beni attratti alla massa fallimentare e la cui gestione, in forza della procedura concorsuale, passa in capo al Curatore fallimentare.
Il tutto sulla base di diverse argomentazioni, ancorate, ad esempio, alla valorizzazione del carattere obbligatorio della confisca, con particolare riferimento alla materia tributaria, valorizzato in alcune pronunce per sostenere la prevalenza delle misure ablatorie rispetto alla procedura fallimentare. Anche tale conclusione non è stata però esente da critiche, nella specie da parte di chi ha ritenuto di rinvenire nella perdita della disponibilità dei beni da parte del fallito un dato fondamentale che conduce a ritenere inibita la possibilità di applicare misure ablatorie in sede penale (e al correlato sequestro preventivo) sui beni oramai facenti parte della massa fallimentare, destinati al soddisfacimento dei creditori del fallito rispetto ai quali l’Erario assume una posizione sostanzialmente paritaria.
Trattasi di una questione che, come spesso accade, si intreccia anche con interrogativi di carattere processuale – che dipendono dalla risoluzione della questione sostanziale – legati al riconoscimento o meno della legittimazione del Curatore fallimentare ad impugnare o a chiedere la revoca dei provvedimenti che dispongono la misura ablatoria reale.
Come in ogni ambito della scienza giuridica – e, a maggior ragione, quando viene in considerazione l’applicabilità di norme appartenenti all’ordinamento penalistico, per tale ragione destinate ad incidere significativamente su diritti e libertà del soggetto attinto dalle sanzioni – un’esigenza di chiarezza si impone: è proprio per questo che una parte della dottrina auspica «un ritorno alla centralità del potere legislativo, lasciando così alla magistratura il compito di interpretare, anziché di colmare, il dato normativo»[32].
Un ausilio importante nella risoluzione della questione teorica – nell’attesa della nuova pronuncia delle Sezioni Unite, chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale – potrebbe derivare dall’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 14/2019); tale intervento da un lato, con la previsione di cui all’art. 317 – significativamente rubricato “Principio di prevalenza delle misure cautelari reali e tutela dei terzi – rimanda alle disposizioni contenute nel d.lgs. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia)[33] l’individuazione delle condizioni e dei criteri di prevalenza delle misure ablatorie penali sulla gestione concorsuale; dall’altro lato, tuttavia, il successivo articolo 320 ammette la legittimazione del curatore fallimentare a proporre richiesta di riesame e di appello del decreto di sequestro preventivo sui beni facenti parte della massa fallimentare.
Sembrerebbe dunque che il legislatore del nuovo Codice della crisi d’impresa, conscio dell’indefettibilità delle misure patrimoniali di carattere penale, abbia cercato comunque di conferire tutela al ceto creditorio del fallito, formato da soggetti del tutto estranei al reato, che vedrebbero ingiustificatamente pregiudicati i propri diritti di credito.
Si attende dunque l’intervento definitivamente (si auspica) chiarificatore del massimo organo nomofilattico, che consenta anche di individuare l’esatta interpretazione delle norme che prevedono misure ablatorie penali contenute nella novella legislativa in materia di crisi d’impresa.
[1] Per approfondimenti si veda, ex multis, FONTANA E., Consentito il sequestro diretto dei beni dell'impresa fallita, nota a Cassazione penale, 26 novembre 2021, n.3716, sez. III, in Diritto & Giustizia, fasc.25, 2022, pag. 3; COMPAGNA F., La confisca “diretta” dei valori numerari. Dalla progressiva erosione della legalità all'esplicita negazione delle garanzie fondamentali, nota a: Cassazione penale, 27 maggio 2021, n.42415, Sez. Un., in Cass. Pen., fasc.2, 2022, pag. 566; SANTORIELLO C., I rapporti fra sequestri penali e procedure concorsuali fra elaborazione giurisprudenziale e nuovo Codice della crisi, nota a Cassazione penale, 26 novembre 2021, n.3716, sez. III, in Ilfallimentarista.it, 6 maggio 2022; TODARO G. – FIRRINCIELI B., I rapporti tra confisca nei reati tributari, procedure concorsuali e responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001, nota a Cassazione penale , 04 febbraio 2022, n.11086, sez. III, in Ilsocietario.it, fasc., 12 ottobre 2022.
[2] Queste le parole della decisione del Tribunale di Pescara, richiamata al punto 1.2 dell’ordinanza in commento (Cass. Pen., Sez. III, 22 febbraio 2022 (ud. 29 novembre 2022), n. 7633).
[3] Cass., Sez. Un. Pen., 13 novembre 2019, n. 45936, c.d. caso “Mantova Petroli”; v. infra, par. 3.4.
[4] Punto 1.2 dell’ordinanza della Terza Sezione in commento, n. 7633/2022.
[5] Cfr. punto 2. dell’ordinanza in esame.
[6] Si veda, sul punto, ex multis, MANES V., L'ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in Riv. it. dir. pen., 2015, III, 1262.
[7] Il Titolo VIII della Parte prima del Codice è appunto dedicato a «Liquidazione giudiziale e misure cautelari penali»; per un approfondimento v. MASTRANGELO G., Le soluzioni del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza al problema della sovrapposizione dei sequestri penali con le procedure liquidatorie, in Sistema penale, fasc. 5/2020, 103 e ss.; BONTEMPELLI M. – PAESE R., La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca, in Dir. pen. cont., fasc. 2/2019, 123 e ss.; MILANI L., I rapporti tra sequestri e procedure concorsuali, in Dir. pen. proc., 2019, 1343 ss.; MAZZACUVA F., La cassazione torna sul rapporto tra sequestri/confische e procedure concorsuali: rimessa alle sezioni unite la vexata quaestio della legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti cautelari reali, in Dir. pen. proc., 2019.
[8] In questi termini AMATO D., Sequestro preventivo, fallimento e poteri del curatore, nota a Cass. Pen, Sez. Un., 26 settembre 2019, n. 45936, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 6/2020, cit., 1269.
[9] La norma testualmente afferma che “Il giudice dell'esecuzione è competente a decidere in ordine all'estinzione del reato dopo la condanna, all'estinzione della pena quando la stessa non consegue alla liberazione condizionale o all'affidamento in prova al servizio sociale, in ordine alle pene accessorie, alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate. In questi casi il giudice dell'esecuzione procede a norma dell'articolo 667 comma 4.
Qualora sorga controversia sulla proprietà delle cose confiscate, si applica la disposizione dell'articolo 263 comma 3.
Quando accerta l'estinzione del reato o della pena, il giudice dell'esecuzione la dichiara anche di ufficio adottando i provvedimenti conseguenti”.
[10] Cass., Sez. Un. Pen., n. 9/1999.
[11] Cass. Pen., Sez. Un. Pen., n. 9/1999, punto 7. della motivazione; sulla base di queste premesse la Cassazione, nella sentenza Bacherotti, ha ammesso la confisca di cose sulle quali sia stato costituito un diritto di pegno regolare a favore di terzi (nella specie, si trattava di pegno regolare su certificati di deposito al portatore costituito dal condannato a favore di istituti bancari).
[12] In questi termini BONTEMPELLI M., I sequestri penali e l’evoluzione della tutela dei terzi, in Rivista Italiana di diritto e procedura penale, fasc. 3/2020, p. 1321 e ss.
[13] Cass., Sez. un., 9 luglio 2004, n. 2995 in Cass. Pen., 2005, fasc. 7-8, 2437 e ss., con nota di PACILEO V., Sui rapporti tra procedimento penale e procedura fallimentare;
[14] AMATO D., op. cit., cit. p. 1271; l’Autore specifica che «per fare ciò, com'è stato correttamente osservato, ha impiegato un duplice schema concettuale: il primo, di tipo funzionalistico, volto a verificare se lo scopo perseguito dal sequestro penale possa essere ugualmente soddisfatto dal fallimento, circostanza che rende quindi un'inutile duplicazione l'adozione della misura cautelare penale; il secondo, di tipo metodologico e residuale rispetto al precedente, da applicarsi ove le due esigenze siano potenzialmente confliggenti, ragion per cui — in assenza di un'esplicita previsione normativa — spetterà al giudice, in base alle circostanze del caso concreto, operare un bilanciamento fra i diversi valori in gioco».
[15] Cass., Sez. un., 24 maggio 2004, n. 29951, punto 8.1. della motivazione.
[16] Cass., Sez. un., 24 maggio 2004, n. 29951, punto 8.2. della motivazione.
[17] In particolare, il giudice sarebbe tenuto a verificare il rischio che il fallito, al termine della procedura, possa rientrare in possesso del bene in questione. Cass., Sez. Un. Pen., 24 maggio 2004, n. 29951, punti 4.1 e 7. della motivazione.
[18] Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29951, punto 4.2.a. della motivazione.
[19] Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29951, punto 4.2.b. della motivazione; sul punto, AMATO D., op.cit., 1272. L'Autore sottolinea che «infine, per quanto attiene più direttamente alla figura del curatore, le Sezioni unite hanno affermato come questi sia sicuramente legittimato a proporre sia l'istanza di riesame del provvedimento di sequestro preventivo, sia quella di revoca della misura», poiché in tal modo egli agisce al fine di rimuovere un atto pregiudizievole alla reintegrazione della massa fallimentare, così assolvendo alla sua funzione istituzionale di ricostruzione dell'attivo».
[20] Come successivamente precisato dalla Cassazione, peraltro, v’è da rilevare come «la natura intrinsecamente ed oggettivamente pericolosa della cosa che determina il carattere obbligatorio della confisca, e non già il carattere obbligatorio della confisca che determina la pericolosità intrinseca ed oggettiva della cosa»; cfr. Cass., Sez. Sez. III, 25 maggio 2007, n. 20443.
[21] Cass., Sez. un., 17 marzo 2015, n. 11170 in Dir. pen. cont., con nota di RIVERDITI M., Le Sezioni Unite individuano il punto di equilibrio tra confisca ex d. lgs. 231 e vincolo imposto dal fallimento sui beni del fallito.
[22] Punto 2.1. dell’ordinanza in commento.
[23] Ibidem, Punto 2.2.
[24] Cassazione, Sez. Un. Pen., 13 novembre 2019, n. 45936.
[25] Punto 3. dell’ordinanza della III Sez., n. 7633/2022.
[26] Cassazione, Sez. Un. Pen., 13 novembre 2019, n. 45936.
[27] Punto 3.1. dell’ordinanza di rimessione.
[28] Punto 4.4. dell’ordinanza di rimessione.
[29] Previsto dall’art. 111 l. fall., si tratta di un istituto di natura processuale-procedurale che consente a determinati creditori il diritto di essere corrisposto con precedenza rispetto agli altri partecipanti al concorso, anche ove si tratti di soggetto munito di privilegio.
[30] Punto 4.5. dell’ordinanza di rimessione, che richiama le conclusioni di Cass. Pen., Sez. III, n. 3575/2022.
[31] Ibidem, punto 4.5.
[32] Queste le parole di AMATO D., op. cit., 1280.
[33] Per una più attenta disamina delle norme in materia di misure cautelari e tutela dei creditori fallimentari contenute nel d.lgs. 159/2011, nonché dei problemi di coordinamento in relazione al nuovo codice della crisi d’impresa si veda BONTEMPELLI M., I sequestri penali e l’evoluzione della tutela dei terzi, op. cit., 1321 e ss.