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Pubbl. Mer, 8 Mar 2023

Riflessioni in materia di argomenti di prova: dottrina e recenti orientamenti

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Tiziana Anna Ghiotto



l´articolo si propone di realizzare una succinta esposizione dell’attuale considerazione degli argomenti di prova nel nostro sistema processualcivilistico. Da sempre oggetto di discussioni in letteratura, anche in conseguenza di un dettato codicistico poco nitido, la definizione e la classificazione degli argomenti di prova ha interessato la migliore dottrina più risalente che, in particolare, si è affaticata nella risposta a quesiti cruciali inerenti, specificamente, l’efficacia di siffatti strumenti processuali. Un breve cenno è poi riservato al valore degli argomenti di prova nell’ambito di un processo estinto, mentre la riflessione si conclude con una panoramica sulla situazione della giurisprudenza - di legittimità e di merito - sul tema.


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Considerations on Test Arguments: doctrine and recent guidelines

The paper aims to create a short exposition of the current consideration of the arguments of evidence in Italian civil procedural system. Always the subject of discussions in the literature, also as a result of an unclear code provision, the definition and classification of the test subjects has involved the best older doctrine, which, in particular, has struggled in answering crucial questions relating, specifically the effectiveness of such procedural instruments. A brief mention is then reserved for the value of the test arguments in the context of an extinct trial, while the reflection concludes with an overview of the situation of the jurisprudence - of legitimacy and merit - on the subject.

Sommario. 1. La collocazione sistematica degli argomenti di prova; 2. Le discussioni sull’efficacia probatoria; 3. L’estinzione del processo e il valore delle prove raccolte; 4. Conclusioni

1. La collocazione sistematica degli argomenti di prova

Il tema degli argomenti di prova, che nel codice di rito sono disciplinati all’art. 116 c.p.c., rappresenta un terreno d’elezione per giurisprudenza e dottrina, che si sono concentrate, ormai da decenni, per stabilirne natura e valore, in una continua ridefinizione dei loro limiti.

Dopo avere tentato una pur succinta e inevitabilmente non esaustiva ricostruzione teorica della questione, al solo fine di fornire le coordinate generali del problema, è parso utile soffermarsi alla giurisprudenza di legittimità più recente. I giudici di legittimità, con una serie cospicua di sentenze risalenti allo scorso anno, hanno suggerito agli operatori di ritornare sul tema, allo scopo di verificare lo stato dell’arte e aggiungere tasselli in un quadro che si configura di peculiare rilevanza per le dinamiche processuali.

La riflessione può prendere avvio da una indicazione lessicale, ossia dall’espressione ‘argomento di prova’, in cui la scelta del sostantivo (che, come è stato osservato, rappresenta una novità del codice di rito in vigore, mutuata verosimilmente dalla dottrina tedesca[1]) ha la funzione di smorzare la portata del termine ‘prova’. L’argomento di prova, dunque, è un quid minoris rispetto all’apparato istruttorio tradizionale, e starebbe a indicare un elemento che penetra nel processo alla stregua di un indizio, un suggerimento, una parvenza di prova, ma privo di una siffatta intensità[2]. Stante una così ampia e poco disciplinata gamma semantica, appare utile riferirsi alla Relazione di accompagnamento al codice di procedura civile, in riferimento all’art. 116 c.p.c., che vale la pena qui ricordare. La norma, infatti, recita: «Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo».

La Relazione illustrativa mette in rilievo come gli argomenti di prova rappresentino un sussidio importante, finalizzato a coadiuvare la libertà di valutazione che è connaturata all’organo giudicante. Si evidenzia come il modo in cui le parti risponderanno alle domande del giudice, ovvero il loro comportamento complessivo saranno in grado di influire sull’esito processuale. In particolare, lo strumento concede al giudice di valutare la lealtà e la correttezza delle parti coinvolte, in base a un criterio di ragionevolezza e di libera valutazione che - è opportuno ribadirlo - è prerogativa del giudice, come disciplinato dalla stessa legge. In questa prospettiva, taluna letteratura ha ritenuto che la materia degli argomenti di prova a stento trovi una coerente collocazione sistematica, rivolgendosi alla discrezionalità del giudice ma, contemporaneamente incidendo sull’accertamento dei fatti, che per propria natura è oggettivo e insindacabile[3].

Ciò premesso, può essere utile, in prima battuta, rammentare quali siano le fattispecie che, per espressa indicazione codicistica, rientrino nel novero degli argomenti di prova.

Occorre riferirsi, in primis, alla previsione dell’art. 116, comma 2, c.p.c., con cui si rimanda all’art. 117 c.p.c., perché si prevede che gli argomenti di prova possano essere desunti dalle risposte delle parti in sede di interrogatorio libero; simile è la previsione dell’art. 118 comma 2 c.p.c., che eleva ad argomento di prova il rifiuto ingiustificato di consentire le ispezioni. Si contano, poi, svariati altri casi nei quali il legislatore ha compiuto un rinvio espresso agli argomenti di prova. Basti pensare alla previsione dell’art. 185, comma 1, c.p.c.[4], in cui si legge che la mancata conoscenza, senza giustificato motivo, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata ai sensi del secondo comma dell’art. 116 c.p.c. Ancora, rileva l’art. 200, comma 2, c.p.c., perché si legge che in seguito al fallimento della conciliazione operata dal consulente tecnico d’ufficio incaricato di effettuare l’esame contabile, il giudice possa valutare alla stregua degli argomenti di prova le dichiarazioni rese dalle parti e contenute nella relazione del tecnico medesimo[5].

Un discorso a parte, che verrà sviluppato in prosieguo merita, invece, l’art. 310, comma 3, c.p.c., secondo il quale le prove raccolte nell’ambito di un processo estinto sono valutate dal giudice a norma dell’articolo 116, comma 2, c.p.c.[6].

Altre fattispecie rientrano nella casistica degli argomenti di prova in via interpretativa; basti pensare alla previsione dell’art. 8 c.p.c., che interviene laddove si constati una violazione dei doveri di lealtà e probità a carico delle parti o dei difensori delle parti. Ancora, si dovrebbero desumere argomenti di prova in conseguenza del rifiuto opposto dalla parte a scrivere sotto dettatura in un procedimento di disconoscimento di scrittura privata, come disciplinato dall’art. 219 c.p.c.[7]; similmente, l’inottemperanza a un obbligo di esibizione, come previsto dall’art. 210 ss. c.p.c.[8], può essere interpretato come un indice di scarsa lealtà e di assenza di un serio intento collaborativo delle parti e, ragionevolmente, può divenire argomento di prova; il tema, invero, è stato oggetto di discussione in dottrina, senza trovare una precisa risposta, non essendo prevista nel codice di rito alcuna conseguenza all’inottemperanza all’obbligo[9].

Sul punto può essere interessante ricordare una pronuncia recente, in materia di poteri del giudice in caso di inosservanza dell'ordine di esibizione di documenti. Nel provvedimento si legge che l’inosservanza dell’ordine di esibizione di documenti integra un comportamento dal quale il giudice può, nell’esercizio di poteri discrezionali, desumere argomenti di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c., tale scelta non è censurabile in sede di legittimità, neanche per difetto di motivazione in riferimento alla mancata valorizzazione dell'inosservanza dell’ordine ai fini della decisione di merito[10].

L’art. 232 c.p.c. descrive un’ulteriore fattispecie interpretabile alla stregua di un argomento di prova: il rifiuto a comparire o a rispondere all’interrogatorio formale viene valutato circa l’effettivo valore probatorio, su cui non vi è, in dottrina, unanimità di interpretazioni[11]. Di certo deve ritenersi superata la lettura più risalente, che vedeva nella mancata risposta all’interrogatorio formale un’ammissione dei fatti dedotti, dal momento che equiparare confessione espressa a confessione tacita, priva del requisito della chiara manifestazione di volontà, non era ragionevole, neppure laddove si pensasse di considerare solo temporaneamente raggiunto il risultato probatorio. Ecco perché risulta per lo meno accettabile l’idea che la mancata risposta all’interrogatorio formale sia da considerarsi elemento da valutarsi discrezionalmente dal giudice, senza che sia idoneo a produrre automaticamente gli effetti di una ficta confessio[12].

2. Le discussioni sull’efficacia probatoria.

Si ritiene opportuno dedicare qualche osservazione al tema dell’efficacia probatoria degli argomenti di prova, in una discussione che ha condotto a una nuova definizione del concetto medesimo di argomento di prova, inteso come una conseguenza che il giudice trae da premesse individuate ex lege, ovvero ragionevolmente enucleabili da premesse di fatto portate alla conoscenza del giudice[13]. L’intensità dell’inferenza, la quale è specifico prodotto dell’attività intellettuale del giudice, non risponde a criteri previsti ex lege: da siffatta circostanza scaturisce la grande difficoltà di attribuire una certa efficacia alle previsioni dell’art. 116, comma 2, c.p.c., così come anche alla previsione dell’art. 420, comma 2, c.p.c., che risulta di difficile inquadramento. Ci si riferisce, in particolare, alla circostanza che rende oggettivamente complicato individuare una connessione del citato art. 420 c.p.c. con l’argomento di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c. essendo il testo differente e non contenendo un richiamo diretto all’argomento di prova, che il legislatore avrebbe potuto, invero, inserire. La conseguenza - come è stato osservato - è che i comportamenti de quibus potranno essere valutati attribuendo loro un’efficacia probatoria diversa e superiore rispetto a quella spettante agli argomenti di prova in senso stretto. Univoca è, invece, la loro funzione nella sistematica del codice di rito: consentire al giudice di confermare o comunque indirizzare le proprie decisioni. In ciò si sostanzia il dubbio relativo all’efficacia probatoria degli argomenti di prova.

Ad ogni modo, per comprendere le radici dell’attuale interpretazione sul tema degli argomenti di prova, occorre riferirsi a una posizione specifica, quella di Gino Gorla, che, prima ancora che entrasse in vigore il nuovo codice di procedura civile, aveva sostenuto che i comportamenti posti in essere dalle parti dovessero essere considerati alla stregua di mezzi di valutazione delle prove, e poi come mezzi essi stessi di prova, nella forma della presunzione[14].

Si sono formate, sul punto, differenti posizioni dottrinali, che ci si limiterà a ripercorrere sommariamente.

Una prima lettura sostiene l’efficacia ridotta degli argomenti di prova, ritenuti un quid minoris rispetto alle prove in senso stretto, non potendo risultare decisivi per il giudizio, ma potendo, al limite, guidare il giudice nella scelta migliore. Si tratta della tesi più tradizionale, che fonda la distinzione tra prova e argomento di prova su giustificazioni di natura strutturale e funzionale. Da un punto di vista strutturale, gli argomenti di prova emergono dal contegno delle parti in sede processuale, dalle risposte offerte in sede di interrogatorio formale, dal rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni: emerge nitidamente come gli argomenti di prova non possano garantire l’accertamento dei fatti, ma - lo si ripete - possano offrire al giudice elementi per valutare le vere e proprie prove[15]. Quest’ultimo profilo interessa la funzione dell’argomento di prova[16].

Posizione differente è quella di chi sostiene la cd. autosufficienza degli argomenti di prova: essi assurgerebbero a vere e proprie prove, assimilabili alle presunzioni[17]. Si possono ricordare, in proposito, le puntuali osservazioni di Montesano, che li classificava, «non … propriamente prove, ma strumenti logico critici per valutare le prove tipiche»[18]. Essi, dunque, di per se stessi, possono solamente costituire parte di un più complesso ragionamento presuntivo, insieme ad altri elementi risultanti da prove tipiche o dai fatti notori o pacifici[19]. L’argomento di prova, in particolare, sarebbe simile alla presunzione dal punto di vista strutturale, perché entrambi prenderebbero avvio da una premessa di fatto, per ricavare una conclusione sulla verità di un altro fatto[20]. Le sfumature di interpretazioni, sul tema, sono varie, e traggono spunto dal dettato dell’art. 2729 c.c., che menziona le fonti di presunzione, alla stregua delle quali gli argomenti di prova sarebbero configurabili[21]. Secondo questa lettura, al di fuori dei limiti sanciti dalla disposizione menzionata, gli argomenti di prova potrebbero rivestire solamente una funzione sussidiaria, integrativa rispetto alle prove, laddove le altre evidenze processuali non siano idonee a tratteggiare un quadro di presunzioni gravi, precise e concordanti[22].

Si colloca nel panorama di tale dibattito una posizione intermedia, che, condensandosi in una sorta di non liquet, ritiene semplicemente che non sia possibile ottenere una definizione e una classificazione chiara in merito all’efficacia probatoria degli argomenti di prova[23].

3. L’estinzione del processo e il valore delle prove raccolte.

Un discorso a parte merita la vicenda delle prove raccolte nell’ambito di un processo che si è poi estinto[24]. Si tratta di valutare la possibilità di dare attuazione al disposto dell’art. 310, comma 3, c.p.c., che a sua volta rinvia alla previsione dell’art. 116, comma 2, c.p.c.: ma quale significato si deve dare a siffatto richiamo?

Secondo una certa parte della letteratura, le prove raccolte nell’ambito di un processo estinto sono da considerarsi prove atipiche e, in quanto tali, sufficienti e idonee a formare un corretto convincimento da parte del giudice[25]. Pur partendo da tale identica posizione, vi è chi ritiene che il riutilizzo delle prove raccolte nel giudizio estinto possa avere luogo solo nel caso in cui il successivo processo abbia un medesimo oggetto: ciò significa che i risultati dell’istruzione probatoria siano utilizzabili in un processo che si svolga tra le medesime parti e su medesimi petitum e causa petendi[26].

Una posizione diversa è quella di coloro che sostengono la piena efficacia delle prove raccolte in un processo estinto, sicché i comportamenti presi in considerazione dal dettato dell’art. 116, comma 2, c.p.c., verrebbero equiparati alle prove in senso stretto, perché idonei a determinare la decisione sul giudizio di fatto[27].

Più in generale vale la pena ricordare come la forza minore delle prove nel processo estinto sia una forma di tutela del principio del contraddittorio e del principio dell’oralità: in altri termini, la sua funzione è di legittimare l’utilizzo nel giudizio civile del materiale istruttorio di ogni altro processo, non solo civile, ma anche amministrativo e penale[28].

4. Conclusioni

Una riflessione conclusiva sul tema non può prescindere da una seppur cursoria panoramica degli orientamenti giurisprudenziali più recenti. Essi, invero, non si pongono in contrasto con l’opinione sinora prevalente, accolta dalla giurisprudenza di legittimità, e tendono a confermare un’esegesi dell’art. 116, comma 2, c.p.c. sostanzialmente collegata alla discrezionalità del giudice[29]. La riflessione può prendere avvio dal punto conclusivo del paragrafo precedente, in riferimento al quale sembra significativa una pronuncia del tribunale di Milano, ai sensi della quale è possibile l’utilizzo di prove costituitesi in un procedimento penale, anche come fonte esclusiva del convincimento del giudice, attesa l’ammissibilità delle prove atipiche e alla luce del principio di economia processuale, specialmente con riferimento a perizie e consulenze tecniche. Le prove di siffatta natura devono - scrive il giudice meneghino - ritenersi parificate alle prove documentali, per l’ingresso nel processo e per la relativa efficacia probatoria che viene comunemente indicata come equiparabile alle presunzioni semplici previste dall’art. 2729 c.c., oppure proprio agli argomenti di prova[30]. A conferma di questo orientamento vi è una sentenza della Cassazione civile, ancora del 2022, a tenore della quale nel giudizio civile di rinvio a seguito di annullamento, ai soli effetti civili le dichiarazioni testimoniali rese in processo penale sono argomento di prova. Più precisamente, i giudici di legittimità hanno sostenuto che nell’ambito del giudizio civile di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione in sede penale ai soli effetti civili (al quale si applicano le regole processuali e probatorie proprie del processo civile), le dichiarazioni testimoniali rese dalla parte civile nel processo penale, pur non potendo assumere il valore di prova - neppure atipica - (stante il divieto di cui all’art. 246 c.p.c.), rivestono efficacia di argomento di prova ai sensi degli artt. 116, comma 2, e 117 c.p.c., potendo conseguentemente essere poste dal giudice, in ossequio al principio del suo libero convincimento, a fondamento della propria decisione[31].

Il binomio presunzione e argomento di prova, che si è visto essere alla base di gran parte della ricostruzione dottrinale, si rinviene anche nelle pronunce dei tribunali. Una serie di arresti del 2021 consentono di confermare siffatta affermazione. La Corte d’appello di Roma ha sostenuto che l’elencazione delle prove nel processo civile non deve intendersi come tassativa, sicché sarebbero da reputarsi ammissibili le prove atipiche, le quali trovano ingresso in esso con lo strumento della produzione documentale, la cui efficacia probatoria deve essere assimilata a quella delle presunzioni semplici previste dall’art. 2729 c.c., oppure agli argomenti di prova[32].

Assai significativi appaiono poi quei provvedimenti che sottolineano la discrezionalità che guida il giudice nella valutazione degli argomenti di prova. Si possono citare alcuni provvedimenti recenti che sottolineano la specialissima competenza del giudicante in materia. Si tratta - come ha avuto modo di ribadire la giurisprudenza di legittimità - dell’applicazione del principio del libero apprezzamento delle prove. Esso implica che il giudice di merito sia libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione di una propria personale opinione. D’altra parte - sottolinea la Corte - anche ai fini di un’efficace motivazione, al giudice non è richiesto di dar conto dell’esame di tutte le allegazioni e di tutte le prospettazioni delle parti, nonché di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga congruamente gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla. Di conseguenza, dovrebbero ritenersi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto[33]. La sentenza del 2021 ha un proprio precedente in un arresto della sezione tributaria del 2020, che si esprime nei medesimi termini[34].

Un’interessante pronuncia, poi, si concentra sulla valutazione gestita dal giudice circa le condotte messe in atto dalle parti anche in sede stragiudiziale. Nel testo del provvedimento si legge che nessun vizio di extrapetizione può individuarsi nella valutazione del giudice circa le condotte delle parti anche in sede stragiudiziale, giacché anche dal contegno delle stesse, anche extraprocessuale, e dalle loro difese il giudice può non solo trarre argomenti di prova, ma utilizzare tali elementi come unica ragione fondante della decisione. Si precisa che l’art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito il potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti e il comportamento (extraprocessuale e) processuale - nel cui ambito rientra anche il sistema difensivo adottato dal rispettivo procuratore - delle parti può, in realtà, costituire non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite ma anche unica e sufficiente fonte di prova, idonea a sorreggere la decisione del giudice di merito[35].

Un’ultima riflessione, infine, merita il cd. principio di non contestazione[36], che si interseca al tema degli argomenti di prova in una pronuncia del 2021 a tenore della quale in tema di giudizi instaurati prima dell’entrata in vigore dell'art. 45, comma 14, l. n. 69 del 2009, che ha sostituito l’art. 115, comma 2, c.p.c., il principio di non contestazione trova applicazione solo con riferimento ai fatti primari, ovvero costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi del diritto fatto valere in giudizio mentre, per i fatti secondari - vale a dire quelli dedotti in mera funzione probatoria -, la non contestazione costituisce argomento di prova ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c., per cui tali fatti possono essere contestati per la prima volta anche nel giudizio di appello[37].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Al contrario dell’art. 116, co. 2 c.p.c., che consente al giudice di valutare il contegno delle parti nel processo solo come argomento di prova, il § 286 ZPO mette la valutazione del contenuto della trattazione processuale esattamente sullo stesso piano del risultato dell’istruzione probatoria. Per la dottrina tedesca si veda anche W. BREHM, Bindung des Richters an den Parteivortrag und Grenzen freier Verhandlungswürdigung, Tübingen, 1982; H. PRÜTTING, Münchener Kommentar zur Zivilprozeβordnung, seconda ed., München, 2000, § 286, 778 ss.

[2] Cfr. M.C. VANZ, La circolazione della prova nei processi civili, Milano, 2008, 120 e ss.

[3] M. TARUFFO, La prova nel processo civile. Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2012, 1116 e ss. Dello stesso Autore, sul tema, si possono ricordare M. TARUFFO, Funzione della prova: la funzione dimostrativa, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1997, 553 ss.; M. TARUFFO, Senso comune, esperienza e scienza nel ragionamento del giudice, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2001, 665 ss.; M. TARUFFO, Conoscenza scientifica e decisione giudiziaria: profili generali”, in Decisione giudiziaria e verità scientifica”, in Quaderni della Riv. Trim. dir. e proc. civ., 2005, 4. Cfr. anche P. BIAVATI, Argomenti di diritto processuale civile, III ed., Bologna, 2016, 327.

[4] Art. 185 c.p.c. Tentativo di conciliazione. Comma 1. Il giudice istruttore, in caso di richiesta congiunta delle parti, fissa la comparizione delle medesime al fine di interrogarle liberamente e di provocarne la conciliazione. Il giudice istruttore ha altresì facoltà di fissare la predetta udienza di comparizione personale a norma dell'articolo 117. Quando è disposta la comparizione personale, le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. Se la procura è conferita con scrittura privata, questa può essere autenticata anche dal difensore della parte. La mancata conoscenza, senza giustificato motivo, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata ai sensi del secondo comma dell'articolo 116.

[5] Art. 200 c.p.c. Mancata conciliazione. Comma 2: Le dichiarazioni delle parti, riportate dal consulente nella relazione, possono essere valutate dal giudice a norma dell'articolo 116 secondo comma.

[6] Art. 310, c.p.c. Effetti dell’estinzione del processo. Le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell'articolo 116 secondo comma, sul quale in maniera più ampia infra.

[7] Art. 219 c.p.c. Redazione di scritture di comparazione. Il giudice istruttore può ordinare alla parte di scrivere sotto dettatura, anche alla presenza del consulente tecnico. Se la parte invitata a comparire personalmente non si presenta o rifiuta di scrivere senza giustificato motivo, la scrittura si può ritenere riconosciuta

[8] Art. 210 c.p.c. Ordine di esibizione alla parte o al terzo. Negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell'articolo 118, l’ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all'altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo. Nell'ordinare l'esibizione, il giudice dà i provvedimenti opportuni circa il tempo, il luogo e il modo dell’esibizione. Se l'esibizione importa una spesa, questa deve essere in ogni caso anticipata dalla parte che ha proposto l'istanza di esibizione.

[9] Cfr. sul punto le considerazioni di B. CAVALLONE, Esibizione delle prove nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., Torino, 1991, 678. Recentius, E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Parti ed arbitri nella determinazione delle regole del procedimento arbitrale, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc. 4, 1 dicembre 2021, 1105 ss.; I. LOMBARDINI, Arbitrato e misure coercitive indirette, in Riv. dell’Arbitrato, fasc. 1, marzo 2020, 45.

[10] Corte appello di Palermo, 29 marzo 2021, n. 457, in Redazione Giuffrè 2021.

[11] Cfr. ancora M.C. VANZ, La circolazione della prova nei processi civili, cit., 120 e ss., per una puntuale rassegna delle posizioni. Si possono ricordare a proposito, l’orientamento - invero risalente - che reputava raggiunto il risultato probatorio: L. FERRARA, La ‘ficta confessio’ dell’interrogando non comparso, in Saggi di diritto processuale civile, Napoli, 1914, 189 ss.; G. SCADUTO, Sulla ‘ficta confessio’ dell’interrogando, in Riv. dir. proc. civ., 1925, II, 12 ss. Per la posizione opposta: G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, rist. 1965, 750; F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, III, Padova, 1923, 499.

[12] L.P. COMOGLIO, voce Confessione (Diritto processuale civile), in Enc. giur. Treccani, VIII, Roma, 1988, 7.

[13] A proposito delle prove atipiche, tra i vari contributi, si può leggere A. GRAZIOSI, Usi e abusi di prove illecite e prove atipiche nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.3, 2011, 693.

[14] G. GORLA, Comportamento delle parti e convincimento del giudice, in Riv. dir. proc., 1935, II, 24 e ss.

[15] M. D’AMELIO, Le tendenze sociali del nuovo codice di procedura civile, in Riv. dir. proc., 1941, 7.

[16] V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile. 2. Del processo di cognizione, Napoli, 1956, 338.

[17] Ai sensi dell’art. 2727 c.c., secondo il quale: Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato.

[18] L. MONTESANO, Le «prove atipiche» nelle «presunzioni» e negli «argomenti» del giudice civile, in Riv. dir. proc., 1980, 679 ss.

[19] G. LASERRA, voce Interrogatorio (Diritto processuale civile), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1975, 198; V. ANDRIOLI, voce Presunzioni (Diritto processuale civile), in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1975, 771; V. ANDRIOLI, voce Prova (Diritto processuale civile), in Noviss. dig. it., XIV, Torino, 1968, 270.

[20] Cfr. G. RUFFINI, “Argomenti di prova” e “fondamento della decisione” del giudice civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 1329 e ss.

[21] Art. 2729 c.c. Presunzioni semplici. Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni.

[22] P. CALAMANDREI Conseguenze della mancata esibizione di documenti in giudizio, in Riv. dir. proc., 1930, 289 e ss.; G. GORLA, Comportamento processuale delle parti e convincimento del giudice, in Riv. dir. proc., 1935, II, 24 e ss.; M. CAPPELLETTI, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, I, Milano, 1962, 92. Cfr. anche M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, cit., 453 e ss.

[23] SI rimanda alle posizioni, pur risalenti, espresse P. CALAMANDREI, Conseguenze della mancata esibizione di documenti in giudizio, cit., 289 e ss.; G. GORLA, Comportamento processuale delle parti, cit., 24 e ss.; M. CAPPELLETTI, La testimonianza, cit., 92.

[24] G.F. RICCI, Le prove atipiche, Milano, 1999, 317 e ss.

[25] L. MONTESANO, Le “prove atipiche” nelle “presunzioni” e negli “argomenti” del giudice civile, in Riv. dir. proc., XXXV, 1980, 249. Cfr. Trib. Milano, 21 marzo 2022, n. 2478, in Redazione Giuffrè, 2022, laddove si legge che l’efficacia probatoria delle prove atipiche, che tecnicamente trovano ingresso nel processo civilistico con lo strumento della produzione documentale - mancando nell'ordinamento processuale vigente una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di Polizia Giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali - deve essere assimilata a quella delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. o degli argomenti di prova.

[26] M.A. ZUMPANO, Rapporti tra processo civile e processo penale, Torino, 2000, 396 e ss.

[27] Ancora M.A. ZUMPANO, Rapporti tra processo civile e processo penale, cit., 396; S. CHIARLONI, Riflessioni sui limiti del giudizio di fatto nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ.,1986, 845 e ss.

[28] Sul punto, ex multis: Cass. civ., 20 gennaio 2017, n. 1593, in Giust. civ. Mass., 2017.

[29] Per una riflessione sul tema della discrezionalità del giudice in riferimento all’espletamento dell’istruzione probatoria, si può considerare Cass. civ., SS.UU., 1 febbraio 2022, n. 3086, in Foro it., 2022, 5, I, 1773.

[30] Trib. Milano, 19 gennaio 2022, n. 311, in Redazione Giuffrè, 2022.

[31] Cass. civ., 14 settembre 2022, n. 27016, in Giust. Civ. Mass., 2022.

[32] Corte appello Roma, 25 novembre 2021, n. 7821, in Redazione Giuffrè, 2022.

[33] Cass. civ., 30 aprile 2021, n. 11474, in Redazione Giuffrè, 2021. Cfr. Anche Cass. civ., 24 settembre 2021, n. 25981, in Redazione Giuffrè, 2022; in Giust. Civ. Mass., 2022; cfr. anche Cass. Civ., 25 giugno 2019, n. 16916, in Foro it., 2020, 2, I, 621; Cass. Civ., 2 aprile 2009, n. 8066, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, 573.

[34] Prosegue così la Corte con parole che saranno riprese dalla sentenza dell’anno dopo: “dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo svolto”. Si tratta di Cass. civ., 29 dicembre 2020, n. 29730, in Giust. civ. Mass., 2021.

[35] Corte appello de L'Aquila, 22 dicembre 2021, n.1894, in Redazione Giuffrè 2022.

[36] Cass. civ., 4 novembre 2021, n. 31837, Dir. & Giust., 2021, 5 novembre; Guida al dir., 2021, 44, si è espressa in proposito, enunciando un principio di diritto ai sensi del quale il convenuto è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di non contestazione a seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti costitutivi del diritto fatto valere specificamente indicati dall’attore a fondamento della propria domanda. Si tratta della conseguenza della previsione del sensi dell’art. 167, primo comma, cod. proc. civ. Come effetto di tale situazione, ne consegue che tali fatti debbano considerarsi ammessi, senza necessità di alcuna prova, laddove la parte, nella comparsa di risposta, si sia limitata, con clausola di mero stile, a contestare in modo espresso e in ogni suo punto il contenuto dell’atto di citazione. senza esprimere alcuna chiara e specifica contestazione relativa a tali fatti costitutivi e senza che, allo scopo, rilevi la differente contestazione relativa al valore probatorio dei documenti dall’attore allegati alla citazione.  

[37] Cass. civ., 20 dicembre 2021, n. 40756, in Giust. Civ. Mass., 2022.

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