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Pubbl. Lun, 29 Mag 2023

Il sopralluogo giudiziario: croce e delizia per la prova del DNA

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Stefania Lo Bartolo
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Catania



Il contributo si sofferma sul sopralluogo della polizia giudiziaria, momento prediletto per l´acquisizione di reperti biologici. In quest’ottica, le investigazioni sulla scaena criminis e la repertazione delle tracce biologiche, ai fini di un eventuale test del DNA, costituiscono la matrice di ogni attività d’indagine. Definito “ritratto parlato” da Salvatore Ottolenghi, il sopralluogo è l’esempio calzante del crescente impiego della prova scientifica nella prassi processuale.


ENG

The crime scene analysis: cross and delight for DNA test

The paper focuses on the crime scene analysis by the judicial police, the favorite moment for the acquisition of biological finds. From this point of view, the investigations on the crime scene and the retrieval of biological traces, for the purposes of a possible DNA test, constitute the matrix of every investigative activity. Defined as a ”spoken portrait” by Salvatore Ottolenghi, the inspection is the perfect example of the growing use of scientific evidence in procedural practice.

Sommario: 1. Considerazioni preliminati e cornice normativa; 2. La raccolta dei reperti biologici; 2.1. Il sopralluogo giudiziario; 2.2. Gli accertamenti e i rilievi; 2.2.1. L’acquisizione di reperti biologici: tra accertamento e rilievo; 3. Conclusioni e prospettive de iure condendo.

1. Considerazioni preliminati e cornice normativa

Quantunque l’impiego del DNA[1] costituisca uno strumento prezioso in sede di accertamento processuale, la materia della ricerca e raccolta di materiale biologico è caratterizzata da un humus normativo alquanto carente.

La prova del DNA, intesa come accertamento genetico svolto durante le indagini preliminari oppure nel processo, è stata regolata dal codice di rito solo in relazione alla prima delle fasi in cui si articola, ovvero in relazione al momento iniziale dell’acquisizione di materiale biologico, da cose o luoghi oppure da persona vivente[2]. Quanto a questa prima articolazione, i riferimenti giuridici certi, che compongono un’impalcatura alquanto minimalista, sono pochi: certamente, gli artt. 348 e 354 c.p.p., seguiti dagli artt. 359, 359-bis e 360 c.p.p., connessi agli artt. 224-bis e 244 c.p.p.[3].

2. La raccolta dei reperti biologici

Il reperto biologico viene definito dal legislatore come «il materiale biologico acquisito sulla scena del delitto o comunque su cose pertinenti al reato» [art. 6 lett. d), legge n. 85 del 2009]. L’acquisizione di reperti è riconducibile a un istituto già esistente, ossia i rilievi e accertamenti urgenti di polizia giudiziaria ex art. 354 c.p.p., mentre la successiva analisi del DNA viene ricondotta alla consulenza tecnica di cui all’art. 359 c.p.p., all’accertamento tecnico irripetibile dell’art. 360 c.p.p. o alla perizia ex artt. 220 ss.[4], nonostante una timida apertura della Corte costituzionale a una diversa e più garantista qualificazione[5].

2.1. Il sopralluogo giudiziario

I reperti vengono raccolti per lo più nel corso del sopralluogo giudiziario[6], ovvero durante l’analisi della scena del crimine[7]. Non a caso, quest’ultima costituisce il tramite più rapido per l’identificazione del colpevole, ma anche il momento più delicato della prassi investigativa[8], considerando che, una volta perdute o inquinate, le tracce non possono più essere recuperate[9]. Grazie alla cristallizzazione delle tracce biologiche reperite sul luogo del delitto dalle quali estrarre il DNA, è possibile effettuare un raffronto con il patrimonio genetico[10] della persona sottoposta alle indagini o di soggetti terzi.

L’esame del locus commissi delicti si fonda, infatti, sul cd. principio dell’interscambio, illustrato da Edmond Locard, ritenuto il primo vero scienziato forense, secondo cui ogni contatto reciproco lascia una traccia: il colpevole lascia qualcosa sulla vittima e/o sull’ambiente e questi lasciano qualcosa sul reo[11]; di conseguenza, nessun responsabile di un reato può compiere la sua azione delittuosa senza generare una qualche traccia biologica del proprio passaggio[12].

L’analisi del dettato normativo inerente al sopralluogo giudiziario, e delle annesse criticità, non può prescindere da una serie di puntualizzazioni di carattere semantico. Nonostante l’espressione in parola venga da sempre utilizzata, non trova riscontro nelle disposizioni codicistiche[13]. La dottrina sostiene che si tratti di una terminologia legata a fascinazioni del passato, ma attualmente inadatta a descrivere l’insieme di attività e atti che ruotano attorno alla scena del crimine[14]. Per tale ragione, è preferibile riferirsi, piuttosto che al “sopralluogo”, che evoca, peraltro, tradizionalmente il locus commissi delicti, al più onnicomprensivo concetto di esame della scena del crimine, capace di meglio rappresentare il complesso multiforme di attività che racchiude[15]. Se pur criticata sul piano terminologico[16], l’espressione è in grado di abbracciare un articolato sistema di operazioni, effettuate non solo nell’immediatezza della commissione della condotta delittuosa, a caldo, per così dire, ma anche in occasione dei successivi e frequenti accessi al luogo di realizzazione del fatto, nonché nell’ambito delle analisi dei reperti raccolti sulla scena del crimine[17]. Tuttavia, è di uso comune l’impiego di entrambe le locuzioni in maniera indifferenziata[18].

Considerato che i risultati del sopralluogo riverberano i loro effetti lungo l’intero corso del procedimento penale[19], è di centrale importanza compiere uno sforzo definitorio. Stante l’inesistenza di una definizione normativa, per delineare il sopralluogo giudiziario, non si può fare altro che richiamare la letteratura più attenta al fenomeno. Alla luce di quanto detto, il sopralluogo, dunque, può essere descritto come l’atto d’investigazione diretta, attraverso cui gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, in un contesto d’urgenza, procedono all’osservazione della scena del crimine al fine di comprendere la dinamica del fatto di reato e di raccogliere eventuali elementi di prova, con lo scopo di orientare le indagini successive[20].

Dal punto di vista strutturale, secondo la consuetudine, il sopralluogo viene suddiviso in tre momenti, distinti in base alle attività che vi si svolgono. Per riassumere gli innumerevoli passaggi in cui si sviluppa, infatti, gli studiosi parlano di “sistematica”[21].

La prima fase, denominata di primo intervento, è volta a evitare l’immutatio rerum. Si tratta di attività di congelamento del luogo del reato, al fine di scongiurare il pericolo che venga inquinato da interventi esterni contaminanti, mediante la rimozione o l’alterazione di elementi preesistenti o l’introduzione di nuovi[22]. In questo frangente, i soggetti che intervengono per primi sulla scena del crimine, i cd. first responder, solitamente, sono gli agenti di polizia locale, gli appartenenti alle radiomobili o “volanti”, il personale medico e di soccorso. L’ufficiale di polizia giudiziaria a capo del sopralluogo ordina che la scena criminis venga isolata[23].

Nella seconda fase, sopraggiungono la polizia giudiziaria e il personale tecnico specializzato delle Forze dell’Ordine, ovvero della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri (rispettivamente Polizia Scientifica e Reparto Investigazioni Scientifiche, cd. R.I.S.)[24]. I soggetti deputati compiono le operazioni tecniche dirette a osservare e descrivere ogni caratteristica del luogo e di ciascuna cosa rinvenuta, considerandone collocazione, direzione, dimensione, forma, colore, odore e qualsiasi altra qualità capace di completare la descrizione della medesima[25]. Tale momento si presenta meno concitato, vista anche l’assenza di atti operativi improcrastinabili e consta di attività più specialistiche. Nel corso della descrizione di quanto percepito e apprezzato, vengono effettuati foto, videoriprese, rilievi fotogrammetrici e planimetrici[26].

L’ultima fase consiste nella ricerca e repertazione di tracce biologiche, impronte latenti, microtracce organiche o inorganiche e reperti balistici con apposite metodiche. A differenza della tradizione investigativa statunitense[27], il modus operandi italiano rifugge rigorosi schematismi, basandosi sul bagaglio di esperienze e sulle capacità organizzative e tecniche della squadra operante[28].

Una volta precisati il lessico giuridico e il profilo operativo del sopralluogo, è possibile analizzare il quadro normativo vigente, con una breve premessa circa le connesse criticità. Tra le disposizioni che regolano il sopralluogo giudiziario, spicca l’art. 354 c.p.p. Redatta nel 1988, la disposizione risulta, oggi, obsoleta e relegata a un passato normativo molto più distante della sua reale dimensione temporale[29]. Per comprendere l’abisso che la separa dall’odierno scenario, basti pensare che la prova del DNA venne impiegata nel processo per la prima volta in un caso giudiziario del 1987[30]. Ciò implica che la norma è stata elaborata senza nemmeno sapere dell’esistenza della prova genetica[31]. A tale considerazione, bisogna aggiungere i rapidi progressi della scienza e della tecnica nei trentacinque anni trascorsi[32]. Nonostante l’alto tasso di scientificità che ormai connota l’istituto del sopralluogo, il legislatore non è intervenuto a modificare la norma. La giurisprudenza è stata allora costretta a supplire all’inerzia dei conditores e al deficit normativo con una generosa serie di pronunce, rivelatisi di mera re-interpretazione del dato preesistente[33]. Si può affermare che il sopralluogo sia divenuto uno dei punti salienti nel complesso rapporto tra pensiero scientifico e giuridico. La mancanza di schemi normativi predeterminati[34] in cui si versa da anni non soltanto penalizza l’azione investigativa, creando una discrasia tra quanto il codice di rito permette e quanto proficua, rapida e approfondita potrebbe potenzialmente essere, ma soprattutto incide sui diritti dell’imputato[35]. La sostanziale assenza di un istituto del sopralluogo è ancor più dannosa considerando come, odiernamente, il baricentro del processo si sia spostato dal dibattimento alla fase preliminare[36] e, al contempo, quanto elevato sia il tasso di errore in questa fase[37], i cui risultati non virtuosi deviano l’intero accertamento penale. In conclusione, la cornice normativa si è rivelata totalmente inadeguata a far fronte alle aspettative di correttezza, efficacia e rigore giuridico delle investigazioni scientifiche[38], tanto che larga parte della dottrina auspica una totale revisione[39].

Oltre all’art. 354 c.p.p., le disposizioni codicistiche circa il sopralluogo non possono che essere individuate negli artt. 55 e 348 c.p.p., che fungono da sfondo normativo. L’art. 55 espone concisamente le funzioni della polizia giudiziaria e i suoi rapporti con il pubblico ministero, delineando la classica tripartizione delle relative mansioni: attività di carattere informativo, investigativo e di assicurazione delle fonti di prova[40]. Per quanto interessa in questa sede, in particolare, la norma sancisce che spetta alla polizia giudiziaria impedire che i reati siano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale. Delineati così i compiti della polizia giudiziaria, è l’art. 348 c.p.p. a ribadire che, anche in seguito alla comunicazione della notitia criminis all’autorità giudiziaria, la p.g. continua a svolgere le funzioni riconosciute nell’art. 55, «raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla indicazione del colpevole» (art. 348, comma 1, c.p.p.). Al fine suindicato, la polizia giudiziaria è autorizzata a procedere, inter alia: alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato, nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi [art. 348, comma 2, lett. a) c.p.p.].

Dopo l'intervento del pubblico ministero, la polizia giudiziaria è incaricata di compiere gli atti a essa specificamente delegati ex art. 370 c.p.p., esegue le direttive del pubblico ministero e svolge, inoltre, di propria iniziativa, informandone prontamente il pubblico ministero, tutte le altre attività di indagine dirette ad «accertare i reati» oppure «richieste da elementi successivi emersi» e «assicura le nuove fonti di prova» (art. 348, comma 3, c.p.p.). Nella sua rinnovata formulazione, il terzo comma della norma in commento ha risolto per tabulas in maniera definitiva un profilo spinoso attinente ai rapporti tra i protagonisti delle investigazioni, statuendo che la polizia giudiziaria ha la possibilità di compiere indagini di propria iniziativa[41], anche dopo che il pubblico ministero sia intervenuto.

Quando richiesto dall’elevato tasso di specificità tecnica delle indagini, la polizia giudiziaria può avvalersi di persone idonee per la realizzazione di questo compito (art. 348, comma 4, c.p.p.).

Il principale riferimento normativo, per quanto concerne il sopralluogo, rimane comunque l’art. 354 c.p.p., che attribuisce a ufficiali e agenti di polizia giudiziaria il compito di curare che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e di preservare lo stato dei luoghi e delle cose da ogni mutazione fino a che non intervenga l’organo dell’accusa (art. 354, comma 1, c.p.p.). Si tratta di attività a fini essenzialmente conservativi e di supporto alla successiva assunzione della direzione delle indagini da parte del pubblico ministero, indispensabili per assicurare la genuinità e l’attendibilità del dato probatorio[42].

La stessa disposizione regola poi, al comma 2, un’attività positiva di intervento, prevedendo che, ove sussista il pericolo di alterazione, di dispersione o di modificazione di cose, tracce e luoghi attinenti al reato – leggasi scena del crimine – gli ufficiali di polizia giudiziaria (e gli agenti di polizia giudiziaria, in casi di particolare necessità e urgenza, secondo quanto previsto dall’art. 113 disp. att. c.p.p.) compiano «i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose», qualora l’organo dell’accusa non abbia ancora assunto la direzione delle indagini[43] ovvero non possa intervenire tempestivamente (art. 354, comma 2, c.p.p.). In presenza dei medesimi presupposti di cui al comma 2, agli ufficiali di polizia giudiziaria viene attribuito il potere di compiere «i necessari accertamenti e rilievi sulle persone», salva la possibilità di trasformare l’operazione in un’attività ispettiva di tipo personale (art. 354, comma 3, c.p.p.). Pur trovandosi dinanzi a una situazione di urgenza, dunque, l’ispezione personale da parte della polizia giudiziaria è espressamente vietata, in quanto potenzialmente lesiva dei diritti fondamentali della persona ex art. 13 Cost. L’attività rimane riservata all’iniziativa del pubblico ministero, da eseguirsi con le forme e le garanzie di cui agli artt. 244 e 245 c.p.p. Gli atti effettuabili sulle persone dalla polizia giudiziaria dovranno limitarsi a osservare e rilevare i particolari immediatamente visibili, senza incidere minimamente la sfera fisica o morale dei soggetti[44]. Vengono realizzati, concretamente, su aree del corpo visibili e non coperte da indumenti[45].

Rispetto agli atti per lo più di carattere irripetibile di cui all’art. 354 c.p.p., la legge non tutela il contraddittorio. Stando a quanto stabilito dall’art. 356 c.p.p., il difensore ha il diritto di assistere[46], ma non di essere avvisato preventivamente, ragion per cui finisce per non assistere mai[47].

Delineata la situazione di urgenza che si profila in “attesa” del pubblico ministero, il legislatore non aggiunge nulla in merito ai soggetti abilitati a compiere gli atti urgenti e indifferibili per l’esame della scena del crimine, né ai poteri loro attribuiti. Si assiste, dunque, a una profonda incertezza circa i limiti che tali soggetti incontrano nelle loro azioni sul locus commissi delicti e nell’immediatezza del fatto, lasciando ampia discrezionalità agli organi investigativi[48].

La lacunosità e l’ambiguità dell’art. 354 c.p.p., se da un lato agevolano le esigenze di flessibilità delle investigazioni, consentendo il compimento di atti atipici[49], dall’altro generano profondi dubbi interpretativi e poca chiarezza sul versante operativo[50].

Nell’ambito degli interventi giurisprudenziali, emerge la propensione a salvare numerose attività irripetibili eseguite dalla polizia giudiziaria fuori dai presupposti di cui all’art. 354 c.p.p., specialmente fuori dalla condizione di assenza dell’organo dell’accusa. Tale evenienza si verifica sovente per non incappare nelle lungaggini procedurali ex art. 360 c.p.p., obbligatorie non appena il pubblico ministero acquisisce la direzione delle indagini. La Corte di Cassazione ha reso possibile tale salvataggio in extremis, ampliando il requisito legittimante il sopralluogo giudiziario. Attraverso l’estensione temporale del presupposto dell’”urgenza” dell’art. 354 c.p.p., vengono considerate operazioni rientranti nel sopralluogo anche quelle compiute a seguito dell’intervento del pubblico ministero[51].

L’azione riparatrice della giurisprudenza si è palesata anche rispetto alle operazioni compiute senza il rispetto delle garanzie sancite dagli artt. 356 e 366 c.p.p., trasformando in una formula vuota il diritto all’assistenza del difensore e il diritto al deposito dei relativi verbali con facoltà di esaminarli e di estrarne copia[52].

2.2. Gli accertamenti e i rilievi

Come già accennato, l’art. 354 c.p.p., comma 2, attribuisce alla polizia giudiziaria il potere di compiere motu proprio accertamenti e rilievi in presenza di una situazione di urgenza e in attesa dell’intervento del pubblico ministero. Data la mancanza di regole che traccino natura, contenuto ed elementi di differenziazione tra le due tipologie di atti, l’indistinto riferimento ad «accertamenti e rilievi necessari» ha creato una delle più tormentate questioni interpretative su cui dottrina e giurisprudenza si sono scontrate, cercando di delinearne l’ambito applicativo[53]

La querelle non può essere affrontata senza prima enucleare il disposto degli artt. 359 e 360 c.p.p., che disciplinano i poteri tecnico-investigativi del pubblico ministero sulla scena del crimine. L’espressione “accertamenti e rilievi”, infatti, considerata in connessione con le norme summenzionate, tratteggia un pericoloso equivoco in materia di suddivisione di compiti tra polizia giudiziaria e pubblico ministero[54]. L’art. 359 c.p.p. prevede che, quando procede ad «accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze», il pubblico ministero può avvalersi di consulenti tecnici (art. 359, comma 1, c.p.p.), che vengono solitamente nominati tra le persone iscritte negli albi dei periti[55].

Mentre l’art. 359 disciplina operazioni aventi il connotato della ripetibilità[56], l’art. 360 c.p.p., ponendosi in un rapporto di genus a species rispetto alla norma antecedente, si riferisce esclusivamente agli accertamenti non ripetibili[57], che riguardano «persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione» (art. 360, comma 1, c.p.p.). La disposizione appronta maggiori garanzie partecipative[58], prevedendo per difensore e consulenti di parte il diritto di assistere al conferimento dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve, nonché il diritto di promuovere riserva di incidente probatorio da svolgersi ex art. 400 c.p.p., al posto dell’accertamento tecnico irripetibile.

Dopo aver delineato le disposizioni di riferimento, è agevole comprendere la ratio che soggiace all’impianto codicistico. Ci si trova dinanzi a una netta differenza tra le due tipologie di investigazioni: da un lato, quella del pubblico ministero, da denominare “accertamento tecnico”, implicante atti con profili valutativi, e dall’altro, quella della polizia giudiziaria di valore prettamente materiale[59]. Se pur all’apparenza chiara e acquisita sotto il profilo teorico, la distinzione è connotata da un discrimen labile e di difficile traduzione nella pratica.

In mancanza di una definizione legislativa dei due istituti, è solo per merito dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che è stato possibile delineare gli elementi differenziali tra accertamenti e rilievi[60].

Secondo la distinzione tradizionale[61] consolidatasi nella dottrina, i rilievi consistono in attività di osservazione, descrizione e assicurazione di dati che non implicano alcun tipo di valutazione o elaborazione critica; gli accertamenti, al contrario, si traducono in attività di elaborazione e valutazione dei dati della realtà osservati e raccolti[62].

Si deve alla giurisprudenza di legittimità l’individuazione del labile confine tra i due istituiti, che la dottrina ha poi fatto proprio[63]: «il rilievo tecnico consiste nell'attività di raccolta di elementi attinenti al reato per il quale si procede, mentre l'accertamento tecnico, ripetibile o irripetibile, si estende al loro studio e alla loro valutazione critica, secondo canoni tecnici, scientifici ed ermeneutici»[64], con la conseguenza che l’irripetibilità dei rilievi, più specificamente dell'acquisizione dei dati da sottoporre ad esame, non implica necessariamente la irripetibilità dell'accertamento, ove, in seguito all’esito di una prima indagine, ad avviso del giudice procedente, il risultato non appaia del tutto convincente e sia ancora tecnicamente possibile sottoporre quei dati alle operazioni necessarie al conseguimento di risultati attendibili[65]. Mentre i primi sono tesi all’apprensione di un dato rudimentale, effettuabili in linea di principio dall’uomo medio, i secondi rappresentano un’elaborazione dotta, destinati dunque all’opera di un esperto, ovvero al consulente tecnico del pubblico ministero oppure al perito nominato dal giudice[66]. Delineata in astratto la differenza, si tratta di stabilire, caso per caso, quale attività in concreto appartenga all’una o all’altra categoria, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano delle garanzie difensive. A causa dell’assenza di un catalogo legislativo appropriato, infatti, è toccato alla giurisprudenza colmare i vuoti normativi. Tale modus operandi solleva però una serie di rischi e determina non poche discrasie, considerando che l’ordinamento giuridico italiano non si conforma alla regola del precedente vincolante[67].

La Suprema Corte ha spesso manifestato la tendenza all’ampliamento della sfera dei rilievi a svantaggio dell’ambito applicativo degli accertamenti tecnici. Tale sensibile ridimensionamento dei contorni dell’accertamento ha condotto a qualificare come “meri rilievi” attribuiti alla polizia giudiziaria, tra gli altri, le operazioni realizzate su un numero di telaio di un ciclomotore[68], l’evidenziazione e la comparazione delle impronte digitali o papillari[69], i rilievi fonometrici[70], l’estrazione dei dati archiviati in un computer[71], l’accertamento della natura e dei principi attivi di una sostanza stupefacente[72], il prelievo di materiale biologico ai fini dell’estrazione del DNA. Appare più tormentato l’inquadramento del cd. stub, il prelievo di particelle di polvere da sparo[73].

Poiché l’art. 354 c.p.p. non prevede un’elencazione tassativa degli “atti urgenti” effettuabili dalla polizia giudiziaria, ha finito col divenire un “contenitore” per le operazioni più svariate nel campo delle indagini scientifiche[74]. Tali atti quasi sempre di natura irripetibile e, dunque, destinati a confluire nel fascicolo del dibattimento[75] ai sensi dell’art. 431, comma 1, lett. b), c.p.p. – vengono eseguiti dalla polizia giudiziaria senza le garanzie ex art. 360 c.p.p.[76].

A fronte di un orientamento giurisprudenziale univoco nel qualificare la maggior parte delle attività investigative compiute durante il sopralluogo come semplici rilievi, si registra una realtà diametralmente opposta. Sulla scaena criminis, la polizia giudiziaria dispone di strumenti sofisticati, competenze elevate e personale tecnico assolutamente specializzato; compie operazioni caratterizzate da una tale tecnicità e complessità da andare oltre all’esclusiva natura materiale e di descrizione dell’atto, sfociando, in concreto, in veri e propri accertamenti dal carattere interpretativo e valutativo[77]. D’altra parte, l’art. 354 c.p.p. non consentirebbe alla polizia giudiziaria il compimento di accertamenti tecnici. Per tale ragione, nella prassi, si registra il ricorso a una serie di escamotage per superare i limiti soggettivi e oggettivi della disposizione codicistica. Le procure procedono spesso a nominare gli ufficiali di polizia giudiziaria quali consulenti tecnici dell’organo dell’accusa, ex art. 359 c.p.p. Questa sorta di “convertibilità delle consulenze” si traduce però in un’attività di collaborazione di tipo privatistico che porta con sé numerose critiche[78]. Per bypassare il vincolo normativo dell’art. 354 c.p.p., il pubblico ministero fa sovente ricorso anche alla delega delle attività tecniche sulla scorta del disposto dell’art. 370 c.p.p.[79].

A fronte di una prassi investigativa in cui la polizia giudiziaria svolge attività che non possono più considerarsi di natura spiccatamente materiale, appare evidente come la classica distinzione tra accertamenti e rilievi, retaggio del codice del 1930, non si dimostri più idonea a rispecchiare la realtà operativa odierna[80].

2.2.1. L’acquisizione di reperti biologici: tra accertamento e rilievo

L’inadeguatezza dell’ormai consolidato distinguo concettuale tra accertamenti e rilievi come emergente dalla giurisprudenza è ancor più palese in relazione alla raccolta di materiale biologico sulla scena del crimine, fondamentale per la futura analisi del DNA. In materia, si registra una pronuncia della Corte costituzionale, che ha aperto una “zona grigia” nella qualificazione delle suddette operazioni come accertamenti tecnici irripetibili ex art. 360 c.p.p.

Prima di passare alla disamina della pronuncia della Consulta, è bene tracciare i confini dell’inquadramento giuridico dell’accertamento tecnico-scientifico fondato sul DNA, ovvero quel complesso di operazioni tese a estrapolare il profilo genetico proveniente dal materiale biologico repertato per raffrontarlo con il profilo del DNA tratto dall’indagato o da altro soggetto, al fine di determinarne la compatibilità o meno, con lo scopo ultimo di provare un fatto da cui inferire la reità della persona considerata[81]. Dalla fase di acquisizione di reperti biologici, bisogna tenere distinto il successivo momento dell’accertamento del DNA vero e proprio, che consiste nell’analisi della traccia che si svolge in laboratorio, diretta all’estrazione, quantificazione, amplificazione e tipizzazione del profilo genetico.

Per costante giurisprudenza della Suprema Corte[82], le operazioni di individuazione e raccolta delle tracce biologiche (come quelle presenti su un mozzicone di sigaretta, su una tazzina da caffè o su un passamontagna) sul teatro criminis sono riconducibili alla categoria dei rilievi, risolvendosi nella mera raccolta di dati materiali inerenti al reato e qualificandosi come prodromiche all’effettuazione di accertamenti tecnici; mentre l’estrapolazione dal reperto del profilo di DNA e la successiva comparazione ricadono nella categoria dell’accertamento tecnico, ripetibile o irripetibile[83] a seconda di una valutazione tecnico-fattuale in ordine alla conservazione dei reperti nel caso concreto[84].

Una volta chiarita la posizione della giurisprudenza di legittimità circa la natura dogmatico-normativa dell’acquisizione di reperti biologici e seguente analisi, è possibile analizzare la sentenza della Corte costituzionale del 26 settembre 2017, n. 239.

La Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 360 c.p.p., nella misura in cui «non prevede che le garanzie difensive previste da detta norma riguardano anche le attività di individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA», sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., rispettivamente per lesione del diritto di difesa e del giusto processo.

Il caso riguarda l’omicidio e la rapina tentata commessi ai danni di una donna anziana nella sua abitazione, e il correlato repertamento del materiale biologico rinvenuto all’interno della casa della vittima, a distanza di giorni dal reato. Secondo il giudice a quo, l’art. 360 c.p.p. viola le norme costituzionali summenzionate in quanto non estende le garanzie difensive previste anche all’attività di raccolta delle tracce biologiche, funzionali alla successiva indagine genetica. Nell’ordinanza di rimessione si sottolinea come la distinzione tra accertamenti e rilievi, benché consolidata, sia di dubbia legittimità costituzionale, ove applicata anche al prelievo di materiale biologico. Il giudice rimettente mette in evidenza che «le operazioni di asporto e raccolta di tracce di materiale genetico non potrebbero qualificarsi come mere attività esecutive, perché gli esperti incaricati di tale asporto e raccolta sono tenuti al rispetto di severi protocolli cautelari quali la delimitazione dei percorsi di accesso e di camminamento, l’uso di tute ‘ad hoc’, il cambiamento di strumenti e dotazione in corso d’opera, il filmaggio delle operazioni»[85]. Implicando un elevato tasso di valutazione tecnico-scientifica, le operazioni di ricerca e repertazione costituirebbero esse stesse degli “accertamenti” e, data la loro irripetibilità, andrebbero ricondotti alla categoria ex art. 360 c.p.p.

Dal canto suo, la Corte respinge i dubbi sollevati dal giudice a quo, ribadendo il granitico distinguo tra accertamenti tecnici e rilievi e affermando che «il solo fatto che [l’attività irripetibile svolta] concerna rilievi o prelevamenti di reperti utili per la ricerca del DNA non modifica la natura dell’atto di indagine e non ne giustifica di per sé la sottoposizione a un regime complesso come quello previsto dall’art. 360 cod. proc. pen»[86]. Appare condivisibile l’orientamento della Consulta nella misura in cui afferma che la particolare tipologia del rilievo da eseguirsi – nel caso di specie il prelievo di tracce biologiche – non possa per sua natura e “in ogni caso” assimilare l’operazione all’accertamento tecnico ex art. 360 c.p.p.

La Corte afferma poi quanto «l’esistenza – alla quale ha fatto riferimento il giudice rimettente – di protocolli per la ricerca e il prelievo di tracce di materiale biologico può, da un lato, rendere routinaria l’operazione e, dall’altro lato, consentirne il controllo attraverso l’esame critico della prescritta documentazione»[87]. Nell’ottica della Consulta, la presenza di protocolli non farebbe altro che rendere maggiormente “controllabili” le operazioni, offrendo un termine di paragone per il vaglio di legittimità delle operazioni realizzate sulla scena criminis[88].

Pur aderendo all’orientamento tradizionale – ed è qui che si registra un’inedita apertura circa la complessità di alcuni atti eseguiti in sede di sopralluogo[89] – la Corte costituzionale ha affermato che «tale prelievo, come altre operazioni di repertazione, richieda, in casi particolari, valutazioni e scelte circa il procedimento da adottare, oltre che non comuni competenze e abilità tecniche per eseguirlo, e in questo caso, ma solo in questo, può ritenersi che quell’atto di indagine costituisca a sua volta oggetto di un accertamento tecnico, prodromico rispetto all’altro da eseguire poi sul reperto prelevato»[90].

La Consulta, dunque, ha escluso la riconducibilità in generale della raccolta di reperti biologici nel campo della disciplina di cui all’art. 360 c.p.p., ma ha rinviato la questione ad un “apprezzamento in concreto”, per stabilire se la complessità tecnico-scientifica dell’attività sia tale da imporre di seguire la via dell’accertamento tecnico e non del rilievo meramente materiale[91]. La portata dell’eccezione è rilevante, considerando come, nella realtà investigativa, sia alquanto frequente imbattersi in tracce degradate o minime, implicando una repertazione complessa[92].

3. Conclusioni e prospettive de iure condendo

A conclusione di questa breve rassegna relativa alle attività di acquisizione di tracce biologiche sul teatro criminis, sorge spontaneo domandarsi quali siano le strade percorribili da parte del legislatore per la creazione di una disciplina efficace, omogenea e completa.

Prima di illustrare le prospettive de iure condendo, appare doveroso soffermarsi sulle conclusioni della Corte Costituzionale circa l’annosa questione della distinzione tra accertamenti e rilievi, così come emergente dalla sentenza. Alla luce della disamina condotta, infatti, il punctum pruriens della raccolta di reperti biologici risiede nella collocazione dell’attività di repertazione del DNA all’interno dell’una o dell’altra categoria giuridica.

A parere di chi scrive, le soluzioni proposte dalla giurisprudenza della Consulta non sono condivisibili.

In primo luogo, la Corte delle leggi ha ribadito l’ormai obsoleto distinguo tra accertamenti e rilievi, privo di alcun legame con l’odierna realtà investigativa. Per quanto la giurisprudenza si sforzi di delineare la distinzione tra le due categorie giuridiche e di qualificarla, ora in termini quantitativi, ora in termini qualitativi, appare evidente come si tratti di un confine meramente fittizio e sprovvisto di riscontri normativi oltrechè pratici. Il discrimen tra rilievi e accertamenti, che, secondo i Giudici della Consulta, emergerebbe in modo chiaro e nitido, in realtà non sussiste. A onor del vero, il legislatore si era orientato in senso opposto, recependo quella distinzione tra le due figure – di natura non soltanto lessicale ma soprattutto concettuale – presente nel codice di rito del 1930. La dicotomia veniva adoperata per negare o affermare le guarentigie difensive. Dal punto di vista lessicale, pertanto, “rilievi” e “accertamenti” sono tutto fuorché sinonimi. Come sostenuto dalla Corte Costituzionale, i rilievi richiamano alla mente l’immagine di una serie di atti esplicantisi in semplici attività di osservazione e raccolta delle res, dove la garanzia della presenza del difensore appare priva di utilità. Al contrario, il termine “accertamenti” fa emergere un’attività di natura valutativa. Alla stregua delle motivazioni addotte dalla Consulta, la distinzione fra rilievi e accertamenti meriterebbe di essere mantenuta, in quanto sostenuta non soltanto da un dato linguistico ma anche ontologico. Tuttavia, manca un adeguato quadro normativo a sostegno dell’argomentazione. Da un lato, non sussiste una definizione delle due categorie di atti, il chè rimette all’interprete l’individuazione del distinguo concettuale, con tutte le incertezze che ne conseguono. Dall’altro, il legislatore non ha delineato il campo applicativo dei rilievi e degli accertamenti, il chè determina che la medesima attività di repertazione di tracce biologiche possa essere realizzata attraverso procedure agli antipodi quanto a guarantigie difensive.

La scelta della Corte Costituzionale di distinguere rilievi e accertamenti sulla base del binomio raccolta effettuabile dall’uomo medio/valutazione dotta non trova riscontro nella realtà odierna. Le attività investigative effettuate nella prassi mostrano chiaramente come la repertazione di materiale biologico sia sempre più distante dall’apprensione di mere res, necessitando di un background qualificato.

D’altro canto, la Consulta ha deciso di adottare una soluzione “intermedia”, che non fa altro che render ancor più incerto e discrezionale un discrimen già alquanto labile (seppur astratto). Sarebbe stata auspicabile una presa di posizione netta, propendendo o per la natura di rilievi dell’attività di repertamento del DNA, con conseguente non assoggettamento alle garanzie difensive ex art. 360 c.p.p., o per quella di accertamenti tecnici irripetibili. Nelle aule giudiziarie, si rischia di assistere a un costante scontro tra le parti, in cui ognuna cercherà di persuadere il giudice della natura da affibbiare alla raccolta di tracce biologiche, in funzione della soluzione più conveniente per la rispettiva strategia difensiva.

Seppur carente sotto il profilo dei riscontri normativi e dell’aderenza alla realtà investigativa, l’argomentazione dei Giudici presenta un passaggio convincente. La Consulta afferma che: «le forme dell’art. 360 cod. proc. pen. potrebbero assai spesso risultare incompatibili con l’urgenza, nel corso delle indagini, di eseguire il prelievo. Urgenza che non è riscontrabile con la stessa intensità negli accertamenti tecnici e che in nessun modo potrebbe essere soddisfatta». L’esigenza di assicurare le fonti di prova, in modo da evitare il pericolo di dispersione e da garantire la completezza delle indagini, si scontra con le tempistiche delineate dall’art. 360 c.p.p. È, infatti, innegabile che il riconoscimento di guarentigie difensive non soltanto innestano un rallentamento nell svolgimento delle indagini ma implicano anche un vulnus al segreto investigativo. La necessità di garantire un efficace conduzione dell’attività investigativa costituisce una valida motivazione per limitare il diritto delle difese di prendere parte alla fase della raccolta di tracce biologiche. In una logica di bilanciamento tra le illustrate contrapposte esigenze, l’urgenza di porre al riparo le fonti di prova appare preminente.

De iure condendo, la più immediata e dirimente soluzione alla problematica in commento consisterebbe in un intervento legislativo, che colmi le lacune normative. Tuttavia, le eventuali modifiche apportate dal legislatore al sistema presenterebbero il risvolto negativo di comprimere quegli spazi di discrezionalità tanto cari alle esigenze di flessibilità delle investigazioni.

Allo stato dei fatti, considerata l’attuale mancanza di dati normativi, si rivela fondamentale il ruolo dei protocolli operativi, che vengono più volte menzionati dalla Consulta.

Col termine “protocollo”, si fa riferimento alla creazione di procedure obbligatorie, generalmente dotate di natura vincolante[93]. Con l’espressione “linee guida”, ci si riferisce invece a un complesso di direttive generali, orientamenti o raccomandazioni di massima. È agevole comprendere, quindi, come l’impiego della parola protocollo ricorra correntemente quale sinonimo di linee guida, seppur in maniera impropria. Per essere correttamente definite protocolli, tali raccomandazioni dovrebbero essere recepite o perlomeno richiamate a livello normativo, ovvero possedere un’efficacia vincolante. Per tale ragione, quando gli istituti scientifici di riferimento per la singola disciplina redigono una serie di raccomandazioni per l’esecuzione corretta degli accertamenti che intendono disciplinare, le denominano “linee guida”, “suggerimenti” o “raccomandazioni”, mai “protocolli”. In tal senso, si può ricordare il lavoro compiuto dall’ENFSI (European Network of Forensic Science Institutes), l’organizzazione che accorpa gli istituti forensi europei di rilievo istituzionale e che si pone come riferimento principale ed autorevole per le discipline forensi. Il Working Group on Scene of Crime dell’ENFSI ha elaborato un Manuale di Good Practices, al fine di armonizzare ed uniformare i protocolli e le procedure operativi attraverso l’individuazione di standard elevati di qualità per l’analisi del locus commissi delicti e, soprattutto, l’individuazione di regole precauzionali da seguire per assicurare gli elementi di prova, in modo da ridurre notevolmente il rischio sempre incombente di contaminazione del reperto.

Per l’ordinamento italiano, tali protocolli operativi non costituiscono regole giuridiche, poiché le procedure e le tecniche di intervento sulla scena criminis non sono mai state regolate dal legislatore, né all’interno del codice di procedura penale né da leggi speciali o norme attuative. Come si può ricavare da quanto accennato sopra, a livello internazionale i documenti de qua assumono tecnicamente la forma di linee-guida o raccomandazioni. L’assenza di valore giuridico dei protocolli conduce alla non operatività di regole di esclusione della prova scientifica, in caso di violazione dei medesimi. Dunque, il mancato rispetto dei protocolli operativi non conduce a un’inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p..

In conclusione, nei confronti degli operatori valgono delle “norme in bianco”, che rinviano alla selezione del metodo da utilizzare effettuata caso per caso dall’esperto nominato dal giudice o dai consulenti tecnici delle parti; rispetto a tali scelte, le parti eserciteranno il contraddittorio.

Alla luce di quanto detto, i protocolli andrebbero, se pur non elevati ad atti legislativi, almeno recepiti da regolamenti. L’approvazione e il riconoscimento di standard circa le metodiche di investigazione tecnico-scientifica a cui conformarsi sulla scena del crimine fornirebbero un termine di paragone certo e normativamente sancito.


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’art. 6 lett. a) della legge 30 giugno 2009, n. 85 definisce il DNA come «acido desossiribonucleico, depositario della informazione genetica, sotto forma di una sequenza lineare di nucleotidi, portatore dell'informazione ereditaria».

[2] P. FELICIONI, L’acquisizione di materiale biologico a fini identificativi o di ricostruzione del fatto, in Prelievo del DNA e banca dati nazionale, a cura di Scarcella. Milano, 2009, 195.

[3] S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, in Dir. pen. proc., 2011, 3, 261.

[4] P. FELICIONI, L’acquisizione di materiale biologico a fini identificativi o di ricostruzione del fatto, cit., 195.

[5] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, in Le indagini atipiche, a cura di Scalfati, Torino, 2019, 309 ss.

[6] S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 261. Sulla differenza tra sopralluogo giudiziario e sopralluogo criminologico, v. D. MAGLIOCCA, Il sopralluogo criminologico sulla "scena geografica del crimine", in SicurezzaeGiustizia, n. 4, 2020, 53. L’Autore sottolinea come il primo sia diretto a esaltare gli elementi capaci di delineare la dinamica oggettiva del reato, mediante la cristallizzazione delle tracce. A differenza del sopralluogo giudiziario, il secondo sfrutta la comparazione tra l’esame del dato criminalistico, e del suo valore intrinseco, e la ricerca del valore estrinseco (tracce forensi e circostanziali sulla scena criminis), al fine di scorgere il significato meno evidente della condotta criminosa.

[7] A. CAMON, La prova genetica tra prassi investigative e regole processuali, in Processo penale e giustizia, 2015, 6, 165; P. TONINI, C. CONTI, Il diritto delle prove penali, cit., 357.

[8] D’altronde anche Edmond Locard ha affermato che le tracce «non possono mentire contro se stesse e sono prove che non si dimenticano, che non si confondono per la concitazione del momento e che non possono essere sbagliate; unicamente l’errore umano nel ricercarle, studiarle o capirle può sminuire il loro valore». V. E. LOCARD, Traité de criminalistique, Librairie Historique et Nobliaire Georges, Lyon, 1931 (passo riportato da D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, in Dir. pen. proc., n. 5, 2011, 626).

[9] P. TONINI, Diritto processuale penale. Manuale breve. Tutto il programma d’esame con domande e risposte commentate, Milano, 2012, p. 350.

[10] Propone una tripartizione dei dati acquisibili dal soggetto, L. TRUCCO, Introduzione allo studio dell’identità individuale nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 2004, 30. A tal proposito, distingue tra dati somatici, dati biometrici «in senso stretto» e dati genetici. I primi consistono nei dati che riguardano l’apparenza della persona, il modo in cui si presenta al mondo esterno; i secondi nei caratteri fisici “di confine”, visibili ad occhio nudo e che si collocano a metà tra connotati somatici e genetici (es. iride, impronte digitali, letto ungueale o riconoscimento vocale); i terzi concerno il genotipo, ottenuto mediante le tecniche di identificazione personale basate sul test del DNA.

[11] Edmond Locard, fondatore e responsabile del laboratorio della polizia scientifica di Lione, scrive «Sul criminale possono essere ritrovate tracce della vittima e della scena del crimine, come pure la vittima può avere su di sé tracce che rimandano all’aggressore. E, ancora, l’aggressore può lasciare traccia di sé sulla scena del delitto», E. LOCARD, Traité de criminalistique, Librairie Historique et Nobliaire Georges, Lyon, 1931 (passo riportato da D.S. Putignano, L’errore scientifico nel processo penale. Rilievi pratici e riscontri giurisprudenziali, cit., 20). Per approfondimenti in materia, v. M. MONZANI, Il sopralluogo psico-criminologico, Milano, 2013, 19 ss.; S. BOZZI, A. GRASSI, Il sopralluogo tecnico sulla scena del delitto, in Scienze forensi. Teoria e prassi dell'investigazione scientifica, a cura di Intini, Picozzi, Torino, 2009, 41 ss.; D. Magliocca, Il sopralluogo criminologico sulla "scena geografica del crimine", cit., 53; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 626. 

[12] «Non è possibile al malfattore di agire, e specialmente di agire con l’intensità richiesta dall’azione criminale, senza lasciare una molteplicità di marchi del suo passaggio», E. LOCARD, Traité de criminalistique, Librairie Historique et Nobliaire Georges, Lyon, 1931-1935 [passo riportato da S. BOZZI, A. GRASSI, Il sopralluogo tecnico sulla scena del delitto, cit., 41].

[13] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 294.

[14] Sull’origine storica del termine “sopralluogo”, ampiamente S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit.,  261. L’Autore illustra come la locuzione risalga al XVII secolo e venisse usata col significato di ispezione di luoghi disposta ed eseguita di persona dall’autorità giudiziaria. Nato nel gergo forense, il termine deriva dalla fusione di “sopra” e “luogo” ed è stato più volte additato come un neologismo mal riuscito dai puristi della lingua italiana.

[15] P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale, cit., 201.

[16] Sul punto, E. AMODIO, Mille e una toga, Milano, 2010, 171, sottolinea come il luogo del delitto venga battezzato “scena del crimine” (crime scene) in omaggio alla moda anglofona, dando vita a una storpiatura della lingua italiana.

[17] S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 261. Cfr. D. CURTOTTI, L. SARAVO, L’errore tecnico-scientifico sulla scena del crimine. L’errore inevitabile e le colpe dello scienziato, del giurista, del legislatore, in Arch. pen., 2011, n. 3, 7, i quali preferiscono tenere distinte le attività di sopralluogo giudiziario da quelle effettuate nei laboratori forensi, anziché ricondurle alla macrocategoria del sopralluogo giudiziario. Le prime sono volte all’individuazione, raccolta e conservazione di tracce del reato e sono realizzate dagli organi di polizia giudiziaria “sul campo”. Le seconde, invece, vengono effettuate nei gabinetti a disposizione della p.g. da parte di personale esperto e hanno ad oggetto i reperti già raccolti sulla scena criminis.

[18] P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale, cit., 201.

[19] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit.,  294; C. Conti, La prova scientifica, cit.,  92; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit.,  624 ss. Gli Autori evidenziano come, oltre alle proiezioni probatorie dibattimentali, i dati acquisiti mediante sopralluogo abbiano effetti rilevanti sull’utilizzazione endofasica degli stessi, inerenti all’adozione di misure cautelari o alla determinazione delle parti di attivare riti alternativi.

[20] In argomento, S. SOTTANI, Rilievi e accertamenti sulla scena del crimine, in Arch. pen., 2011, n. 3, 777; C.D. FAVE, Manuale di polizia giudiziaria, Rimini, 2016,  203; F. ZACCHÈ, Sopralluoghi e relazioni di servizio della polizia giudiziaria, in Cass. pen., 2006, 1015; M. MONZANI, Manuale di psicologia giuridica. Elementi di psicologia criminale e vittimologia, Padova, 2011, 268 ss.; A. CICOGNANI, M. FALLANO, S. PELOTTI, Sopralluogo giudiziario, in Medicina legale, a cura di Cicognani, Fallano, Pelotti, Milano, 2019, 277 ss.; L. GIORDANO, La prova balistica, in Prova scientifica e processo penale, a cura di Canzio, Luparia Donati, Milano, 2022, 589; P. TONINI, Diritto processuale penale. Manuale breve. Tutto il programma d’esame con domande e risposte commentate, cit., 350; P. FELICIONI, La prova del DNA tra esaltazione mediatica e realtà applicativa, cit.,  17. Cfr., pure, D. CURTOTTI, I rilievi e gli accertamenti sul locus commissi delicti nelle evoluzioni del codice di procedura penale, in Manuale delle investigazioni sulla scena del crimine. Norme, tecniche, scienze, a cura di Curtotti, Saravo, Torino, 2013, 41; D. CURTOTTI, L. SARAVO, L’errore tecnico-scientifico sulla scena del crimine. L’errore inevitabile e le colpe dello scienziato, del giurista, del legislatore, cit., 14 ss.; M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit.,  295; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit.,  626. Gli Autori definiscono il sopralluogo come quel complesso di attività, anche di tipo tecnico-scientifico, attuate dalla polizia giudiziaria, dal consulente tecnico del Pubblico Ministero e dalla difesa, esperibili sullo spazio interessato dal reato, sia nell’immediatezza della scoperta del fatto di reato che nell’esecuzione di eventuali successivi accessi, finalizzate ad isolare, descrivere ed analizzare lo scenario, nonché ricercare, esaminare e repertare le tracce ivi rinvenute, al fine di ricostruire la condotta, identificare la vittima e/o l’autore e ricostruire la dinamica dell’evento.

[21] D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 627.

[22] P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, Milano, 2012,  427; S. BOZZI, A. GRASSI, Il sopralluogo tecnico sulla scena del delitto, cit., 31 ss.; P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale, cit.,  202 ss.

[23] Al fine di un efficace risultato conservativo della scena del crimine, gli operatori procedono a un rigoroso piantonamento dei luoghi ed eseguono una doppia recinzione con paletti e nastro bicolore rosso e bianco. In questo modo, si evita un’invasione immotivata da parte di soggetti non autorizzati e si pongono le condizioni per garantire un efficace sopralluogo da parte della scientifica; v. S. BOZZI, A. GRASSI, Il sopralluogo tecnico sulla scena del delitto, cit., 32 ss.; M. ANGIONI, F. FRATONI, Scena del crimine e indagini difensive. Metodologia degli accertamenti tecnici, Milano, 2015, 26; G. CIFALDI, La gestione della scena del crimine, in La devianza come sociologia, a cura di Cipolla, Milano, 2012, 372 ss.; M. MONZANI, Manuale di criminologia, Padova, 2016, 156 ss.

[24] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 295.

[25] L’insieme delle attività di rappresentazione della scena criminis vengono definite come rilievo descrittivo. L’ambiente in cui è stato commesso il reato viene osservato in modo metodico, accurato e approfondito, dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra e dal particolare al generale. A seconda del locus commissi delicti, la stesura del rilievo descrittivo presenta una maggiore o minore complessità. Ad esempio, nel caso di una rapina ai danni di un esercizio commerciale, il rilievo avrà ad oggetto solo lo spazio in cui si svolge l’attività e le immediate pertinenze. Lo stesso non può dirsi quando il luogo interessato dal reato è più ampio e presenta numerosi ambienti, come nell’ipotesi di una rapina compiuta in una villa, in cui il rilievo riguarderà più camere, ambienti esterni e interni dell’immobile. M. ANGIONI, F. FRATONI, Scena del crimine e indagini difensive. Metodologia degli accertamenti tecnici, cit., 30; S. BOZZI, A. GRASSI, Il sopralluogo tecnico sulla scena del delitto, cit.,  35 ss.

[26]  P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, cit.,  427; D. MAGLIOCCA, Il sopralluogo criminologico sulla "scena geografica del crimine", cit.,  53; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit.,  627; P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale, cit.,  203; S. SOTTANI, Rilievi e accertamenti sulla scena del crimine, cit.,  777 ss.; P. FEDELI, Attività medico legale per l’autorità giudiziaria, in Manuale di medicina legale. Per una formazione, per una conoscenza, a cura di De Ferrari, Palmieri, Milano, 2007, 114; A. CICOGNANI, M. FALLANI, S. PELOTTI, Sopralluogo giudiziario, cit., 277 ss.

[27] Gli investigatori statunitensi sfruttano cinque metodi di ricerca, costruiti sullo sviluppo di figure geometriche: Zone Method, o metodo a zone, Whell Method, o metodo a ruota o a raggi, Spiral Method, o metodo a spirale e Strip e Grid Methods, o metodi a bande e griglie. Per un approfondimento sui protocolli operativi della realtà americana, v. S. BOZZI, A. GRASSI, Il sopralluogo tecnico sulla scena del delitto, cit., 40 ss.; M. MONZANI, Manuale di criminologia, cit., 162 ss.

[28] P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, cit., 427; P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale, cit.,  204.

[29] D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 623. Cfr. D. CURTOTTI, I rilievi e gli accertamenti sul locus commissi delicti nelle evoluzioni del codice di procedura penale, cit., 45, che tacciano il legislatore del 1988 di ingenuità e imprecisione nella redazione delle norme inerenti alle indagini sulle tracce del reato. È apparso ingenuo, in quanto non ha approntato degli strumenti normativi adeguati che permettessero una traslazione della scienza all’interno del processo penale, incluso il momento delle indagini preliminari. Si è dimostrato impreciso nella coordinazione mal riuscita tre le disposizioni inerenti alle attività investigative tradizionali e quelle disciplinanti le indagini tecnico-scientifiche.

[30] G. GENNARI, Nuove e vecchie scienze forensi alla prova delle corti. Un confronto internazionale e una proposta per il futuro, cit., 48; A. OLIVIERIO, L’elica geniale, in Polizia Moderna, 2009, 6, 2.

[31] A. CAMON, La prova genetica tra prassi investigative e regole processuali, cit., 165.

[32] G. BARROCCU, La prova scientifica nel processo penale, in Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, n. 11, 2013, 4; P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale, cit.,  203 ss.; S. DI PINTO, La prova scientifica nel processo penale, cit., 912 ss.; A. IACOBELLI, A. BERTI, M. MATTIUCCI, P. FRATINI, La testimonianza esperta nell’Arma dei Carabinieri, in La prova scientifica nel processo penale, a cura di Carlizzi, Tuzet, Torino, 2018,  63 ss.; S. LORUSSO, Investigazioni scientifiche, verità processuale ed etica degli esperti, in Dir. pen. proc., n. 10, 2010, 1347; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 624; G. GAROFALO, Le prove atipiche fra “apertura” e “limite” al potere giudiziale di conoscere, in Incontri ravvicinati con la prova penale. Un anno di seminari a Roma Tre, a cura di Marafioti, Paolozzi, Torino, 2014,  134, ricordano come, oltre alla prova del DNA, il pensiero corra alle moderne tecniche di ricerca delle tracce della condotta criminosa, come le analisi in microscopia elettronica, la ricostruzione virtuale della scena del crimine in 3D, lo stub (supporto adesivo per rilevare tracce di piombo, bario e antimonio sulle mani causate dall’utilizzo di un’arma da fuoco), l’evidenziazione delle tracce mediante lampade a multipla lunghezza d’onda o luminol (composto chimico adoperato per rilevare le tracce ematiche o di altri liquidi biologici), la Bloodstain pattern analisis (l'analisi delle tracce ematiche per ricostruire gli eventi che hanno causato il sanguinamento), il criminal profiling (modelli di psicologia investigativa), il G.P.S.,e la Digital Forensics.

[33] P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale, cit., 205; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit.,  623; A. CAMON, La prova genetica tra prassi investigative e regole processuali, cit., 166. A tal proposito, v. anche S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 262, che sottolinea ironicamente come “the trial must go on”. Nonostante le sottovalutazioni inaccettabili e le colpevoli inerzie legislative, la macchina giudiziaria ha proseguito per la sua strada.

[34] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 297; L. GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, in Compendio di procedura penale, a cura di Conso, Grevi, Bargis, Milano, 2018, 514; D. CURTOTTI, I rilievi e gli accertamenti sul locus commissi delicti nelle evoluzioni del codice di procedura penale, cit.,  55; G. Centamore, Rilievi e accertamenti nel codice di procedura penale nell’attività di prelievo di reperti utili alla ricerca di DNA. Un nodo irrisolto, in Dir. pen. proc., n. 4, 2018, 69; S. SOTTANI, Rilievi e accertamenti sulla scena del crimine, cit.,  781. Gli Autori rilevano come l’assenza di rigidi schemi normativi sia comprensibile per certi versi, considerando la natura flessibile e dinamica delle investigazioni, caratterizzate da molteplici e imprevedibili evenienze. Ogni tentativo di tipizzazione avrebbe, inoltre, impedito, l’ingresso dei nuovi mezzi scientifici, se non previo aggiornamento legislativo. Cfr. D. Curtotti NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 624, i quali enfatizzano come l’accettazione di una normativa composta da pratiche vaghe e strutture fluide sia derivata dall’erroneo convincimento che le problematiche relative all’attività ispettiva attenessero a un versante spiccatamente, per non dire esclusivamente, strumentale.

[35] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 297 ss.; D. Curtotti NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit.,  624.

[36] P. TONINI, C. CONTI, Il diritto delle prove penali, cit., 313, sottolineano come il travolgente avvento della prova scientifica abbia spostato il fulcro processuale verso la fase delle indagini, e, soprattutto verso lo stadio iniziale dell’inchiesta, che si sviluppa sulla scaena crimis.

[37] A. CAMON, La prova genetica tra prassi investigative e regole processuali, cit., 166.

[38] P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale, cit., 205;

[39] Per far cessare le soluzioni interpretative rocambolesche della giurisprudenza e gli equivoci operativi, il vero rimedio consisterebbe in un ripensamento integrale delle norme che disciplinano l’esame della scena del crimine. Al di là dei futuri interventi legislativi, vi sono alcune vie concretamente percorribili. In primis, occorre sottolineare come le proposte prospettate concordano unanimemente sull’ormai obsoleta distinzione tra rilievi e accertamenti. Un eventuale chiarimento sul reale significato dei due termini – che hanno creato un’insopportabile confusione normativa e una conseguente “zona grigia” - sarebbe ormai inattuabile. Una prima soluzione risale al cd. “disegno di legge Alfano” presentato dal governo il 20 marzo 2009. La proposta prevedeva l’innesto di un art. 370-bis c.p.p., che estendeva, sostanzialmente, a tutte le indagini tecnico-scientifiche che «comportano modificazioni irreversibili dello stato dei luoghi o delle cose” le garanzie di cui all’articolo 360 c.p.p. V. S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 272; A. CAMON, La prova genetica tra prassi investigative e regole processuali, cit.,  166. Una seconda soluzione combina il disposto degli art. 244 e 370 c.p.p., giovandosi della delega effettuabile dal pubblico ministero alla polizia giudiziaria per la realizzazione rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica «in sede di ispezione. Ove i dati raccolti richiedessero una elaborazione e interpretazioni particolari, andrebbe applicato quanto sancito ex art. 360 c.p.p. L’ultima soluzione normativa prospettabile sfrutterebbe l’interpretazione estensiva dell’art. 348, comma 3, c.p.p., che consente alla polizia giudiziaria «di svolgere di propria iniziativa, informandone prontamente il pubblico ministero, tutte le altre attività di indagine per accertare i reati ovvero richieste da elementi successivamente emersi e assicura(re) le nuovi fonti di prova». A tale ultimo scopo, potrebbero connettersi le indagini tecnico-scientifiche. In relazione alle ultime due ipotesi, v. D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 631 ss.; D. CURTOTTI, L. SARAVO, L’errore tecnico-scientifico sulla scena del crimine. L’errore inevitabile e le colpe dello scienziato, del giurista, del legislatore, cit., 22.

[40] In argomento, ampiamente A. BELLOCCHI, La polizia giudiziaria, in Trattato di procedura Penale. I soggetti, a cura di Dean Torino, 2009, 434 ss.; F. CASTALDO, L’articolazione delle attività di polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari, in Cammino diritto, 2021, 6 ss.; L. GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit., 512 ss.; P.L. VIGNA, Nuovo assetto e nuovi compiti della polizia giudiziaria, in Contrasto al terrorismo interno e internazionale, a cura di Kostoris, Orlandi, Torino, 2006,  113; F. DE LEO, Sub art. 55 c.p.p., in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, vol. I, a cura di Lattanzi, Lupo, Torino, 2008, 517 ss.

[41] L. GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit., 513 ss.; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 627 ss., mettono in evidenza come dall’art. 348 c.p.p. emergano i tre moduli operativi che esprimono i rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, vale a dire i protagonisti della fase delle indagini: attività delegata, attività guidata e attività parallela di indagine. Si deve sottolineare, al riguardo, come sia stata la modifica apportata alla disposizione de qua dalla l. 26 marzo 2001, n. 128 a profilare il terzo modulo.

[42] L. GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit., 522; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 628; M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 300; S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 263.

[43] Il comma 2 dell’art. 354 c.p.p. è stato modificato dall’art. 9 della l. 26 marzo 2001, n. 128, che ha ampliato la sfera dell’urgenza anche alla mancata assunzione delle indagini da parte del pubblico ministero. Al fine di adeguare l’ordinamento interno alle disposizioni contenute nella Convenzione di Budapest, la norma de qua è stata successivamente interpolata dall’art. 9 l. 18 marzo 2008, n. 48, in riferimento a dati, informazioni, programmi e sistemi informatici. Il periodo in aggiunta statuisce che «in relazione ai dati, alle informazioni e ai programmi informatici o ai sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della polizia giudiziaria adottano, altresì, le misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l’alterazione e l’accesso e provvedono, ove possibile, alla loro immediata duplicazione su adeguati supporti, mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità».

[44] P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale: profili sistematici, dinamiche probatorie, suggestioni mediatiche, cit., 198 ss.; L. GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit., 522 ss.

[46] L’art. 114 disp. att. c.p.p. dispone che la polizia giudiziaria abbia il dovere di avvertire la persona sottoposta alle indagini, se presente al compimento degli atti di cui all’art. 356 c.p.p., della facoltà di farsi assistere dal difensore.

[47] A. CAMON, La prova genetica tra prassi investigative e regole processuali, cit., 166; C. FANUELE, La prova del DNA, cit., 547; D. CURTOTTI, I rilievi e gli accertamenti sul locus commissi delicti nelle evoluzioni del codice di procedura penale, cit.,  63; D. CURTOTTI, L. SARAVO, L’errore tecnico-scientifico sulla scena del crimine. L’errore inevitabile e le colpe dello scienziato, del giurista, del legislatore, cit., 17; R. VALLI, La consulta interviene sulla nozione di “rilievo” aprendo una zona grigia nella determinazione dei confini di applicabilità dell’art. 360 c.p.p., in Dir. pen. cont., n. 4, 2018, 50. 

[48] S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 263 ss.; M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit.,  301 ss.

[49] Cass., sez. III, 4 maggio 1994, n. 1935: «Questa attività (ndr: art. 354, comma 1) si estrinseca in una pluralità di atti atipici, quali ordini impartiti o sorveglianza diretta, mirati alla non dispersione o non alterazione delle cose e delle tracce, ed è posta in essere in piena libertà di forme purché risultino idonee allo scopo» (passo della sentenza riportato da D. CURTOTTI, I rilievi e gli accertamenti sul locus commissi delicti nelle evoluzioni del codice di procedura penale, cit., 55).

[50] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 300.

[51] D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 631.

[52] D. CURTOTTI, L. SARAVO, L’errore tecnico-scientifico sulla scena del crimine. L’errore inevitabile e le colpe dello scienziato, del giurista, del legislatore, cit., 19 ss.

[53] G. CENTAMORE, Rilievi e accertamenti nel codice di procedura penale nell’attività di prelievo di reperti utili alla ricerca di DNA. Un nodo irrisolto, cit., 67.

[54] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 305.

[55] La norma nulla dice in merito agli essenziali profili soggettivi del consulente. Solo parzialmente soccorre l’art. 73 disp. att., in base al quale il pubblico ministero “di regola” nomina il consulente tecnico scegliendolo tra i soggetti iscritti negli albi dei periti, pur senza pretese di imperatività; v. L. GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit., 528; P. GAETA, Sub art. 359 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, tomo II, a cura di Giarda, Spangher, Milano, 2017, 508.

[56] L. GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit., 528, sottolinea come, data la ripetibilità delle operazioni, di regola, la consulenza tecnica non generi risultanze probatorie spendibili nella fase dibattimentale.

[57] La nozione di non ripetibilità dell’accertamento costituisce una delle più nebulose dell’intero impianto codicistico. A causa dei contorni del tutto complessi e incerti, ha generato soluzioni pratiche quasi sempre discordi. La dottrina ha inteso l’irripetibilità tendenzialmente in due modi distinti: come non rinviabilità, ovvero come indifferibilità dell’atto, e come non rinnovabilità dell’atto stesso, che ricorre quando sia impossibile riprodurre le medesime situazioni di cui l’atto è espressione. Secondo l’orientamento dottrinale prevalente, l’art. 360 c.p.p. disciplina sostanzialmente atti non rinviabili, non sussistendo tuttavia un’identità concettuale esatta tra irripetibilità e non rinviabilità. La giurisprudenza delle SU della Corte di Cassazione, nella sentenza 17 ottobre 2006, n. 41281, ha affermato che «la non ripetibilità deriva non da un’assoluta impossibilità di descrizione delle situazioni modificabili ma dalla perdita di informazioni che deriva dalla possibilità di mutamento dello stato di luoghi, cose o persone che non renderebbe possibile, in caso di necessità, la ripetizione dell’atto». In argomento, ampiamente, P. GAETA, Sub art. 360 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, tomo II, a cura di Giarda, Spangher, Milano, 2017, 527 ss.

[58] D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 628; S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 264; R. VALLI, La consulta interviene sulla nozione di “rilievo” aprendo una zona grigia nella determinazione dei confini di applicabilità dell’art. 360 c.p.p., cit., 50.

[59] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 305; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 628; L. Calò, Il contraddittorio scientifico, cit., 106, richiamano anche il dato formale dell’impiego della terminologia “atti ed operazioni” nell’art. 348, comma 4, c.p.p., e “accertamenti” all’interno dell’art. 359 c.p.p., che lascerebbe intendere la non corrispondenza tra attività tecnica della polizia giudiziaria e accertamenti tecnici.

Cfr. in senso contrario, P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, cit., 413; S. SOTTANI, Rilievi e accertamenti sulla scena del crimine, cit., 777, che rilevano come il legislatore menzioni in modo improprio all’interno di diverse disposizioni codicistiche i termini accertamenti e rilievi, con la tendenza a trattarli indistintamente e senza fornirne una nozione. Si indicano, a tal proposito, l’art. 244, comma 2, c.p.p. che si riferisce a «rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica» disposti dall’autorità giudiziaria, l’art. 348, comma 4, c.p.p., l’art. 349, comma 2, c.p.p. che parla di «rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti» eseguiti dalla polizia giudiziaria e, chiaramente, gli artt. 354, 359 e 360 c.p.p.

[60] R. VALLI, La consulta interviene sulla nozione di “rilievo” aprendo una zona grigia nella determinazione dei confini di applicabilità dell’art. 360 c.p.p., cit., 51.

[61] V. S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 264 ss.; D. CURTOTTI, I rilievi e gli accertamenti sul locus commissi delicti nelle evoluzioni del codice di procedura penale, cit., 61; M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit.,  309, che evidenziano come la distinzione concettuale tra accertamenti e rilievi fosse già presente nel codice Rocco del 1930 in relazione agli artt. 222 e 223 c.p.p., e come il legislatore dell’88 l’abbia, purtroppo, recepita. La giurisprudenza dell’epoca impiegava la distinzione per stabilire l’applicabilità delle garanzie difensive, attivabili solo in relazione agli accertamenti e non ai rilievi.

Cfr. Corte cost., sent. 27 dicembre 1973, n. 185: «gli accertamenti e le operazioni importano un giudizio tecnico, cioè si risolvono in veri e propri atti peritali, [per cui] le guarentigie difensive devono essere osservate anche in sede di indagini preliminari della polizia giudiziaria […]; quando, invece, le operazioni si limitano al prelievo, di carattere meramente preparatorio rispetto all'attività istruttoria, esse sono di spettanza della polizia giudiziaria e non postulano le garanzie di difesa sancite dalla Costituzione».

[62] In argomento, v. D. CURTOTTI, I rilievi e gli accertamenti sul locus commissi delicti nelle evoluzioni del codice di procedura penale, cit.,  61; M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit.,  305; S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit.,  264; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit.,  629; E. TURCO, Gli accertamenti urgenti della polizia giudiziaria, in Il Foro Italiano, n. 1, 2014,  29;  L. GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit.,  528; M. Scaparone, Procedura penale, vol. II, Torino, 2017,  40; P. GAETA, Sub art. 359 c.p.p., cit.,  488; S. SOTTANI, Rilievi e accertamenti sulla scena del crimine, cit.,  783.

[63] A. Paoletti, La ricerca della prova penale nell’era delle nuove tecnologie informative, Milano, 2020, 116, mette in evidenza come l’attività di recepimento della dottrina non sia stata del tutto acritica, ma abbia tentato di addurre motivazioni con basi giuridiche diverse rispetto all’orientamento della Suprema Corte. Tuttavia, non si può non rilevare l’azione di inevitabile condizionamento reciproco che coinvolge il profilo teorico, espresso dalla dottrina e il profilo pratico, incarnato dalla giurisprudenza.

[64] Così Cass., sez. II, 8 giugno 2018, n. 26374; tra le altre, Cass., sez. V, 26 aprile 2021, n. 15623; Cass., sez. VI, 10 aprile 2019, n. 15838: Cass., sez. II, 10 luglio 2009, n. 34149.

[65] Cfr. Cass., sez. I, 3 giugno 1994, Nappi.

[66] G. Centamore, Rilievi e accertamenti nel codice di procedura penale nell’attività di prelievo di reperti utili alla ricerca di DNA. Un nodo irrisolto, cit., 69; L. FALCONE, Osservatorio sulla Corte costituzionale. Accertamento tecnico irripetibile, in Arch. pen., n. 1, 2018, 4; R. VALLI, La consulta interviene sulla nozione di “rilievo” aprendo una zona grigia nella determinazione dei confini di applicabilità dell’art. 360 c.p.p., cit., 51; A. PAOLETTI, La ricerca della prova penale nell’era delle nuove tecnologie informative, cit., 116.

[67] S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 265.

[68] Cass., sez. II, 4 settembre 2009, n. 34149, Chiesa: «quella eseguita dalla polizia giudiziaria per verificare quale fosse il numero di telaio del ciclomotore rinvenuto nell’officina del ricorrente è operazione ripetibile, vuoi perché la stessa è qualificabile non già come accertamento tecnico, bensì come mero rilievo. È ripetibile perché la cosa che ne forma oggetto (la porzione di telaio su cui è impresso il relativo numero) non è destinata a subire un’irreversibile trasformazione, per effetto della verifica, tale da impedirne la reiterazione. È, poi, un mero rilievo perché consiste nella semplice raccolta di dati pertinenti al reato, mentre l’accertamento tecnico si estende allo studio ed alla loro valutazione critica secondo canoni tecnico-scientifici».

[69] Quanto all’individuazione e rilevamento delle impronte dattiloscopico-papillari, Cass., sez. I, 23 agosto 2022, n. 31504; Cass., sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 51316: «L'attività di individuazione e rilevamento delle impronte dattiloscopico-papillari, risolvendosi in operazioni urgenti non ripetibili di natura meramente materiale, rientra nella disciplina di cui all'art. 354, comma secondo, cod. proc. pen. e non in quella concernente gli accertamenti tecnici non ripetibili di cui agli artt. 359 e 360 cod. proc. pen., i quali presuppongono attività di carattere valutativo su base tecnico-scientifica ed impongono il rispetto del contraddittorio e delle correlate garanzie difensive». Quanto alla comparazione delle medesime, Cass., sez. VII, 7 giugno 2017, n. 42934: «va ribadito il costante e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la comparazione delle impronte prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria non richiede particolari cognizioni tecnico-scientifiche e si risolve in un mero accertamento di dati obiettivi, ai sensi dell'art. 354 c.p.p., sicché il suo svolgimento non postula il rispetto delle formalità previste dall'art. 360 c.p.p.».

[70] Cass., sez. III, 9 ottobre 2018, n. 45262: «deve rammentarsi che, per costante indirizzo interpretativo di questa Corte di legittimità …] i rilievi fonometrici sono tipici accertamenti "a sorpresa" da inquadrare fra le attività svolte dalla polizia giudiziaria ai sensi degli artt. 348 e 354, comma 2, cod. proc. pen. e non tra gli accertamenti tecnici irripetibili riguardanti cose e luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, per i quali l'art. 360 cod. proc. pen. richiede, in quanto non ripetibili, il previo avviso all'indagato».

[71] Cass., sez. II, 16 giugno 2015 n. 24998: «non dà luogo ad accertamento tecnico irripetibile l'estrazione dei dati archiviati in un computer, trattandosi di operazione meramente meccanica, riproducibile per un numero indefinito di volte». Cass., sez. VI, 10 aprile 2019, n. 15838: «In tal senso depone ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, […] ha avuto modo di affermare che non ha natura di accertamento tecnico irripetibile ex art. 360 cod. proc. pen. l'attività di estrapolazione di fotogrammi da un supporto video, atteso che essa non comporta alcuna attività di carattere valutativo su base tecnico-scientifica né determina alcuna alterazione dello stato delle cose, tale da recare pregiudizio alla genuinità del contributo conoscitivo nella prospettiva dibattimentale, essendo sempre comunque assicurata la riproducibilità di informazioni identiche a quelle contenute nell'originale».

[72] D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 631; S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 266; M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 306; E. TURCO, Gli accertamenti urgenti della polizia giudiziaria, cit., 29; A. Paoletti, La ricerca della prova penale nell’era delle nuove tecnologie informative, cit.,  114 ss.; P. GAETA, Sub art. 359 c.p.p., cit.,  488 ss.

[73] Dopo un ampio dibattito, la giurisprudenza sembra ormai muoversi in una direzione uniforme, considerando il prelievo come un mero rilievo. Al contrario, l’esame spettroscopico viene qualificato come accertamento tecnico. Cass., sez. III, 29 settembre 2022, n. 36817: «i prelievi (nel caso esaminato dalla Suprema Corte, di polvere da sparo), quantunque prodromici all'effettuazione di accertamenti tecnici, non sono tuttavia identificabili con questi ultimi, per cui, pur essendo irripetibili, non richiedono alcuna partecipazione difensiva». Cfr. S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 266; M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 306; S. SOTTANI, Rilievi e accertamenti sulla scena del crimine, cit., 778.

[74] D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 630.

[75] Cass., sez. I, 28 novembre 1997, n. 1582: «Il sopralluogo […] quando sia stato effettuato in fase di indagine preliminare, costituisce atto irripetibile e come tale confluisce direttamente nel fascicolo del dibattimento»; Cass., sez. I, 14 ottobre 1999, n. 5624: «I verbali degli accertamenti e dei rilievi eseguiti, ai sensi dell’art. 354, comma 2, c.p.p., dagli ufficiali di polizia giudiziaria, al fine di conservare le tracce di un reato, possono essere acquisiti al fascicolo per il dibattimento a norma dell’art. 431, lett. b), stesso codice ed essere regolarmente utilizzati per la decisione».

[76] A. CAMON, La prova genetica tra prassi investigative e regole processuali, cit., 166; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 631.

[77] S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., 265; M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 308; E. TURCO, Gli accertamenti urgenti della polizia giudiziaria, cit., 29; D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 629, sottolineano come molte operazioni considerate semplici un tempo stiano assurgendo sempre più a valore di accertamenti. L’evoluzione tecnologica ha ampliato la scelta dei possibili strumenti di rilevazione delle tracce del reato. Gli investigatori devono disporre di un’elevata qualificazione e di specifiche competenze tali da permettergli di valutare quale procedura elettiva o tecnica impiegare nel caso di specie. Gli Autori adducono l’esempio delle impronte papillari, rispetto alla cui rilevazione l’esperto è tenuto a formulare giudizi e a compiere scelte significative per il processo, stante che dall’ottimale esaltazione delle medesime, è possibile tipizzare il DNA.

[78] In argomento, ampiamente D. CURTOTTI, L. SARAVO, L’errore tecnico-scientifico sulla scena del crimine. L’errore inevitabile e le colpe dello scienziato, del giurista, del legislatore, cit., 20 ss.

[79] Sul punto, ampiamente D. CURTOTTI NAPPI, L. SARAVO, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., 630.

[80]  M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 309.

[81] R. VALLI, La consulta interviene sulla nozione di “rilievo” aprendo una zona grigia nella determinazione dei confini di applicabilità dell’art. 360 c.p.p., cit., 49; P. FELICIONI, L’acquisizione di materiale biologico finalizzata alla prova del DNA tra regola ed eccezione, in Processo penale e giustizia, n. 3, 2018, 492; P. FELICIONI, La prova del DNA tra esaltazione mediatica e realtà applicativa, cit., 17 ss.

[82] Cass., sez. I, 31 gennaio 2007, n. 14852, Piras, Rv. 237359: “per cui in tema di indagini preliminari, la nozione di accertamento tecnico concerne non l'attività di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato, che si esaurisce nei semplici rilievi, bensì il loro studio e la loro valutazione critica (fattispecie in cui la Corte ha qualificato come mero prelievo e non come accertamento tecnico il prelievo del DNA dal materiale biologico rinvenuto in un passamontagna, conservato e non esaurito pur all'esito delle prime indagini e, successivamente, utilizzato per effettuare a dibattimento, nel contraddittorio fra le parti, l'esame comparativo con il DNA dell'imputato); passo riportato nella sentenza Cass., sez. III, 18 marzo 2021, n. 10400; v. anche Cass. Sez. II, 10 gennaio 2012, Bardhaj, Rv. 251775-01; Cass., sez. V, 23 novembre 2016, n. 49610: «il prelievo del DNA della persona indagata, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili, non è qualificabile quale atto invasivo o costrittivo e, essendo prodromico all'effettuazione di accertamenti tecnici, non richiede l'osservanza delle garanzie difensive, che devono, invece, essere garantite nelle successive operazioni di comparazione del consulente tecnico»; Cass., sez. II, 21 gennaio 2011, n. 2185: «Per altro, il prelievo di un campione biologico dall’indumento macchiato di sangue è anche ripetibile, non essendo destinato a subire un’irreversibile trasformazione, per effetto della verifica, tale da impedirne la reiterazione: ed infatti il prelievo del campione per il confronto del relativo DNA con quello di altro materiale biologico del D. è stato nuovamente eseguito in via di incidente probatorio, come si legge nell’impugnata sentenza. E’, poi, un mero rilievo perché consiste nella semplice raccolta di dati pertinenti al reato, mentre l’accertamento tecnico ne esegue lo studio e la valutazione critica secondo canoni tecnico-scientifici […] Per quanto concerne, poi, l’esame del DNA (non il mero atto prodromico costituito dal prelievo di un campione di sangue dall’indumento macchiato), esso è stato reiterato in sede di incidente probatorio».

[83] La nozione di irripetibilità dell’accertamento tecnico va ricontatta alla sufficienza o meno del materiale biologico residuo, v. Cass., sez. I, 25 febbraio 2015, n. 18246: «In tema di indagini preliminari, il prelievo del d.n.a. della persona, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili, è qualificabile come rilievo tecnico e, in quanto tale, è delegabile ai sensi dell’art. 370 c.p.p., senza la necessità per il suo espletamento delle garanzie difensive che vanno, invece, assicurate nella distinta e successiva operazione di identificazione del d.n.a. della persona, attraverso l’utilizzo del materiale genetico repertato, la quale costituisce accertamento tecnico da qualificarsi ripetibile o meno, in base ad una valutazione tecnico-fattuale in ordine alla possibile conservazione dei reperti»; Cass., sez. V, 19 maggio 2021, n. 19909: «Può dunque affermarsi che la natura irripetibile dell'accertamento tecnico che conduce alla estrapolazione del profilo genetico presente su reperti sequestrati deve essere accertata in concreto dipendendo dalla quantità della traccia e dalla qualità del DNA sulla stessa presente».

[84] R. VALLI, La consulta interviene sulla nozione di “rilievo” aprendo una zona grigia nella determinazione dei confini di applicabilità dell’art. 360 c.p.p., cit., 52; P. FELICIONI, L’acquisizione di materiale biologico finalizzata alla prova del DNA tra regola ed eccezione, cit., 496; S. LORUSSO, Investigazioni scientifiche, verità processuale ed etica degli esperti, cit., 1355.

[85] Corte cost., 26 settembre 2017, n. 239.

[86] Corte cost., 26 settembre 2017, n. 239.

[87] Corte cost., 26 settembre 2017, n. 239.

[88] P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale: profili sistematici, dinamiche probatorie, suggestioni mediatiche, cit., 38, secondo la quale, l’argomento del dovere degli operatori di rispettare severi protocolli sarebbe stato poco avvedutamente selezionato dal giudice a quo. Le motivazioni addotte nell’ordinanza di rimessione avrebbero generato un effetto boomerang, poiché sono state capovolte dalla Corte costituzionale. L’esistenza di protocolli di repertazione, infatti, può semmai rendere le attività di asporto e di raccolta di materiale genetico dei meri rilievi. Le linee guida delineate dai protocolli non farebbero altro che eliminare lo spazio di valutazione critica degli operatori. V. anche, R. VALLI, La consulta interviene sulla nozione di “rilievo” aprendo una zona grigia nella determinazione dei confini di applicabilità dell’art. 360 c.p.p., cit., 55.

[89] P. FELICIONI, La prova del DNA nel procedimento penale: profili sistematici, dinamiche probatorie, suggestioni mediatiche, cit., 38.

[90] Corte cost., 26 settembre 2017, n. 239.

[91] M. MONTAGNA, Il sopralluogo, cit., 310; L. FALCONE, Osservatorio sulla Corte costituzionale. Accertamento tecnico irripetibile, cit., 1.

[92] P. FELICIONI, L’acquisizione di materiale biologico finalizzata alla prova del DNA tra regola ed eccezione, cit., 504, sottolinea come la Corte costituzionale distingua tra la repertazione “semplice” e quella “complessa”, implicante una valutazione critica da parte dell’operatore, con conseguente applicazione delle garanzie ex art. 360 c.p.p.

[93] In argomento, ampiamente R. Valli, Valutazione dell’affidabilità dell’indagine genetica svolta con violazione di «protocolli» e linee guida: utilizzabilità del risultato raggiunto, n. 12, 2018, p. 15. L'Autore specifica il corretto significato del termine “protocollo”, solitamente impiegato nell'ambito del diritto internazionale per indicare un documento attestante il raggiungimento di un accordo tra Stati. Per protocollo si intende, dunque, una serie di regole delineate tra più parti, a cui ciascuna di esse è chiamata ad attenersi.