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Pubbl. Ven, 14 Apr 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

La Finanza degli Enti Locali: il lungo ma necessario processo di modernizzazione

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Francesco Conte



Il saggio parte da una riflessione sul fondamento costituzionale dell´autonomia territoriale e sulle sue implicazioni rispetto al ruolo degli enti locali. In questa prospettiva, mi accingo a fare una revisione sistematica del recente quadro nazionale, capace di valorizzarne l´attualità e i tratti salienti a vent'anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione.


ENG

The Local Government Finance: the (long) process of modernization required

The essay starts from a reflection on the constitutional basis of territorial autonomy and its implications with regard to the role of local authorities. Through this perspective, I am going to do a systematic review of recent national framework, capable to promote the relevance and salient features twenty years after the reform of Title V of the Constitution.

Sommario: 1. Premessa; 2. L’evoluzione normativa e il processo di semplificazione degli enti locali; 3. Il concetto di “autonomia” dell’ente locale; 3.1 L’autonomia finanziaria: analisi dell’art. 119 della Costituzione; 4. Il Federalismo fiscale: La legge delega 42/2009; 5. L’Ordinamento finanziario e contabile nel TUEL; 6. Considerazioni conclusive: il processo di modernizzazione necessario.

1. Premessa

Il dibattito pubblico sviluppatosi attorno al tema dei principi di autonomia e decentramento[1] degli enti locali è da sempre stato animato da pareri contrastanti: se dal lato sociale si assiste ad una crescita delle esigenze individuali a scapito del vincolo collettivo e solidaristico, dal lato culturale si passa invece ad una sorta di riscoperta delle identità locali e al consolidamento dei processi comunitari a carattere identitario.

Tuttavia, fattori quali la globalizzazione, i cambiamenti che si sono susseguiti ai periodi di crisi economica e lo sviluppo tecnologico, hanno indotto alla ricerca e alla sperimentazione di nuovi assetti (più rapidi ed efficienti) della pubblica amministrazione, in parte ispirati al paradigma del new public management.[2]

L’idea di fondo di questa evoluzione si basa sulla creazione di un sistema-relazione del tutto speciale fra autonomia (intesa come elemento fondante della comunità locale), le competenze oggetto di intese e le funzioni fondamentali dell’ente locale, favorendone l’esercizio nel rispetto del principio di armonizzazione dei diversi sistemi contabili adottati dalle varie pubbliche amministrazioni.[3]

L’obiettivo di questo intervento è così mirato a fornire, un’ analisi dell’assetto storico-legislativo dell’autonomia degli enti locali, ripercorrendone la progressiva affermazione e i tratti salienti a vent’anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione, «delineandone virtualità e criticità, considerandone i molteplici aspetti che ancora attendono attuazione, e verificando la fattibilità delle proposte di riforme che anche nei tempi più recenti sono in vario modo formulate»[4].

2. L’evoluzione normativa e il processo di semplificazione degli enti locali

Il territorio Nazionale, dall’epoca feudale al Rinascimento, è stato lo scenario costante della costituzione di un certo livello di autonomia delle comunità rispetto al potere centrale, carattere andato perso poi con l'introduzione del modello amministrativo francese (Napoleone sosteneva che: «l’amministrare è affare d’uno, come il giudicare è l’affare di più; in mano di uno solo l’amministrazione ha unità di vedute e celerità esecutiva»)[5] e con l’unità d'Italia, per rispondere alle nuove esigenze di una forma statale accentrata.

Sul piano periferico, il ministro Urbano Rattazzi, presentò una serie di proposte di legge che miravano ad un consolidamento dell’ordinamento provinciale che avrebbe portato all’abolizione delle molteplici Divisioni amministrative, le quali non facevano altro che aumentare le spese pubbliche. Si trattava di una sorta di centralismo relativo, dove il potere era incentrato sulla figura del Governatore, più debole rispetto all’omologo Prefetto francese.

La legge, inoltre, si ispirava al principio dell’unità politica al quale “i grandi popoli moderni debbono la loro forza, la loro sicurezza, la loro prosperità»; dall’altro «essa si attempera al principio di libertà, senza il quale l’accentramento politico ad altro non riuscirebbe per avventura che a scemare le sorgenti della vita civile in tutto lo Stato”[6]. Si tratterebbe, dunque, di libertà ma purché compatibile con una necessaria forte presenza dello Stato.

Con l’aumento delle annessioni al Regno d’Italia, si ebbe l’esigenza di attuare una svolta progressista: il 20 marzo del 1865 fu varato una specie di codice amministrativo, destinato a rimanere invariato fino alle riforme di Crispi.

Il nuovo Regno continuava così ad essere suddiviso in province, circondari, ridotti a semplici circoscrizioni amministrative senza personalità giuridica e mandamenti che avevano come scopo quello di limitare l’espansione di forze centrifughe ben radicate nel Territorio.

Suddetta legge non fece altro che far proliferare i comuni e a causa delle differenti situazioni non tardarono a sorgere casi di enti locali incapaci di badare a sé stessi. Questi ultimi, avrebbero potuto contare sull’appoggio dell’amministrazione centrale, generando una sorta di deresponsabilizzazione delle autorità locali, il che non sarebbe stato d’aiuto nella loro crescita.

Gli enti più solidi, invece, non smisero di desiderare di liberarsi da quel tipo di controllo troppo lesivo della capacità di sviluppo.

La situazione non beneficiò di importanti migliorie neanche a seguito della legge Crispi del 1888, che, introducendo un nuovo ordine di controllo sugli enti locali, la Giunta Provinciale Amministrativa, sostanziò l’unificazione amministrativa italiana. 

Successivamente nel 1903, Giolitti realizzò la municipalizzazione dei servizi di pubblico interesse: tale riforma perseguiva il fine di contenere gli effetti negativi che avrebbero portato i monopoli privati nel campo dei servizi pubblici, ponendo le basi per l’iniziativa pubblica locale.

Dopo questa novità, lo Stato liberale emanò come ultimo testo il R.D. n. 148/1915 che riformò la composizione dei Comuni, basandosi su tre organismi (che sono quelli attuali): il Consiglio, la Giunta e il Sindaco.

Con l'avvento della Costituzione italiana, l'assetto della Repubblica subì una profonda metamorfosi dove trovarono accoglimento e valorizzazione istanze pluralistiche ed autonomistiche fino ad allora sopite; di notevole importanza, a tal proposito, ritroviamo l'art. 5 della Cost. che, promuovendo il sistema delle autonomie locali, diede il via al processo di adeguamento (e ripensamento) della legislazione statale alle esigenze delle singole amministrazioni territoriali, in modo tale da creare una sorta di decentramento amministrativo quale fattore di democratizzazione e di decongestionamento dell’apparato burocratico statale.[7]

In virtu' di ciò si è assistito «da un lato, nella costituzionalizzazione dei diritti sociali e nella tutela dei soggetti economici, dall'altro, nella ridefinizione delle funzioni assegnate ai livelli territoriali, nell'ottica di un più esteso pluralismo (o policentrismo) decisionale»[8].

Con essa, inoltre, subì un cambiamento anche il sistema di controllo, nel quale gli organi politici persero il loro potere e vennero previsti dei nuovi organi di controllo per gli Enti locali, quali i comitati regionali di controllo, CO.RE.CO.

L’autonomia degli Enti locali, però, risultava ancora limitata dal governo centrale, in quanto continuava ad individuare i criteri di liceità da applicare all’attività amministrativa e le modalità di attuazione dei controlli.

La prima legge generale che ha dettato i principi cardini dell’ordinamento delle autonomie locali è stata la L.142 / 1990, che disciplina la cooperazione dei comuni e delle provincie tra loro e con la Regione, per realizzare un efficiente gestione delle autonomie locali per lo sviluppo sociale, civile ed economico.

Dalla sopracitata legge si evince il riconoscimento dell’autonomia statutaria e regolamentare degli enti locali tesa a garantire ogni espressione del pluralismo sociale nonché il perseguimento di interessi autonomi rispetto al potere centrale (purché gli stessi non fossero stati in contrasto con interessi di ordine superiore).

Suddetta Legge ha inoltre apportato ulteriori innovazioni come l’abrogazione dei controlli di merito, il taglio degli atti sottoposti al controllo preventivo di legittimità e una nuova composizione dei CO.RE.CO., che hanno innescato il processo di liberazione degli enti locali dalla precedente situazione limitativa.

Sulla stessa scia hanno operato rispettivamente le leggi Bassanini, fra cui la L. 59/1997 e la L. 127/1997, che hanno favorito la revisione del quadro ordinamentale vigente, nonché riformato in profondità l'amministrazione italiana secondo un metodo che è stato definito «performativo metacronico»[9]; fra le novità si sottolineano: a) l’introduzione delle autonomie funzionali (collocandole nella complessa e innovativa architettura del decentramento amministrativo)[10], quale nuova categoria di enti pubblici caratterizzati dall’essere “nel contempo organizzazioni pubbliche locali per compiti determinati (enti funzionali) e organizzazioni rappresentative della società, delle rispettive comunità di riferimento”[11]; b) l’attuazione di un federalismo amministrativo con l’obiettivo di ridisegnare l’organizzazione, i controlli e il sistema di funzionamento dell’amministrazione locale, che avesse come unico limite l’invariabilità della Costituzione.[12]

Il processo di semplificazione dell’attività amministrativa degli enti locali si è concluso con l’emanazione del D. Lgs. 112/1998 e l’approvazione della legge n. 265/1999, le quali, hanno ampliato la potestà statutaria degli enti, mediante una profonda riorganizzazione delle strutture amministrative, sia per quanto attiene alla composizione ed al funzionamento sia per quel che concerne le competenze attribuite, «in un’ottica più generale di favore per le prospettive federalistiche e comunque di un avvicinamento delle istituzioni alle istanze concrete provenienti dai cittadini»[13].

3. Il concetto di “autonomia” dell’ente locale

Il concetto di autonomia (amministrativa), promossa e sancita dall’articolo 5 della Costituzione, riguarda il riconoscimento (e l’autodeterminazione) di una serie di competenze politiche e amministrative (anche esclusive) alle persone giuridiche pubbliche istituzionali (es. l’INPS) e territoriali (es. la Regione) che esprimono più da vicino le esigenze dei cittadini, definite dall’appartenenza comune ad un ambito spaziale determinato e limitato entro il contesto unitario e comune della Repubblica.[14]

L’autonomia, distinguendosi dal decentramento[15], fa dunque riferimento alla complessità del modello organizzativo di una comunità all'interno del suo territorio che, articolandosi in una pluralità di istituzioni locali caratterizzate da propri fini e funzioni, è indirizzata a migliorare l’efficienza amministrativa, affidando, all’ente istituzionale più prossimo ai bisogni dell’individuo, la titolarità delle suddette funzioni preordinate alla cura di tali interessi».[16]

Le autonomie locali sono plurali sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo : il primo pluralismo è elencato nella Costituzione all'art. 114: “La Repubblica è costituita da Comuni , dalle Provincie, dalle Città metropolitane e dalle Regioni”; il pluralismo quantitativo, invece, asserisce alla distinzione tra la dimensione locale e quella più ampia della Repubblica, in base alla quale ad ogni livello dimensionale sono individuate varie aggregazioni messe in relazione rispetto alla Repubblica e rispetto alle altre dello stesso tipo.

Il compito che tali enti devono assolvere è sensibile ai cambiamenti inevitabili dello sviluppo in generale e come tale è di difficile impresa stabilire dei principi fissi su cui plasmare l'intero sistema. Ciò non esclude che non ci siano delle fonti primarie di rango costituzionale alla quale l'intera materia si è ispirata; tuttavia, è necessario assoggettare la disciplina a continui aggiornamenti affinché il fine ultimo dei suddetti organismi venga ottemperato.

Vi sono ulteriori tipi di autonomia riconosciute dall’ordinamento statuale, con un proprio diritto di essere previste e tutelate, che possono così classificarsi:

  • L’autonomia normativa che permette di emanare norme giuridicamente vincolanti;
  • L’autonomia statuaria, che consente di disciplinare la propria organizzazione e funzionamento;
  • L’autonomia organizzativa;
  • L’autonomia impositiva e finanziaria nell'ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica.

1) Circa la potestà normativa, nel corso degli ultimi anni si sono susseguite diverse riforme che ne hanno modificato l’assetto istituzionale. Ad esempio, L. n. 3/2001, novellando il titolo V, Parte II della Cost., dedicato appunto al sistema delle autonomie territoriali, Regioni, Province e Comuni, ha rafforzato il rapporto esistente tra Stato e Regioni, stimolando nuove forme di collaborazione tra i soggetti pubblici e privati secondo il principio di sussidiarietà verticale (che investe i rapporti tra i diversi livelli di governo) e orizzontale (che attiene alla relazione tra lo Stato e la società). Il principio si basa sul collegamento di due principi fondamentali della Costituzione: quello che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2), e quello che garantisce le autonomie territoriali (art. 5). [17]

Sono accresciuti inoltre i poteri degli altri enti locali grazie una ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni (affiancando ad esse una potestà normativa regionale di carattere residuale su tutte le materie non ricompresse fra quelle elencate nell’art. 117 Cost.) e grazie anche all’abolizione dell’art. 128 Cost. che prevedeva potestà normativa esclusiva dello Stato circa l’ordinamento degli enti locali.

2) La potestà statuaria dei Comuni e Province è stata introdotta dalla L. 142 /1990, che prevede appunto la facoltà di disporre di propri statuti organizzativi dell’ente, deliberati a maggioranza qualificata dai rispettivi organi consiliari, osservando i principi fissati dalla legge ordinaria.

A disciplinare in maniera più specifica le linee principali previste dallo Statuto, intervengono i Regolamenti, attraverso i quali l’ente locale può esercitare il proprio potere normativo ai sensi dell’art. 117, comma 6, della Costituzione: il regolamento detta una disciplina di dettaglio, ragion per cui, anche in considerazione della superiorità gerarchica dello statuto rispetto al regolamento, deve ritenersi che, tutt’al più, possa configurarsi una riserva relativa e non assoluta di regolamento nelle materie indicate dalla norma costituzionale.  [18]

Ai sensi dell’art. 7 del D.lgs. 267/2000 è di competenza del Comune adottare regolamenti, nel rispetto della legge e dello Statuto. Questi sono deliberati e approvati dai Consigli Comunali, ad eccezione del Regolamento degli Uffici e dei Servizi, approvato dalla Giunta.

Con riferimento alle ordinanze di necessità e urgenza, l’art. 50, comma 5, TUEL prevede che sia il sindaco o il presidente della provincia ad emanarle.

Tali tipologie di atti sono caratterizzate dall’eccezionalità, ossia al di là dell’ordine naturale dello svolgersi dell’azione amministrativa. Circa il dibattito intorno alla natura di tali ordinamenti, la Corte costituzionale li ha dichiarati atti di natura amministrativa definendone anche le condizioni abilitanti l’intervento come l’impossibilità di utilizzare provvedimenti amministrativi tipici, purché ne sia data congrua motivazione, o come il rispetto del criterio di proporzionalità tra mezzo da adottare e fine da perseguire.

3) In merito all’autonomia organizzativa essa si estrinseca nella capacità dell’ente di «dotarsi di una struttura organizzativa autonoma, in deroga alla regola generale che regolamenta i rapporti con gli organi superiori (…) attraverso la predisposizione di mezzi, strutture e dotazioni di personale per poter svolgere efficacemente la propria attività»[19]; all’autonomia organizzativa si lega il concetto di autarchia ovvero la capacità di un ente locale di poter svolgere un attività amministrativa avente la medesima efficacia di quella dello Stato.

Circa il riconoscimento dell’autonomia all’interno delle relazioni tra Stato e Regioni, ci sono sempre state delle interferenze dettate dalle esigenze del momento che hanno implicato a loro volta delle limitazioni ai diritti fondamentali, imposte da situazioni contingenti e necessitate. Un esempio eclatante che tocca un tema molto sensibile e che ha riacceso il temuto dibattito, lo possiamo collocare ai giorni nostri, ossia il periodo segnato dalla pandemia Covid-19.

La gestione delle fattispecie attinenti alla salute pubblica presuppone sempre un’azione congiunta Stato-Regioni. Tuttavia, la particolare situazione di emergenza è andata a stravolgere il rapporto di coordinamento necessario ed il coinvolgimento degli organi di governo centrale e periferico; confusione enfatizzata dall’emanazione dal decreto-legge n.6/2020 (convertito in L.13/2020) che ha trasferito alle autorità competenti il potere di adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata all’evolversi della situazione epidemiologica.

Ed è proprio da questa legge che possono essere evinti i caratteri della debole collaborazione tra Governo e Regioni, in quanto appare evidente la volontà dello Stato di mantenere un ruolo incisivo e un accentramento delle competenze nella gestione dell’emergenza.

Di conseguenza, i decreti emergenziali hanno lasciato alle Regioni un ruolo residuale, ammettendo un loro intervento nei soli casi e nei limiti espressamente previsti.

Seguendo questa linea di azione, si sarebbe andati inevitabilmente incontro ad un acceso dibattito nei rapporti tra Stato e Regioni nell’adozione di misure di contenimento del virus e nell’organizzazione della campagna vaccinale.

Caso emblematico di questa disfunzione istituzionale è stato l’emanazione il 22 e il 24 marzo scorso di due distinti provvedimenti contingibili e urgenti, rispettivamente l’uno a firma del Presidente del Consiglio dei ministri valido per tutto il territorio nazionale, e l’altro varato dal Presidente di Regione Lombardia (ordinanza n. 515) per il territorio di competenza, i quali hanno disposto nuove misure restrittive per arginare la diffusione del contagio da covid19. [20]

Con l’emanazione del decreto-legge n. 19/2020 tale problematiche sono state in parte risolte, riconoscendo infatti un potere regionale di adozione di misure di contenimento, entro “limiti” ben precisi (art.3), rimanendo tuttavia un principio di prevalenza dell’intervento statale sui poteri regionali (art. 1 co. 16).

I dubbi di legittimità costituzionale sono stati risolti in via definitiva con la sentenza n. 37 del 2021 della Corte Costituzionale, la quale, pronunciandosi sulla legge della Valle d’Aosta n. 11 /2020 che consentiva l’esercizio di alcune attività, in contrasto con quanto previsto a livello nazionale, ha affermato il divieto per le Regioni, anche ad autonomia speciale, di interferire legislativamente con la disciplina fissata dal esclusivo legislatore statale in materia di profilassi internazionale. [21]

Pur se ammissibile, tale meccanismo andava a ledere il principio di leale collaborazione che deve rappresentare il pilastro cui devono informarsi i rapporti Stato-Regioni sia nell’ordinarietà di governo sia nella gestione delle situazioni di emergenza. Alla luce di suddetto principio, i provvedimenti normativi del Governo avrebbero dovuto implicare una maggiore collaborazione con i governi regionali e un loro coinvolgimento attraverso lo strumento dell’intesa e la ottimizzazione della Conferenza Stato-Regioni e autonomie locali.

Dunque, non è da giustificare a pieno la loro scarsa coordinazione, anzi in queste situazioni particolari non è efficace adottare un modello basato sulla separazione delle competenze, ma è solo tenendo conto delle differenziate esigenze territoriali che è possibile gestire al meglio problematiche emergenze.

3.1 L’autonomia finanziaria: analisi dell’art. 119 della Costituzione

L'autonomia finanziaria si sostanzia nella capacità di gestire il proprio patrimonio e le proprie fonti di entrata. I principi regolatori della stessa si possono ritrovare all’interno della Costituzione all'art. 119, 81, 117 e nel TUEL. Tale autonomia si esplica considerando i limiti stabiliti dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato, ed è proprio l'art. 119 della Costituzione a tracciarne le linee generali. L’ordinamento amministrativo costituzionale dello Stato è stato più volte modificato per cercare di ottenere un'autonomia economico e finanziaria sempre più accentuata degli organismi periferici.[22]

Il processo di aggiornamento è iniziato con la lontana legge Bassanini bis del 1997, poi arrivare ad una nuova formulazione dell'art.119 a seguito delle modifiche introdotte con la legge costituzionale n.3 del 2001, fino all'introduzione del principio del federalismo fiscale attuale. Analizzando la nuova formulazione del suddetto articolo costituzionale possiamo scorgere sin da subito una sostanziale differenza con quello previgente, in quanto in quest'ultimo l'autonomia di entrata e di spesa era limitata solo alle Regioni. A seguito della riforma questa è stata estesa a tutti gli enti territoriali.

Tale concessione, di allargare l'autonomia economico finanziaria degli enti, avrebbe condotto ad un aumento delle voci della spesa pubblica “perché alla spesa dello Stato e delle regioni vengono aggiunte quelle dei Comuni, Province e città metropolitane”[23]. Per cercare di limitare “tali effetti indesiderati” viene introdotto con la legge di riforma costituzionale del 20 aprile 2012 n.1, il vincolo del pareggio del bilancio con la conseguente modifica dell'art.81 della Cost. in base al quale viene dedotto l'onere dello Stato di assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio attraverso la verifica della disponibilità delle risorse impiegate.

Occorre ricordare che il bilancio è un bene pubblico nel senso che è necessario per rendere certe le scelte dell’ente, sia in ordine all’acquisizione delle entrate, sia all'individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche che devono avere il carattere della chiarezza e specificità.

La Corte costituzionale sostiene che per aversi il compimento del pareggio del bilancio è necessario l’equilibrio di due dettami: il primo riguarda il pareggio delle previsioni di entrata e di spesa, il secondo invece riguarda l’impossibilità di superare gli stanziamenti concessi in corso di esercizio.

Dinnanzi ad una legge di spesa che non rispetti la neutralità fiscale, la Corte non può pronunciarsi circa l’illegittimità senza motivazioni documentate sia a livello nazionale che europeo. A tal proposito si nota che le norme europee sulla governance presuppongono la sorveglianza multilaterale o “macroeconomica”[24] e una politica comunitaria di coordinamento riguardanti i vincoli economici e finanziari imposti dall'Unione agli Stati membri.[25]

La Corte costituzionale, inoltre, qualora sia chiamata a giudicare circa l’incostituzionalità dovuta a violazione dell’art. 81 della Costituzione, deve connettersi con la Corte di Giustizia per determinare l’interesse delle prescrizioni in tema di governance economica e solo a seguito di sue disposizioni, questa può disapprovare le disposizioni legislative contrastanti.

Tornando al tema principale, il secondo comma dell’art.119 della Cost. attiene all'autonomia delle risorse di ciascun ente, intesa soprattutto come potestà di applicare tributi ed entrate proprie, tutto ciò nel completo rispetto e armonia dei principi di coordinamento della finanza pubblica (art.117 della Cost.).

È palese qui il segno di rottura con il previgente sistema basato sul criterio della spesa storica, ossia l'ammontare effettivamente speso dall'ente in un anno per l'offerta di servizi ai cittadini, ricalcolato con l'ausilio delle informazioni raccolte attraverso i questionari.

Proseguendo nell’analisi, lo stesso articolo ai sensi del terzo comma, demanda alla legge l'istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

Tale scelta evidenzia il tratto decentrato del sistema fiscale, assente nella previgente normativa, grazie al quale i vari territori sono responsabilizzati nella scelta di spesa e nelle fasi del funzionamento nei confronti delle popolazioni sottostanti, così facendo, il legislatore costituzionale «ha inteso accrescere la vigilanza democratica del corpo elettorale regionale sull'operato degli organi attivando un rapporto fisiologico tra taxation e representation»[26].

Se dunque il gettito delle entrate è correlato al territorio, è necessario l'intervento del sistema perequativo che vada a sostenere i vari territori in cui le entrate non siano adeguate per via dello scarso sviluppo territoriale e non dell'inefficienza del sistema amministrativo.

Circa la graduazione del coefficiente di correzione delle capacità fiscali, il Testo costituzionale non dà indicazioni precise; è evidente che dovrà assicurare un equilibrio tra autonomia finanziaria ed esigenze solidaristiche.

Dal quarto comma si evince, invece, il principio della necessaria corrispondenza fra funzioni attribuite e risorse. Le entrate devono essere in grado di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Le risorse aggiuntive e interventi statali in favore di enti bisognosi , sono disciplinate dal quinto comma: “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione, la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti alla persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni”[27], scomparendo nel dettato il riferimento alla valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole come finalità prioritaria dell'intervento statale.

Per quanto attiene le funzioni non essenziali, ogni regione dovrà provvedere a finanziarle autonomamente.

Con riferimento al finanziamento di tutte le prestazioni relative ai diritti civili e sociali viene ribaltato il principio di territorialità, prevedendo che debba essere la legge statale a disciplinare la determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni.[28]

In questo scenario, dunque, accanto al principio dell'autonomia si affianca quello della coesione che si sostanzia nella previsione di un meccanismo di perequazione rivolto ad assicurare ciascun ente almeno in fase di partenza pari opportunità finanziarie tra le amministrazioni territoriali.

Da ultimo, al sesto comma, viene introdotta la regola aurea dell’indebitamento, la quale approva il ricorso a tale strumento solo per finanziare spese di investimento, in quanto gli enti territoriali sono detentori di un patrimonio proprio, attribuito sulla base dei principi determinati dalla legge. Con legge di riforma Costituzionale n.1 /2012 è stato poi riconosciuto la facoltà dell'indebitamento solo «a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione, sia rispettato l'equilibrio del bilancio e nel caso di accensione del debito gli enti beneficiari devono provvedere alla contestuale definizione di piani di ammortamento».[29]

4. Il Federalismo fiscale: La legge delega 42/2009

Il vero e proprio riconoscimento dell’autonomia finanziaria degli enti locali è avvenuto mediante adozione del Dlgs. 118/2011 che, trovando conferma nella novella costituzionale del 2012, ha ridefinito l'ordinamento contabile degli enti territoriali.[30]

Tale disposizione è stata emanata in attuazione della legge n.42 del 2009, che, modificando l’art. 119 della Costituzione, ha conferito la delega al Governo, a adottare una serie di decreti legislativi in materia di federalismo fiscale, indicando e stabilendo in via esclusiva i principi e i criteri cui attenersi, finalizzati all’armonizzazione (e al raccordo) di tutte le amministrazioni pubbliche al governo di finanza pubblica, e la confrontabilità dei dati di bilancio delle differenti amministrazioni.[31] L'esigenza di una standardizzazione ed armonizzazione nel settore pubblico creerebbe indubbi vantaggi di tipo economico, oltre che di tipo informativo mediante : i) la definizione dei postulati di bilancio, che dovranno essere gli stessi in tutti gli ordinamenti (Stato, Regioni, Province, Comuni); ii) l’uniformità dei prospetti di bilancio, con una struttura obbligatoria per voci aggregate; iii) l’indicazione dei principi contabili da adottare.[32]

Il processo di armonizzazione degli enti locali ha trovato concreta applicazione a decorrere dal 2015, dopo una lunga fase di sperimentazione, venendo poi estesa a tutte le autonomie speciali nel corso del 2016.[33]

Ciò che occorre osservare è che anche a seguito di questa normativa, la giurisprudenza costituzionale ha rinvenuto notevoli incursioni del legislatore statale in materie di competenza regionale, lasciando inattuato il principio di autonomia degli enti territoriali anche sul piano finanziario.[34]

È possibile ricavare degli esempi nel settore dei pubblici trasporti, dove a causa dell’incompletezza dell’art. 119 Cost., sono da giustificare operazioni penalizzanti l’autonomia locale che sono fondamentali per il finanziamento dei servizi.

La norma costituzionale però, anche se contempla un principio di autogoverno locale che sia in armonia con i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario che derivano dall’art.117, terzo comma, della Costituzione, attribuisce agli enti locali la potestà impositiva. Tuttavia, molto spesso, il legislatore per far fronte a oneri finanziari statali è venuto meno al suddetto principio. Questi “vuoti normativi” sono stati colmati grazie all’introduzione della L. 42/2009, attuativa dei principi sanciti dall’art. 119 della Costituzione, mettendo in moto il processo di realizzazione del disegno autonomistico volto a contemperare le spinte di ridistribuzione egualitaria, proprie di ogni sistema di Welfare, con la naturale tendenza alla differenziazione, coltivata da ogni sistema autonomistico.[35]

Il termine federalismo fiscale non designa un sistema specifico di finanziamento degli enti territoriali ma indica un assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato ed enti locali improntato sul principio dell'autonomia finanziaria e sulla fissazione di principi e strumenti di coordinamento della finanza e del sistema tributario dello Stato ed Enti. L'attuazione reale dell’autonomia finanziaria degli enti locali e delle Regioni prevista dall'art.119 della Cost. rappresenta uno degli snodi fondamentali lungo la strada del processo federalista del nostro Paese, chiudendo le porte al vecchio sistema di finanza derivata, in base al quale gran parte di tributi viene riscossa dallo Stato e che poi provvede alla distribuzione tra gli enti. Il tratto tipizzante del nostro federalismo, ossia federalismo solidale, è ricavato dall'art. 2 della L.42 /2009 il quale sancisce la leale cooperazione tra tutti i livelli di governo, il cui buon esito dipende anche e soprattutto dalla concreta collaborazione tra i diversi enti che compongono la Repubblica.[36]

Il fine di questa cooperazione va ricercato nella tutela dell'universalità dei diritti dei cittadini e per la crescita dell'intera comunità. Un altro principio tipico del federalismo italiano è basato sul superamento della spesa storica e della standardizzazione dei costi, per lasciare spazio al criterio del costo standard, secondo cui il costo per l'erogazione di una funzione deve essere uguale in tutto il territorio. L'utilizzo di tale criterio è limitato solo alle funzioni regionali connesse ai livelli essenziali delle prestazioni attinenti ai diritti civili e sociali ai sensi dell'art. 117 co.2 m della Costituzione (definition of standard levels of services - LEP) e le funzioni fondamentali. I LEP, pur rappresentando una tappa fondamentale dello sviluppo del sistema di welfare multilivello e oggi dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - PNRR, ha dato origine a una certa incertezza (o enigma) circa la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni in ambito giurisprudenziale e dottrinale. [37]

Il finanziamento delle funzioni che si riferiscono ai LEP deve essere calcolato sulla base del predetto criterio del costo standard e deve garantire la totale copertura delle spese necessarie, mentre per le altre funzioni non è garantita una totale copertura dei costi. Questa differenza sembra ingiustificata agli occhi della dottrina, in quanto nella legge delega viene ravvisato anche il principio di flessibilità dei tributi, il quale per sostenere i costi delle funzioni ad essi assegnati, permette alle istituzioni dotate di minore capacità fiscale, di attuare un prelievo superiore rispetto a quelli con maggiore capacità fiscale. Il processo di federalismo, ovviamente, ha richiesto vari decreti attuativi nel corso del tempo, che hanno contribuito a delineare in maniera più dettagliata il suo assetto.

Il primo ad entrare in scena è stato il Decreto 216/2010 , secondo cui l'onere di determinare il fabbisogno standard grava sulla Sole S.p.a. , ossia alla società per gli studi di settore, la quale deve raccogliere informazioni necessarie mediante apposti questionari destinati agli enti locali; successivamente un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i pareri degli organi previsti ad hoc dalla legge delega, dovrà adottare lo schema dei fabbisogni standard determinati secondo questa procedura.[38] Merita menzione anche il D. lg. n.23 / 2011 concernente “Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale” il quale riporta una serie di novità come l'introduzione dell'imposta municipale (IMU) relativa al possesso d'immobili diversi dalla prima casa, dell'imposta di soggiorno e di scopo, aventi il fin di incrementare le casse comunali.

Il decreto stabilisce inoltre che ai Comuni deve essere attribuito il gettito dell'imposta di registro, di bollo, ipotecaria e catastale, dell’IRPEF sui redditi fondiari con esclusione del reddito agricolo. Il sistema di finanziamento è stato revisionato dal D. lgs. n.68/2011, che si pone l'obiettivo di rafforzare la capacità finanziarie delle regioni riguardo le proprie spese attraverso entrate tributarie geografiche. L’aumento del peso delle entrate geografiche nelle regioni ordinarie attribuisce alla normativa una portata notevole poiché tali entrate si avvicinerebbero molto a quelle delle regioni speciali.[39] Viene dunque attribuito alle regioni ordinarie la potestà di istituire tributi autonomi a condizione che ad esserne colpiti siano solo i residenti nella stessa regione e che rispettino l'ordinamento comunitario, la Costituzione e normativa statale. Nell'ottobre 2011 è stato emanato il decreto legislativo n. 149/2011 relativo alla disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni ed enti locali, che ha implementato uno dei principi essenziali contenuto nella legge delega, vale a dire la responsabilizzazione degli amministratori degli enti territoriali.

Ulteriore novità è la responsabilità politica dei presidenti delle regioni, dove in caso di squilibri nei conti sanitari il Consiglio regionale viene sciolto e il Presidente dichiarato non ricandidabile per dieci anni e la decadenza automatica del collegio dei revisori e dei manager del sistema sanitario sempre nel caso di grave dissesto finanziario del settore. Infine, il rafforzamento delle sanzioni a carico degli enti che non rispettino il patto di stabilità interno ed un sistema premiale per gli enti ritenuti virtuosi.[40]

Concludendo possiamo individuare nell’art. 9 della legge 42, un criterio irrinunciabile affinché venga garantito il rispetto della corrispondenza tra funzioni e risorse. Inoltre, sarebbe necessario adottare un meccanismo di perequazione che sia in grado di colmare le differenze dovute alla minore capacità fiscale per abitante, rendendo necessaria la riforma catastale.

Ed è in tal senso che opera la Legge delega per la riforma fiscale del 22 giugno 2022, con la quale è stata attribuita al governo la capacità di adottare norme miranti alla modifica del sistema di rilevazione catastale degli immobili utilizzando nuovi strumenti che possano rendere più agevole il classamento degli stessi. Per garantire una corretta classificazione occorre considerare oltre alla normale rendita catastale anche una rendita soggetta a variazioni periodiche. Tale progetto ha accolto l’avvertimento della Corte costituzionale nella sentenza 220/2021 nel quale ha osservato che gli effetti in termini di shock perequativo subiti da circa 4100 enti in conseguenza della ridistribuzione del fondo di solidarietà, confermano la presenza di criticità nella distribuzione delle risorse tra i Comuni italiani.[41]

5. L’Ordinamento finanziario e contabile nel TUEL

A codicizzare l'attività di promozione del carattere dell’ autonomia normativa, finanziaria e contabile degli enti territoriali ci ha pensato il D.lgs. n. 267/2000, il testo unico dell’ordinamento degli enti locali, disciplinato nella parte seconda, titolo I del TUEL, agli articoli dal 149 al 269.[42] Le linee di intervento dell'attività della Direzione centrale sono state indirizzate pertanto a fornire assistenza alle comunità locali affinché queste potessero recepire le novità introdotte in materia (programmazione, bilancio economico etc.) raccogliendone nel contempo gli spunti innovativi o correttivi per una migliore gestione contabile, finanziaria economica e di bilancio.[43]

In tal senso, il Ministero dell'interno svolge un ruolo di primo piano perché attore e interlocutore principale delle domande di riforma che interessano l'universo dalle autonomie locali, in continuo sforzo d'adeguamento agli standard europei dei servizi maggiormente diffusi sul territorio.

I principi generali in materia di finanza sono enunciati nell'art. 149 del Testo unico, il quale afferma che è la legge dello Stato a regolare in primis l’ordinamento finanziario, fermo restando l'obbligo di ciascun ente di adottare un proprio regolamento di contabilità, applicando i principi dettati dalla legge e adattandoli alla comunità di riferimento.

La legge infatti assicura una certa “potestà impositiva” autonoma agli enti sia nel campo delle imposte, che delle tariffe e tasse. Ai sensi dell'art.52 del D.lgs. n.446/1997 e seguenti modifiche, i Comuni e Province possono regolamentare le proprie entrate, ad eccezion fatta per la definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell'aliquota massima dei singoli tributi. Alla luce dell'art. 117 della Costituzione si evince che il legislatore statale ha competenza esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato e di perequazione delle risorse finanziarie; mentre viene attribuito alle regioni la potestà legislativa concorrente in materia di armonizzazione dei bilanci, finanza e del sistema tributario, dunque, nelle materie non riservate alla competenza statale.

Successivamente viene fatto un elenco dei componenti della finanza locale, quali appunto imposte proprie, addizionali e compartecipazioni ad imposte erariali o regionali, trasferimenti erariali e regionali, risorse per investimenti ed altre entrate. Circa i trasferimenti erariali, essi sono ripartiti secondo criteri obiettivi che considerano la popolazione, territorio e condizioni socioeconomiche.

Come abbiamo più volte ribadito, le entrate fiscali servono a finanziare i servizi pubblici ritenuti necessari per lo sviluppo della comunità ed integrano la contribuzione erariale per l'erogazione dei servizi pubblici indispensabili la stessa legge determina poi sia il fondo nazionale ordinario per contribuire agli investimenti degli enti locali destinati alla realizzazione di opere pubbliche di maggiore interesse sociale ed economico, sia un fondo nazionale speciale per finanziare con criteri perequativi gli investimenti destinati alla realizzazione di opere pubbliche in aree definite dalla legge.

Le regioni concorrono al finanziamento degli enti locali per la realizzazione del piano regionale di sviluppo e dei programmi di sviluppo. Le risorse spettanti ai comuni e province per spese di investimento previste da leggi settoriali dello Stato, sono distribuite sulla base di programmi regionali. Le regioni, inoltre, determinano con legge i finanziamenti per le funzioni da esse attribuite agli enti locali in relazione al costo di gestione dei servizi basandosi sulla precedente programmazione regionale.

Gli altri articoli diventano man mano più tecnici e disciplinano interamente l'assetto finanziario e contabile dell'ente, come l'art. 152 ai sensi del quale il regolamento di contabilità stabilisce le competenze specifiche dei soggetti dell’Ente che adottano ed attuano provvedimenti di gestione a carattere finanziario e contabile; e assicura la conoscenza dei risultati delle gestioni di funzioni e servizi.

Questa particolare tipologia di potestà regolamentare può estendersi anche al punto che il TUEL stesso prevede che le disposizioni contenute in alcuni dei suoi articoli, espressamente indicati, possano essere disciplinati diversamente nel regolamento di contabilità dell’ente locale. Un elemento fondamentale circa l'ordinamento contabile è rinvenuto nel bilancio, in particolare in quello di previsione, con il quale viene programmata l’attività dell’ente e stanziati i fondi necessari.

La sua importanza è tale che, come abbiamo visto, la mancata approvazione costituisce una delle cause di scioglimento del Consiglio (art. 141 TUEL). Il bilancio preventivo viene redatto in termini di competenza e si ispira ai principi contabili definiti nell'art. 162 TUEL, quali veridicità e attendibilità, unicità, annualità, universalità, integrità e pubblicità.

Infine, il bilancio ha carattere “autorizzatorio”, ossia autorizza le spese che vi sono iscritte, ma al contempo ne costituisce il limite. (Art.164 c. 2) Questi principi vanno integrati col principio di programmazione (art. 150 c. 2) e con i principi di cui all’allegato 1 del D. Lgs. 118/2011, opportunamente richiamati dall’art. 162 c. 16. 

La riforma dell’ordinamento finanziario e contabile ha poi riportato un'ulteriore novità, ossia la previsione del DUP, Documento Unico di Programmazione (art. 170), che va di fianco al bilancio finanziario e sostituisce sia la relazione previsionale e programmatica che il piano generale di sviluppo. Lo schema di bilancio di previsione finanziario e il DUP sono predisposti dalla Giunta e presentati in forma definitiva al Consiglio, unitamente agli allegati, entro il 15 novembre di ogni anno, affinché li approvi entro il 31/12.8 (art. 174).

Tali strumenti di programmazione, rappresentano il presupposto fondamentale per l’attuazione del controllo di gestione ovvero: «il processo di analisi e valutazione che, comparando e ordinando coerentemente tra loro le politiche e i piani per il governo del territorio, consente di organizzare, in una dimensione temporale predefinita, le attività e le risorse necessarie per la realizzazione di fini sociali e la promozione dello sviluppo economico e civile delle comunità di riferimento»[44].

Il regolamento di contabilità dell’ente prevede un congruo termine per tutti questi adempimenti ed anche i termini per la presentazione di emendamenti (modifiche) allo schema di bilancio da parte del Consiglio.[45] La riforma dell'armonizzazione contabile ha inciso su tantissimi bilanci degli enti e ha aperto la strada verso la disposizione di bilanci omogenei e confrontabili, in virtù del fatto che sono elaborati con gli stessi criteri contabili capaci di soddisfare la necessità di informazione relativa al coordinamento della finanza pubblica e alla gestione del federalismo fiscale.

Merita di essere annoverata la citazione della Corte dei conti che nel corso dell'audizione parlamentare sullo schema di decreto relativo all'armonizzazione ha espresso un apprezzamento: “nell’intenso dibattito sul federalismo fiscale è rimasto in ombra il tema dell'armonizzazione dei principi contabili degli schemi di bilancio.

Si è in presenza invece di uno snodo essenziale per il concreto avvio ed il consolidamento del federalismo fiscale”[46]. A seguito di un primo periodo transitorio, l’armonizzazione contabile degli enti locali ha dovuto scontrarsi con alcune norme statali che ne hanno compromesso l’efficacia. La normativa ha previsto la costituzione di un fondo crediti di dubbia necessità per evitare situazioni di residui attivi. Suddetto fondo può fungere anche da “spinta” alla redazione di bilanci preventivi così attendibili da facilitare l’efficace gestione delle entrate.

Il progetto di armonizzazione, come detto in precedenza, è stato compromesso da alcune tipologie speciali di norme, che non hanno fatto altro che allontanare gli enti dall’obiettivo di raggiungere sane gestioni finanziarie.

Gli accantonamenti diretti a finanziare il FCDE, potevano pervenire anche dai FAL, ossia le quote accantonate nel risultato di amministrazione a seguito dell’erogazione delle anticipazioni. La Corte costituzionale (con sentenza n.4 del 2020) ha rinvenuto in questo meccanismo una sorta di possibilità di svincolare quote di avanzo che in realtà sarebbero destinate al FCDE, permettendo inoltre all’ente di utilizzarle come fossero dei veri indebitamenti (in violazione della regola aurea prevista dall’art. 119 della Costituzione secondo cui l’indebitamento degli enti territoriali deve essere riservato a spese di investimento, in modo da determinare un tendenziale equilibrio tra la dimensione dei suoi costi e i benefici recati nel tempo alle collettività amministrate)[47].

Codesto artifizio andava a creare un indebito incremento della capacità di spesa e aggravava il deficit esistente, generando solo un fittizio miglioramento del bilancio, che tra l’altro avrebbe condizionato anche gli esercizi futuri.  Tutto ciò va a ledere i principi costituzionali di equilibrio e sana gestione delle finanze e si poneva altresì in contrapposizione con la funzione “certativa” del bilancio.

Nella successiva sentenza n. 115 del 2020, la Corte costituzionale censura il predetto meccanismo in virtù del fatto che la contabilizzazione di distinti disavanzi andrebbe a integrare una forma di indebitanti occulta dell’ente, contrastante con gli art.119 comma 6,81 e 97 della Costituzione.[48]

La sentenza n.80 del 2021 ha poi affermato che la ripetuta diluzione degli oneri di pareggio del maggior deficit va a violare anche il principio di responsabilità del mandato elettivo e di equità intergenerazionale[49], ribadendo la necessità di recupero dei suddetti deficit in un lasso di tempo ragionevole e rispettando il principio di responsabilità.

Siffatta sentenza, seguendo le linee delle precedenti, grida un assordante “STOP” ad ogni forma di prolungamento, da parte del legislatore, dei tempi per raggiungere l’equilibrio dei bilanci degli enti in difficoltà finanziarie.

Questo “Stop” però, non è riuscito ad avere vita lunga, in quanto a seguito della pandemia e della guerra in Ucraina che ci hanno portato ad un’ulteriore crisi, sono stati predisposti vari provvedimenti straordinari per sostenere gli Enti locali a causa delle mancate entrate e incrementate spese, portando ad una temporanea alterazione dell’ordinario sistema di relazioni finanziare.

6. Considerazioni conclusive: il processo di modernizzazione necessario

Con il nuovo governo è ripartito il dibattito sull’autonomia differenziata, invocato dall'art. 116 della Costituzione.[50] Questa nuova disposizione dà la possibilità alle Regioni a statuto ordinario di reclamare ulteriori forme di autonomia in materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Insieme alle competenze le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, non distribuito più su base nazionale ma a seconda delle necessità collettive il che potrebbe risultare pericoloso per le finanze pubbliche.[51]

Radicato in questo tipo di federalismo, si trova un problema di natura storico-economico inerente alle differenti condizioni che i diversi territori italiani si vedono costretti ad affrontare. Alcune regioni, specialmente nel Nord (la cosiddetta macroregione economica, formata da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna) hanno in passato chiesto maggiori competenze e risorse sulla base del suddetto articolo, ma senza riuscire a trovare un accordo nei vari governi. Quello attuale invece, con l'intervento del ministro Calderoli, ha provveduto a depositare un progetto di legge che definisce nello specifico la procedura di attivazione dell'art.116 (approvato il 2 febbraio 2023 dal Consiglio dei ministri). Il meccanismo di questo intervento poggia le basi sulla previsione di poter calcolare il finanziamento degli enti, tenendo conto dei fabbisogni standard, il che non rispecchierebbe interamente la legge 42/2009 e il decreto 68/2011, che prevedono questo sistema solo per garantire le prestazioni essenziali su tutto il territorio nazionale. L’ipotesi di assicurare a queste macroregioni, un trasferimento di risorse pari al valore medio della spesa pro-capite nazionale, andrebbe a configurare una fattispecie ingiustificata di arricchimento nei loro confronti, grazie alle risorse finanziate o con riduzioni di spesa o con aumenti di imposte della collettività.[52]

Ciò ovviamente ha fermentato polemiche. Il dibattito attuale è incentrato sulla quantità delle risorse che saranno messe a disposizione delle regioni richiedenti, in quanto c'è il serio rischio che l'autonomia differenziata si traduca in un aumento esponenziale delle competenze delle Regioni senza che vengano introdotti strumenti di controllo con risultati devastanti per le finanze pubbliche. Tutto ciò può provocare una sorta di disarticolazione dei servizi e una riduzione delle risorse messe a disposizione della collettività nazionale, il che sembrerebbe entrare in contrasto con il principio costituzionale di solidarietà economica e sociale, incrementando le disuguaglianze tra Nord e Sud. Il nostro premier, tuttavia, cerca parole per placare gli animi “Puntiamo a costruire un'Italia più unità forte e coesa”[53].

Dagli ideatori del disegno di legge, questo passo è ritenuto essenziale per rinnovare e modernizzare l’Italia. Calderoli sostiene che L’Italia è un treno che può correre se ci sono Regioni che fanno da traino e altre che aumentano la propria velocità in una prospettiva di coesione.[54] Non ci resta che attendere e assistere al processo evolutivo innescato e lasciare ai posteri l'ardua sentenza.

A seguito delle considerazioni effettuate, si possono comprendere gli effetti di questa tipologia di autonomia differenziata, inserita all’interno di un federalismo solidaristico e cooperativo ormai in crisi. Abbiamo assistito infatti ad un incremento notevole, da parte dello Stato, dei vincoli inerenti alle entrate, alle spese e anche su materie di stretta competenza degli enti territoriali, andando così a ledere i principi di autonomia e sussidiarietà, considerati fondamentali dalla Costituzione per un perfetto bilanciamento del sistema.

La forte crisi economica che il nostro Paese ha affrontato e sta ancora affrontando ha concesso allo Stato l’esclusività della potestà di armonizzare il bilancio pubblico, generando a sua volta una sorta di disarmonia con il principio di coordinamento nella finanza pubblica che, come sancito dall’art. 117 della Costituzione, limita il potere statale alla mera fissazione dei principi fondamentali.

Man mano si è vista ridotta l’autonomia finanziaria degli enti, utilizzando procedure di ripartizione delle competenze non definite nel dettaglio. In questa prospettiva si pone il dubbio se l’utilizzo della “clausola di asimmetria” prevista dal regionalismo differenziato possa risolvere la crisi di attuazione del principio di autonomia e di sussidiarietà, garantendo l’applicazione della neutralità perequativa.

Dunque, il principio di attribuzione di finanziamento delle competenze differenziate, non può e non deve costituire una forma di escamotage a favore delle Regioni sviluppate, di sottrarsi al dovere costituzionale di solidarietà verso le altre zone ritenute più deboli.


Note e riferimenti bibliografici

[1] C. Pinelli, Autonomia e decentramento. I due principi incontestati di un controverso regionalismo, Giurisprudenza Costituzionale, fasc.3, 1 Giugno 2021, pag. 1459; in particolare, si intende l’autonomia come «espressione non solo di libertà ma anche di una democrazia intesa in senso pluralistico (…) e il decentramento come istanza di efficienza, strettamente complementare all'autonomia in quanto satisfattib solo per il tramite di un trasferimento alle Regioni e agli enti locali di tutte le funzioni non ascrivibili al potere statale».

[2] C. Pollitt, G. Bouckaert, Public Management Reform: A comparative Analysis,‎ OUP Oxford, 2004, cit., 5 ss.

[3] Per un maggior approfondimento sul tema si veda S. Biliardo, M. Anzalone Manuale di contabilità delle regioni, degli enti locali e dei loro enti, organismi e società, Nel Diritto Editore, edizione 2021; L. Mercati Armonizzazione dei bilanci pubblici e principi contabili, pubblicato in Feralismi.it, 15 gennaio 2014.

[4] B. Caravita - G.M. Salerno, Ripensare il Titolo V a vent’anni dalla riforma del 2001, pubblicato in Federalismi.it, Editoriale del16 giugno 2021, p.3.

[5] M. Fortunati «Accentrare nell’ordine politico ed emancipare nell’ordine amministrativo». Le scelte dell’Italia in età risorgimentale in www.journals.openedition.org, pubblicato il 4 marzo 2022, p.2.

[6] U. Rattazzi, Relazione sul nuovo ordinamento comunale e provinciale fatta a S.M. dal Ministro dell’interno il 23 Ottobre 1859, p. 1249.

[7] E. Balboni, Decentramento amministrativo, cit., 518; S. Staiano, Costituzione italiana: articolo 5, Roma, Carocci, 2017, 14

[8] S. Vernile, La costituzione dimenticata: l’adeguamento dei principi e dei metodi della legislazione alle esigenze del decentramento, Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, fasc.1, 1 Marzo 2021, pag. 49. Si sottolinea inoltre

[9] G. Piperata, Gli spazi mobili dell'autonomia nell'ordinamento locale italiano  (1), Diritto Amministrativo, fasc.3, 1 Settembre, 2020, pag. 645.

[10] A. M. Poggi, L’autonomia funzionale degli enti, pubblicato in www.altalex.com, l’11 agosto 2008.

[11] A. M. Poggi, Principio di sussidiarietà e autonomie funzionali, pubblicato in Astrid il 19 settembre 2002, p.1. Per una maggior disamina sul principio di sussidiarietà orizzontale e pluralismo sociale nel disegno degli artt. 2 e 3 comma 2, Cost. si rimanda a P. Torretta, Autonomie funzionali e principio costituzionale del pluralismo nella prospettiva degli statuti regionali in formazione, Foro amm. TAR, fasc.9, 2004, pag. 2771.

[12] La L. 7 aprile 2014, n. 56 (c.d. legge Delrio), ha avviato una parziale riforma del sistema degli enti locali — solo in parte confluite nel testo unico (d.lg. n. 267 del 2000) — incentrata sulla riorganizzazione delle Province, l’istituzione delle Città metropolitane e la promozione delle forme associative, quali le Unioni di Comuni al fine di adeguare il loro ordinamento ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (L. Vandelli, La Provincia italiana nel cambiamento: sulla legittimità di forme ad elezione indiretta, in Revista catalana de dret públic, n. 46/2013, p. 103; E. Carloni, Differenziazione e centralismo nel nuovo ordinamento delle autonomie locali: note a marginedella sentenza n. 50/2015, in Dir. Pubbl., n. 1/2015, p. 160). Nonostante l’importanza dell’impianto legislativo e il complessivo rafforzamento del livello comunale e il riordino del livello intermedio, attraverso la trasformazione delle Province in enti ad elezione indiretta e l’istituzione delle Città metropolitane dall’analoga forma di governo, la legge abbisogna di alcuni rimaneggiamenti, residuando diverse criticità e alcune lacune (così in M. De Donno La riforma del governo locale nella legge Delrio: qualche riflessione cinque anni dopo, pubblicato in Federalismi.it il 3 aprile 2019, pp.5-26). Relativamente a un commento sulle disposizioni sulla c.d. legge Delrio, la n. 56 del 2014, si rimanda a F. Pizzetti, La riforma degli enti territoriali. Città metropolitane, nuove province e unione di comuni. Legge 7 aprile 2014, n. 56 (Legge “Delrio”), Milano, 2015; L. Vandelli, Città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni. La legge Delrio, 7 aprile 2014, n. 56 commentata comma per comma, Rimini, 2014; A. Sterpa, Il nuovo governo dell'area vasta. Commento alla legge 7 aprile 2014, n. 56. Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni, c.d. legge Delrio, Napoli 2014.

[13] C.A. Manfredi, La nuova disciplina degli organi politici degli enti locali e riflessi in materia di controllo, Foro Amm., fasc.7-8, 2000, pag. 2968.

[14] B. Pezzini, Il principio Costituzionale dell'autonomia locale e le sue regole, 2014, p. 3.

[15] Il decentramento viene visto invece come «una formula organizzativa che si attua non soltanto con la traslazione del potere dal centro alla periferia, ma che comporta anche la costituzione di più centri cui è affidato il potere». F. Roversi Monaco, Autonomia e decentramento, in Quad. reg., 1983, p. 1197 ss.; L. Ferraris, Decentramento amministrativo, in Dig. disc. pubbl., 2000, 182. Sulle forme di decentramento si rinvia inoltre a S. Vernile, La costituzione dimenticata l’adeguamento dei principi e dei metodi della legislazione alle esigenze del decentramento, Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, fasc.1, 1 Marzo 2021, pag. 49.

[16] M. Interlandi Il ruolo degli enti locali per lo sviluppo del territorio, nell’era della “ripresa” e della “resilienza”: verso nuovi orizzonti assetti istituzionali?, pubblicato in Rivista P.A. Persona e Amministrazione, V. 8 N. 1 2021, p.144.

[17] F. Trimarchi Teoria e pratica della sussidiarietà orizzontale, Diritto Amministrativo, fasc.1, 1 Marzo 2020, pag. 3

[18] G. Visconte, Il potere normativo delle Regioni e il diritto privato, www.ildirittoamministrativo.it , p.6.

[19] F. Idone, L’autonomia amministrativa, nozione tipologie e ripartizione delle competenze, pubblicato in www.altalex.it il 18 giugno 2021.

[20] M. Mandato, Il rapporto Stato-Regioni nella gestione del Covid-19, pubblicato in “Nomos: Le attualità del diritto”, Vol 1-2020, p.6.

[21] G. Marchetti, Le conflittualità tra Governo e Regioni nella gestione dell’emergenza Covid-19, i limiti del regionalismo e le prospettive di riforma, pubblicato in “Centro Studi sul Federalismo”, 2021, p.17.

[22] M. Di Bari L’autonomia economico-finanziaria degli enti locali, analisi dell'art.119 della Costituzione, pubblicato in www.diritto.it , il 24 ottobre 2013, p.1.

[23] Ibidem

[24] R. Dickman, Le regole della governance economica europea e il pareggio di bilancio in Costituzione, pubblicato in Federalismi.it, il 15 febbraio 2012, p. 28 ss.

[25] R. Miceli, Autonomia tributaria degli Enti territoriali minori e Fiscal Compact: la rilevanza dei vincoli finanziari, Rivista di Diritto Tributario, fasc.10, 2014, pag. 1066. In particolare, il coordinamento «è un'attività di integrazione, che può essere complementare o alternativa rispetto a quella di armonizzazione e che si pone come obiettivo l'affermazione di valori europei nell'ambito di discipline nazionali e destinate a rimanere tali. (…) In questo senso, infatti, il coordinamento non mira alla eliminazione delle politiche nazionali ma soltanto ad una integrazione nell'ambito di queste ultime di valori europei, in nome dei principi generali dell'Unione della necessità e sussidiarietà. L'attività di coordinamento non si serve di fonti normative individuate, ma utilizza - di volta in volta - l'atto più adeguato sulla base delle esigenze specifiche di coordinamento delle materie in questione».

[26] A. Mammoliti, Linee evolutive dell'art. 119 della Costituzione italiana in materia di autonomia finanziaria, 2014, p. 2. In particolare, il motto no taxation without representation «costituisce la sintesi più appropriata del percorso che, alla fine del Settecento, ha portato all’introduzione di una riserva di legge in materia fiscale, al fine di tutelare il cittadino dall’azione discrezionale dell’esecutivo, aprendo la strada alla teoria dell’autoimposizione fiscale». Sul tema si rinvia a M. C. Fregni, Legitimacy in decision-making in tax law: some remarks on taxation, representation and consent to imposition, Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, fasc.4, 1 Dicembre 2017, pag. 410.

[27] Art. 119 c. 5 Cost. Come modificato dalla L. 42/2009.

[28] Art. 20 L. 42/2009.

[29] Dossier 11/03/2022, Modifiche all’art.119 della Costituzione, concernente il riconoscimento della peculiarità delle isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità, p. 8.

[30] La L. cost. 1/2012 attribuendo la materia “armonizzazione dei bilanci pubblici” alla competenza esclusiva statale e non più – come nel riparto previgente previsto a seguito della L. cost. 3/2001 – alla competenza concorrente Stato-Regioni. Di conseguenza, le nuove norme si applicano in via diretta alle Regioni a statuto ordinario, e ne è opportunamente prevista l’estensione alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome.

[31] Il coordinamento complessivo della finanza pubblica viene perseguito dalla Legge n. 196/2009, e per mezzo di essa dalla legge delega n. 42/2009, attraverso l’introduzione di alcuni strumenti operativi, raccordabili con quelli previsti in ambito europeo, volti ad assicurare una maggiore omogeneità al sistema di contabilità pubblica italiana (così in F. Conte . L’evoluzione dei principi contabili nazionali nella prospettiva di riforma del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza -PNRR, pubblicato in Federalismi.it l’11 agosto 2021, p.25). Per il raggiungimento di tali finalità, la L. 42/2009, modificata  reca disposizioni volte a: a) stabilire i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, quali l’autonomia di entrata e di spesa, mediante l’applicazione di tributi ed entrate proprie e la disponibilità di compartecipazioni al gettito di tributi erariali; b) introdurre politiche di bilancio coerenti il Patto di stabilità e crescita (riforma costituzionale con legge 1 del 2012) e contenimento dei saldi di finanza pubblica (saldo non negativo in termini di competenza e di cassa tra entrate e spese finali con limite all’indebitamento solo per finanziare spese per investimento); c) istituire il Fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché le risorse aggiuntive e l’effettuazione degli interventi speciali, di cui all’art 199.5, perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva e rispetto del principio di solidarietà e di coesione sociale, d) definire i principi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio alle Regioni ed agli enti locali; e) stabilire norme transitorie sull’ordinamento, anche finanziario, di Roma Capitale; f) l’ingresso di nuovi organi a presiedere al processo di attuazione quali: la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, la Commissione tecnica paritetica quale organo tecnico consultivo del Governo, del Parlamento e degli enti territoriali, la Conferenza permanente per il coordinamento di finanza pubblica.

[32] G. Farneti, S. Pozzoli, Principi e sistemi contabili negli enti locali, Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 61-62.

[33] Per un maggior disamina del contenuto si rinvia a Autonomie territoriali e finanza locale, La contabilità armonizzata di regioni ed enti locali, pubblicato in Camera dei Deputati, Temi dell’attività parlamentare XVII legislatura.

[34] G. Rivosecchi, Il federalismo fiscale tra giurisprudenza costituzionale e legge n. 42/2009, ovvero: del mancato coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, Riv. dir. trib., fasc.1, 2010, pag. 49. In particolare, la giurisprudenza costituzionale, «sembra configurare una posizione sostanzialmente subordinata di comuni e province rispetto all'esercizio della potestà tributaria, da un lato riconducendo  il sistema tributario degli enti locali a una potestà legislativa regionale residuale (cfr., ad esempio, sentt. nn. 296, 297 e 311/2003), e, dall'altro, prevedendo il cd. divieto di doppia imposizione (sent. n. 102/2008); (…) a questo si aggiungono  le (labili) disposizioni concernenti il sistema delle autonomie territoriali speciali».

[35] G. Rivosecchi, Autonomie territoriali e assetto della finanza locale, pubblicato in Federalismi.it, il 22 novembre 2017, p.4 .

[36] F. Scuto, Il federalismo fiscale a tre anni dalla legge n. 42: questioni aperte e possibili sviluppi di una riforma ancora incompleta, luglio 2012, cit., p. 7.

[37] P. Torretta, La legge di bilancio 2022 e l’assistenza sociale: qualche LEPS e tante ‘buone intenzioni’, pubblicato in Federalismi.it , pubblicato il 6 aprile 2022, pp. 188 ss. In particolare, «la formula dei “livelli essenziali delle prestazioni”, ha dato origine a diverse ricostruzioni in ambito giurisprudenziale (sul tema si veda Claudio Panzera, I livelli essenziali delle prestazioni secondo i giudici comuni, Giur. cost., fasc.4, 2011, pag. 3371) e dottrinale, con particolare riferimento al significato da assegnare al termine “essenziale”, agganciato dalla dottrina sia al livello minimo di prestazioni che deve essere assicurato in ragione della dotazione finanziaria del sistema erogatore dei servizi, a prescindere dall’intensità del bisogno al quale è destinata la prestazione, sia (ad opera di un orientamento maggioritario) al livello di prestazione necessario per ritenere soddisfatto un bisogno in funzione delle condizioni del soggetto a cui la prestazione stessa si rivolge».

[38] F. Scuto, Il federalismo fiscale a tre anni dalla legge n. 42, op cit., p. 12.

[39] E. Buglione, Riforma del federalismo fiscale in Italia e promozione dell'accountability: il caso delle Regioni, pubblicato in ISSiRFA-CNR, Estratto dal “Quinto Rapporto sullo stato del regionalismo in Italia” (2008), pp. 16 ss.; S. Gambino, Il federalismo fiscale in Europa, Giuffrè, Milano, 2014, pp. 155 e ss.

[40] S. Gambino, Il federalismo fiscale in Europa, op. cit., pp. 167 e ss.

[41] M. Bergo, A vent’anni dalla riforma del titolo V. L’autonomia finanziaria regionale e locale tra Costituzione e Legge 42/2009, pubblicato in Federalismi.it il 1 agosto 2022, p. 413.

[42] La maggior parte di questi articoli del TUEL sono stati aggiornati dalle varie normative di riforma susseguitesi nel tempo, come il D. lgs. 118/2011, corretto ed integrato dal D. lgs. 126/2014, fino ad arrivare alla versione più recente aggiornata dal D.lgs. n.201 del 23 Dicembre 2022 e dalla L.n.197 /2022.

[43] Così in Cenni di finanza locale pubblicato in www.finanzalocale.interno.gov.it.

[44] Art. 1, Allegato 4, Principio contabile applicato concernente la programmazione di bilancio.

[45] Ordinamento finanziario e contabile, CGIL, Marzo 2018, p. 12

[46] Corte dei Conti, Audizione sullo schema di decreto lgs. n.339, commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, Maggio 2011.

[47] W. Giulietti, L’equilibrio del bilancio negli enti locali e il suo sviamento in via legislativa, pubblicato in “Dirittifondamentali.it”, Fascicolo 2/2021, p. 11.

[48] C: Bergonzini, G. Menegus, Tra l’incudine e il martello. Finanza degli enti locali, effettività delle prestazioni e legalità costituzionale nella recente giurisprudenza costituzionale, pubblicato in Federalismi.it il 1 agosto 2022, p. 15.

[49] C. Bergonzini, Equità intergenerazionale e giurisprudenza costituzionale, le ricadute del sistema delle decisioni di natura contabile, in “Rivista giuridica semestrale”, n.1/2022, p. 64.

[50] Sull’argomento si sottolineano E. Catelani, Nuove richieste di autonomia differenziata ex art. 16 comma 3 Cost: profili problematici di dubbia legittimità e possibile violazione dei diritti, pubblicato in www.osservatoriosullefonti.it, n. 2/2018; R. Bin, Regionalismo differenziato e utilizzazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. Alcune tesi per aprire il dibattito, in Istituzioni del Federalismo, 2008, p. 9 ss.; F. Furlan, Il regionalismo asimmetrico a pochi passi dalla meta: quali questioni ancora aperte?, in www.forumcostituzionale.it.,n. 11/2018; B. Cavallo, Teoria e prassi della pubblica amministrazione, Milano, 2005, p. 452 ss.; L. Antonini, L’assetto finanziario delle autonomie speciali tra pseudo vincoli di sistema, opzioni politiche e prospettive, in Giur. cost., 2015, p. 2358  ss.; G. Della Cananea, Autonomie e perequazione nell’art. 119 della Costituzione, in Istituzioni del Federalismo, 2005, p. 127 ss.; G. Cerea, Regionalismi del passato e federalismo futuro: cosa insegna l’esperienza delle autonomie speciali, in Le Regioni, 2009, 453 ss.; G. C. De Martin, Contraddizioni e incoerenze nella riforma costituzionale in materia di autonomie territoriali, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 2015, p. 19 ss.; G. C. Pola, La finanza degli enti territoriali, in Amministrare, 2016, p. 239 ss. ; E. Rotelli, Autonomie e territori nei progetti formativi dei professori di scienze amministrative (1976-1993), in Amministrare, 2016, p. 271ss.

[51] Così in I punti a favore e contrari all'autonomia differenziata, pubblicato in www.wired.it

[52] G. Bernabei, L’autonomia differenziata nel contesto della finanza pubblica, pubblicato in Federalismi.it il 2 ottobre 2019, p. 6.

[53] Così in Via libera dal governo all'autonomia, pubblicato in www.agi.it.

[54] Così in Autonomia differenziata, il Cdm approva il ddl: la diretta. Meloni: "Puntiamo a un'Italia più unita". Salvini: "Altra promessa mantenuta". Polemica di Pd e sindaci del Sud, pubblicato in www.repubblica.it.