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Pubbl. Gio, 23 Feb 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

Gli effetti dell´interdittiva antimafia sulla sorte del contratto stipulato dall´impresa: un complesso bilanciamento di interessi

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Raffaella Granata
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Napoli Federico II



L´articolo si prefigge di analizzare i requisiti di accesso alle procedure ad evidenza pubblica, nell´ottica di preservare la contrattazione con la Pubblica Amministrazione dal rischio di contatti con la criminalità. In questo scenario, fondamentale importanza assume lo strumento dell´interdittiva antimafia, i cui effetti si ripercuotono in maniera particolarmente problematica sulla fase esecutiva del contratto, laddove intervenga in un momento successivo all´aggiudicazione della gara, con un particolare focus sui raggruppamenti di imprese.


ENG

The effects of anti-mafia ban on the fate of the contract: a difficult balancing

The article aims to analyze the requirement for access to the public tender procedure, with a view to preserving public bargaining from criminal infiltration. Interdiction´s importance is particularly felt in the contract execution phase.

Sommario: 1. Il complesso accesso alla procedura di gara alla luce degli stringenti vincoli del Codice antimafia; 2. Gli effetti dell’interdittiva prefettizia antimafia sulla sorte del contratto e la natura del recesso della Pubblica Amministrazione; 3. Le tormentate vicende della CO.GE.PA s.p.a e la natura spiccatamente cautelare dell’informativa antimafia; 4. I risvolti dell’interdittiva antimafia nei rapporti tra le imprese della medesima ATI e il principio di immodificabilità soggettiva.

1. Il complesso accesso alla procedura di gara alla luce degli stringenti vincoli del Codice antimafia

La presenza di una normativa antimafia nell’ambito dei contratti pubblici si ricollega all’irrinunciabile esigenza di arginare, o quanto meno ridurre, il rischio di inquinamento delle procedure di affidamento dei contratti, tutelando in via prioritaria il libero gioco della concorrenza, l’attività di iniziativa economica privata e, in via più generale, il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione consacrato dall’articolo 97 della Carta costituzionale.

La normativa sugli appalti pubblici si è dunque progressivamente arricchita di previsioni concernenti i requisiti soggettivi del concorrente, relativi non soltanto alla sua capacità (tecnica e finanziaria) di rendere una certa prestazione, ma anche alla sua “affidabilità” dal punto di vista strettamente soggettivo[1].

Tra i requisiti soggettivi che l’operatore economico deve possedere per prendere parte alla fase evidenziale, fondamentale importanza ai sensi dell’articolo 80 del Codice degli Appalti del 2016 riveste l’assenza di precedenti condanne penali dovute all’appartenenza del soggetto o alla sua semplice partecipazione a sodalizi criminali.

Si tratta di un requisito qualificante che consente all’operatore economico di contrattare con la Pubblica Amministrazione, e che deve necessariamente permanere intatto per tutta la durata del contratto stipulato con il soggetto pubblico[2].

Il decreto legislativo n.159\2011, meglio noto come Codice Antimafia, disciplina gli strumenti che il legislatore ha predisposto per il contrasto alla criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici.

Il suddetto Codice, modificato più volte nel corso degli anni, tenta di conciliare efficacemente tra loro la necessità di affinare il sistema della prevenzione antimafia e il bisogno di salvaguardare la libertà d'impresa e il mantenimento dei livelli occupazionali, specie in un momento storico così complesso.

Nell’intento di individuare un punto di equilibrio tra due esigenze contrapposte, il legislatore ha cercato di superare gradualmente l’approccio di carattere repressivo che aveva caratterizzato i precedenti interventi normativi per approdare ad una visione di stampo preventivo, introducendo svariati strumenti alternativi di matrice anticipatoria e di controllo, calibrati sul diverso grado di interferenza criminale, che mirano a salvaguardare la continuità dell’attività dell’impresa, anche nella prospettiva terapeutica di una sua successiva riabilitazione[3].

La necessità di contemperare tra loro interessi apparentemente così lontani emerge in maniera particolarmente evidente di fronte all’ipotesi di un’impresa che sia risultata destinataria di un’interdittiva antimafia, subendo una sostanziale paralisi dell’attività di matrice pubblicistica.

L’articolo 84 del D. Lgs. 159/2011 descrive l’informazione, o interdittiva, antimafia come l’“attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate[4].

L’informazione viene emessa dal Prefetto sulla base di una serie di elementi che si collocano ad un livello inferiore e precauzionale rispetto a quello necessario per l’applicazione di una misura di prevenzione vera e propria, e non a caso le si attribuisce la funzione di “frontiera avanzata” nella lotta contro le mafie[5].

Il provvedimento ostativo determina dunque, in capo all’operatore economico, una particolare forma di “incapacità giuridica ex lege”, a garanzia di valori costituzionalmente garantiti, che gli preclude, anche se in via tendenzialmente temporanea, la possibilità di essere titolare di rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione, o destinatario di titoli abilitativi da questa rilasciati, ovvero di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dall’Unione europea, per lo svolgimento di attività imprenditoriali” [6].

Si tratta tuttavia di un’incapacità parziale e temporanea, destinata a produrre effetti sino alla revoca del provvedimento disposta dal Prefetto una volta constatata la sopravvenuta carenza dei presupposti che avevano imposto l’adozione dell'atto inibitorio[7].

In linea generale questo strumento si presenta come complementare rispetto alla comunicazione antimafia, poiché mira a inibire i rapporti tra la Pubblica Amministrazione e quegli operatori i cui rappresentanti, pur non essendo stati oggetto di un vero e proprio provvedimento di natura penale, risultino comunque coinvolti, in virtù di una valutazione discrezionale operata dal Prefetto sulla base di elementi indiziari, in fenomeni di criminalità organizzata[8].

La combinazione tra gli effetti prodotti dall’informativa antimafia sulla vita dell’impresa e le caratteristiche proprie dello strumento evidenziano dei significativi profili di criticità, anche in relazione al pieno rispetto di alcuni interessi tutelati sia dall’ordinamento costituzionale che da quello comunitario: occorre infatti considerare, dal punto di vista interno, le limitazioni poste alla libertà di iniziativa economica privata, che trova piena tutela nell’art. 41 Cost., mentre a livello sovranazionale si pone un problema di compatibilità rispetto ai principi generali sanciti dal Trattato UE, in particolare i principi della libera prestazione dei servizi e di libertà d’impresa.[9]

Il destino delle imprese partecipanti alla gara risulta inoltre fortemente condizionato dalle disposizioni contenute nei protocolli di legalità: infatti un provvedimento di natura espulsiva da una procedura ad evidenza pubblica può, o addirittura deve, essere disposto anche a seguito della violazione degli obblighi assunti con la sottoscrizione del suddetto protocollo.

In Italia i protocolli di legalità hanno tratto origine dalla prassi amministrativa sviluppatasi nel settore delle cosiddette “grandi opere pubbliche”, al fine di garantire maggiore trasparenza ai processi decisionali pubblici ed evitare il rischio d’infiltrazione delle organizzazioni criminali e il proliferare di fenomeni corruttivi.

In particolare, l’art. 176 comma 3, lett. e, d.lgs. n. 163 del 2006 indicava specificatamente che la funzione dei protocolli di legalità nell’ordinamento nazionale dovesse essere volta a rafforzare la tutela della legalità e a prevenire le infiltrazioni delle organizzazioni criminali nelle procedure di affidamento di contratti pubblici.

I protocolli sarebbero stati atti idonei a obbligare le imprese partecipanti alle gare a tenere in futuro determinate condotte finalizzate ad assicurare una tutela anticipata contro i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata, pena l’estromissione dalla gara o la risoluzione del contratto in essere in caso di loro violazione.[10]

Con l’avvento del nuovo Codice dei contratti pubblici, l’aggancio normativo che ha consentito alle stazioni appaltanti di inserire nella lex specialis di gara l’impegno al rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità è rappresentato dall’ art.1 comma 17, l. n. 190 del 2012, meglio nota come “legge Severino”, la quale, senza fornirne alcuna definizione contenutistica, ha rimesso alla stazione appaltante la possibilità di prevedere l’inclusione dei protocolli di legalità.

L’evoluzione normativa più recente ha poi segnato un punto di svolta, determinando il significativo passaggio da un sistema che lasciava alla stazione appaltante la semplice possibilità di avvalersi dello strumento di natura pattizia a un meccanismo che invece ne impone l’utilizzo per fini escludenti[11].

Per garantire una maggiore efficienza del sistema di verifica preventiva rispetto alle prescrizioni dei protocolli di legalità definiti da molte Amministrazioni, sempre la legge n. 190 del 2012  (art. 1, commi 52 ss) ha istituito presso ogni Prefettura un elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (c.d. white list) al fine di rendere più efficaci i controlli antimafia nei comparti maggiormente a rischio: noli a caldo, movimentazione terra, trasporto e smaltimento rifiuti etc.[12]

L’ iscrizione dell’impresa alla white list equivale a certificazione dell’insussistenza delle cause ostative alla partecipazione alle procedure di affidamento di appalti pubblici ed alla stipula dei relativi contratti.

2. Gli effetti dell’interdittiva prefettizia antimafia sulla sorte del contratto e la natura del recesso della Pubblica Amministrazione

L’articolo 94[13] comma 2 del d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che l’interdittiva antimafia, emanata nei confronti dell’operatore economico successivamente alla stipula del contratto di appalto, comporti per l’Amministrazione aggiudicatrice che ne sia titolare il recesso dallo stesso[14].

Il recesso è un istituto che trova applicazione sia nel diritto civile che nel diritto amministrativo: secondo le norme del Codice civile, una volta perfezionato il contratto non sarebbe ammesso, in linea di principio, il diritto di svincolarsi unilateralmente dagli obblighi sanciti al suo interno.

Il contratto, dunque, può essere sciolto solo per mutuo consenso delle parti o per cause ammesse dalla legge, mentre il recesso unilaterale è ammissibile solo laddove sia il contratto stesso a prevederlo o sia accordato dalla legge al verificarsi di alcuni presupposti.

In deroga alla suddetta regola generale, si riteneva in passato che gli Enti pubblici potessero al contrario recedere ad nutum dal rapporto contrattuale instaurato con gli operatori privati, in presenza di gravi esigenze di pubblico interesse non altrimenti perseguibili.

 La possibilità per la Pubblica Amministrazione di sciogliere unilateralmente il vincolo contrattuale era concepita dunque come una particolare configurazione del potere di autotutela nelle ipotesi in cui vi fosse un accordo con un privato: in questa prospettiva, la determinazione era considerata quale piena espressione della posizione di supremazia riconosciuta all'Amministrazione anche nei rapporti privatistici in vista della tutela privilegiata dell'interesse pubblico[15].

Il potere di carattere generale della P.A. di recedere unilateralmente dal contratto di cui è parte trova invece oggi un limite esplicito nella previsione dell'art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990, in base al quale « il recesso unilaterale dai contratti della Pubblica Amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto », secondo una logica della tipicità delle ipotesi di recesso analoga a quella che emerge dall’ art. 1372 c.c. [16].

Per effetto del citato art. 21-sexies, il generale potere di autotutela di cui gode la P.A. può essere dunque esercitato, in linea di principio, esclusivamente nei confronti degli atti amministrativi adottati nell'ambito del procedimento ad evidenza pubblica, fase soggetta all’applicazione del regime pubblicistico, mentre nei confronti degli atti negoziali appartenenti alla fase privatistica legata all'esecuzione del contratto l'Amministrazione contraente può esperire esclusivamente i rimedi previsti dalla legge o dal contratto stesso[17].

Il Codice dei contratti pubblici contempla varie ipotesi nelle quali all'Amministrazione è riconosciuta la possibilità di interrompere unilateralmente un rapporto negoziale instaurato con soggetti privati.

La fattispecie disciplinata dall'art. 109 del d.lgs. n. 50/2016 appare ad esempio assimilabile alla figura speciale di recesso unilaterale prevista dall'art. 1671 c.c., ai sensi del quale il committente può recedere dal contratto-in deroga alla regola generale dell'art. 1372, primo comma, del codice stesso-anche laddove sia stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.

In verità, al variare dei presupposti giuridici e fattuali per l'esplicazione del potere in esame, lo scioglimento unilaterale del contratto potrebbe essere identificato di volta in volta con le categorie giuridiche più varie: recesso, risoluzione, revoca.

Si potrebbe parlare in tal senso di un potere avente natura polimorfa[18], in quanto configurabile quale potere pubblicistico riconducibile certamente alla posizione di supremazia spettante all'Amministrazione ovvero quale diritto potestativo di matrice privatistica, strettamente legato alla qualità di committente, di parte contrattuale, dell'Amministrazione stessa nell'ambito di un rapporto negoziale.

Alcuni autori configurano infatti la fattispecie del recesso, al pari di quella della risoluzione contrattuale, quale espressione di un potere quasi del tutto inquadrabile tra quelli di autotutela della Pubblica Amministrazione, sebbene il contratto trovi esecuzione nella fase propriamente negoziale, ove la posizione del soggetto pubblico dovrebbe essere paritaria rispetto a quella del privato contraente[19]

Il recesso potrebbe così essere avvicinato all’ipotesi di revoca del provvedimento amministrativo ex. art. 21 quinquies della legge 241\1990, la quale può essere adottata per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o per una nuova valutazione dell’interesse pubblico, il tutto entro un termine ragionevole.

In questo senso, si potrebbe affermare che, nella fase di esecuzione del contratto, alla Pubblica Amministrazione venga attribuito dalla legge un generale potere di autotutela, di cui è espressione anche l’atto di recesso.

Tale generale potere di autotutela consente alla Pubblica Amministrazione di valutare la conformità del contratto rispetto all’interesse pubblico e all’utilità dell’operazione economica considerata; gli atti che sono espressione di tale peculiare potere di autotutela non sono dunque sindacabili dal giudice amministrativo ed eventuali controversie sono da devolversi alla giurisdizione del giudice ordinario.

Laddove l’atto di recesso venisse invece classificato nel novero degli atti di natura pubblicistica, questo comporterebbe l’applicazione del regime concernente gli atti amministrativi, determinando la necessità di attivare un procedimento, di elaborare un’adeguata motivazione in ordine alle ragioni di adozione dell’atto e la devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice amministrativo[20].

L'evanescenza dei contorni tra poteri pubblicistici e poteri privatistici rende, come è evidente, il momento esecutivo dei contratti pubblici uno spazio giuridico composito all'interno del quale ricomprendere e valutare «intrecci di nuclei normativi, interessi variamente qualificati e differenti meccanismi di produzione giuridica»[21].

La linea di demarcazione tra l’applicazione del regime pubblicistico e quello privatistico, con riferimento a tali fattispecie, appare oltremodo incerta se si pensa in particolare all’ipotesi di recesso dell’Amministrazione a seguito dell’emanazione di un’informativa prefettizia ex. art. 92 comma 3 del Codice antimafia.

Si è infatti di fronte ad uno dei due casi cosiddetti di “recesso autoritativo” di cui l’Amministrazione aggiudicatrice dispone, accanto all’ipotesi in cui sia stato adottato un atto “in antipatia” rispetto al diritto euro-unitario: in queste circostanze, in una fase della procedura che dovrebbe essere interamente regolata dalle norme di diritto privato, si assiste invece ad una piena reviviscenza del potere di matrice pubblicistica in capo all’Amministrazione.

Si è affermato infatti che il recesso è espressione in queste ipotesi di una valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare l’esigenza di evitare o mantenere rapporti contrattuali tra Amministrazione e imprese nei cui confronti emergano sospetti di legami con la criminalità organizzata.

Si tratterebbe dunque di un atto estraneo alla sfera del diritto privato in quanto espressione del potere autoritativo della PA di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione; da ciò consegue dunque la giurisdizione del giudice amministrativo nelle eventuali controversie in cui venga contestata la legittimità dell’atto di recesso[22].

Peculiare è, infine, l’analisi della disciplina che il Codice prevede all’articolo 176 con riferimento al regime dello scioglimento unilaterale del contratto in materia di concessioni.

Nell’ambito di tale disciplina infatti il legislatore ha previsto la generale possibilità per la Pubblica Amministrazione di esercitare i propri poteri di autotutela in seguito alla stipula del contratto: dalla lettera della norma sembrerebbe emergere quindi che l'Amministrazione possa svincolarsi dal contratto di concessione non solo attraverso il recesso e lo speciale potere di risoluzione disciplinati dal Codice dei contratti, ma anche attraverso l'esercizio del generale potere, autoritativo e discrezionale, di autotutela del provvedimento incidente sul consequenziale rapporto negoziale, ex artt. 21 quinquies, comma 1-bis, e 21-nonies della legge n. 241 del 1990[23].

Un analogo potere generale di autotutela non è invece previsto, come esaminato in precedenza, dalla disciplina generale dei contratti pubblici (cfr. artt. 108 e 109) e, quindi, nel settore degli appalti[24].

La tesi che attribuisce alle concessioni carattere pubblicistico, configurando dunque la Pubblica Amministrazione, in questi casi, quale portatrice di una posizione di vera e propria potestà, e non di semplice autonomia privata, è stata fortemente criticata sulla base dell’assunto che le concessioni stesse sembrano aver perso sempre più quel carattere unilaterale andando ad assumere una veste strutturale in cui preminente è la struttura del negozio bilaterale[25].

La soluzione basata su una presunta specialità delle concessioni rispetto agli altri contratti pubblici è peraltro resa problematica dalla crescente “contrattualizzazione” delle stesse concessioni ad opera del diritto europeo, il quale considera la concessione quale semplice contratto avente le medesme caratteristiche dell'appalto, salvo una diversa allocazione dei rischi[26].

3. Le tormentate vicende della CO.GE.PA S.p.a. e la natura spiccatamente cautelare dell’informativa antimafia

Nel corso del 2020 l’impresa “CO.GE.PA. -Costruzioni Generali Passarelli S.p.a.” ha stipulato un contratto di appalto relativo ai lavori di completamento per la rimodulazione funzionale e distributiva dell'autostazione della città di Avellino, per un valore complessivo di circa 4.300.000 euro, con la committente “Autoservizi Irpini S.p.a.”, dopo essere risultata regolarmente aggiudicataria dell’apposita procedura ad evidenza pubblica che ha avuto luogo nel mese di maggio 2019.

La stessa impresa risultava essere già titolare, inoltre, dei lavori relativi alla riqualificazione di Piazza Castello, un’attività che la stessa avrebbe dovuto completare anni addietro ma che, al contrario, è stata protratta nel tempo con notevoli ritardi, tanto da indurre l’allora commissario straordinario per il capoluogo irpino a recidere ogni legame con la suddetta impresa.

La tormentata vicenda della CO.GE.PA ha origine nel mese di ottobre 2020, a seguito dell’emanazione di un’interdittiva prefettizia antimafia nei confronti dell’impresa: con il suddetto provvedimento è stata ravvisata infatti la sussistenza delle situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa di cui agli artt. 84 e 91 del d.lgs. n. 159/2011 e, per l’effetto, è stata respinta l’istanza di rinnovo di iscrizione dell’impresa nella c.d. “white list”.

Tra le motivazioni addotte dal Prefetto a sostegno dell’informativa si possono annoverare in primis le vicende giudiziarie che hanno interessato il padre dell’attuale amministratrice della CO.GE.PA, oltre all’esistenza di legami, mai accertati tuttavia con sentenza definitiva di condanna, tra il legale rappresentante dell’impresa Passarelli S.p.a., fratello della suddetta amministratrice, ed alcuni esponenti di noti clan camorristici campani; fondamentale risulterebbe inoltre per la Prefettura il coinvolgimento del suddetto soggetto nelle indagini riferite alla cosiddetta “operazione Olimpo”, che ha interessato in particolare alcuni imprenditori ed esponenti della malavita organizzata del Comune di Castellammare di Stabia.

Emerge con evidenza dalle motivazioni addotte dal Prefetto la natura spiccatamente cautelare dell’informativa antimafia, la quale viene emanata a prescindere dall’accertamento di un reato in sede penale, ponendosi al contrario in funzione di prevenzione in termini massimamente anticipatori, sulla base di fatti e vicende puramente sintomatiche ed indiziarie.

Ciò significa, sotto il profilo probatorio, che l’accertamento dei presupposti necessari per l’emanazione dell’informativa antimafia prescinde dalla logica che caratterizza l’affermazione della responsabilità penale, la quale deve essere necessariamente constatata al di là di ogni ragionevole dubbio[27].

Dopo poche settimane, l’Amministrazione committente, ricevuta notizia dell’emanazione dell’informativa, ha provveduto a formalizzare il recesso dal contratto stipulato con l’operatore economico nel mese di febbraio 2020.

Si tratta in questi casi di una scelta quasi inevitabile per la stazione appaltante, la quale, al fine di garantire la tutela dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, è costretta a sacrificare l’interesse alla rapida ed efficiente esecuzione di un contratto relativo a lavori che, da circa un trentennio, necessitavano di essere portati a termine.

Tuttavia la CO.GE.PA ha proposto tempestivamente ricorso dinnanzi al TAR Campania, chiedendo la sospensione del provvedimento prefettizio: essa ha lamentato la violazione dell’art. 97 della Costituzione, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 84 e 91 del Codice antimafia, la violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, oltre a riscontrare la sussistenza di un’ipotesi di eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, sviamento, motivazione perplessa, illogicità, contraddittorietà e carenza di istruttoria del provvedimento in questione.

In particolare, la società ha sostenuto in giudizio che i rilievi della Prefettura riguarderebbero soggetti estranei alla compagine societaria, precisamente il padre e il fratello della socia principale nonché amministratrice della CO.GE.PA S.p.a. nei cui confronti, viceversa, non sarebbero state adottate controindicazioni antimafia.

L’unico profilo riferibile direttamente alla CO.GE.PA riscontrabile nell’ informativa riguarderebbe infatti l’affidamento di due subappalti in favore di imprese colpite da interdittive nel 2008, con le quali la società avrebbe risolto i rapporti nell’immediatezza, come confermato dalla stessa stazione appaltante.

A parere della ricorrente, non sarebbe dato rinvenire pertanto ulteriori elementi di contaminazione criminale, visto che la società aveva conseguito regolarmente l’iscrizione nella “white list” nel 2016, aggiornata su richiesta della medesima nel 2017 e 2018, presupponendo dunque l’esito positivo della verifica antimafia ai sensi dell’art. 1, comma 52, della L. n. 190/2012 e dell’art. 2, comma 2, del D.P.C.M. del 18 aprile 2013.

Con ordinanza n. 2075 del 12.11.2020 il Tribunale amministrativo ha accolto la domanda cautelare promossa dalla società ai fini del riesame ad opera della Prefettura di Napoli delle condizioni soggettive relative all’operatore economico in questione.

Questo ha comportato una prima revoca del recesso dal contratto da parte della stazione appaltante, nell’ottica di addivenire alla conclusione dei lavori nel minor tempo possibile.

Tuttavia, con successivo provvedimento del 21.12.2020, adottato all’esito dell’attività di riesame, la Prefettura di Napoli ha confermato il precedente rigetto della domanda di iscrizione, ribandendo la sussistenza del rischio di infiltrazione criminale ai sensi degli artt. 84 e 91 del d.lgs. n. 159/2011.

Il TAR, chiamato a pronunciarsi nuovamente sull’annullamento del suddetto provvedimento, ha accolto il ricorso della CO.GE.PA S.p.A.[28], ritenendo insussistente il quadro indiziario posto a base del provvedimento prefettizio, per difetto di un solido conglomerato indiziario che, secondo il criterio della probabilità cruciale, lasci ritenere altamente verosimile il pericolo di infiltrazione mafiosa a carico della società, con conseguente illegittimità dell’impugnato provvedimento prefettizio[29].

In particolare i giudici amministrativi richiamano l’indirizzo giurisprudenziale in tema di c.d. “informative a cascata” [30]secondo cui, affinché possa presumersi l’esistenza di un “contagio” di matrice criminosa tra due o più operatori economici,  è necessario che la natura, la consistenza e i contenuti delle modalità di collaborazione tra le due imprese siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i due operatori economici, in questo caso tra la CO.GE.PA s.pa e la Passarelli S.p.a.

 Laddove, in particolare, l'analisi dei rapporti tra le due imprese manifesti una plausibile condivisione di finalità illecite e una verosimile convergenza verso l'assoggettamento agli interessi criminali di organizzazioni mafiose, può dunque presumersi l'esistenza di un sodalizio criminoso tra i due operatori.

Viceversa, qualora l’esame dei contatti tra le due imprese riveli un carattere del tutto episodico, inconsistente e remoto delle relazioni di impresa, andrebbe allora escluso l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia dalla prima alla seconda società.

L’impresa in questione ha dunque provveduto a riprendere l’esecuzione dei lavori, finché non è intervenuta una nuova pronuncia del Consiglio di Stato[31], nel luglio 2021, che ha sospeso gli effetti della pronuncia del TAR Campania.

Questo ha indotto la stazione appaltante a recedere nuovamente dal contratto, con delibera dell'Amministratore Unico del dicembre 2021, e a dar corso a tutte le attività per il riappalto dei lavori non ancora eseguiti dalla CO.GE.PA.

Avrebbe dovuto svolgersi pertanto una nuova procedura ad evidenza pubblica, bandita dall’AIR S.p.a., che avrebbe comportato un inevitabile allungamento dei tempi di ultimazione dei lavori, ma nel gennaio del 2022 la stazione appaltante ha revocato nuovamente il proprio recesso dal contratto a seguito dell’intervento di un provvedimento del Tribunale di Napoli[32] che ha disposto il controllo giudiziario ai sensi dell'art. 34-bis del d. lgs. 159/2011[33], sottolineando il venir meno delle cause che impedivano alla società COGEPA di proseguire nei lavori contrattuali ed invitando la stazione appaltante a rivedere la determinazione assunta.

La pronuncia del Tribunale nasce probabilmente dalla consapevolezza dell’articolata complessità che caratterizza la fase di esecuzione del contratto pubblico, in cui sono coinvolti molteplici ed eterogenei interessi meritevoli di tutela, uno su tutti quello al celere svolgimento dei lavori programmati nell’interesse della collettività.

Si tratta evidentemente della fase più delicata dell’intera procedura di affidamento dei contratti pubblici, la quale ha risentito nel corso degli anni anche della “trasmigrazione” di alcune vicende patologiche che il legislatore aveva, erroneamente, creduto di arginare esclusivamente con riferimento alla fase evidenziale, ritenendo che le stesse si annidassero maggiormente nell’attività di scelta del contraente.

La prassi amministrativa ed i successivi interventi legislativi hanno invece dimostrato l’estrema vulnerabilità della fase di esecuzione contrattuale, contaminata da fenomeni corruttivi e da uno sregolato ricorso agli strumenti delle varianti in corso d’opera e dei subcontratti, rendendo necessaria dunque un’azione meticolosa e talvolta irragionevolmente severa del diritto nei confronti di quegli operatori economici che presentino, seppur labilmente, connotati idonei a configurarli quale controparte inaffidabile della Pubblica Amministrazione.

Si è scelto così, negli anni, di sacrificare interessi parimenti importanti sull’altare del legalismo, costringendo le Amministrazioni, con un ineluttabile automatismo, a recidere, sempre, ogni legame con qualsivoglia impresa che sia stata anche solo in odore di mafiosità.

La sospensione degli effetti di cui all'art. 94 del Codice Antimafia, che caratterizza la fattispecie in esame, ha dunque natura eccezionale, in quanto essa deroga espressamente al generale principio secondo cui i requisiti soggettivi dell' operatore economico devono permanere intatti per tutta la durata della procedura, e risponde a due esigenze fondamentali: da un lato, essa consentirebbe alla stazione appaltante, allorché ci si trovi nella fase esecutiva del contratto, di non dover necessariamente recedere dallo stesso - con conseguenti disservizi e maggiori oneri derivanti dallo scorrimento della graduatoria in favore di offerte meno vantaggiose – continuando ad avvalersi dell'offerta a suo tempo ritenuta migliore, e dall'altro permetterebbe all'operatore economico di agire in giudizio per ottenere in tale sede, ove ve ne siano i presupposti, la rimozione ab origine del provvedimento sfavorevole e, dunque, l'integrale ripristino della propria capacità di contrarre con la Pubblica Amministrazione.

Non produce quindi alcun effetto "sanante" delle criticità rilevate in seno alla compagine aziendale, avendo in ogni caso durata transitoria, ma è solo strumentale alla tutela contingente di interessi di carattere pubblicistico che in concreto rischierebbero di essere conculcati dall'automatica caducazione del contratto[34].

4. I risvolti dell’interdittiva antimafia nei rapporti tra le imprese della medesima ATI e il principio di immodificabilità soggettiva

La possibilità di mutare il soggetto titolare del contratto rappresenta un aspetto delicato e controverso che può caratterizzare la fase di esecuzione del contratto pubblico.

I contratti di diritto pubblico poggiano infatti sul principio della personalità, in virtù del fatto che essi traggono origine da una procedura concorsuale in cui l’obiettivo perseguito è duplice: da un lato, la procedura tende a premiare il soggetto che abbia presentato l’offerta migliore e, dall'altro, a tutelare l'interesse pubblico alla migliore qualificazione tecnica, organizzativa, economica e soprattutto morale delle imprese concorrenti[35].

In queste situazioni assume importanza fondamentale la persona dell'esecutore e la fiducia che la stazione appaltante ripone in esso[36]; tuttavia, come esaminato in precedenza, lungo il percorso è possibile che intervengano circostanze tali da comportare delle variazioni soggettive o oggettive del rapporto giuridico in genere.

Nell’ipotesi in cui simili circostanze si verifichino in relazione ad un’impresa che costituisca parte di un raggruppamento temporaneo, le conseguenze sulla procedura appaiono quanto mai incerte: in verità, le maggiori perplessità si riscontrano in questa ipotesi proprio nella fase di scelta del contraente, in quanto, in relazione alla fase di esecuzione della commessa, il legislatore ha sempre ritenuto prevalente l’interesse al celere completamento della prestazione.

Il principio di immodificabilità del raggruppamento fa il suo ingresso nell'ordinamento nazionale con la legge Merloni Ter[37], che interviene modificando l’impianto originario della legge n. 109 del 1994, prevedendo appunto il divieto di modificazione delle associazioni temporanee di imprese, dal 2006 denominate poi raggruppamenti temporanei.

La ratio di una simile scelta è probabilmente da rinvenirsi nella necessità, per il legislatore, di consentire alla stazione appaltante lo svolgimento di un’attività di controllo efficace e concentrata, immune da eventuali elusioni che avrebbero potuto verificarsi a seguito dell’ingresso di una nuova impresa all’interno del raggruppamento, in una fase ormai avanzata della procedura evidenziale.

I raggruppamenti temporanei d’impresa sono attualmente disciplinati dall'art. 48 del d.lgs. n. 50/2016: la normativa si concentra essenzialmente sulla definizione dei rapporti tra raggruppamento e stazione appaltante, mentre appare piuttosto laconica in relazione all’organizzazione interna delle imprese raggruppate.

Tale impostazione appare da un lato pienamente coerente con la necessità che il legislatore si astenga dal vincolare eccessivamente le modalità di cooperazione tra imprese, lasciando le parti libere di configurare i propri rapporti sulla base del principio dell'autonomia negoziale, ma dall'altro rischia di comportare il proliferare di molteplici teorie tendenti ad inquadrare l'istituto in un tipo contrattuale piuttosto che in un altro, in assenza di una chiara indicazione legislativa[38].
Per quanto sia di rilievo in questa sede, il comma 9 dell'art. 48 vieta qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta, salvo quanto previsto dai commi 17 e 18[39], relativi alle ipotesi di irreversibili patologie che possono colpire il mandatario o il mandante del raggruppamento, tra le quali rientra, indubbiamente, la perdita di uno dei requisiti soggettivi di cui all’articolo 80 del Codice Appalti conseguente all’emanazione di un’interdittiva antimafia.

Si tratta di una serie di ipotesi già previste dal codice del 2006, il quale introduceva anche una serie di regole idonee a superare il verificarsi di vicende in grado di interrompere il continuativo possesso di requisiti che devono invece sussistere in capo all’operatore economico per l’intero svolgimento della procedura: con riferimento alla mandataria, al verificarsi di una delle suddette patologie, questa sarebbe stata sostituita con altro operatore economico, salvo recesso della stazione appaltante; se la vicenda avesse invece colpito una semplice impresa mandante, la mandataria avrebbe dovuto indicare l’operatore subentrante o eseguire direttamente la prestazione.

Il codice del 2016 ha il merito di aver mantenuto sostanzialmente intatti i meccanismi correttivi previsti dal codice del 2006, ma ha introdotto un’ulteriore novità, stabilizzandola nel tempo, ossia la fattispecie della modifica per riduzione[40], ammessa già dall’Adunanza Plenaria nel 2009.

Si continuava a parlare però, con riferimento a questa ipotesi, di prestazioni ancora da eseguire, e questa formulazione ha indotto a ritenere che nel passaggio tra il decreto legislativo n.163\2006 e l’avvento del nuovo codice del 2016 non fosse venuto meno il principio secondo cui la possibilità della modifica soggettiva fosse limitata alla sola fase esecutiva del contratto.

La vera novità si realizza con l’avvento del correttivo al codice[41], nel 2017, il quale introduce il comma 19 ter dell’articolo 48, stabilendo che tali deroghe possano trovare applicazione anche qualora le modificazioni soggettive si verifichino in corso di gara.

Si avvia così un’inedita fase di ripensamento dei principi fino a quel momento saldamente identificati, in base ai quali risultava fondamentale distinguere la fase evidenziale da quella di esecuzione: laddove, infatti, le vicende patologiche di cui all’articolo 48 commi 17 e 18 si fossero verificate in fase di gara, questo avrebbe comportato l’automatica esclusione dell’ATI dalla procedura stessa.

Introducendo la possibilità, per la stazione appaltante, di continuare il proprio rapporto con il raggruppamento di imprese, sia nella fase evidenziale che in quella esecutiva, si pone dunque il problema di stabilire mediante quali meccanismi sarebbe possibile superare il venir meno dei requisiti soggettivi in capo all’operatore economico, al di fuori dell’ipotesi di modifica per riduzione: in particolare si fa riferimento al caso in cui possa essere un’impresa esterna a sostituirsi all’operatore economico[42].

Con la sentenza n.10\2021 del Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria, si afferma chiaramente il principio per il quale le uniche modifiche consentite sono quelle interne al raggruppamento, con diversa distribuzione dei ruoli tra mandante e mandatario[43].

Sarebbe dunque possibile modificare il raggruppamento da un punto di vista soggettivo ma senza mutare la compagine originaria dello stesso, precludendo ad un soggetto esterno alla procedura di entrare a far parte dell’ATI.

L'Adunanza Plenaria n. 2\2022, intervenuta da ultimo sul tema, ha affermato che, se fosse consentito al raggruppamento di inserire al suo interno un’impresa rimasta estranea alla procedura fino a quel momento, si legittimerebbe l’ingresso nella fase esecutiva di un soggetto che non ha mai partecipato né è mai passato per la fase evidenziale, eludendo quindi la possibilità che la stazione appaltante eserciti i dovuti controlli previsti dalla legge.

Se fosse consentito questo, si violerebbero dunque i principi di trasparenza e buon andamento della Pubblica Amministrazione, i quali presuppongono invece che l'iter procedimentale della gara si svolga in maniera ordinata, con specifiche scansioni temporali e procedurali.

L’Adunanza Plenaria in particolare afferma che “laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di partecipazione procedimentale, è tenuta ad interpellare il raggruppamento e, laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, è tenuta ad assegnare un congruo termine per la predetta riorganizzazione[44].

E’ innegabile dunque che debba consentirsi l’apertura di una fase in cui l’ATI abbia la possibilità di ripensare alla propria composizione: in questo modo, anche laddove il soggetto non avesse in precedenza dichiarato la sussistenza di requisiti ulteriori di cui era in possesso[45], si consentirebbe alla Pubblica Amministrazione aggiudicatrice di verificare se ci si trovi di fronte ad un raggruppamento sovrabbondante, tendenzialmente vietato dalla legge, o meno.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cerbo P., Le valutazioni riservate dell'amministrazione sull'affidabilità del concorrente negli appalti pubblici in “Diritto Amministrativo”, fasc.3, 1 SETTEMBRE 2020, pag. 739

[2] Mangani R., Informativa antimafia e appalti pubblici: il difficie equilibrio tra le ragioni di ordine pubblico e le esigenze dell’iniziativa economica imprenditoriale. Il caso del riconoscimento della revisione prezzi in “Rivista Trimestrale degli Appalti” n.4\2021 pp 1263-1296

[3] Si veda in tal senso Cantone R., Coccagna B. Commissariamenti prefettizi e controllo giudiziario delle imprese interdette per mafia: problemi di coordinamento e prospettive evolutive in “Diritto penale contemporaneo” n. 10\2018

[4] Il provvedimento interdittivo può essere adottato dal Prefetto sia a carico di imprese o società sia con riguardo a soggetti che intrattengono rapporti con la Pubblica Amministrazione.

[5] In tema, Sisto S.M. L’informazione interdittiva antimafia tra principi di diritto internazionale e costituzionale in “Avvisopubblico.it” n.4\2019

[6] Cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3

[7] Leone G., L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato alle prese con l’interdittiva prefettizia antimafia e la teoria dell’interpretazione in “Foro Amministrativo” (Il), fasc.6, 1 SETTEMBRE 2018, pag. 1103

[8] In sostanza, l’informativa antimafia prescinde dall’accertamento di un reato in sede penale, e si pone in funzione di prevenzione in termini massimamente anticipatori, fondandosi su fatti e vicende sintomatici e indiziari.

[10] Capotorto D., I protocolli di legalità tra luci e ombre in “Rivista Trimestrale degli Appalti” n.4\2021 pp 1297-1310

[11] Cfr. art. 83 bis, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011: «Le stazioni appaltanti prevedono negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto dei protocolli di legalità costituisce causa di esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto».

[12] Sul carattere tassativo di tale elenco cfr. sentenza del Tar Milano n. 170 del 2017

[13] Il successivo comma 3 del suddetto articolo 94 prevede alcune eccezioni in cui il potere di recedere dal contratto può non essere esercitato: si tratta delle ipotesi in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero la fornitura di beni e servizi sia ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, sempre che il fornitore non sia sostituibile in tempi rapidi. Così in Mangani R., Informativa antimafia e appalti pubblici: il difficile equilibrio tra le ragioni di ordine pubblico e le esigenze dell’iniziativa economica imprenditoriale. Il caso del riconoscimento della revisione prezzi in “Rivista Trimestrale degli Appalti” n.4\2021 pp 1263-1296

[14] Cfr. in tal senso anche Consiglio di Stato sez. II - 22/11/2021, n. 7810

[15] In tema, cfr. Bruti Liberati E., Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico. Tra Amministrazioni e privati, Milano, 1996, 187.

[16] Taglianetti G. Lo scioglimento unilaterale dei contratti di appalto e di concessione per motivi di interesse pubblico. Profili sostanziali e processuali in “Diritto Amministrativo”, fasc.3, 1 SETTEMBRE 2020, pag. 618

[17] Coerentemente con l'impostazione della dottrina e della giurisprudenza attualmente prevalenti, giova ricordare un passo del Ranelletti, il quale sosteneva, in maniera sintetica ma efficace, che « nell'esplicamento della sua attività privata ... l'amministrazione si pone sul piede di uguaglianza coi singoli ed è sottoposta allo stesso regime giuridico, salve eccezionali disposizioni positive, che le consentono forme potestative di agire ». Così Ranelletti O., Le guarentigie amministrative e giurisdizionali della giustizia nell'Amministrazione, III ed., Milano, 1930, 161.

[19] Cfr. Dipace R. Manuale dei contratti pubblici Torino, Giappichelli. 2021

[20] Si tratta, tuttavia, di adempimenti che non vengono previsti dall’articolo 109 del Codice, inducendo così la giurisprudenza a confermare la natura privatistica dell’atto di recesso.

[21] Così, Sciarretta F., op. cit., richiamando Licata F.G., In tema di autonomia negoziale della Pubblica Amministrazione, in Pizzanelli G. (a cura di), “Passato e presente del diritto amministrativo. Liber amicorum in onore di A. Masera”, Napoli, 2017, 249.

[22] Cfr. Cass. SS.UU. n.23468\2016

[23] Per approfondire, si rinvia ancora a Taglianetti G. Lo scioglimento unilaterale dei contratti di appalto e di concessione per motivi di interesse pubblico. Profili sostanziali e processuali in “Diritto Amministrativo”, fasc.3, 1 SETTEMBRE 2020, pag. 618

[24] Cfr. Adunanza Plen. pronuncia n. 14 del 2014

[25] Cfr. sul punto Santise M., Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo. Torino, 2017, 447

[26] Anche il Consiglio di Stato in sede consultiva, con il parere n. 855 del 1° aprile 2016, nel ribadire la tendenziale assimilazione della natura giuridica delle concessioni a quella degli appalti, ha evidenziato che l'istituto concessorio, pur avendo assunto nel nuovo Codice del 2016 una connotazione incentrata sul fondamentale criterio discretivo della traslazione del rischio in capo al concessionario, rappresenta comunque una tipologia contrattuale che segue, anche se con tutte le peculiarità delle sue caratteristiche, « gli schemi degli appalti di lavori e di servizi ».

[27] Mangani R., Informativa antimafia e appalti pubblici: il difficile equilibrio tra le ragioni di ordine pubblico e le esigenze dell’iniziativa economica imprenditoriale. Il caso del riconoscimento della revisione prezzi in “Rivista Trimestrale degli Appalti” n.4\2021 pp 1263-1296

[28] Si fa riferimento alla decisione n. 01410\2021 del Tar Campania, Sez.I, pubblicata in data 02\03\2021.

[29] Cfr. Tar Campania, Sez.I, n. 01410\2021 cons. in diritto

[30] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2774/2016 e n. 22232/2016; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, n. 4938/2018

[31] Si fa riferimento ordinanza del Consiglio di Stato n.3945/2021 del 16 luglio 2021

[32] A sostegno della propria richiesta, il Tribunale ha richiamato la sentenza del Consiglio di Stato V Sezione n. 4619/2021

[33] Ai sensi dell'art. 34-bis, comma 6 del d.lgs. n. 159 del 2011, "Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell'articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l'impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo. Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali".

Il successivo comma 7 precisa inoltre che "Il provvedimento che dispone l'amministrazione giudiziaria prevista dall'articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del comma 6 del presente articolo sospende gli effetti di cui all'articolo 94".

[34]Così Consiglio di Stato sez. V - 14/06/2021, n. 4619, cons. in diritto

[35] In tal senso, cfr. Crismani A., Il principio della tendenziale immodificabilità soggettiva dei contratti pubblici nella fase di esecuzione in “Rivista Giuridica dell'Edilizia”, fasc.5, 1 OTTOBRE 2018, pag. 301

[36]Cfr. Cerbo P., Le valutazioni riservate dell'amministrazione sull'affidabilità del concorrente negli appalti pubblici in “Diritto Amministrativo”, fasc.3, 1 SETTEMBRE 2020, pag. 739

[37] Si fa riferimento alla legge n. 415/1998

[38] Sul punto, v. Cardarelli F., Cardarelli S., Trecroci C., Le modificazioni soggettive degli operatori economici in corso di gara: RTI, subappalto, avvalimento e operazioni straordinarie in “Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario”, fasc.5, 1 OTTOBRE 2019, pag. 625

[39] Si fa riferimento, in particolare, alle ipotesi di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione dell’impresa ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero (in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all’articolo 80, ovvero) nei casi previsti dalla normativa antimafia.

[40] Si fa riferimento all’ipotesi in cui una delle imprese che compongono il raggruppamento sia costretta ad “abbandonare” il medesimo per il venir meno di alcuni requisiti. In questo caso viene pacificamente ammessa una modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo, in quanto le imprese che lo compongono sarebbero state già regolarmente controllate dalla stazione appaltante.

[41] Si fa riferimento al d.lgs. 19 aprile 2017, n.56

[42] Con la sentenza n. 2375/2017 del 11 aprile 2017 il T.A.R. per il Lazio, sezione seconda, ha ribadito ad esempio il divieto di sostituzione della mandataria di un’ATI che sia stata colpita da una informazione antimafia interdittiva.

[43] Successivamente, la Terza Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza 11 agosto 2021, n. 5852, ha rimeditato il proprio orientamento alla luce delle indicazioni interpretative fornite dall’Adunanza plenaria n. 10/2021, escludendo la modificazione in senso riduttivo (e non solo per addizione) del raggruppamento in corso di gara in conseguenza della perdita dei requisiti di cui all’art. 80 del codice dei contratti pubblici.

[44] Cfr. Adunanza Plenaria, n. 2\2022, punto 8 cons. in diritto

[45] Nei raggruppamenti temporanei i requisiti che il singolo partecipante deve possedere sono commisurati rispetto alla percentuale di prestazione da eseguire.