Pubbl. Gio, 2 Feb 2023
I limiti del potere di autotutela in materia edilizia
Modifica paginaL’articolo si propone di analizzare i limiti all’ annullamento in autotutela di un titolo edilizio per come espressi dal Consiglio di Stato, nella sentenza n. 10186/2022. Verrà prestata particolare attenzione alla natura discrezionale del potere in questione, alla configurabilità di un’ autotutela doverosa, all’ affidamento ingenerato nei privati, nonché all’ estensione di tali principi al regime della scia/dia.
Sommario: 1. Fatti in causa; 2. Analisi della motivazione della sentenza; 2.1. Autotuela doverosa; 2.2. Lesione dell' affidamento 3. Cenni in materia di scia edilizia 4. Conclusioni.
1. Fatti in causa
La controversia oggetto di esame origina dall’ annullamento in autotutela di un permesso di costruire rilasciato in favore del ricorrente. La questione graviterà, quindi, nell’ orbita dell’articolo 21 nonies L.241/90.
Nel caso di specie, il permesso di costruire in sanatoria veniva annullato in autotutela dal Comune a seguito degli accertamenti della Guardia di Finanza in ordine alla presenza di riproduzioni fotografiche di certi interventi, facendo così presumere la presenza di una fattispecie di falso ideologico. Dal provvedimento comunale di annullamento emergeva come il condono sarebbe stato ottenuto attraverso dichiarazioni e documenti falsi circa la data di ultimazione delle opere entro il termine ultimo stabilito dalla disciplina di riferimento per la sanabilità degli abusi[1].
Il Tar rigettava il ricorso per i seguenti motivi: a) assenza di una lesione dell’affidamento del privato derivante dall’annullamento a distanza di 10 anni dal rilascio del titolo autorizzativo in quanto l’amministrazione è stata posta in condizioni di accertare l’errore in cui è caduta, solo a seguito della relazione della Guardia di Finanza b) inesistenza di una prova decisiva riguardo all’effettiva data di termine dei lavori[2].
Il ricorrente ha presentato due motivi di appello, in particolare, il primo censura la sentenza per non aver accertato la violazione dell’art. 21 nonies L. 241/1990 in quanto l’atto si sarebbe fondato su un presupposto inesistente e cioè la presunta non veridicità della dichiarazione resa che non è stata provata, con conseguenti deficit istruttori; con il secondo motivo di appello si censura la sentenza sotto il profilo della erronea valutazione della documentazione probatoria in violazione dell’art. 64 c.p.a [3].
Il Consiglio di Stato accoglie l’appello e ritiene assorbente il primo motivo.
2. Analisi della motivazione della sentenza
Come anticipato, la questione è attratta dall’ articolo 21 nonies L.241/90, tale articolo, inserito nel 2005 e modificato nel 2015, ha configurato un potere di auto-annullamento d’ufficio caratterizzato da un elevato tasso di discrezionalità.
Infatti, il Consiglio di Stato, facendo buona amministrazione dei principi enunciati dalla Adunanza plenaria 8/2017, ha ribadito che l’esercizio di tale potere è imbrigliato a precisi presupposti: 1) illegittimità dell’atto; 2) la valutazione dell’interesse pubblico; 3) un lasso di tempo ragionevole; 4) gli interessi dei destinatari e dei contro interessati; quindi, la valutazione dell’affidamento delle parti private.
In particolare, si legge testualmente che
«nel caso di specie dall’analisi della documentazione versata in atti emerge il difetto di istruttoria e di motivazione in merito alla sussistenza degli elementi evocati in termini di interesse pubblico ulteriore, rispetto al mero dato della presunta illegittimità, alla assenza del rispetto del termine ragionevole – stante il trascorso di dieci anni dal titolo oggetto di ritiro - nonché alla insussistenza della stessa falsa rappresentazione evocata[4]».
Secondo questa architettura, il Consiglio di Stato, sottolinea che l’articolo 21 nonies configura una ipotesi di potere discrezionale nel quid e da ciò discende che l’autotutela non potrà fondarsi sul cd. interesse pubblico in re ipsa al ripristino della legalità violata, occorrendo che vi sia sempre un interesse concreto ed attuale rispetto ad altri interessi in gioco, prevedendo, poi, espressamente che si tenga conto dell’interesse dei controinteressati e dei destinatari.
Con riferimento alla ragionevolezza del termine appare appena il caso di fare alcune precisazioni. Giova ripetere che la valutazione discrezionale deve tenere conto del fattore temporale, che per effetto delle modifiche apportate recentemente (L.125/2015) per i provvedimenti autorizzatori e attributivi di vantaggi non può comunque essere superiore ai 18 mesi.
Tale termine conosce una eccezione, infatti, il limite temporale dell’autotutela non si applica nei casi di provvedimenti conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato.
Ai sensi del comma 2 bis 21 nonies L.240/90, la legge richiede che la falsità sia accertata con sentenza passata in giudicato; tuttavia, la giurisprudenza ha affermato che nei provvedimenti ampliativi, il potere di auto-annullamento della p.a. resiste oltre i 18 mesi in quanto tali provvedimenti sono stati ottenuti mediante una falsa rappresentazione dei presupposti la cui acclarata erroneità non è imputabile alla p.a. neanche in via concorrente[5].
Ora, se è vero che al caso di specie, ratione temporis, la normativa per come modificata non risulta applicabile, va sollevato che resta ferma la “ragionevolezza del termine” e la conseguente valutazione dell’affidamento dell’interessato.
Infatti, citando l’Adunanza plenaria 8/2017, è chiaro che «il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio non incide in radice sul potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale».
Inoltre, il Consiglio di Stato, nella sentenza oggetto della presente indagine, ribadisce che la normativa per come modificata non può non essere utilizzata come opportuno canone valutativo della ragionevolezza (v.par. 4).
Tirando le fila del discorso è evidente che la chiave di lettura fondamentale è offerta dalla discrezionalità del potere di annullamento di cui è titolare l’amministrazione.
Infatti, partendo da tale assunto, e superando il concetto di interesse in re ipsa al ripristino della legalità violata, si rende necessario indagare gli interessi ulteriori concreti ed attuali e le posizioni dei privati che intanto si sono consolidate alla luce di un ragionevole sbarramento temporale.
È vero che non opera il limite dei 18 mesi, ma è altrettanto vero che un lasso di tempo decennale, come nel caso di specie, non appare ragionevole alla luce di mancanze istruttorie e motivazionali. Del resto, i meri indizi relativi al reato di falso ideologico non solo non sono idonei a suffragare l’onere della prova che nei procedimenti di annullamento grava in capo all’ amministrazione (v. par.3.2.), ma essi non sono accompagnati da nessun approfondimento istruttorio che renda evidente le censure.
Tale deficit di istruttoria si accompagna ad una lacuna motivazionale sulla premessa che il solo dato formale dell’illegittimità proveniente da un accertamento della Guardia di Finanza (cui non è seguito nessun procedimento penale) non vale a sostenere la motivazione di un atto di annullamento riferito ad un titolo di 10 anni antecedente (v. par. 3.1).
In definitiva, grava sull’ amministrazione un onere di motivazione attento e puntuale in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto, tenendo altresì conto dell’interesse del destinatario al mantenimento dei relativi effetti[6], tutti elementi che dalla pubblica amministrazione non sono stati scandagliati neanche nella fase dell’istruttoria.
2.1. Autotutela doverosa
Per la migliore comprensione della sentenza si rende necessario l’approfondimento della cd. autotutela doverosa. Si tratta di una ipotesi a cui la stessa sentenza del Consiglio di Stato sembra riferirsi al paragrafo 3.3:« In materia va comunque ribadito quanto ancora di recente espresso dalla sezione, per cui la p.a. nell'esercitare i propri poteri di autotutela gode di discrezionalità, dal momento che le rappresentazioni non veritiere non determinano l'insorgenza di un interesse in re ipsa dell'Amministrazione al ripristino della legalità violata, in quanto l’asserito “mendacio” (o dichiarazioni non veritiere) non obbliga l'Amministrazione all'esercizio dei poteri inibitori e repressivi invocati, che, presupponendo la non conformità dell'atto alle vigenti norme edilizie e urbanistiche, richiede anche la ricorrenza dell'ulteriore presupposto dell'interesse pubblico al ritiro dell'atto, valutato tenendo anche conto degli interessi privati in gioco (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI , 21/12/2021 , n. 8495)».
In pratica, come ampiamente riportato anche nel precedente paragrafo, l’articolo 21 nonies configura una ipotesi di potere discrezionale nell’ an e nel quid. Infatti, l’autotutela ha una attivazione discrezionale nel senso che la p.a. valuta discrezionalmente se attivarla o meno, e, anche laddove l’attivasse l’ esito sarebbe incerto, in quanto, per la sua valida esplicazione, oltre ad un presupposto rigido (l’illegittimità dell’atto da annullare) sono previste condizioni flessibili e duttili riferite a concetti indeterminati e, come tali, affidate all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione[7]. Ne discende che l’autotutela non potrà fondarsi sul cd. interesse pubblico in re ipsa al ripristino della legalità violata.
La questione del cd. interesse pubblico in re ipsa connessa al ripristino della legalità violata ha posto tanto in dottrina quanto in giurisprudenza la problematica di una autotutela doverosa, cioè di una attività di annullamento in riscontro ad una illegittimità, a prescindere dalle valutazioni degli interessi in gioco.
La manualistica tradizionale ha sempre individuato, sotto il profilo soggettivo, tre ipotesi di autotutela doverosa, per cui l’annullamento di un provvedimento illegittimo può essere pronunciato 1) dal giudice amministrativo, 2) dalla stessa amministrazione in casi di ricorsi amministrativi, 3) dagli organi amministrativi preposti al controllo di legittimità di alcune categorie di provvedimenti[8].
Senza nessuna pretesa di esaustività sul tema, oggettivamente complesso e meritevole di una analisi particolareggiate sotto diversi aspetti, vale la pena interrogarsi sulla configurabilità di ulteriori ipotesi di doverosità dell’azione di auto-annullamento da parte della p.a.
Infatti, la prassi giurisprudenziale ha, per certi versi, perseverato nell’ utilizzo dell’ambigua categoria dell’autotutela doverosa in ipotesi non tradizionali e non previste da alcun dato normativo.
È quanto successo in riferimento alle concessioni edilizie illegittime. In questi casi l’argomentazione dei tribunali si muoveva spesso lungo due direttive: 1) non occorre una stringente motivazione in quanto l’interesse atto a giustificare l’annullamento è in re ipsa ed è pertanto sufficiente l’interesse al ripristino della legalità violata 2) non vi è un limite temporale in quanto non sussisterebbe in capo al privato nessun affidamento per una situazione contra ius che si è perpetuata.
Infatti, si dava conto dell’esistenza di un orientamento per cui l’annullamento in autotutela fosse un atto dovuto, espressione di un potere-dovere di annullare in ogni tempo il titolo edilizio rilasciato illegittimamente[9].
Ma, a ben vedere, una simile impalcatura contrasta con la norma positiva del 21 nonies che come sottolineato in precedenza combina l’elemento rigido della illegittimità a quello flessibile della valutazione degli interessi in gioco. Infatti, dire che esiste un interesse in re ipsa al ripristino della legalità violata vorrebbe dire trasformare in vincolato un potere tipicamente discrezionale.
Inoltre, non vale a configurare una generalizzazione del principio dell’autotutela doverosa neanche l’espressione «rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione o al mancato annullamento dell’atto illegittimo».
Infatti, se il legislatore avesse voluto trasformare questo potere da discrezionale a vincolato avrebbe dovuto quanto meno abolire tutti i riferimenti discrezionali. Sembra allora più coerente ritenere che rileverebbe la responsabilità della p.a. qualora risultasse, all’ esito di valutazioni discrezionali, che essa non avrebbe potuto non annullare: in questo modo non si contesterebbe l’inadempimento rispetto all’ annullamento come atto dovuto ma il cattivo uso del potere discrezionale da parte della P.A.[10].
Quindi, con uno sforzo di sintesi sul tema del 21 nonies, va segnalato che la sentenza in esame, come l’Ad pl. 8/2017, prende una posizione ben precisa sul concetto di autotutela in riferimento all’ annullamento dei titoli edilizi. Si tratta di un potere discrezionale il cui esercizio impone il dato oggettivo di una illegittimità originaria, ma anche la ponderazione di tutti gli interessi in gioco, compreso l’affidamento del privato.
La “prassi” dell’interesse in re ipsa non risulta compatibile con le valutazioni richieste dalla norma, e quindi lo stesso concetto di autotutela doverosa risulta non ancorato a nessun dato positivo.
2.2. Lesione dell'affidamento
Anche la questione dell’affidamento merita un approfondimento nel commento a questa sentenza. Si è già dato conto nei paragrafi precedenti del limite della ragionevole durata, della modifica normativa che ha imposto lo sbarramento temporale a 18 mesi e della inapplicabilità di tale limite ai sensi del comma 2 bis del 21 nonies. Tutte modifiche che si conciliano con la tutela dell’affidamento del privato. Infatti, anche in materia edilizia, il potere di autotutela deve essere esercitato dall'amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto un ragionevole affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione edilizia.
Ebbene, è evidente che non è meritevole di tutela l’affidamento del privato sulla definitività del provvedimento quando ab origine vi sia una carenza della sua buona fede, non potendosi affermare la sussistenza di un affidamento legittimo e incolpevole in capo al soggetto che abbia determinato l’adozione di un atto illegittimo a lui favorevole[11].
In sostanza, a mente dell’importante sentenza dell’Adunanza plenaria 8/2017, la non veritiera prospettazione, da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole, non consente di configurare una posizione di affidamento.
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato scrive testualmente che neanche è «applicabile l’eccezione – presente in giurisprudenza - derivante dalla falsa rappresentazione dello stato dei luoghi intesa come base sufficiente dell’interesse pubblico alla rimozione, in quanto la prospettazione in proposito formulata nell’informativa della Guardia di Finanza, non ha trovato corso in alcuno specifico procedimento penale (avviato per ipotesi diverse dalla dichiarazione mendace)».
Quindi è evidente che la pubblica amministrazione, nel valutare la possibilità di configurare un affidamento non tutelabile, avrebbe dovuto quanto meno offrire una motivazione adeguata con riferimento alla dedotta falsità; infatti, i meri indizi riportati dal Comune e non adeguatamente sviluppati o sostenuti nella fase di istruttoria, non sono neanche sufficienti al soddisfacimento di un quantum motivazionale “ridotto” alla luce del ruolo determinante del privato per l’adozione dell’atto.
3. Cenni in materia di SCIA edilizia
È appena il caso di offrire qualche precisazione in tema di attività soggette al regime giuridico della segnalazione certificata di inizio attività. I parametri normativi di riferimento sono l’articolo 22 e 23 T.U. edilizia. In questi casi, decorso il termine di trenta giorni per l’esercizio del potere inibitorio rispetto alla DIA/SCIA, la p.a. conserva un potere di controllo sulla sussistenza dei presupposti, ma deve farlo con le forme dell’autotutela, vale a dire previo avviso di avvio del procedimento e previa valutazione comparativa degli interessi in gioco[12].
L’ esercizio dei poteri di vigilanza e repressivi rappresenta sicuramente una delle più generali modalità di cura dell’interesse pubblico, come espressione del principio costituzionale di buon andamento di cui all’ articolo 97 Cost. Quindi, in presenza di una SCIA/DIA illegittima, rispetto alla quale la p.a. non ha azionato il potere inibitorio di controllo doveroso, resta ferma la possibilità di una autotutela residuale con le garanzie e i presupposti previsti dall’ ordinamento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio[13].
Tale lettura appare avallata anche dalla Corte Cost. 49/2016. La Corte specifica che la fattispecie oggetto di esame (DIA/SCIA) non si esaurisce nella fase della dichiarazione, ma conosce fasi ulteriori di sviluppo: una di controllo ordinario da parte della p.a., e una seconda in cui la p.a. resta in possesso dei suoi poteri di autotutela. Quindi le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della p.a., una volta che siano decorsi i termini ordinari, anche nell’ambito della materia edilizia, trovano il loro fulcro nell’ istituto generale dell’annullamento in autotutela quale snodo complicato in cui si bilanciano diverse istanze e diversi interessi.
4. Conclusioni
In generale la “questione edilizia” ha posto e pone problemi anche perché si lega a doppio filo al tema dell’abusivismo edilizio, questione calda non solo per il legislatore italiano, ma anche per l’opinione pubblica.
Infatti, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo alla questione dell’interesse pubblico in re ipsa al rispristino della legalità violata aveva come punto di forza proprio la facilitazione alla lotta all’abusivismo, pur bypassando certe responsabilità della pubblica amministrazione. Non è un caso che quando all’Ad.pl. è toccato prendere posizione in questo dibattito, essa ha dovuto ribadire che la sede giurisprudenziale non è un luogo di creazione normativa, e che non vi sono le basi normative per deresponsabilizzare le amministrazioni attraverso una indistinta esenzione dalla motivazione, ma che, al contrario, anche nel contrasto ex post all’ abusivismo, la pubblica amministrazione avrebbe dovuto adottare un contegno chiaro e lineare basato su un esame scrupoloso e sul clare loqui, pur essendo consentito un onere motivazionale attenuato in presenza di particolari interessi pubblici[14].
In sostanza, per quanto sia calda e necessaria la lotta all’ abusivismo, essa non può bastare per travisare un dato normativo chiaro come la discrezionalità nell’an e nel quid all’ esercizio del potere di cui al 21 nonies.
In definitiva, si è dimostrato come la stessa materia edilizia, in assenza di una normativa diversa, una volta attratta al 21 nonies, deve rispettare i limiti che dalla norma se ne deducono. I presupposti per l’esercizio del potere sono l’illegittimità del provvedimento, un interesse pubblico concreto ed attuale diverso dal rispristino della legalità violata, la considerazione e la valutazione delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari, un lasso di tempo ragionevole. Inoltre, il potere in esame è un potere di natura discrezionale che impone un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco, senza che si configurino ipotesi di interesse in re ipsa e motivazioni in re ipsa. L’ amministrazione, quindi, anche sinteticamente nei casi di interessi pubblici particolari, deve dare conto dei presupposti sopra evidenziati.
L’applicazione di tali principi è stata considerata valida anche in relazione all’istituto della DIA/SCIA, sottolineando come gli articoli 19 l.241/90 e 23 d.P.R. 380/01 prevedano che decorso il termine di repressione ordinaria pari a 30 giorni, l’amministrazione possa assumere determinazioni soltanto alle condizioni previste dal 21 nonies.
[1] Cfr. sent. Cons. St. n.10186/2022, par 2.
[2] Cfr. ivi, par. 3.
[3] Cfr. ivi, parr. 4 e 5.
[4] Ivi, par.3.
[5] Cfr. R.GIOVAGNOLI, Compendio di diritto amministrativo, Itaedizioni, Torino, 2022, 508 e anche Cons. St. n. 3940/2018 in cui si legge espressamente «In definitiva, sulla scorta delle argomentate premesse, l'art. 21-nonies della l. n. 241/1990 andrà interpretato nel senso che il superamento del rigido termine di diciotto mesi è consentito:a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l'accertamento definitivo in sede penale;b) sia nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all'Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso - non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva - si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco.»
[6] Cons. St. ad. pl. n. 8/2017, par 9.
[7] Cfr Cons. St. n. 341/2017
[8] M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2019, 225.
[9] Cfr. N. POSTERANO, Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa (anche alla luce del codice dei contratti pubblici e della Adunanza Plenaria n. 8 del 2017), in Federalismi.it n 20/2017, 6 e ss.
[10] Cfr. ivi, pagg. 17 e ss.
[11] Cons.St. ad. pl. n. 8/2017
[12] Cfr. TAR, Campania, Salerno, n.1230/2016
[13] Cfr. TAR Lazio, Roma, n. 1620/2017; TAR, Sicilia, Palermo, 217/2018
[14] Cfr. Cons.St. ad.pl. n. 8/2017