Sviluppo e progressione del danno da vacanza rovinata
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Pietro Nastasi
Il presente elaborato si pone l´obiettivo di analizzare l´evoluzione, le caratteristiche e le prospettive future del danno da vacanza rovinata nel contesto interno e comunitario, anche alla luce della pandemia da Covid-19
Ruined vacation damage development and progression
This paper aims to analyze the evolution, characteristics and future prospects of ruined vacation damage in the internal and community context, also in light of the Covid-19 pandemicSommario: 1. Introduzione: evoluzione del danno da vacanza rovinata nella normativa di diritto interno e comunitaria; 2. Il danno non patrimoniale; 3. Il Codice del Turismo; 4. Il decreto legislativo n.62/2018; 5. Onere della prova e risarcimento del danno; 6. Danno da vacanza rovinata ai tempi del Covid-19; 7. Conclusioni e prospettive di iure condendo.
1. Introduzione: evoluzione del danno da vacanza rovinata nella normativa di diritto interno e comunitaria
Il contratto del turismo organizzato, sconosciuto al legislatore del 1942, ha assunto una rilevanza giuridica sempre maggiore, sia nella normativa di diritto interno che in quella di derivazione comunitaria a seguito della maggiore diffusione del turismo di massa ed al ricorso sempre più frequente ad organizzatori professionisti e a viaggi organizzati.
Un primo riconoscimento legislativo del contratto turistico è avvenuto con la legge 27 dicembre 1977 n.1084, ora abrogata[1], la quale ha ratificato la Convenzione Internazionale relativa al Contratto di Viaggio (CCV), elaborata dall’Unidroit e firmata a Bruxelles il 23 aprile 1970, che ha previsto una disciplina uniforme in materia di contratto di viaggio[2] che interviene tra un soggetto definito imprenditore, quale organizzatore o intermediario del viaggio, ed il viaggiatore, ovvero il fruitore della prestazione di servizi oggetto del contratto, in conformità a quanto disposto dall’art. 37 della legge di ratifica.
Tale disciplina ha avuto però un ambito applicativo assai circoscritto a causa del numero esiguo di Paesi aderenti e della riserva prevista dall’art. 40, lett. a), l. n. 1084/1977, che ne ha limitato l’operatività ai soli viaggi internazionali, da eseguirsi totalmente o parzialmente in uno Stato diverso da quello in cui il contratto è stato concluso o da cui il viaggiatore è partito[3].
Nel 1995 è intervenuto il d.lgs. n.111 che, recependo la direttiva 90/314/CE, inerente i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso, ha introdotto una specifica disciplina da applicare anche ai pacchetti venduti o offerti nel territorio nazionale e che è successivamente confluito nel Codice del Consumo[4], ovvero nel d.lgs. 206/2005 e, più precisamente, negli articoli da 82 a 100.
La normativa ha subito un’ulteriore modifica con l’entrata in vigore del d.lgs. 23 maggio 2011 n.79, il cui art. 1 ha approvato il Codice del turismo contenuto nell’allegato 1 del suddetto decreto[5].
Ciononostante, secondo una parte della dottrina, può essere ancora richiamato il Codice del Consumo nella sua parte generale relativa ai contratti turistici, nonché quella riguardante le clausole vessatorie contenuta negli articoli 33 e seguenti, atteso che l’art. 32, comma 3, del Codice del Turismo rinvia proprio al Codice del Consumo per tutto quanto in esso non espressamente previsto, purché intercorra un rapporto tra consumatore e professionista[6].
Più di recente, è intervenuta la direttiva UE n.2015/2302 del 25 novembre 2015, in materia di pacchetti turistici collegati, la quale ha previsto una disciplina specifica relativa agli obblighi di informazione precontrattuale, al contenuto del contratto, alle modifiche del contratto prima dell’inizio dell’esecuzione e alla responsabilità nella fase di esecuzione nella disciplina a tutela del consumatore nell’ipotesi in cui venga acquistato online un pacchetto all inclusive.
Ciò premesso, dall’analisi comparata della frammentata normativa in materia è possibile risalire alla definizione del c.d. danno da vacanza rovinata da intendersi come il pregiudizio, il disagio psicofisico subito dal turista, che è al contempo un consumatore, per non aver potuto godere pienamente del suo periodo di riposo e di svago che aveva deciso di trascorrere in un viaggio organizzato, e che ha dovuto subire, per cause a lui non imputabili e non dipendenti dalla sua volontà, lo sconvolgimento del programma previsto.
Appare, pertanto, evidente come il c.d. danno da vacanza rovinata sia plurisfaccettato potendo configurarsi, al contempo o in maniera scindibile, come danno patrimoniale e come danno non patrimoniale, consistente nel disagio, nello stress, nel c.d. danno morale, nel turbamento psicologico patito dal soggetto.
Il c.d. pacchetto turistico normalmente comprende un viaggio in formula all inclusive, ove è presente la combinazione di più elementi e, pertanto, comprensiva di alloggio, trasporto nonché ulteriori servizi accessori (in questa tipologia si è soliti ricomprendere anche il contratto di crociera).
Il ricorso, poi, ad un uso sempre più sovente dei servizi offerti da operatori online, ha fatto emergere la necessità di procedere all’individuazione di strumenti di regolamentazione della materia sempre più incisivi, soprattutto nell’ottica di una simmetria informativa tra professionisti e viaggiatori, maggiormente esposti al rischio di insolvenza da parte degli operatori.
Nonostante la smaterializzazione dei rapporti fisici, l’art. 35 del Codice del turismo richiede sempre la forma scritta ad substantiam per la stipulazione del contratto che, oltre a dover essere redatto in forma chiara e precisa, deve contenere tutti gli elementi costitutivi utili alla concreta e puntuale individuazione del contratto e da interpretarsi in senso più favorevole al turista/consumatore.
Il risarcimento per danno da vacanza rovinata, infatti, dovrà essere riconosciuto nell’ipotesi di palesi violazioni degli obblighi assunti dal venditore ovvero di difformità degli standard qualitativi e dei servizi realmente offerti rispetto a quelli pattuiti, qualora non dipenda da un fatto imputabile al consumatore o da una circostanza sopravvenuta imprevedibile e/o inevitabile.
In tale ipotesi, dunque, l’art. 46 del Codice del Turismo, riconosce al turista il diritto di richiedere, oltre alla risoluzione del contratto, il risarcimento del danno patito, sia nella sua forma di danno patrimoniale correlato all’esborso, sia di danno non patrimoniale per il mancato godimento o per il godimento parziale del periodo di riposo, assimilabile a quello previsto dall’art. 2059 c.c., previa allegazione delle circostanze comprovanti l’inadempimento della controparte e del danno subito.
Di contro, sarà il tour operator a dover provare l’adempimento del contratto.
In merito alla quantificazione del danno patito, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale a livello nazionale, confermato peraltro dalla Corte di Giustizia Europea, spetterà al giudice adito procedere secondo un criterio equitativo, valutando caso per caso, verificando la gravità della lesione e del pregiudizio patito dall’istante, al fine di accertarne la compatibilità col principio di tolleranza delle lesioni minime (precipitato, a propria volta, del dovere di solidarietà sociale previsto dall’art. 2 Cost.), procedendo con un’operazione di bilanciamento demandata al suo prudente apprezzamento tra la condotta lesiva della norma di legge e la sua effettiva portata.
La liquidazione del danno morale subito dal turista deluso potrà avvenire in maniera equitativa, utilizzando criteri presuntivi, tenendo conto di fattori quali l’irripetibilità del viaggio, il valore soggettivo attribuito alla vacanza dal consumatore e lo stress subito a causa dei disservizi[7].
2. Il danno non patrimoniale
La complessa questione riguardante la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento divide dottrina e giurisprudenza da più di un secolo ed è una delle questioni più dibattute del nostro ordinamento giuridico, alimentata dalla totale assenza di qualsivoglia riferimento nel Codice Civile del 1865.
Anzi, l’art. 1151 ivi contenuto, semmai, conduceva a ritenere che fossero da reputare risarcibili soltanto i danni di carattere patrimoniale e, in ogni caso, solo quelli suscettibili di valutazione economica[8].
Anche la giurisprudenza, pur riconoscendo la possibilità di una configurazione in via astratta di danno c.d. morale, considerava ammissibile il risarcimento solo qualora fosse stato possibile monetizzarlo[9], prediligendo il concetto di riparazione a quello di risarcimento.
Il Codice civile entrato in vigore nel 1942, poi, ha dedicato solo una norma all’argomento, l’art. 2059 optando per una limitazione al risarcimento dei danni non patrimoniali, sancendo la risarcibilità dei danni nei soli casi previsti dalla legge e pertanto, sebbene abbia certamente costituito una novità rispetto alla previgente legislazione, che ne era totalmente sprovvista, ha comunque favorito e alimentato il forte contrasto dottrinale che ha portato alla contrapposizione di due distinti orientamenti.
Secondo una parte della dottrina, l’art. 2059 c.c. era da considerare una norma di rango generale, posta a chiusura del sistema risarcitorio[10] atteso che essa, essendo proprio l’unica disposizione del Codice Civile in materia di danni non patrimoniali, sarebbe stata volutamente inserita dal legislatore alla fine del libro IV, per meglio sottolineare la sua applicabilità all’intera disciplina delle obbligazioni, a prescindere dalla loro fonte, sia essa contrattuale o extracontrattuale.
Alla luce della lettura costituzionale, così come concepita dalle sentenze gemelle delle SS. UU. del 2003[11], atteso l’ampliamento del significato del concetto di danno non patrimoniale, ricomprendente anche quello derivante dalla lesione di interessi costituzionalmente rilevanti dell’individuo, secondo molti autori sarebbe stato estremamente riduttivo limitare l’ambito di operatività dell’art. 2059 c.c. ai soli fatti illeciti[12], dato che la lesione dei beni fondamentali dell’individuo non può essere un fatto limitato alla sola responsabilità aquiliana.
Si giunge, così, alla conclusione che ad essere risarcibile sia il danno non patrimoniale contrattuale, in caso di inadempimento-reato o di lesione dei diritti fondamentali dell’individuo [13].
Molto più complesso è, invece, l’esame di quella parte della dottrina orientata nel senso di escludere l’applicabilità dell’art. 2059 c.c. alla disciplina dell’inadempimento, che deve ritenersi ormai superata[14].
Il concetto di inadempimento, si configura a fronte di qualsiasi obbligazione insoddisfatta, sia essa di origine contrattuale o meno.
In passato, il confine tra la responsabilità contrattuale e la responsabilità aquiliana era esclusivamente costituito dall’esistenza (per la prima) o dall’inesistenza (per la seconda) di un contratto fra danneggiante e danneggiato.
Oggi, invece, è la fonte dell’obbligazione, la sussistenza di una specifica obbligazione tra danneggiante e danneggiato preesistente rispetto all’illecito, ad assumere la posizione di maggior rilievo e pertanto il giudice eventualmente adito, dovrà preventivamente valutare l’interesse leso posto in rapporto ai valori fondamentali tutelati dalla nostra Carta Costituzionale e secondo le modalità indicate nella celeberrima sentenza n. 500 del 1999[15] resa dal giudice di legittimità a Sezioni Unite e solo successivamente constatare la sussistenza di un contratto, fatto illecito o qualsiasi atto o fatto idoneo a produrre tale lesione.
Dal 1999 a rilevare è il criterio della maggiore o minore meritevolezza di tutela dell’interesse leso e la Corte Suprema opera il passaggio epocale, riconoscendo che non sono solo i diritti soggettivi ad essere passibili di risarcimento, ma anche gli interessi legittimi e, persino, le aspettative, purché tale situazione risulti maggiormente meritevole di tutela rispetto alla contrapposta situazione giuridica soggettiva del danneggiante.
Dal 1999, il risarcimento del danno è dunque subordinato ad una valutazione caso per caso sulla meritevolezza dell’interesse leso.
L’art. 2043 c.c. diviene, così, norma primaria dato che, non dovendosi necessariamente configurare la sussistenza di un diritto soggettivo, non sarà del pari necessario verificare se si sia effettivamente presente la violazione dell’art. 2043 c.c.[16].
Un ulteriore profilo da analizzare è quello della bipartizione tra danno patrimoniale e non patrimoniale, posto che il nostro sistema si è assestato nel senso dell’ammissibilità del risarcimento del danno non patrimoniale e non solo, come si era ritenuto fino agli anni ’70, nei soli casi di danno non patrimoniale da reato[17].
A partire dagli anni ‘70 si inizia a verificare un allargamento delle maglie del diritto che porta ad individuare tutta una serie di categorie di danno, biologico, morale ed esistenziale; circostanza questa che si protrae fino a quando, a partire dai primi anni 2000, si giunge, in senso opposto, ad una interpretazione manipolativa dell’inciso finale dell'art. 2059 c.c., vale a dire il riferimento ai soli casi previsti dalla legge.
Già con le citate sentenze gemelle del 2003 ci si era resi conto del pericolo di duplicazione dei risarcimenti che poteva derivare dalla tendenza alla dilatazione del concetto di danno, operando una rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., riconducendo le varie figure fino a quel momento elaborate di danno non patrimoniali a tale norma giuridica, e superando la tesi secondo cui fosse danno non patrimoniale il solo danno derivante da reato.
Le sentenze gemelle vennero poi integrate dalle sentenze di San Martino del 2008[18], le quali sostenevano che il danno non patrimoniale non coincidesse col danno morale soggettivo, essendo invece una categoria vasta, unitaria, nella quale dovevano e devono confluire anche il danno biologico e il danno esistenziale, non essendo più possibile frammentare la categoria, operando reductio ad unum delle varie voci di danno.
L’art. 2059 c.c. non è più inteso con riferimento alle sole disposizioni di legge che espressamente ciò prevedano, ma si riferisce anche a quelle ipotesi di lesioni di principi sanciti dalla Costituzione a presidio dei diritti inviolabili della persona, affermando la cd. tutela minima risarcitoria, non essendo più concepibile che vi siano diritti inviolabili della persona sanciti da disposizioni costituzionali, privi di qualsivoglia tutela risarcitoria solo perché non integrano reato[19].
3. Il Codice del Turismo
In seguito all'excursus in tema di danno non patrimoniale, appare ora possibile concentrare l’analisi sulla normativa che ha condotto alla individuazione del nuovo concetto di danno da vacanza rovinata.
Il Codice del Turismo è entrato in vigore il 21 giugno 2011 con il decreto legislativo n.79 del 23 maggio 2011 ed è stato emanato con l’intento di ricondurre ad unicum l’insieme dalla normativa prevista in materia turistica ed alberghiera impedendo la frammentazione della disciplina, al precipuo scopo di garantire un’intensa ed effettiva tutela del turista-consumatore che, attraverso una più compiuta ed articolata difesa, si vede riconosciuto il diritto al risarcimento del c.d. danno da vacanza rovinata.
L’introduzione del Codice del Turismo ha consentito al legislatore di individuare e regolare le modalità di svolgimento delle professioni turistiche, dell’attività delle strutture ricettive, delle imprese turistiche e l’erogazione di contributi, sovvenzioni ed agevolazioni cui è possibile accedere.
Il Codice del Turismo, negli articoli da 32 a 51, disciplina la materia dei pacchetti turistici e dei diritti del turista, secondo i principi assorbiti dal Codice del Consumo, pur integrati dalla Carta dei servizi turistici pubblici e da disposizioni sulla composizione in mediazione delle controversie in materia di turismo.
La novità più rilevante è contenuta nell’art.47, il quale ha riconosciuto il danno da vacanza rovinata come un inadempimento non di scarsa importanza che comporta un disagio psicofisico conseguentemente al mancato godimento del periodo di riposo e svago così come era stato programmato e, pertanto, come il pregiudizio relativo al tempo di vacanza inutilmente trascorso a fronte di un’occasione irrimediabilmente perduta.
Più nello specifico, l’art. 47 del Codice del Turismo statuisce che il c.d. danno da vacanza rovinata è un danno che deriva dalla mancata o inesatta esecuzione del contenuto del pacchetto turistico acquistato, dal mancato godimento del tempo di vacanza, dall’irripetibilità dell’occasione perduta cui viene riconnessa una grave lesione dei diritti e degli interessi del turista non certamente riconducibili ad un mero disagio e fastidio, di fatto non idonei in concreto a pregiudicare una vacanza, affinché il turista possa ottenere il risarcimento del danno patito, è necessario che sia provato che l’inadempimento, o l’inesatta esecuzione del contratto, non sia riconducibile al turista stesso né che l’inadempimento, o l’inesatta esecuzione del contratto, siano derivati da fatti imprevedibili, inevitabili o causati da soggetti terzi esterni al rapporto.
Pertanto, l’art.1226 c.c. prevede che il giudice proceda con una valutazione equitativa nell'ipotesi in cui non sia possibile provare il danno nel suo preciso ammontare.
Il viaggiatore può chiedere all’organizzatore o al venditore del servizio, oltre alla risoluzione del contratto anche un risarcimento del danno che sia correlato ai due aspetti sopra richiamati, e precisamente al tempo di vacanza inutilmente trascorso e all’irripetibilità dell’occasione perduta.
Nel danno da vacanza rovinata sono risarcibili due forme di danno.
Innanzitutto, è risarcibile il danno patrimoniale pari al pregiudizio economico subito.
In tal caso il ristoro sarà pari al prezzo pagato per il viaggio, in caso di mancato godimento della vacanza, o alla riduzione del prezzo, nell’ipotesi in cui il viaggiatore non abbia potuto pienamente godere della vacanza rovinata a causa di intervenuti contrattempi.
In secondo luogo, può essere risarcito il danno morale o esistenziale subito dal viaggiatore e consistente prevalentemente nello stress e nella delusione derivanti dal mancato godimento della vacanza.
Inizialmente, la dottrina, al fine di ovviare proprio alle difficoltà relative alla refusione di un danno non facilmente quantificabile, preferiva soddisfare l’interesse non patrimoniale manifestato dal turista, facendo coincidere il valore economico di tale interesse con il corrispettivo pattuito[20].
Tale tesi è stata anche di recente sostenuta da una parte della dottrina secondo la quale anche la vacanza è un bene suscettibile di valutazione economica nel momento stesso in cui l’interesse a trascorrere un periodo di vacanza soddisfacente viene leso ed esso può essere patrimonializzato sulla base del costo della vacanza stessa[21].
Posto che qualora il servizio aggiuntivo richiesto non venga reso, o che la prestazione offerta non sia conforme a quanto statuito in contratto, ciò determina un inadempimento contrattuale e, pertanto, deve essere risarcito il costo sostenuto per acquisire da terzi il medesimo servizio ovvero il minor valore del bene scambiato; lo stesso ragionamento non può certamente valere per la quantificazione del disagio avvertito in conseguenza dell’impossibilità di godere della prestazione richiesta.
Si tratta pertanto di una figura di danno non patrimoniale, nelle sue declinazioni biologiche, morali ed esistenziali di un pregiudizio psicologico, inteso come mancato guadagno sul piano del benessere e della qualità della vita che sarebbe potuto derivare dal godimento della vacanza, un vero e proprio danno esistenziale[22] che deve essere mantenuto distinto da una sofferenza economica che il viaggiatore potrebbe patire, per esempio, a seguito dello smarrimento del suo bagaglio o della cancellazione del volo prenotato.
Si configura come un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta, che contempla non solo la perdita patrimoniale, vale a dire i costi sostenuti, ma anche e soprattutto quella non patrimoniale, ovvero la perdita di un’occasione di relax a causa della vacanza non riuscita che viene fatta rientrare negli interessi non patrimoniali, risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c., al pari di qualunque lesione non economica posta a tutela dei diritti costituzionalmente garantiti.
Si ritiene che il danno patito derivi dalla lesione di un interesse non patrimoniale quale è l’occasione di svago e di relax e, pertanto, anch’esso risarcibile ex art. 2059 c.c., a seguito della compromissione del proprio progetto di vita, sia pur limitatamente al periodo di godimento delle proprie ferie e al periodo immediatamente successivo alle stesse, nel quale continua a produrre i propri effetti il diritto a beneficiare del meritato riposo[23].
In tale ipotesi di stress e disagio psicofisico al turista è riconosciuto il diritto di richiedere all’organizzatore del viaggio il risarcimento per il danno da vacanza rovinata scaturente dal mancato godimento della vacanza o da un minor godimento della stessa, come affermato anche dalla Suprema Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella causa C-168/00 del 12 Marzo 2002 che, nell’interpretare l’art. 5 della direttiva del 13 giugno 1990, 90/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso, ha dichiarato che il consumatore ha il diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso[24].
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale appare di particolare rilevanza anche la pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, n. 26973, dell’11.11.2008[25] che ha stabilito che tutti i pregiudizi subiti debbano essere ricondotti ad un’unica voce di danno non patrimoniale, un’unica macrocategoria, che scaturisce sia nelle ipotesi in cui il fatto lesivo costituisca reato, sia nell’ipotesi in cui il giudice accerti la sussistenza di un’ingiustizia subita che costituisca lesione di un diritto individuale della persona costituzionalmente riconosciuto.
Le Sezioni Unite, però, in tale sentenza non hanno espressamente compiuto un riferimento al danno da vacanza rovinata, rimandando alle successive pronunce giurisprudenziali il compito di individuarne il fondamento giuridico.
Alla luce di quanto sopra analizzato, la giurisprudenza ormai è pacifica nell’ammettere la risarcibilità del danno da vacanza rovinata secondo le modalità sopra descritte[26].
L’art. 47 del Codice del Turismo, infatti, definisce il danno da vacanza rovinata come un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta, a patto che l’inadempimento sia di non scarsa importanza.
Il danno da vacanza rovinata è un danno, di natura morale dunque extrapatrimoniale, risarcibile solo qualora non consista in una lesione di scarso rilievo, ma grave essendo il tempo della vacanza funzionale alla realizzazione di un interesse non patrimoniale.
II danno non patrimoniale da vacanza rovinata costituisce uno dei casi previsti dall’art. 2059 c.c., in cui il pregiudizio non patrimoniale è risarcibile e spetta al giudice di merito valutare la domanda di risarcimento di tale pregiudizio non patrimoniale, tenuto conto dei generali principi di correttezza e buona fede, nonché dell’entità del danno subito, compatibilmente con il principio di tolleranza delle lesioni minime e previo bilanciamento degli interessi in gioco[27].
Spetta al giudice di merito la verifica della gravità della lesione e della serietà del pregiudizio patito, e, constatata la violazione della norma che contempla il diritto oggetto di lesione, l'attribuzione del rilievo solo a quelle condotte che offendono in modo sensibile l’interesse protetto.
Si sostanzia nel pregiudizio non solo economico, ma anche morale collegato alla delusione e al cosiddetto stress causato dalla circostanza di non avere potuto godere affatto o godere appieno dei benefici di una vacanza, a causa della sua cancellazione o dei disagi e disservizi subiti.
È un danno avente natura contrattuale e fondato sull'inadempimento delle obbligazioni assunte dall’agenzia di viaggi o dall’organizzatore con riguardo al contratto di viaggio o inerente al pacchetto turistico stipulato con il consumatore[28], purché si siano patiti disagi che superino una soglia minima di tollerabilità, da valutare in relazione alle singole fattispecie, con apprezzamento di fatto del giudice di merito.
Non trova fondamento, ad esempio, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da c.d. vacanza rovinata a causa della mancata comunicazione del cambiamento di orario del volo prenotato e della conseguente perdita del volo e della vacanza programmata, qualora l’agenzia di viaggio nei cui confronti tale domanda è formulata abbia proposto un viaggio alternativo, rifiutato dal viaggiatore[29].
Inoltre, l’organizzatore o il venditore di un pacchetto turistico è tenuto a risarcire qualsiasi danno (ivi incluso il danno da vacanza rovinata) subìto dal consumatore, anche quando la responsabilità sia ascrivibile ad altri prestatori di servizi (come il vettore, nella specie), salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti[30]..
4. Il decreto legislativo n. 62/2018
Dal giorno 01 luglio 2018 è entrato in vigore il decreto legislativo n.62/2018, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.129 del 06 giugno 2018 che, in attuazione della direttiva UE 2015/2302 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici ed ai servizi turistici collegati, ha sostituito in toto il Capo I del Titolo VI dell’Allegato 1 al D. lgs n.79/2011, riconoscendo le istanze comunitarie volte a rafforzare i diritti dei viaggiatori, aumentando le responsabilità degli operatori del settore che dovranno muoversi all’interno di un mercato più equo e trasparente[31].
La nuova normativa riconosce maggiori diritti e tutele, ivi compreso il diritto al risarcimento del danno da vacanza rovinata al consumatore che, nella fattispecie, è un viaggiatore, che acquista un pacchetto con formula all inclusive, in cui dunque sono ricompresi oltre al soggiorno con il pernottamento anche i servizi ad esso collegati, quali ad esempio il trasporto ed eventuali trasferimenti e visite guidate e le combinazioni personalizzate, vale a dire i servizi alberghieri acquistati via web insieme al biglietto aereo sui siti della compagnie aeree entro ventiquattro ore.
Il pacchetto turistico deve rappresentare la combinazione di almeno due tipologie di servizi turistici di trasporto, alloggio, noleggio veicoli o altro servizio offerto per il medesimo viaggio, sia che siano combinati da un unico professionista, sia che siano stati conclusi con contratti separati ma acquistati presso un unico punto vendita, sia che siano stati offerti ad un prezzo forfettario o pubblicizzati come pacchetto o con denominazione analoga (art. 33).
La nuova disciplina impone inoltre agli operatori di fornire informazioni più chiare per i viaggiatori sul tipo di prodotto acquistato mentre il viaggiatore, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., deve informare l’organizzatore, direttamente o tramite il venditore, tempestivamente, tenuto conto delle circostanze del caso, di eventuali difetti di conformità rilevati durante l’esecuzione di un servizio turistico previsto dal contratto di pacchetto turistico.
Più in particolare, ai sensi dell’art. 34, il professionista, in sede precontrattuale, dovrà fornire al turista un modulo informativo standard oltre a specifiche informazioni relative alle caratteristiche dei servizi offerti.
Tali informazioni, ai sensi dell’art. 35, sono vincolanti e devono essere considerate parte integrante ed immodificabile del pacchetto offerto, salvo diverso espresso accordo tra le parti, e previa consegna da parte del professionista di una copia o una conferma del contratto concluso su un supporto durevole o di una copia cartacea, il cui contenuto è specificatamente indicato all’interno dell’art. 36, qualora il contratto sia stato stipulato alla contemporanea presenza fisica delle parti.
Il viaggiatore, pertanto, potrà rifiutarsi di pagare costi aggiuntivi di cui non abbia preventivamente ricevuto idonea informazione.
La normativa[32] prevede per il consumatore sia la possibilità di ottenere il rimborso di una somma pari al danno subito durante il viaggio per un impedimento imputabile esclusivamente all’organizzatore o ad un suo incaricato, come nelle ipotesi per esempio di ritardi aerei o di sistemazione in una categoria inferiore rispetto a quella pattuita o di overbooking[33], sia, come già sopra chiarito, un risarcimento da vacanza rovinata nell’ipotesi in cui i disservizi abbiano dato origine a stress e a disagio psicofisico durante un periodo che invece doveva essere destinato al recupero.
La richiesta di risarcimento deve pervenire entro un termine prescrizionale di due anni, che diventano tre nel caso i danni siano alla persona, a decorrere dalla data del rientro del viaggiatore nel luogo di partenza.
5. Onere della prova e risarcimento del danno
Al verificarsi del disservizio il turista dovrà presentare tempestivamente reclamo scritto al tour operator e, atteso che su di lui incombe l’onere di provare il mancato godimento, dovrà allegare idonea documentazione e fornire puntuale indicazione delle circostanze dell’inadempimento di controparte, con conseguente diritto del consumatore ad un risarcimento del danno diverso e ulteriore, in quanto il contratto di acquisto del viaggio è stato stipulato in vista di una utilità come il riposo, lo svago e la fuga dalla realtà quotidiana[34].
Spetterà, di contro, al tour operator provare l’avvenuto adempimento del contratto.
La richiesta di risarcimento, tuttavia, si prescrive in un anno dal rientro dalle vacanze, termine entro cui sarà possibile adire il Tribunale competente per i danni derivanti dall’inesatto adempimento o dall'inesatta esecuzione della prestazione.
A tal fine, ai sensi dell’art. 47 del d. lgs n. 62 del 21 maggio 2018, gli operatori turistici stabiliti sul territorio nazionale si devono dotare di una specifica polizza assicurativa per la responsabilità civile a favore del viaggiatore per il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dei rispettivi obblighi assunti con i rispettivi contratti, anche in caso di insolvenza o di fallimento.
I viaggiatori possono del pari sottoscrivere in maniera facoltativa o obbligatoria un’assicurazione che copra le spese di recesso unilaterale dal contratto o le spese di assistenza, rientro od infortunio, malattia o decesso.
Tra le novità contenute nel decreto vi è la previsione, all’art. 51, di sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie nell’ipotesi di violazione delle norme da parte del professionista, dell’organizzatore o del venditore che saranno irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Le sanzioni previste appaiono abbastanza gravose e consistono nella condanna al pagamento di una somma da 1.000 a 20.000 euro, in caso di reiterazione o di recidiva, e nella sospensione dell’attività da quindici giorni a tre mesi e, in caso di recidiva reiterata, nella cessazione dell’attività.
6. Danno da vacanza rovinata ai tempi del Covid-19
Al giorno d’oggi il tema del danno da vacanza rovinata ha assunto un ruolo di particolare rilievo a causa dell’imprevedibile emergenza epidemiologica da Covid-19 che è ancora in corso.
Infatti, il problema si pone nel caso in cui la vacanza in questione, pur non essendo stata annullata direttamente dal tour operator, sia di fatto impossibile da effettuare, a causa dell’intervento di restrizioni governative previste nella destinazione da raggiungere ovvero nel luogo di partenza.
In tali circostanze, non essendo prevista una concreta disciplina ad hoc per i casi di specie, appare configurabile l’ipotesi di una impossibilità sopravvenuta della prestazione e dunque il ricorso alla fattispecie delineata dall’art. 1463 c.c., il quale dispone precipuamente che «Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta, non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuta»[35].
Il Governo italiano, al fine di fronteggiare l’imprevedibile contesto emergenziale, ha lavorato attraverso l’emanazione di una serie di DPCM contenenti alcune misure restrittive volte ad evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di residenza, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute, consentendo il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza, impedendo in sostanza qualsivoglia spostamento ai soli fini turistici, riconoscendo non un risarcimento del danno, perché danno non vi è stato, bensì un rimborso per il mancato godimento determinato dalle eccezionali circostanze verificatesi.
L’emanazione dei vari DPCM ha determinato una reazione a catena nei vari settori del turismo e, più nello specifico, nell’ipotesi di cancellazione dei viaggi aerei, il d.l. 2 marzo 2020, n. 9 aveva inizialmente previsto il diritto al rimborso integrale del costo sostenuto, previa richiesta entro 30 giorni dalla data prevista della partenza, mentre per i viaggi successivi al 13 aprile 2020, si sarebbe dovuta applicare la normativa comunitaria contenuta nel Regolamento CE n. 261/1994, secondo cui nell’ipotesi di cancellazione del biglietto da parte della compagnia aerea, il passeggero avrebbe avuto diritto al rimborso entro 7 giorni dalla data della partenza indicata nel biglietto ovvero alla riprotezione[36].
Niente, invece, sarebbe stato dovuto dalla compagnia in caso di cancellazione autonoma operata dal turista.
L’art. 41 del Codice del Turismo prevede poi che, in caso di circostanze inevitabili e straordinarie, se il pacchetto turistico non è stato di fatto cancellato dal tour operator deve comunque essere riconosciuto al viaggiatore il diritto di disdetta ed il conseguente diritto al rimborso integrale delle spese sostenute entro 14 giorni dal recesso.
Nell’ipotesi, invece, in cui la cancellazione sia stata compiuta dal tour operator non saranno previsti indennizzi supplementari, ritenuto che la pandemia rientra certamente tra le ipotesi di circostanze inevitabili e straordinarie menzionate dal sopra citato art. 41.
Ritenuto l’elevato numero di richieste di rimborso, agli organizzatori è consentita la possibilità di scegliere tra il rimborso e l’emissione di voucher di valore pari all’importo del viaggio annullato e della validità di un anno.
Soprattutto, nell’ipotesi di acquisto di biglietti viaggio più hotel o di pacchetti turistici, al fine di sanare questa vacatio legis, è intervenuto il legislatore con alcuni provvedimenti, quali da ultimo la Legge 17 luglio 2020 n. 77 (entrata in vigore il 19 luglio 2020), che ha convertito in legge il D.l. Rilancio n. 34/2020, con i quali ha statuito che i divieti imposti in piena emergenza epidemiologica dall’Autorità si concretizzano in veri e propri casi di impossibilità sopravvenuta.
Alla luce di tale presa di posizione, appare certamente configurabile un autentico diritto al rimborso per il consumatore, il quale deve essere opportunamente ristorato nei termini e nelle forme previste, anche attraverso l’emissione di un pacchetto turistico sostitutivo di pari importo e ugual valore qualitativo, da sfruttare ai sensi dell’art. 40 del Codice del Turismo, entro 18 mesi dal rilascio.
Sul punto, di forte impatto risulta peraltro la portata dell’art. 41 del Codice del Consumo, che, anche in assenza di cancellazione del viaggio da parte dell’organizzatore, dispone che «In caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione, il viaggiatore ha diritto di recedere dal contratto, prima dell’inizio del pacchetto, senza corrispondere spese di recesso, ed al rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non ha diritto a un indennizzo supplementare» e «L’organizzatore procede a tutti i rimborsi prescritti a norma dei commi 4 e 5 […] senza ingiustificato ritardo e in ogni caso entro quattordici giorni dal recesso. Nei casi di cui ai commi 4 e 5, si determina la risoluzione dei contratti funzionalmente collegati stipulati con terzi».
Orbene, nel caso di specie, non v’è chi non veda come la pandemia, denominata Covid-19, rappresenti, senza ombra di dubbio, un evento straordinario, che permette al cliente di ottenere interamente quanto anticipato, a condizione che le circostanze citate dalle norme si siano verificate nel luogo di destinazione.
Alla luce della summentovata interpretazione ermeneutica è dunque possibile ottenere un serio ristoro patrimoniale per ogni pacchetto turistico rimasto sostanzialmente non fruibile per il consumatore.
Tale apertura ha incrementato esponenzialmente il numero di richieste e di cause risarcitorie nei confronti degli organizzatori, già colpiti duramente dalla profondissima crisi determinata dalla pandemia, oltre che dalle conseguenze sfavorevoli per tutti i professionisti del settore, derivanti dalle possibili richieste di rimborso motivate da Covid-19, anche se in molti casi scevre dal configurarsi di una vera impossibilità sopravvenuta, giungendo a delineare una forma di autoresponsabilità del viaggiatore, di contro sin qui visto sempre nelle vesti del contraente debole[37].
Al fine di evitare l’esorbitante flusso di cassa, causato dalle numerose cancellazioni dovute alla pandemia, certamente insostenibile per i settori dei trasporti e dei viaggi, già in stato di profonda sofferenza, si è ritenuta utile la predisposizione, già in fase precontrattuale, di un piano informativo per il viaggiatore per quanto concerne le norme sanitarie del caso, nonché le regole che l’ingresso in uno Stato preveda e in subordine far firmare allo stesso un modulo per il consenso informato.
Questa recente tesi è stata avvalorata anche dalla sentenza n. 14257/2020 della Cassazione[38] che, superando il classico dogma che vede il consumatore in una situazione di presunzione assoluta di debolezza, sempre e comunque meritevole di protezione, scongiurerebbe il rischio e l’abuso di contenziosi meramente strumentali e relegherebbe le ipotesi di disdetta dal contratto di viaggio ai soli veri casi di impossibilità sopravvenuta.
La questione al momento, nell’assenza di ulteriori casi, appare prettamente dottrinale, poiché, fatta eccezione per il caso giurisprudenziale sopra evidenziato, resta invero una controversia irrisolta e solo l’inevitabile pronuncia della Corte di Giustizia Europea, chiamata a sanare il contrasto tra norme sovranazionali ed emergenziali, potrà arginarla.
Se quasi del tutto pacifica appare tuttavia la configurazione del danno patrimoniale e la previsione del conseguente rimborso, di contro problematica sembra essere nel caso in specie la prospettazione di un danno non patrimoniale, causato da Covid-19.
Come si è già avuto modo di precisare, all’interno della locuzione danno da vacanza rovinata, nella prassi, non deve ricomprendersi esclusivamente l’evidente danno patrimoniale, ma anche le occasioni di svago e di relax perse, le quali vanno inquadrate nell’ambito dell’ampio spettro degli interessi non patrimoniali, risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c..
Sul punto è già stato chiarito che, trattandosi di un inadempimento del tour operator, il turista è tenuto a presentare formale reclamo presso l’organizzatore interessato, provando il possesso di un contratto di viaggio e allegando le circostanze dell’inadempimento di controparte (ad esempio: mediante l’uso di foto, filmati, testimonianze), al fine di ottenere un concreto risarcimento del danno diverso e ulteriore, quale la perdita del riposo, dello svago e della fuga dalla realtà quotidiana, che ogni comune viaggiatore si aspetta da un viaggio.
Il tour operator deve provare, invece, l’avvenuto adempimento del contratto.
È, dunque, lecito e plausibile ottenere ristoro per il suindicato danno, che a parere della Corte di Giustizia Europea andrebbe comunque quantificato in senso equitativo, tenendo conto in primo luogo dell’irripetibilità del viaggio, nonché del valore soggettivo attribuito alla vacanza dal consumatore e dello stress subito a causa dei disservizi.
Nella suddetta valutazione, il giudice è naturalmente chiamato a parametrare il disagio e il consequenziale danno sulla base di soglia minima, al fine del corretto bilanciamento dei contrapposti interessi professionista-consumatore e dei fondamentali canoni di correttezza e buona fede.
Nella perdurante assenza di una netta presa di posizione giurisprudenziale ovvero legislativa anche a favore del danno non patrimoniale, causato da Covid-19, si ritiene dunque possa applicarsi in via analogica il suindicato orientamento, che poggia le basi sulla lettura combinata dell’art. 47 del Codice del Turismo e dell’art. 2059 c.c.
Nonostante la pandemia da Covid-19 stia mostrando dei segni di rallentamento, dovuti in buona parte dall’aumento del tasso di vaccinazione, il rischio di contagio e di nuovi lockdown appare ancora oggi in agguato e potrebbe, pertanto, ancora accadere che, alla vigilia della partenza, possa essere riscontrata la positività del turista.
E’, pertanto, rimesso al tour operator, alla struttura e alla compagnia la possibilità di prevedere l’annullamento gratuito, un rimborso, la possibilità di posticipare la partenza o l’emissione di un voucher, in caso di impossibilità a partire causa malattia da Covid-19[39].
A tal proposito, è necessario menzionare la legge n.69 del 21 maggio 2021, entrata in vigore dal 22 maggio 2021, che ha esteso la validità di questi voucher da 18 a 24 mesi per quelli relativi a contratti di trasporto, soggiorni, pacchetti turistici, gite scolastiche e viaggi d'istruzione.
Solo dopo che siano decorsi 24 mesi dall’emissione, per i voucher non utilizzati è previsto, entro 14 giorni dalla scadenza, il rimborso dell’importo versato.
7. Conclusioni e prospettive de iure condendo
Alla luce dell’analisi fino a qui condotta e rappresentata, ed attraverso il percorso ermeneutico, giurisprudenziale e normativo fino a qui tracciato, appare evidente l’evoluzione normativa in melius che ha caratterizzato la figura del c.d. danno da vacanza rovinata da parte dell’ordinamento giuridico interno che, ad eccezione di alcuni casi sporadici[40], ha sempre negato la risarcibilità del danno non patrimoniale causato in tali fattispecie da un inadempimento contrattuale.
Un ruolo di notevole impulso ed importanza è stato senza dubbio svolto dall’ordinamento giuridico europeo fin dalla menzionata decisione della Corte di Giustizia Europea del 12 marzo 2002 n. C 168/00, che ha guidato e condotto il legislatore durante l’abbondante attività normativa fino all’approdo alla nuova soddisfacente disciplina che, dettata anche dalle conseguenti indicazioni giurisprudenziali, appare certamente più dinamica ed incisivamente favorevole rispetto a quella pregressa.
Le perplessità di un tempo mostrate sulla natura del danno da vacanza rovinata riguardanti la figura dei soggetti coinvolti, la responsabilità dell’organizzatore e dell’intermediario e gli obblighi informativi sembrano essere stati superati con la nuova attenta e puntuale disciplina.
In prospettiva futura l’auspicio è quello di una continua collaborazione tra l’organo legislativo e l’attività dell’ermeneuta, attesa l’estrema rilevanza rivestita dal turismo in un Paese a forte vocazione turistica quale è l'Italia ove tale settore, dall’enorme potenziale solo minimamente sfruttato, potrebbe risultare di fondamentale importanza per la crescita dell’economia italiana, nonché dei livelli di occupazionali soprattutto giovanili.
A tal proposito, de iure condendo, potrebbe mostrarsi utile ad entrambe le parti contrattuali la previsione dell’eventualità, da parte del viaggiatore, di stipulare un’ulteriore polizza, assolutamente opzionale e facoltativa, la quale preveda la possibilità per il medesimo di ottenere un ulteriore risarcimento, il cui importo è preventivamente fissato almeno nel 200% del corrispettivo pagato per l’acquisto del pacchetto turistico, nell’ipotesi di danno subito per cause esclusivamente riconducibili all’organizzatore o all’intermediario e non al caso fortuito o di forza maggiore.
Questa tutela aggiuntiva, oltre a tutelare maggiormente il turista, consentirebbe altresì all’organizzatore o all’intermediario di rafforzare la propria posizione nel mercato grazie ai potenziali maggiori guadagni ed ai feedback ottenuti.
[1] Legge abrogata dall’art. 3, d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79 a decorrere dal momento in cui è divenuta efficace la denuncia dello Stato Italiano della Convenzione internazionale sul contratto di viaggio del 23 aprile del 1970, in conformità a quanto disposto dall’art. 37 della legge di ratifica.
[2] V. ROPPO, Convenzione internazionale relativa al contratto di viaggio. Commentario, in Nuove leggi civ. comm., 1978.
[3] Paesi aderenti furono Alto Volta, Benin, Camerun, Costa d’Avorio, Città del Vaticano, Italia, Libano, Marocco, Nigeria, Filippine, Portogallo, San Marino, Togo, nonché Argentina e Belgio i quali hanno provveduto all’abrogazione della CCV tramite il procedimento di denuncia di cui all’art. 37.
[4] Tale direttiva è stata oggetto di revisione da parte della Commissione Europea la quale, in data 9 luglio 2013, ha presentato una proposta di direttiva al Parlamento Europeo ed al Consiglio relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici assistiti, che modifica il regolamento n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio (v. www.eur-lex.europa.eu).
La procedura adottata secondo il disposto di cui all’art. 294 TFUE è stata ultimata ed ha portato all’adozione della direttiva UE 2015/2302, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea in data 11.12.2015.
[5] Sin dalla sua entrata in vigore sono sorti dubbi di legittimità costituzionale a causa della presunta violazione, da parte del legislatore nazionale, dei limiti della potestà legislativa statale nelle materie di competenza residuale, tra cui, in seguito alla riforma del titolo V del 2001, deve ricomprendersi anche il turismo.
Il ricorso, in particolare, è stato presentato alla Consulta dalle Regioni Umbria, Toscana e Veneto le quali hanno rilevato come il Codice del turismo si configuri al pari di una disciplina organica della materia, rappresentando una legge quadro.
Tuttavia, l’emanazione di dette leggi è consentita allo Stato solo nelle materie di legislazione concorrente e non in quelle appartenenti, al pari del turismo, alla competenza residuale delle Regioni. (Corte Costituzionale 5 aprile 2012, n. 80, in Giust. civ., 2012, I, 1388 ss ed in Riv. it. dir. tur., 6, 2012, 29 ss.).
La Corte Costituzionale, in accoglimento dei ricorsi proposti, ha dichiarato costituzionalmente illegittime quasi tutte le disposizioni del codice del turismo in materia di organizzazione pubblica del settore.
Ha, invece, salvato dalla declaratoria le restanti disposizioni riconoscendo al legislatore statale il potere di riordinare le norme incidenti sulla materia del turismo in forza del potere di attrazione in sussidiarietà, il quale consente di attenuare la rigida ripartizione materiale delle competenze ex art. 117 Cost., qualora ciò sia necessario per il soddisfacimento da parte dello Stato di interessi unitari (In seguito alla sentenza della Consulta mostra delle remore al rispetto da parte del codice dei criteri delega C. GIUNTA, Art. 76 Cost. nei giudizi in via d’azione: il codice del turismo in cerca di delega, in www.federalismi.it, 6,2012, 8 ss.).
[6] E. GUERINONI, Contratti e responsabilità nel codice del turismo, in Corr. Giur., 2012, 5 ss.
[7] Cassazione civile sez. III, 14/07/2015, n. 14662; Corte appello Milano sez. IV, 19/06/2015, n. 2624; Corte appello Milano sez. III, 04/05/2015, n. 1914. La Corte di Giustizia europea, già nel 2002 (sentenza 12 marzo 2002, n. 168), pronunciandosi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell'art. 5 della direttiva n. 90/314/CEE, aveva affermato che il suddetto articolo dovesse essere interpretato nel senso che «in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso», mettendo in evidenza che «nel settore dei viaggi turistici si segnalano spesso danni diversi da quelli corporali, al di là dell'indennizzo delle sofferenze fisiche» e che «tutti gli ordinamenti giuridici moderni (riconoscono)..un'importanza sempre maggiore alle vacanze».
[8] G. PACCHIONI, Del risarcimento dei danni morali, in Riv. dir. comm., 1911, II, p.240 e ss.
[9] Cassazione, 18 maggio 1923, S.S. U.U., 22 maggio 1923, Cassazione Sez. I, 20 ottobre 1924.
[10] A. ASQUINI, Massime non consolidate in tema di responsabilità nel trasporto di persone, Riv. dir. comm., 1952, II, 2; L. BARASSI, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1964; C.M. BIANCA, Diritto Civile, V, La responsabilità, Milano,1994; A De Cupis, Il danno, vol. I, Milano, 1979;
[11] Cass. n. 8827 e n. 8828/2003.
[12] C. M. BIANCA, Diritto Civile, V, La responsabilità, cit., p.170
[13] C.M. BIANCA, Diritto Civile, V, La responsabilità, cit., p.171
[14] F.D. BUSNELLI, Interessi della persona e risarcimento del danno, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996; A. RAVAZZONI, La riparazione del danno non patrimoniale, Milano, 1962; R. SCOGNAMIGLIO, Il danno morale, in Riv. dir. civ., 1957, 316; V. ZENO-ZENCOVICH, Interesse del creditore e danno contrattuale non patrimoniale, in Riv. dir. comm., 1987.
[15] Cass., S.U., 22.7.1999, n. 500, in Europa e dir priv., 1999, 1221 ss.
[16] M. CARRA', L’esercizio illecito della funzione pubblica ex art. 2043 c.c., Giuffré, Milano, 2006.
[17] V. GALOPPINI, Il caso Gennarino ovvero quanto vale il figlio di un operaio, in Democrazia e diritto, 1971, p. 225
[18] Cass. Sez. Un., 11-11-2008, n. 26972/3/4/5, in Foro it., 2009.
[19] C. AMATO I primi passi del danno non patrimoniale per inadempimento contrattuale dopo le Sezioni unite di San Martino, in Danno e resp., 2009, 771.
[20] V. ZENO-ZENCOVICH, Il danno da vacanza rovinata: questioni teoriche e prassi applicative, in Nuova giur. civ. comm., 1997, pag. 879; S.POLLASTRELLI, Il risarcimento del danno morale nei viaggi turistici organizzati, in Dir. mar., 2003, pag. 43.
[21] N. ORTU, Il risarcimento del danno da vacanza rovinata. Gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza, in Resp. civ. prev., 2009, pag. 2538.
[22] F. MORANDI, Il danno da vacanza rovinata, in Il danno esistenziale, Milano, 2000; P. CENDON- P. ZIVIZ, Il risarcimento del danno esistenziale, Milano, 2003, p. 46.
[23]Tribunale Bologna, 7 giugno 2007, in Resp. Civ. prev., p. 1401; G.d.P. di Casoria, 8 settembre 2005, n. 331, in Danno e resp., 2000,6, p. 432; G.d.P. Milano, 18 dicembre 2000, in Giur.it, 2000, p. 1159.
[24] CGCE, 12 marzo 2002, C-168/00, in Danno e responsabilità, 2002, 1099, con commento di C.S. CARASSI, L’interpretazione da parte della Corte di Giustizia CE delle norme di comunitarie è, indiscutibilmente, vera nomofilachia, anche in: Giur. It., 2002, 1801 con commento di L. SESTA, Danno da vacanza rovinata e danno morale contrattuale; in Resp. Civ. pre., 2002, 373, con commento di R. GUERINONI, L’interpretazione della Corte di Giustizia riguardo al danno da vacanza rovinata; S. PAGLIANTINI, Per un’interpretazione comunitariamente orientata dei danni non patrimoniali da contratto, in Contr., 2010, 736 ss.
[25] Cass. Sez. Un., 11.11.2008, n. 26973, in Foro.it, 2009, I, 120 con commento, tra gli altri, di F.D. BUSNELLI, Le Sezioni Unite ed il danno non patrimoniale, R.d.civ., 09, 97, Id., Le Sezioni Unite e il danno non patrimoniale, in F.D. usnelli S. Patti (a cura di), Danno e responsabilità civile, Torino, 2013, p. 59 e ss.; E. NAVARRETTA, Il danno non patrimoniale. Principi e tabelle per la liquidazione, Milano, 2008.
[26] Cassazione civile sez. III, 12/02/2019, n.3978; Cassazione civile sez. III, 06/07/2018, n.17724; Corte appello Bari sez. II, 16/01/2018, n.46; Cassazione civile sez. III, 19/10/2017, n.24607; Cassazione civile sez. III, 14/06/2016, n.12143 Tribunale Reggio Emilia sez. I, 30/03/2016, n.434; Tribunale Monza sez. I, 14/12/2015, n.3077; Tribunale Trento, 09/10/2015, n.928; Cassazione civile sez. III, 14/07/2015, n.14662; Corte appello Milano sez. IV, 19/06/2015, n. 2624; Corte appello Milano sez. III, 04/05/2015, n.1914.
[27] Cass. Civ., 6 luglio 2018, n. 17724.
[28] Cass. civ., 16 marzo 2017, n. 6830.
[29] Cass. civ., 14 giugno 2016, n. 12143.
[30] Cass. civ., 6 luglio 2018, n. 17724.
[31] Attuazione della direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici collegati, che modifica il Regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio, in GU Serie Generale n. 129 del 06.06.3018).
[32] Regolamento CE n. 261 del 2004.
[33] Giudice di Pace di Palermo S. n. 858/2021.
[34] L’acquirente di biglietto aereo che chieda la condanna dell'agente di viaggi al risarcimento del danno non patrimoniale da vacanza rovinata ha l’onere di allegare gli elementi di fatto dai quali si possano desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio, in base alla disciplina del risarcimento del danno da inadempimento contrattuale (Cass. 14 giugno 2016, n. 12143) e si traduce in una operazione di bilanciamento demandata al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale, dalla constatazione della violazione della norma che contempla il diritto oggetto di lesione, attribuisce rilievo solo a quelle condotte che offendano in modo sensibile l’interesse tutelato (Cass. civ. 14 luglio 2015, n. 14662).
[35] Corte appello Napoli, sez. VII, 10.05.2019, n. 2529; Tribunale Firenze sez. III, 22.05.2019, n. 1581.
[36] Corte giustizia UE sez. I, 26/03/2020, n. 215.
[37] Cass. civ., sez. III, sentenza 8 luglio 2020, n. 14257.
[38] Cass. Civ., Sez. III, Sent. (ud. 24.02.2020), dep. 8.7.2020.
[39] Cass. civ. sez. II, 24.11.2020, n. 26694.
[40] Tribunale di Roma, 6 ottobre 1989, in Resp. Civ. prev., 1992, p. 263.