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Pubbl. Gio, 16 Mar 2023

Dalle procedure d´allerta alla composizione negoziata della crisi di impresa: evoluzione e criticità

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Maria Giulia Lugli
AvvocatoUniversità degli Studi di Modena e Reggio Emilia



Il presente articolo muove da una panoramica sulla disciplina del nuovo istituto della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, introdotto dal D.L. 118/2021. In particolare, ci si concentra sull’esame della nuova disciplina e delle sue caratteristiche, soffermandosi sui profili di novità rispetto al precedente sistema d’allerta e sulle criticità che il nuovo istituto può presentare, soprattutto con riferimento alle modalità di accesso allo stesso, alla figura e al ruolo dell’esperto e ai nuovi obblighi di segnalazione.


ENG

From alert procedures to the negotiated settlement of the companies’ business crisis: evolution and critical issues

this article provides an overview about the regulation of the negotiated settlement for the resolution of the companies’ business crisis, introduced by the Decree Law 118/2021. the article offers an exam of the new regulation and of its features, focusing on the profiles that distinguishes the new institution from the alert procedures. It also debates the critical issues that the negotiated settlement for the resolution of the corporate business crisis may concern, especially with reference to its application procedures, to the role of the expert and to the new warning obligations

Sommario: 1. L'evoluzione normativa del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: dalle procedure d'allerta alla composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa; 2. Il Codice dopo il d.lgs 83/2022 e la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Caratteristiche principali e criticità; 3. Accesso alla composizione negoziata: presupposti oggettivi e soggettivi; 4. La figura e il ruolo dell’esperto; 5. Gli obblighi di segnalazione di cui agli artt. 25-octies e ss. CCII; 6. Conclusioni.

1. L’evoluzione normativa del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: dalle procedure d’allerta alla composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa

Il 15 luglio 2022 è entrato per la prima volta in vigore l’istituto della composizione negoziata della crisi d’impresa, introdotto con il D.L. 118/2021, poi convertito in L. 147/2021, con il quale è stato sostituito definitivamente il sistema delle procedure di allerta inizialmente disciplinate nel d. lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019, c.d. “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (o anche “CCII”, o “Codice”).

La necessità di rivedere la versione iniziale della riforma del diritto concorsuale, come è noto, è sorta a causa dell’emergenza pandemica causata dal Covid-19 e della conseguente crisi economica che ha colpito duramente il tessuto economico e industriale a livello globale.

Il diffondersi della pandemia, infatti, ha portato molte imprese a lunghi periodi di inattività, durante i quali – nonostante la mancanza di ricavi – le stesse dovevano comunque sostenere un elevato numero di costi. Tale situazione ha imposto l’adozione di misure emergenziali a tutela delle imprese e, quindi, di correttivi al CCII, poiché le procedure d’allerta, così come inizialmente concepite, avrebbero potuto pregiudicare lo stato di svariate imprese, già sofferenti a causa del Covid-19.

A questo proposito, già nella relazione illustrativa al c.d. “decreto liquidità” (d.l. n. 23 dell’8 aprile 2020) si ravvisava l’opportunità di un rinvio integrale del CCII data dal quadro macroeconomico allora in essere[1].   

 In particolare, all’art. 5 della suddetta relazione, si legge che il fenomeno pandemico ha imposto l’adozione di misure di urgenza per contenere gli effetti della pandemia sull’economia, poiché “anche al cessare dell’epidemia le ripercussioni economiche e finanziarie di tale evento eccezionale non verranno meno a breve termine ma si protrarranno per un periodo temporale piuttosto ampio”.

La relazione, nello specifico, individuava una serie di ragioni per le quali si rendeva necessario il rinvio dell’entrata in vigore del sistema delle misure di allerta. In primis, si sottolineava come lo stesso si prestasse maggiormente ad una situazione economica stabile e caratterizzata da “oscillazioni fisiologiche”, nell’ambito della quale – dunque – la maggior parte delle imprese funzionasse regolarmente senza trovarsi in una situazione di crisi.

In secondo luogo, l’applicazione delle suddette misure, in uno scenario come quello descritto, avrebbe portato all’applicazione in larga misura dello strumento liquidatorio il quale, invece, deve essere utilizzato solo come “extrema ratio”. Se ciò si fosse avverato, il CCII avrebbe fallito prematuramente il suo scopo, dal momento che lo spirito del Codice stesso e, dunque, quello della riforma del diritto concorsuale, è quello di salvaguardare le imprese e di tutelarne la continuità aziendale.

Oltre a quanto sopra, è stata evidenziata, altresì, la “scarsa compatibilità tra uno strumento giuridico nuovo ed una situazione di sofferenza economica nella quale gli operatori più che mai hanno necessità di percepire una stabilità a livello normativo, e di non soffrire le incertezze collegate ad una disciplina in molti punti inedita e necessitante di un approccio innovativo. Risulta, quindi, opportuno che l’attuale momento di incertezza economica venga affrontato con uno strumento comunque largamente sperimentato come la Legge Fallimentare, in modo da rassicurare tutti gli operatori circa la possibilità di ricorrere a strumenti e categorie su cui è maturata una consuetudine”. Il legislatore, dunque, ha mirato alla stabilità del sistema, meglio garantita dall’assetto normativo della legge fallimentare anziché dal nuovo impianto del CCII non ancora sperimentato nelle sue dinamiche operative[2].

Da ultimo, si è ritenuto che l’originaria data di entrata in vigore del Codice, collocata a metà del mese di agosto, avrebbe potuto presentare concreti problemi applicativi, considerato che in quel periodo gli uffici giudiziari hanno una ridotta operatività anche nelle sezioni specializzate, e, quindi, si era optato per collocare l’entrata in vigore alla cessazione della c.d. “sospensione feriale”, quando i Tribunali riprendono pienamente la propria attività. Oltre a ciò, veniva sottolineato che “il differimento consentirà di allineare il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza alla emananda normativa di attuazione della Direttiva UE 1023/2019 in materia di ristrutturazione preventiva delle imprese”.

Successivamente, il protrarsi dell’emergenza pandemica non solo ha portato ad ulteriori rinvii dell’entrata in vigore del CCII e delle procedure di allerta, ma ha reso necessaria una totale revisione della disciplina di queste ultime.

A questo proposito, come già si legge nella relazione al “Disegno di legge per la conversione in legge del decreto-legge 24 agosto 2021 n.118” , recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia”,  la situazione di crisi economica generalizzata aveva portato ad affiancare al rinvio del Codice altri interventi, tra i quali “l’introduzione di un nuovo strumento di ausilio alle imprese in difficoltà, di tipo negoziale e stragiudiziale”[3], denominato “composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa”.

2. Il Codice dopo il d.lgs 83/2022 e la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Caratteristiche principali e criticità

Come anticipato, dunque, tale nuovo istituto ha trovato applicazione nel nostro ordinamento a partire dal 15 luglio scorso, nel rispetto dei termini stabiliti dalla c.d.  “direttiva insolvency[4].

Esso presenta diversi profili di novità rispetto al sistema di allerta precedente, trattandosi di un istituto ad accesso volontario e, dunque, non obbligatorio.

Di seguito, si procederà all’esame della disciplina della composizione negoziata, evidenziandone le principali novità e profili critici.

Le novità introdotte nel Codice, sia in generale, che con specifico riferimento alla composizione negoziata della crisi, sono contenute nei Titoli I e II CCII e possono essere riassunte come segue:

a) quanto all’ambito applicativo, l’art. 1, c. 1, CCII stabilisce che “il presente codice disciplina alle situazioni di crisi o insolvenza del debitore, sia esso consumatore o professionista, ovvero imprenditore che eserciti, anche non ai fini di lucro, un’attività commerciale o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici”. La composizione negoziata, pertanto, si applica ai soggetti appena menzionati, prevedendo una disciplina ad hoc per le imprese c.d. “sotto-soglia” che presentano congiuntamente i requisiti di cui all’art. 2, c. 1, let. d);

b) introduce nuovi criteri per la valutazione relativa all’emersione della crisi e fissa doveri di correttezza e buona fede per i soggetti coinvolti nella procedura di composizione della crisi;

c) nell’ambito della composizione negoziata, vede l’intervento di un esperto, ossia di un professionista con specifiche competenze, che ha il compito di assistere l’imprenditore in difficoltà nel trovare un accordo con i creditori e con i potenziali interessati all’operazione di risanamento dell’impresa in crisi, e quindi con un ruolo più esteso di quello del commissario giudiziale nel concordato preventivo, almeno per quanto riguarda l’individuazione delle possibili soluzioni alla crisi;

d) coinvolge il mondo delle Camere di Commercio, che rappresentano il ceto imprenditoriale, creando, pertanto, un contesto più sensibile alle problematiche degli operatori economici;

e) introduce una piattaforma telematica, accessibile direttamente dall’imprenditore, utile per snellire le operazioni procedurali collegate al processo di risanamento aziendale e di definizione dei rapporti tra debitore e creditori;

f) la composizione negoziata consente di giungere a varie soluzioni della crisi (meri contratti con singole parti, convenzioni di moratoria, piani attestati, accordi di ristrutturazione anche a efficacia estesa)[5]. Altri aspetti di tale procedimento (documentazione da depositare unitamente all’istanza, il ruolo del Tribunale, conclusione della procedura con un eventuale accordo) sono, invece, mutuati dalle procedure concorsuali già esistenti e ne rispettano anche i principi ispiratori, tra i quali si rintraccia la volontà di preservare, per quanto possibile, l’attività economica dell’azienda in crisi, senza disperderla.

Ulteriori novità apportate alla nuova composizione negoziata, sono definite all’interno del Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28/9/2021 e possono essere riassunte come segue:

a) l’impostazione del c.d. “test pratico” per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa in crisi;

b) il protocollo di conduzione della composizione negoziata;

c) la check-list per la redazione del piano di risanamento, che è il documento centrale della procedura di composizione negoziata e per l’analisi della sua coerenza;

d) gli argomenti che devono essere oggetto del percorso formativo per gli esperti che devono assistere le imprese in crisi nella procedura della composizione negoziata;

e) l’impostazione della piattaforma telematica, che costituisce il canale per effettuare i test per la fattibilità del risanamento, per presentare la domanda di nomina dell’esperto da parte dell’imprenditore in crisi e caricare i documenti via via richiesti dalla procedura;

f) le indicazioni per la formulazione delle proposte alle parti interessate dalla composizione negoziata;

g) i contenuti dell’istanza per l’avvio della procedura della composizione negoziata;

h) la dichiarazione di accettazione della nomina di esperto.

Soffermandosi, poi, sulle modifiche apportate ai primi articoli del Codice, quelle che saltano subito all’occhio riguardano gli artt. 2, 3 e 4.

L’art. 2, rubricato “Definizioni” – seppur mantenga inalterate molte definizioni già previste nella prima versione del Codice – vede, innanzitutto, una rilevante modifica al comma 1, let. a). Come anticipato sopra, infatti, i correttivi sono intervenuti sulla nozione di crisi, mutandola parzialmente; pertanto, ora, la crisi è da intendersi come “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”.

Conseguentemente, da un confronto con la norma previgente, è possibile notare le seguenti modificazioni apportate all’art. 2:

a) è stato espunto il riferimento allo “squilibrio economico-finanziario”. Tale modifica ha destato alcune perplessità. Innanzitutto, non è ben chiaro perché il legislatore abbia optato per tale scelta: se è per fare in modo che vi sia un riferimento a tutti i debitori e non solo alle imprese (infatti, prima, lo squilibrio si riferiva esclusivamente ad esse), oppure se si siano seguite quelle critiche che – con riferimento al testo anteriore – puntualizzavano il fatto che non tutti i fattori di crisi si risolvono in uno squilibrio. Oltre a ciò, si osserva che il concetto di squilibrio, in ogni caso, si ritrova al successivo art. 3, c. 3, let. a), dove si legge che – al fine della tempestiva previsione della crisi – hanno un ruolo rilevante gli “eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario”. Di conseguenza, se è comunque presente il riferimento espresso ad una situazione, appunto di squilibrio, ci si domanda perché, e quale sia stata l’utilità, della cancellazione della stessa dalla previgente versione della norma[6];

b) è stato rimosso il termine “pianificate” con riferimento alle obbligazioni e, il termine di sei mesi, a cui rapportare l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni, è stato aumentato ad un anno. Relativamente a quest’ultimo cambiamento, dunque, si è voluto dare un termine di tempo maggiore per l’intercettazione della crisi. Lascia, invece, perplessi – data l’importanza che la riforma dà all’early warning e al forward looking – la scelta di avere eliminato il riferimento alla pianificazione, soprattutto se si pensa alla ratio che sottostà agli adeguati assetti ex art. 2086 c.c.: tuttavia, come è stato giustamente osservato, “non può davvero pensarsi che, sol perché il riferimento alla pianificazione è stato espunto dalla definizione di crisi, sarà poi legittimo o prudente indebolire l’apparato organizzativo da adottare in funzione preventiva della crisi”[7].

Oltre a quanto sopra, ulteriori cambiamenti significativi riguardano gli artt. 3 e 4, che, per il loro contenuto, assurgono ora a principi generali. In particolare, pare che il legislatore, in questi due articoli, abbia voluto introdurre nel CCII una sorta di “nuova deontologia”, disegnando un “sotto-codice etico della crisi”[8].

Nello specifico, i primi tre commi dell’art. 3 determinano una specie di rafforzamento degli obblighi di adozione degli “adeguati assetti” da parte dell’imprenditore, precisando gli obiettivi a cui tali assetti devono tendere. Ai primi due commi, infatti, la norma stabilisce che gli imprenditori individuali e collettivi devono istituire misure idonee e, con particolare riferimento alle imprese collettive, adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, tali da rilevare tempestivamente la crisi e adottare le iniziative idonee a risolverla.  Al terzo comma, invece, specifica quali sono le soglie di “difficoltà” che l’impresa deve essere in grado di rilevare mediante l’adozione dei suddetti assetti. Essi, quindi, devono consentire di:

  1. rilevare gli squilibri patrimoniali ed economico-finanziari dell’impresa rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta;
  2. verificare se l’impresa può sostenere i debiti e avere prospettive di continuità aziendale per i 12 mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4 del medesimo articolo;
  3. ricavare le informazioni necessarie e utilizzare la lista di controllo particolareggiata ed effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento aziendale. 

Il quarto comma citato, invece, indica quali sono i segnali di allarme al ricorrere dei quali può verificarsi una situazione di crisi, ossia:

  1. esistenza di debiti per retribuzioni, per oltre la metà del complessivo mensile delle retribuzioni stesse, scaduti da almeno 30 giorni; 
  2. esistenza di debiti verso fornitori, di ammontare superiore ai debiti non scaduti, da almeno 90 giorni;
  3. esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e di altri intermediari finanziari scadute da più di 60 giorni, oppure che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma, purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni;
  4. esistenza di esposizioni debitorie previste dall’art. 25 novies CCI. Si tratta dei debiti maturati nei confronti dei c.d. “creditori pubblici qualificati” e di cui si tratterà meglio infra.

Alla luce di quanto sopra riportato, dunque, è evidente che il comma 4 mira ad attuare l’obbligo più importante imposto dalla direttiva insolvency[9], ossia quello di creare idonei “early warning tools[10]. Dall’analisi degli alert indicati al comma 4, si evince che – nonostante la completa rielaborazione dell’art. 13 CCII e l’espunzione dal Codice del riferimento agli indici e indicatori della crisi – in realtà i nuovi segnali di allarme si rifanno a questi ultimi, anche se sono stati parzialmente integrati dalla nuova disciplina.

           Infine, l’art. 4, c. 1, CCII, impone il dovere del rispetto dei doveri di correttezza e buona fede delle parti coinvolte nella composizione negoziata, nel corso delle trattative e dei procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Nei commi successivi, allo stesso modo, stabilisce ulteriori doveri di trasparenza e informativa veritiera per il debitore, oltre a quello di leale collaborazione per i creditori. Il tutto, appunto, nell’ottica del rispetto della nuova “deontologia della crisi”.

3. Accesso alla composizione negoziata: presupposti oggettivi e soggettivi

Le norme che disciplinano la composizione negoziata della crisi indicano i presupposti oggettivi e soggettivi, al ricorrere dei quali è possibile accedervi. 

Innanzitutto, il primo requisito soggettivo, dettato dall’art. 12, c. 1, CCII, è quello di rivestire la qualifica di imprenditore commerciale, o agricolo: la procedura non può quindi essere utilizzata dagli operatori economici diversi da quelli imprenditoriali, come i professionisti, i lavoratori autonomi, e gli altri soggetti che non hanno la qualifica di imprenditori; per questi ultimi sono attivabili le procedure previste dagli artt. 65 – 83 del D. Lgs. 14/2019, ossia la ristrutturazione dei debiti del consumatore e il concordato minore.

In secondo luogo, la norma stabilisce che l’imprenditore che voglia accedere alla procedura debba trovarsi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza. Tale condizione integra il presupposto oggettivo, il quale, tuttavia, risulta piuttosto vago. In primis, si nota come il termine “probabilità di crisi” sia molto generico ed evanescente. D’altra parte, è necessario determinare quando uno squilibrio economico, patrimoniale e finanziario possa causare seriamente il verificarsi della crisi aziendale. Da un lato, infatti, un “semplice” squilibrio non può sempre essere valutato in termini allarmistici ai fini del verificarsi della crisi (altrimenti, la quasi totalità delle imprese dovrebbe trovarsi in una situazione di probabile crisi). Dall’altro, tale dicitura si presta a facili abusi, poiché imprese che non hanno ancora raggiunto uno stadio di declino apprezzabile potrebbero accedere alla composizione negoziata, fruendo dei benefici previsti dal Codice (ad esempio, quelli fiscali di cui alle “misure premiali”)[11]. In secondo luogo, andrebbe precisato anche il significato di “probabilità d’insolvenza”, in quanto è chiaro che l’impresa già decotta non possa accedere alla composizione negoziata (si dovrà trattare, al massimo di una crisi già iniziata, ma che non ha ancora raggiunto lo stadio di insolvenza). Infatti, l’impresa deve presentare delle possibilità di risanamento e, comunque, la direttiva insolvency riserva i quadri di risanamento preventivo solo alle imprese non ancora insolventi.

Conseguentemente a quanto sopra esposto, pertanto, è quantomai indispensabile integrare i requisiti suddetti con quelli fissati da altre norme del Codice della crisi di impresa, quali quelli indicati nell’art. 2, commi 3 e 4.

Come sopra accennato, il terzo presupposto oggettivo richiesto dall’art. 12, c. 1, CCII, è quello che possa ritenersi ragionevolmente sussistente e, quindi, perseguibile, il risanamento dell'impresa: a questo riguardo, il Decreto dirigenziale del 28/9/2021, rende disponibile il c.d. “test pratico” nella piattaforma telematica, di cui all’art. 13 CCII.

Come anticipato, l’avvio della procedura della composizione negoziata della crisi deve avvenire su base esclusivamente volontaria; pertanto – ad oggi – la normativa non impone alcun obbligo di accesso alla medesima. Ciò premesso, dunque, una volta verificata la sussistenza delle condizioni per chiedere l’accesso alla composizione negoziata, l’imprenditore in crisi può presentare un’istanza al Segretario generale della Camera di commercio, nel cui ambito territoriale si trova la sede dell’impresa, con la quale chiede la nomina dell’esperto indipendente di cui all’art. 12, comma 1, CCII. Tale istanza va presentata mediante la piattaforma telematica nazionale di cui all’art. 13, compilando un modello standard, il cui contenuto è definito con Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28/9/2021.

Il comma 3 dell’art 17 elenca, poi, i documenti che vanno allegati alla domanda di nomina dell’esperto, che costituisce contestualmente la domanda di accesso alla procedura della composizione negoziata della crisi di impresa. Tali documenti sono:

a) i bilanci degli ultimi tre esercizi, se non già depositati presso l'ufficio del registro delle imprese, oppure, per gli imprenditori che non sono tenuti al deposito dei bilanci, le dichiarazioni dei redditi e dell'Iva degli ultimi tre periodi di imposta (art. 17, comma 3, lett. a));

b) una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata a non oltre 60 giorni prima della presentazione della domanda (art. 17, comma 3, lett. a));

c) un progetto di piano di risanamento, redatto secondo le indicazioni della lista di controllo, contenute nel Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28/9/2021 (art. 17, comma 3, lett. b));

d) una relazione chiara e sintetica sull'attività in concreto esercitata dall’impresa in crisi, incluso il modello di business (art. 17, comma 3, lett. b));

e) un piano finanziario per i successivi sei mesi (art. 17, comma 3, lett. b));

f) le iniziative aziendali che l’imprenditore in crisi intende adottare per il rilancio dell’impresa in crisi, come ad esempio il contenimento dei costi di struttura, l’attivazione di nuovi canali di vendita, la chiusura di linee produttive inefficienti (art. 17, comma 3, lett. b));

g) l'elenco dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti scaduti, e in scadenza, preferibilmente con separata indicazione di dipendenti, fornitori, banche, erario ed enti previdenziali e con l’indicazione dei relativi diritti reali e personali dati in garanzia (art. 17, comma 3, lett. c));

h) una dichiarazione con la quale l’imprenditore in crisi attesta eventuali ricorsi pendenti per l'apertura della liquidazione giudiziale, o per l'accertamento dello stato di insolvenza (art. 17, comma 3, lett. d));

i) una dichiarazione con la quale l’imprenditore in crisi attesta di non avere depositato domande di accesso alle procedure dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo, incluse quelle di accesso anticipato a tali procedure (art. 17, comma 3, lett. d));

l) il certificato unico dei debiti tributari, di cui all'art. 364, comma 1, D.Lgs. 14/2019 (art. 17, comma 3, lett. e));

m) la situazione debitoria complessiva richiesta all'Agenzia delle Entrate-Riscossione, con il Modello RD122 (art. 17, comma 3, lett. f));

n) il certificato dei debiti contributivi e per premi assicurativi, di cui all'art. 363, comma 1, D.Lgs. 14/2019 (art. 17, comma 3, lett. g));

o) un estratto delle informazioni presenti nella Centrale dei rischi gestita dalla Banca d'Italia, non anteriore di tre mesi rispetto alla presentazione della domanda (art. 17, comma 3, lett. h)).

Durante la procedura di deposito della domanda in via telematica, bisogna poi confermare, come prescrive il Decreto dirigenziale del 28/9/2021, quanto segue: di avere effettuato il test pratico relativo alla ragionevole perseguibilità del risanamento; l’eventuale necessità di nuove risorse finanziarie urgenti per evitare un danno grave ed irreparabile all’attività aziendale; l’eventuale volontà di avvalersi del regime di sospensione dei doveri civilistici di ricapitalizzazione e di scioglimento della società in crisi, previsto dall’art. 20 CCII.

È il caso però di tenere presente che, ai sensi dell’art. 25-quinquies, CCI, la domanda non può essere presentata:

a) dall'imprenditore in pendenza del procedimento introdotto con ricorso depositato ai sensi dell’art. 40 CCII, anche nelle ipotesi di cui agli artt. 44, c. 1, let. a), 54, comma 3 e 74;

b) nel caso in cui l'imprenditore in crisi, nei quattro mesi precedenti la presentazione della domanda di accesso alla procedura della composizione negoziata, ha rinunciato alle domande sopra indicate.           

4. La figura e il ruolo dell’esperto

Ora, come è noto, la previsione dell’istituzione degli OCRI[12] e la disciplina relativa al loro funzionamento è scomparsa insieme al sistema delle procedure d’allerta. Il soggetto oggi preposto a coadiuvare l’imprenditore nella gestione della crisi d’impresa, a seguito dell’accesso alla composizione negoziata è, invece, l’esperto.

Questi viene definito dall’art. 2, c. 1, o-bis, come “il soggetto terzo e indipendente, iscritto nell’elenco di cui all’art. 13, c. 3 e nominato dalla commissione di cui al comma 6 del medesimo articolo 13, che facilita le trattative nell’ambito della composizione negoziata”. Tale commissione, nello specifico, è costituita presso le camere di commercio dei capoluoghi di regione e delle province autonome di Trento e Bolzano ed è composta da:

a) due magistrati, uno effettivo e uno supplente, designati dal presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale del capoluogo di regione o della provincia autonoma di Trento e Bolzano nel cui territorio si trova la camera di commercio che ha ricevuto l’istanza di accesso alla composizione negoziata;

b) due membri, uno effettivo e uno supplente, designati dal presidente della camera di commercio presso la quale è costituita la commissione;

c) due membri, uno effettivo e uno supplente, designati dal prefetto del capoluogo di regione o della provincia autonoma di Trento o di Bolzano nel cui territorio si trova la camera di commercio che ha ricevuto l’istanza suddetta.

Secondo un orientamento che va consolidandosi in dottrina, il ruolo dell’esperto nell’ambito della composizione negoziata della crisi sarebbe solo quello di facilitare e, dunque, di aiutare l’imprenditore durante la fase delle trattative[13]. In effetti, l’imprenditore partecipa attivamente alle stesse (cfr. art. 17, c. 5, CCII) e, oltre a ciò, rimane l’unico soggetto deputato alla gestione aziendale, visto che l’art. 21, CCII, dispone che egli, durante il corso delle trattative, conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa.

L’esperto, di fatto, ha una funzione mediatoria (che, del resto, aveva anche l’OCRI), potendo incontrare le parti interessate e prospettando le possibili strategie di risanamento, laddove ve ne siano.

Il CCII pone una serie di doveri in capo all’esperto, in quanto egli deve operare in maniera imparziale, indipendente e riservata, oltre a dover condurre le trattative in buona fede (cfr. art. 16, c. 2, CCII). A questo proposito, si segnala che l’art. 17, c. 4, CCII, sottopone l’esperto ad una sorta di “autovalutazione” circa la propria indipendenza (“L’esperto…, verificati la propria indipendenza e il possesso delle competenze…”). L’art. 13, però, non stabilisce espressamente un dovere in capo alla commissione incaricata della sua nomina di verificare il possesso di tali requisiti. Conseguentemente, non è prevista nemmeno una disciplina volta a sanzionare l’eventuale negligenza dei membri della commissione che dovessero nominare un esperto che non è in possesso dei requisiti sopra descritti. Quanto all’esperto, invece, nessun dubbio sussiste sul fatto che, in caso di dichiarazioni mendaci circa il possesso dei requisiti richiesti dal Codice, possa essere ritenuto penalmente responsabile. Oltre a ciò, ulteriori profili penalistici potrebbero ravvisarsi relativamente ai reati di bancarotta e bancarotta fraudolenta, laddove l’esperto – durante le trattative – con la propria condotta integri uno dei reati appena citati.

Il Codice (così come accadeva per l’OCRI), invece, non determina alcune sanzioni specifiche per l’esperto che dovesse violare i doveri impostigli dal medesimo e non prevede nemmeno un sistema di tutele a favore dell’imprenditore che dovesse subire un pregiudizio, a causa della condotta dell’esperto. Se, per esempio, durante la fase di trattative venissero violati i principi di confidenzialità e riservatezza, l’impresa in crisi vedrebbe la sua posizione ulteriormente aggravata, quantomeno, da un danno reputazionale il quale, come è evidente, nella maggior parte dei casi porterebbe ad altre gravose conseguenze per la medesima, soprattutto relativamente al suo rapporto con istituti di credito, creditori, clienti e, in generale, con tutti gli stakeholders. Ebbene, in uno scenario simile, l’imprenditore costretto a soffrire un enorme pregiudizio senza averne alcuna colpa, dovrebbe sostenere ulteriori costi per agire in giudizio contro l’esperto, senza avere un adeguato sistema di tutele su cui contare.

Relativamente a quanto sopra, merita una considerazione conclusiva il livello di competenze dell’esperto richiesto dal Codice. L’art. 16, c. 2, CCII, stabilisce che l’esperto “opera in modo professionale”. L’art. 13, c.2, a sua volta, stabilisce i “requisiti minimi” che deve possedere l’esperto che intenda iscriversi all’elenco degli esperti. In particolare, possono esservi inseriti coloro che: 

a) siano iscritti da almeno cinque anni all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e all’albo degli avvocati che documentano di aver maturato precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi d’impresa;

b) gli iscritti da almeno cinque anni all’albo dei consulenti del lavoro che documentano di avere concorso, almeno in tre casi, alla conclusione di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o di accordi sottostanti a piani attestati o di avere concorso alla presentazione di concordati con continuità aziendale omologati;

c) possono inoltre essere inseriti nell’elenco coloro che, pur non iscritti in albi professionali, documentano di avere svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in imprese interessate da operazioni di ristrutturazione concluse con piani di risanamento attestati, accordi di ristrutturazione dei debiti e concordati preventivi con continuità aziendale omologati, nei confronti delle quali non sia stata successivamente pronunciata sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o sentenza di accertamento dello stato di insolvenza.

In relazione a quanto sopra, alcuni hanno ritenuto che le pregresse esperienze che i professionisti devono documentare siano troppo modeste. In molte circostanze, tra l’altro, è anche difficile riuscire a farlo, soprattutto laddove il professionista non figuri formalmente come consulente nell’ambito di tali operazioni. Ci si riferisce, nello specifico, a coloro che abbiano assistito l’impresa senza avere formale documentazione a supporto (ad esempio, un contratto di incarico professionale munito di data certa)[14].  Lo stesso vale, a maggior ragione, per i soggetti non iscritti in albi professionali.   

Quanto sopra, peraltro, sembra anche poco coerente con quanto previsto dall’art. 26 della direttiva insolvency. L’esperto del Codice, infatti, dovrebbe impersonare il “professionista nelle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione” che interviene a fianco dell’imprenditore nel processo di risanamento. La direttiva nello specifico, richiede che tale soggetto sia munito delle “competenze necessarie per adempiere le sue responsabilità”. Alla luce di quanto sopra, pertanto, non pare assurdo chiedersi se, effettivamente, i requisiti fissati dal CCII per essere “esperto” siano sufficienti e in linea con quanto richiesto dalla direttiva citata.

5. Gli obblighi di segnalazione di cui agli artt. 25-octies e ss. CCII

A seguito dei correttivi apportati al Codice, nonostante l’espunzione delle procedure d’allerta dal medesimo, sono rimasti alcuni obblighi di segnalazione in capo a determinati soggetti.  

In particolare, il nuovo sistema di segnalazione è stato definito “allerta light[15]. Difatti, a seguito dell’eliminazione del meccanismo di allerta esterna (che si rivolgeva all’OCRI) rimane solamente la c.d. “allerta interna”, in quanto i destinatari delle segnalazioni sono solamente, a seconda dei casi, l’organo di controllo, ovvero quello amministrativo, o l’imprenditore.

Questa scelta normativa, tuttavia, non è andata esente da critiche, in quanto sembrerebbe mettere in difficoltà l’interprete e gli operatori del settore relativamente alla portata precettiva di tali disposizioni. In primis, desta non pochi dubbi la collocazione della disciplina degli obblighi di segnalazione alla fine delle disposizioni concernenti la composizione negoziata della crisi. A ben vedere, con particolare riferimento al disposto normativo dell’art. 25-octies CCII, gli obblighi ivi previsti integrano i doveri di adozione di adeguati assetti e di adozione delle iniziative previste al fine della composizione della crisi, stabiliti nei primi articoli del CCII. Dunque, in questo senso, è assai difficile cogliere la logica della scelta del legislatore: stante la rilevanza che il CCII ha voluto attribuire, appunto, all’adozione, da parte dell’impresa, di assetti idonei al buon funzionamento e alla continuità aziendale, si ritiene che gli obblighi di segnalazione sopra citati avrebbero dovuto trovare la propria collocazione all’inizio del codice, in modo che risultassero funzionalmente e logicamente collegati all’art. 3 CCII[16].  Oltre a ciò, la sensazione diffusa è che la collocazione dei meccanismi d’allerta, operata con l’ultimo intervento normativo, abbia, di fatto, attribuito agli stessi un significato marginale, svuotando la disciplina dell’allerta del proprio valore sanzionatorio o premiale, rendendola “priva di ogni intima organicità o coerenza, persino nei presupposti delle varie segnalazioni previste”[17].  

Vi è di più. Tale preoccupazione, infatti, è stata condivisa anche dallo stesso Consiglio di Stato (Adunanza della Commissione speciale del 1° aprile 2022) nel Parere sul D.L. 83/2022, dove si legge che “Il consolidamento della legislazione emergenziale nel Codice della crisi, certamente necessario, avrebbe dovuto comportare non solo un consolidamento formale, ma anche l’utilizzo di modalità di redazione – tendenzialmente omogenea al Codice – nel rispetto di criteri ormai consolidati di qualità della regolazione, in senso formale e sostanziale, finalizzata alla semplificazione, chiarezza, coerenza e certezza delle regole […]. Invece, la trasfusione integrale e letterale degli articoli rilevanti dei due decreti-legge nel Titolo II del Codice ha comportato che gli articoli contenenti le segnalazioni e il programma informatico per la verifica della sostenibilità del debito sono collocati nell’ultimo capo del Titolo II. L’effetto dell’utilizzo di tale tecnica comporta, quantomeno, una difficoltà dell’interprete nel cogliere la portata precettiva della singola disposizione e nello stabilire i collegamenti tra disposizioni, anche strettamente collegate tra loro. Così come il collegamento in un capo piuttosto che in un altro di una disposizione può concorrere alla sostenibilità di un percorso interpretativo della stessa”. 

Proseguendo nell’analisi degli obblighi suddetti, l’art. 25-octies, c. 1, CCII, stabilisce che l'organo di controllo della società in crisi deve segnalare, per iscritto all'organo amministrativo, la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di accesso alla procedura della composizione negoziata della crisi di impresa.

La segnalazione dell’organo di controllo va motivata e trasmessa con mezzi che assicurino la prova dell'avvenuta ricezione da parte dell’organo amministrativo. Inoltre, questa comunicazione deve contenere la fissazione di un congruo termine (non superiore a 30 giorni) entro il quale l'organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese per far fronte alla situazione di squilibrio. Si specifica, poi, che in pendenza delle trattative, rimane fermo il dovere di vigilanza in capo ai membri dell’organo di controllo ex art. 2403 c.c.

Ai sensi del comma 2, dell’art. 25-octies, la tempestiva segnalazione all'organo amministrativo e la vigilanza sull'andamento delle eventuali successive trattative con i creditori, sono valutate dall’autorità giudiziaria ai fini della responsabilità prevista dall'art. 2407 c.c. 

Paiono opportune alcune riflessioni anche sulle norme appena illustrate. In primo luogo, come detto, l’art. 25-octies pone degli obblighi di segnalazione in capo all’organo di controllo. A questo proposito si segnala che, poco dopo l’entrata in vigore del CCII, le soglie previste per la nomina dell’organo di controllo nelle s.r.l. sono state innalzate, a seguito delle pressioni effettuate in tal senso[18]. Tali richieste, all’epoca, non erano prive di fondamento, poiché il sistema d’allerta allora ideato poneva obblighi più stringenti rispetto a quelli attuali. Ora, invece, la situazione sembra essersi “ribaltata”. A questo proposito, infatti, molti hanno osservato che le società obbligate all’istituzione di un organo di controllo al proprio interno sono relativamente poche. Pertanto, “in caso di mancata nomina di tale organo, sulla base di un’interpretazione letterale e non sistematica dell’art. 2477 del medesimo Codice, risulta fortemente indebolito il sistema di rilevazione dei rischi e di appropriata reazione agli stessi che dovrebbe caratterizzare un adeguato assetto amministrativo e contabile”[19]. Inoltre, critiche ulteriori sono state avanzate nei confronti del secondo comma dell’art. 25-octies, CCII. Ci si è chiesti, infatti, quale valore aggiunto abbia effettivamente tale norma, giacché i doveri ivi previsti rientrano in quelli più generali stabiliti dagli artt. 2403 e 2407 c.c. per quest’organo e, nell’ambito dei quali, “naturaliter” deve intendersi ricompreso quello di vigilanza e quello di rilevazione e segnalazione dei segnali di allarme imposti dall’art. 25-octies[20].

Peraltro, sempre con riferimento alla norma citata e, in particolare, alla previsione di “esenzione” di responsabilità per l’organo di controllo che fa la tempestiva segnalazione, possono sorgere preoccupazioni – già espresse, tra l’altro, per le procedure d’allerta – circa il possibile eccesso di segnalazioni che potranno essere effettuate dai sindaci a fini di tutela personale, anche quando lo stato della società non sia, appunto, tale da essere considerato allarmante.

Conseguentemente, sembra lecito domandarsi quali saranno le conseguenze per quel gran numero di società che non sono dotate di un organo di controllo. Una delle principali e più preoccupanti, a parere di chi scrive, riguarda l’aggravamento di compiti e di responsabilità in capo agli amministratori di società i quali, in questi casi, non sono affiancati e coadiuvati da un organo con competenze tecniche, come quello di controllo. L’organo amministrativo, infatti, è destinatario delle segnalazioni e, in base ad esse, sorge un suo dovere di intraprendere adeguate iniziative: ma, a ben vedere, se l’organo di controllo non è istituito all’interno della società (e, dunque, non può sussistere un sistema di segnalazione per l’anticipata emersione della crisi), l’organo gestorio si trova a dover svolgere una duplice funzione e ad avere un carico di responsabilità maggiore, rispetto a quelle società che, invece, sono dotate di un organo di controllo. Tutto ciò si traduce in un rafforzamento e aggravamento degli obblighi di adozione degli adeguati assetti per le imprese che non hanno al proprio interno un organo di controllo, con l’ulteriore considerazione che, spesso, in questi casi si tratta di società di piccole dimensioni, dove gli amministratori (o, molto frequentemente, l’amministratore unico)  sono anche soci (o, appunto, socio unico), nonché imprenditori nel senso non giuridico del termine, ossia soggetti che hanno elevate competenze tecniche relative all’attività svolta, o, comunque, ai prodotti fabbricati, ma, spesso, con conoscenze amministrative e gestorie della società di tipo basilare.  

Con riferimento alle riflessioni ora svolte e ai casi da ultimo citati, sembra mancare un coordinamento tra le norme che definiscono la responsabilità degli amministratori e quelle che, così fortemente, impongono l’adozione di adeguati assetti. D’altra parte, la riforma ha cambiato la concezione di assetti adeguati in un brevissimo arco temporale: infatti, oggi l’adozione degli stessi è finalizzata, prima di tutto, alla tempestiva rilevazione della crisi. Al contrario, tradizionalmente, essi venivano intesi come “sistemi” che perseguissero l’obiettivo di gestione dell’impresa in bonis, mentre l’impiego di assetti per la gestione della crisi o dell’insolvenza era del tutto residuale e relativo ad una situazione patologica dell’impresa[21]

Pertanto, il dubbio che rimane, è fino a che punto l’organo amministrativo può essere ritenuto responsabile, quando si trovi ad essere l’unico organo deputato alla rilevazione della crisi, e qual è il metro di valutazione delle iniziative da questo intraprese per la sua risoluzione, sulla base di una normativa che non dà istruzioni in tal senso e che prevede l’accesso alla composizione negoziata della crisi in via volontaria. A questo riguardo, può intervenire in aiuto la c.d. business judgment rule (o “bjr”) e, oltre a ciò, è necessario fare chiarezza su cosa si intenda per adeguati assetti amministrativi, organizzativi e contabili.

Relativamente a questi ultimi, quelli organizzativi, hanno ad oggetto l’assegnazione del potere decisionale, che deve essere compiuta in modo tale che esso sia detenuto ed esercitato da soggetti che hanno adeguate competenze. Quanto agli assetti amministrativi, essi devono garantire l’ordinato svolgimento delle attività aziendali e delle singole fasi in cui si articolano. In terzo luogo, gli adeguati assetti contabili consistono nell’impostazione di un idoneo sistema di rilevazione dei fatti di gestione, dei dati contabili e di andamento aziendale[22].

Tutto ciò premesso, si è detto che l’organo amministrativo che dovesse essere chiamato a rispondere per non aver adottato idonee iniziative per la risoluzione della crisi, può sempre invocare la c.d. bjr. Questo principio tipico dell’ordinamento statunitense, ma ormai adottato anche nel nostro, prevede che il giudice debba limitarsi a verificare – ex post – la corretta procedimentalizzazione del processo decisionale, ma non possa sindacare sul merito delle scelte gestorie (ad esempio, in termini di convenienza, opportunità, remuneratività, ecc.)[23].  Tuttavia, è evidente che il confine tra questi due profili, in certi casi, è molto labile e, comunque, sulla base del principio appena illustrato, in casi di mancato ricorso alla composizione negoziata della crisi o di altri provvedimenti, gli amministratori devono essere in grado di fornire ragionevoli spiegazioni sulla loro scelta. Fare ciò in situazioni in cui, magari, gli stessi ritenevano che una situazione congiunturale negativa fosse solo temporanea, non è sempre facile (soprattutto, se gli amministratori non hanno elevate competenze in tal senso).

In sostanza, allo stato attuale, l’organo amministrativo non solo si trova a dover organizzare la società in modo che possa essere rilevata tempestivamente la crisi, ma deve anche intervenire tempestivamente per risolverla ed è anche chiamato ad attuare le operazioni societarie straordinarie necessarie a tal fine[24], oltre ad essere in grado di giustificare le scelte attuate nel caso in cui esse non vadano a buon fine.  E, in caso di loro fallimento in tal senso, è probabile che il loro comportamento integri una forma di mala gestio societaria, che può condurre, quantomeno, a tutte le conseguenze civilistiche previste a riguardo, dettate dalle norme sulla responsabilità degli amministratori (che, peraltro, è stata acuita dalla nuova riforma).

Gli obblighi di segnalazione previsti a carico dell’organo sindacale non sono gli unici previsti dalla normativa. Gli altri soggetti tenuti ad effettuare le segnalazioni, ai sensi dell’art. 25-novies, CCII, come anticipato, sono anche i creditori pubblici qualificati, ossia l’Agenzia delle entrate, l’Agenzia delle entrate-Riscossione, l’INPS e l’INAIL.

Nello specifico, tali enti sono tenuti alle segnalazioni nei confronti dell’imprenditore e, ove esistente, all’organo di controllo nella persona del presidente del collegio sindacale in caso di organo collegiale. Queste ultime devono avvenire a mezzo di posta elettronica certificata o, in mancanza, mediante raccomandata con avviso di ricevimento all’indirizzo risultante dall’anagrafe tributaria e devono essere fatte:

a) quanto all’INPS, in caso di ritardo di oltre novanta giorni nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore al 30% di quelli dovuti nell’anno precedente e all’importo di 15.000 euro, per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati. Per le imprese senza dipendenti, invece, nel caso di ritardo nei versamenti, nei termini suddetti, di contributi previdenziali di ammontare superiore ai 5.000 euro;

b) relativamente all’INAIL, qualora esista un debito per premi assicurativi scaduto da oltre 90 giorni e non versato superiore a 5.000 euro;

c) per l’Agenzia delle entrate quando vi sia un debito scaduto e non versato relativo all’imposta sul valore aggiunto (“IVA”), risultante dalla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche di cui all’articolo 21-bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (c.d. “LIPE”), superiore a 5.000 euro e, comunque, non inferiore al 10% dell’ammontare del volume d’affari risultante dalla dichiarazione relativa all’anno d’imposta precedente. La segnalazione viene inviata, in ogni caso, se il debito è superiore all’importo di euro 20.000[25];

d) infine, per l’Agenzia delle entrate-Riscossione in caso di esistenza di crediti affidati per la riscossione, autodichiarati o definitivamente scaduti da oltre novanta giorni, superiori a 500.000 euro per le società di capitali, 200.000 euro per le società di persone e 100.000 euro per le imprese individuali.

Il Codice, poi, al comma 2 dell’art. 29-novies, aggiunge che le segnalazioni sono inviate:

a) dall’Agenzia delle entrate, entro sessanta giorni dal termine di presentazione delle comunicazioni di cui all’articolo 21-bis del decreto-legge n. 78 del 2010;

b) dall’INPS, dall’INAIL e dall’Agenzia delle entrate-Riscossione, entro sessanta giorni decorrenti dal verificarsi delle condizioni o dal superamento degli importi indicati nel medesimo comma 1.

Infine, il comma 4 prevede che le disposizioni dell’art. 29-novies CCII si applicano:

 a) con riferimento all’Istituto nazionale della previdenza sociale e all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in relazione ai debiti accertati a decorrere dal 1° gennaio 2022, per il primo, e ai debiti accertati a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto per il secondo;

b) con riferimento all’Agenzia delle entrate, in relazione ai debiti risultanti dalle comunicazioni periodiche relative al primo trimestre dell’anno 2022;

c) con riferimento all’Agenzia delle entrate-Riscossione, in relazione ai carichi affidati all’agente della riscossione a decorrere dal 1° luglio 2022.

Ulteriori obblighi di segnalazione, sono previsti anche per gli istituti bancari. L’art. 25-decies CCII, infatti, stabilisce che gli stessi, quando comunicano al cliente variazioni, revoche o revisioni degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti.

Relativamente agli obblighi di segnalazione dei creditori pubblici qualificati, si può notare come – in realtà – questi siano stati in parte “ripristinati” dalla normativa precedente. Confrontando le soglie attuali con quelle previste inizialmente dal Codice, si vede come queste siano state significativamente diminuite: in via esemplificativa, solo con riferimento alle segnalazioni dell’Agenzia delle entrate per i debiti IVA, la soglia che fa scattare la segnalazione è passata da un importo compreso tra euro 100.000 ed euro 1.000.000, a soli euro 5.000, con una riduzione andante da 20 a 200 volte[26]. Anche tali, si può dire “drastiche”, riduzioni sono state criticate. Se prima, le soglie per la segnalazione degli enti pubblici qualificati venivano reputate talmente alte da far riscontrare uno stato di crisi già grave o, addirittura di insolvenza, quelle attuali – al contrario – corrispondono a segnali pre-crisi (e, quindi, probabilmente, irrilevanti ai fini dei presupposti richiesti per l’accesso alla composizione negoziata)[27]. Conseguentemente, con soglie così basse, si potrebbe verificare l’ulteriore rischio che gli organi di controllo, ove esistenti, siano destinatari di un gran numero di segnalazioni e, dall’altra parte, che si verifichi un abuso del ricorso alla composizione negoziata.

L’INAIL, invece, prima non era considerato tra gli istituti tenuti alla segnalazione e, dunque, questa rappresenta una novità introdotta dai correttivi.

Si segnala, altresì, che i correttivi non hanno previsto, a differenza di prima, alcuna conseguenza per i creditori pubblici qualificati in caso di omesso rispetto degli obblighi di segnalazione. Peraltro, gli artt. 25-novies e 25-decies non regolano nemmeno il ricevimento delle segnalazioni da parte dell’organo di controllo e di quello amministrativo e, quindi, anche in questo caso non è chiaro quali siano le conseguenze per questi ultimi, qualora non adottino adeguati provvedimenti.

Quanto ai doveri di segnalazione degli istituti bancari, questi sono rimasti invariati, rispetto a quanto previsto dal precedente art. 14, c.4, CCII.

Oltre a tutto quanto sopra esposto, nonostante l’attuale sistema di segnalazioni sembri più “leggero” rispetto a quello originariamente progettato, possono sorgere gli stessi dubbi da molti espressi con riferimento alle procedure d’allerta, relativamente agli eventuali danni reputazionali a cui l’impresa può andare incontro a seguito delle segnalazioni, soprattutto con riferimento al suo rapporto con istituti di credito, creditori, clienti e, in generale, con tutti gli stakeholders.

Alla luce di quanto detto sinora, sembra possibile affermare che la nuova normativa lasci una serie di perplessità e dubbi che necessitano di essere risolti e, pertanto, è auspicabile un intervento chiarificatore (nonostante il già enorme numero di modifiche operate negli ultimi tre anni al Codice), che possa dare maggiore sicurezza agli interpreti e, in generale, a tutti i soggetti destinatari di tale disciplina normativa.

6. Conclusioni

Relativamente a quanto sopra esposto, sembra giusto il caso di effettuare alcune osservazioni conclusive. In particolare, varie perplessità possono sorgere con riferimento al livello di successo che potrà avere la composizione negoziata della crisi. In altre parole, ci si domanda fino a che punto l’imprenditore in difficoltà sia propenso a ricorrere al nuovo “strumento” fornito dal Codice e fino a che punto gli stakeholders siano disposti a seguirlo durante il percorso di composizione negoziata.

Come già esposto sopra, infatti, il CCII si rivolge a una tipologia di imprese di modeste dimensioni, che non di rado sono a conduzione familiare e dove, frequentemente, vi è coincidenza tra soggetti che compongono l’organo amministrativo e che fanno parte della compagine sociale. All’interno di queste realtà imprenditoriali, spesso, l’imprenditore si trova a rivestire il ruolo di “factotum”. In effetti, nonostante nel suo lavoro quotidiano sia affiancato dai propri collaboratori, lavoratori dipendenti, ecc., egli inevitabilmente resta il punto di riferimento della propria impresa e di coloro che vi operano. Pertanto, egli deve necessariamente avere una serie di competenze e svolgere un numero di mansioni davvero elevato: ad esempio, deve conoscere perfettamente i beni oggetto della sua attività, occuparsi di dirigere la produzione, intrattenere i rapporti con clienti, fornitori, banche e, in generale, con le persone che lavorano nell’ambito della sua azienda, deve avere un minimo di conoscenza amministrativa e contabile, e via dicendo. Si tratta, però e pur sempre, di soggetti che hanno l’obbiettivo principale di produrre beni o servizi e venderli al pubblico. 

Conseguentemente, da questo punto di vista, pare quasi che il legislatore, nella redazione delle norme del Codice, “non abbia fatto i conti con la realtà”. Leggendo le norme del Codice, la sensazione che rimane a chi scrive è che oggi si imponga all’imprenditore di avere quale maggiore preoccupazione e scopo l’adozione degli adeguati assetti richiesti dalla riforma e che l’idea imprenditoriale di creazione del prodotto o del servizio che ha indotto, appunto, l’imprenditore ad avviare un’attività di impresa, rimanga solo una questione residuale.

Pertanto, è difficile pensare che l’imprenditore si adatti facilmente al nuovo sistema previsto dal Codice. Ed è altrettanto difficile pensare che un imprenditore cresciuto nel nostro Paese, dove la crisi aziendale e il fallimento sono sempre stati considerati avvenimenti da stigmatizzare, si convinca facilmente a ricorrere alla composizione negoziata, dovendo esporre la propria situazione di squilibrio davanti a creditori e banche, con l’ulteriore timore che queste ultime possano revocare gli affidamenti concessigli, o non concedergli l’apertura di altre linee di credito.

Con riferimento a tutto quanto sopra, dunque, ai fini del successo della composizione negoziata è necessario un impegno diffuso nel fare sì che l’imprenditore medio-piccolo possa davvero vedere il ricorso a tale strumento come un aiuto reale e non come l’inizio di una “condanna”. Oltre a ciò, è altresì indispensabile fornire allo stesso i mezzi necessari per imparare ad amministrare la propria azienda secondo assetti, procedure e modelli adeguati, trasmettendo l’idea che questi non costituiscono solo un costo e un onere, ma un investimento vero e proprio, finalizzato a garantire la buona gestione e la continuità aziendale. In altre parole, è necessario che anche lo Stato stesso metta a disposizione degli imprenditori strumenti adeguati al fine di insegnare loro ad amministrare in maniera efficace la propria impresa, magari pensando ad appositi corsi di formazione.

Alla luce di tutto quanto esposto, dunque, l’auspicio di chi scrive è che, nonostante le problematiche e le criticità rilevate, gli strumenti messi a disposizione delle imprese da parte della riforma divengano un punto di riferimento per gli imprenditori in difficoltà (ma anche per quelli “in bonis”, in modo che possano trarre spunti di riflessione e miglioramento per la gestione delle proprie imprese) e che la stessa riesca nel suo intento di procurare un cambio di mentalità nel mondo delle imprese.  


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cfr. “Relazione illustrativa” al d.l. n. 23 dell’8 aprile 2020, art. 5.

[2] Cfr. D. Galletti, “I doveri reattivi dell’imprenditore sotto l’impero del COVID-19 e l’obbligo di non arrendersi”, in www.ilfallimentarista.it, 2020.

[3] “Relazione al disegno di legge per la conversione in legge del decreto-legge 24 agosto 2021 n. 118 , recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia”, p. 2.

[4] Ossia, la Direttiva UE 1023/2019 che stabiliva come termine ultimo per il recepimento della stessa, la data del 17 luglio 2022.

[5] R. Ranalli Un quadro d’insieme sulla composizione negoziata”, Nuovo codice della crisi d’impresa, Il Sole 24 Ore, vol. 3/7, luglio 2022, pag. 20

[6] Cfr. F. Lamanna Il codice della crisi e dell'insolvenza dopo il secondo correttivo”, Giuffré, 2022, pag. 30.

[7]. F. Lamanna Il codice…”, op. cit., pag. 31.

[8] Ivi, pag. 86.

[9] L’art. 3, par. 1 della direttiva, infatti, stabilisce che “Gli Stati membri provvedono affinché i debitori abbiano accesso ad uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio".

[10] F. Lamanna Il codice…”, op. cit., pag. 100.

[11] In questi casi possono venire in aiuto ulteriori considerazioni. Quanto allo stato di crisi la valutazione dello squilibrio, sia sul fronte del conto economico, sia su quello dello stato patrimoniale, diventa in parte soggettivo. Certamente, quando i costi sono superiori sistematicamente ai ricavi, oppure le passività assorbono integralmente il capitale, oltre che l’intero attivo, lo squilibrio è evidente e, in questi casi, la crisi può dirsi conclamata. Più problematiche sono, invece, quelle situazioni in cui le entrate sono di poco, o di pochissimo, superiori alle uscite, oppure quando il capitale si è ridotto ai minimi termini (differenza attività e passività). In questi casi è difficile valutare quando si è in presenza di uno squilibrio significativo in grado di determinare una crisi, anche perché la crisi può essere determinata da molte altre circostanze extracontabili. Spetterà quindi all’imprenditore, ed eventualmente ai suoi professionisti di fiducia, valutare la situazione per trarne le conseguenti decisioni, ovvero se attivare o meno la procedura di composizione della crisi. Ad ogni modo la situazione di crisi aziendale può ritenersi effettivamente sussistente, quando: a) vi sia un ritardo sistematico nel pagamento dei debiti giunti alla loro scadenza; b) vi sia un’incapacità generale di adempimento delle proprie obbligazioni finanziarie (e non). Più in generale, si può affermare che nel concetto di stato di crisi si possono comprendere tutta una serie di situazioni che precedono l’insolvenza, la quale costituisce necessariamente lo stadio finale di un processo di declino aziendale.

[12] Si tratta dell’organismo di composizione della crisi d’impresa, ossia l’organo deputato a ricevere le segnalazioni nel sistema d’allerta previsto inizialmente.

[13] Cfr. F. Lamanna, op. cit., pag. 72.

[14] Cfr. F. Lamanna, op. cit., pag. 76.

[15] Cfr. F. Lamanna “Il Codice…”, op. cit., pag. 253.

[16] Cfr. F. Lamanna “Il Codice…”, op. cit., pag. 253.

[17] M. Sciuto, “Quel che resta…”, cit.

[18] Il legislatore ha previsto poco dopo l’emanazione del Codice il raddoppio dei parametri inizialmente previsti. Ora, la nomina dell’organo di controllo o del revisore, ai sensi dell’art. 2477 c.c., è obbligatoria se la società ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 4 milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 20 unità.

[19] M. Difino e P. Riva “Obbligo di attivazione del collegio sindacale o del sindaco unico”, in Nuovo Codice della crisi d’impresa, cit.

[20] F. Lamanna, “Il codice…”, op. cit., pag. 257.

[21] M. Arato, “La responsabilità degli amministratori e dell’organo di controllo”, in Nuovo Codice della crisi d’impresa, cit. 

[22] Ibidem.

[23] Cfr. M. P. Ferrari “Business Judgment Rule: la responsabilità degli amministratori secondo la giurisprudenza”, in www.altalex.com, 4 marzo 2021.

[24] Cfr. M. Arato, cit. 

[25] Si precisa che le soglie IVA per la segnalazione, a seguito delle proposte ricevute da più parti, sono state aumentate con il D.L. 73/2022. Prima, infatti, la soglia di debito rilevante ai fini della segnalazione era di soli euro 5.000.