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Pubbl. Sab, 4 Mar 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

La locazione abitativa tra autonomia negoziale assistita e rinnovazione del contratto: brevi note a margine di un seminario di studi

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Elisabetta Errigo



La notevole valenza sociale e giuridica che assume la locazione ad uso abitativo, e specialmente quella a canone concordato, si rinnova grazie a talune pronunce della giurisprudenza le quali offrono l’occasione per indagare questioni le quali, sebbene appaiano di natura prevalentemente pratica e di scarso interesse – quali la proroga e il rinnovo dei contratti – lambiscono, invece, temi di carattere generale connessi alla rilevanza della funzione economico-individuale del contratto, la cui considerazione consente di comporre le esigenze del conduttore con quelle della proprietà, concedendo adeguata soluzione ai casi concreti.


ENG

Rental Housing between assisted negotiation autonomy and contract renewal: brief notes in the margins of a study seminar

The social and legal value of the lease for residential use, and especially the rent agreed upon, is renewed thanks to some rulings of the jurisprudence which provide an opportunity to investigate issues which, although they appear to be of a practical nature and of little interest - such as the extension and renewal of contracts - they are, on the other hand, linked the individual-economic function of the contract, to combine the needs of the tenant with those of the property, allowing appropriate solutions to concrete cases.

Sommario: 1. Premessa. La locazione abitativa tra tutela del conduttore ed esigenza della proprietà; 2. Cenni sull’evoluzione normativa delle locazioni ad uso abitativo: dalla legge sull’equo canone alla legge n. 431/1998; 3. I contratti a canone agevolato tra rinnovo alla scadenza e durata del contratto. Sulla questione dell’onere motivazionale imposto al proprietario per la disdetta; 4. L’iterazione della stipula: la differente valenza concettuale della proroga e della rinnovazione (temporale) del vincolo; 5. Dall’interpretazione autentica dell’art. 2 comma 5 l. 431/1998 all’affievolimento dell’affidamento del conduttore nella prosecuzione del contratto; 6. Considerazioni conclusive.

1. Premessa. La locazione abitativa tra tutela del conduttore ed esigenza della proprietà

Recenti indirizzi giurisprudenziali[2] rinnovano l’interesse verso talune vicende della locazione ad uso abitativo[3], e specialmente della locazione a canone concordato, la quale, nell’ultima fase dell’esperienza giuridica, sembra costituire strumento per prediligere a priori le posizioni dei conduttori rispetto a quelle della c.d. proprietà edilizia.

Ed invero, a fronte di ragioni di garanzia di stabilità del rapporto e dell’asserita esistenza di un affidamento in capo al conduttore, alcune decisioni hanno mitigato in misura assai significativa i poteri attribuiti al proprietario, secondo conclusioni slegate, però, dalle coordinate positive.

Una conferma è offerta dalla questione in ordine all’estensione dell’obbligo di motivazione, in capo al locatore, per comunicare la disdetta ed evitare il rinnovo del contratto a canone concordato.

Ora, le più immediate direttive del dettato legislativo sembrerebbero per vero indirizzare il quesito segnalato verso esiti inevitabili. Ed invero, il tenore testuale dell’art. 2 comma 5, L. 431/1998 parrebbe imporre uno specifico obbligo di motivazione soltanto per la disdetta intimata alla scadenza del primo triennio di contratto. E tuttavia, gli esiti espressi da una interpretazione fedele al dato testuale sembrano disdettati in virtù di una prospettiva funzionale, la quale, nell’ottica di preservare gli interessi della c.d. parte debole, parrebbe legittimare una interpretazione delle norme tutt’affatto differente.

Senza ovviamente voler negare l’esigenza di salvaguardare le prerogative del conduttore, l’evoluzione normativa della locazione ha tentato di comporre le esigenze contrapposte del conduttore e della proprietà immobiliare - di cui l’autonomia negoziale assistita è espressione - sì da esprimere oggi un equilibrio non sempre così sbilanciato in favore del conduttore.

Sì che, al fine di comporre gli interessi delle parti, è davvero ineliminabile l’analisi della funzione economico-individuale del negozio, certamente illuminata dalla diversa accezione assunta dall’autonomia negoziale in questo settore, unitamente alla, sempre doverosa, interpretazione teleologica[4] delle norme di riferimento: entrambi siffatti elementi sono infatti necessari per valorizzare il ruolo che i vari schemi negoziali assolvono nel mercato, la cui funzione, nel caso della locazione abitativa, è orientata alla realizzazione delle esigenze della collettività, senza sacrificio per gli interessi contrapposti.  

2. Cenni sull’evoluzione normativa delle locazioni ad uso abitativo: dalla legge sull’equo canone alla legge n. 431/1998

La disciplina riservata alla locazione ad uso abitativo si presenta stratificata e tutt’altro che unitaria, il che rende doveroso indirizzare il ragionamento muovendo da un excursus normativo del negozio, ancorché per cenni.

La notevole valenza sociale[5] che ha assunto, nel tempo, il negozio ha reclamato l’adozione di una normativa speciale da affiancare (e spesso da sovrapporre) a quella codicistica[6], caratterizzata da una singolare incompletezza[7].

Storicamente la regolamentazione del mercato locatizio, specialmente nell’ambito della destinazione abitativa, si è rivelata di particolare complessità per ragioni legate soprattutto alla difficoltà di emendare la sproporzione intrinseca sussistente tra il valore dei canoni offerti e quello dei beni locati[8]. In questa logica si spiegano le pratiche interventistiche sulla proprietà sfociate nella c.d. legislazione vincolistica[9], finalizzate a sottrarre, non senza notevoli perplessità, le locazioni immobiliari al mercato e alla volontà delle parti[10].

La materia ha trovato una prima sistemazione organica nella legge n. 392 del 27 luglio 1978 (c.d. legge sull’equo canone)[11] nell’intento di realizzare un meccanismo di determinazione legale del contenuto del contratto e, in particolare, del canone calcolato sulla base di una serie di parametri oggettivi. Ispirato ad un generico favor conductoris, tale intervento normativo mirava a tutelare l’esigenza primaria del diritto all’abitazione tramite una serie di presidi quale l’imposizione della durata quadriennale del rapporto, l’introduzione del canone legale - ovvero equo - e il divieto di deroghe pattizie meno favorevoli per il conduttore[12].

Sebbene tale primo intervento organico abbia parzialmente preservato anche la posizione dei proprietari-locatori, restituendo loro - tramite lo strumento dell’azione di sfratto per finita locazione - la possibilità di rientrare in possesso del bene locato, tuttavia, l’evidente impossibilità, per i locatori, di trarre una valida fonte di reddito derivante dagli immobili locati ad equo canone, ha inciso sulla stessa efficienza del mercato locatizio, tanto da renderne necessario un intervento riformatore[13].

Le esigenze di liberalizzare il canone, da una parte, e di rendere più stabile il rapporto contrattuale, dall’altra, hanno condotto, invero, alla scelta di abbandonare definitivamente, tramite la legge n. 431 del 1998, il canone equo, pur mantenendo una disciplina individualizzante connessa alla primaria funzione notoriamente riconosciuta al bene-casa[14].

L’attuale corpus normativo, nel tentativo di rispondere alle esigenze della collettività, consegna un sistema unitario per il settore delle locazioni abitative costruito sulla base di due differenti modalità di contrattazione, comunque sottratte all’autonomia privata.

Sommariamente, il primo modello di contratto (cd. libero o ordinario, art. 2, co. 1, l. n. 431/1998) affida ai contraenti la possibilità di definire liberamente la misura del canone ed i relativi aumenti periodici, rimuovendo quella compressione dell’autonomia privata caldeggiata dalla normativa precedente. La tutela dell’inquilino, in tal caso, si realizza attraverso la previsione imperativa di una durata minima del contratto pari a quattro anni, a cui segue un rinnovo automatico alla prima scadenza per un nuovo termine quadriennale[15].

Nel secondo modello (cd. convenzionato o alternativo, art. 2, co. 3, l. n. 431/1998) le parti aderiscono ad un contratto-tipo le cui condizioni (compresa la misura del canone) sono definite in sede locale sulla base di accordi territoriali stipulati tra le associazioni maggiormente rappresentative della proprietà edilizia e dei conduttori. Per questi contratti[16], a fronte di una serie di agevolazioni fiscali, il canone è convenzionalmente imposto nel senso che è individuato sulla base di una serie di elementi oggettivi, quali le caratteristiche della zona in cui l’immobile è ubicato, lo stato di manutenzione, la categoria catastale, l’arredamento[17]: elementi oggettivi valevoli per tutti i contratti appartenenti al tipo di contratto considerato[18].

Lo schema legale seguito per la contrattazione a canone concertato prevede una durata non inferiore a tre anni a cui segue, nel silenzio delle parti, una proroga di diritto per altri due anni, ai sensi dell’art. 3 della L. 431/1998. Alla scadenza dei due anni di proroga, entrambe le parti possono attivarsi per il rinnovo o per la rinuncia, inviando una comunicazione scritta, almeno sei mesi prima, con lettera raccomandata, in assenza della quale il contratto si rinnova tacitamente alle stesse condizioni[19].

Nel calmierare la “riespansione”[20] dell’autonomia negoziale, la dimensione collettiva della contrattazione di cui l’autonomia assistita, in questo settore, è espressione, certamente risponde all’esigenza di tutelare la parte debole del rapporto[21]. Nondimeno, è parimenti evidente come siffatta contrattazione, assistita anche dalla parte, per così dire, forte del rapporto asseconda le esigenze del mercato senza trascurare gli interessi concreti in capo ai locatori: da una parte, infatti, il canone concertato agevola l’incontro tra la domanda e l’offerta nell’ottica di una maggiore promozione del mercato locatizio e, dall’altra, il termine di scadenza più breve - rispetto alla libera contrattazione - prorogabile di diritto, mantiene stabile il rapporto senza immobilizzare le prerogative del proprietario, potendo lo stesso rientrare più rapidamente in possesso dell’immobile.

3. I contratti a canone agevolato tra rinnovo alla scadenza e durata del contratto. Sulla questione dell’onere motivazionale imposto al proprietario per la disdetta

Al netto degli scopi pratici che l’impianto normativo è teso a perseguire, sintetizzabili nella promozione del mercato locatizio senza sacrificio per i contrapposti interessi in gioco, nella prassi si sono registrate talune difficoltà operative derivanti dall’esecuzione di siffatto modello contrattuale, il quale è apparso comunque vincolato e ben poco innovativo rispetto al precedente regime[22].

Anche il tenore di alcune disposizioni normative ha destato taluni problemi ermeneutici, specie in merito al rinnovo e alla durata dei contratti a canone concordato[23], risolti dalla giurisprudenza in modo non sempre del tutto convincente.

In particolare, la ricognizione di recenti pronunce consegnano un uso dei concetti di «proroga» e «rinnovo» del contratto foriero di dubbi nella misura in cui i due termini vengono impiegati in modo fungibile: a titolo esemplificativo, si consideri una pronuncia, in tema di disdetta, ove si è attribuito al conduttore la facoltà di non avvalersi della proroga biennale qualora non abbia interesse al rinnovo[24].

Tali incertezze hanno, forse, indotto taluni ad adottare soluzioni tutt’affatto che persuasive, con conseguenze di non poco momento specie in punto di effettiva tutela delle situazioni sottese.

Il riferimento corre ad un orientamento del Tribunale di Bologna[25] il quale ha ritenuto che la disdetta del locatore alla scadenza del primo biennio di proroga del contratto a canone concordato, stipulato ai sensi dell’art. 2 comma 3 della Legge 431/1998 - biennio che, si ripete, segue di diritto la scadenza del primo triennio locativo - per avere valenza risolutiva del rapporto debba contenere a pena di nullità l’indicazione dei presupposti previsti dall’art. 2 comma 5, L. 431/1998, ovvero a) l’intenzione di adibire l’immobile agli usi o effettuare le opere di cui all’art. 3; b) l’intenzione di vendere l’immobile alle condizioni e con le modalità di cui alla medesima disposizione.

Tale orientamento di merito vorrebbe inaugurare, non senza fondate ragioni di dubbio, una nuova stagione del rapporto locatizio, a conferma della diffusa tendenza a tutelare la parte, per così dire, debole del rapporto.

A questi fini, la pronuncia ha imposto uno stringente onere motivazionale in capo al locatore che voglia disdire il contratto alla scadenza del biennio di proroga - e pertanto dopo ben cinque anni di esecuzione del rapporto (tre anni di durata normale del rapporto ai quali si sommano due anni di proroga di diritto) – a pena di far proseguire l’esecuzione del contratto, alle medesime condizioni, per ulteriori due anni.

L’interpretazione, però, non convince, giacché, sì ragionando soltanto alla scadenza di tale ulteriore periodo biennale (quindi dopo ben sette anni di durata complessiva del rapporto) il locatore si troverebbe finalmente libero di poter disdire il contratto senza onere di provare alcuna esigenza connessa all’utilizzo dell’immobile.

Ora, l’onere motivazionale, che certamente limita il potere del proprietario di rientrare più agevolmente in possesso del bene, si fonda sulla necessità di provare la serietà delle ragioni del rifiuto di rinnovare il contratto, le quali, se non enunciate, fanno sorgere il diritto del conduttore al ripristino del rapporto di locazione, alle stesse condizioni del contratto disdettato[26].

Ma, nel caso di specie, tenuto conto della funzione economico-individuale del contratto a canone concordato, la cui durata ne è espressione e conferma, è evidente che la previsione di uno stringente onere motivazionale in capo al proprietario alla scadenza del biennio di proroga di diritto già eseguito non possa essere giustificata né alla luce dell’economica complessiva del negozio né della ratio legis che ha spinto il legislatore ad intervenire sulla locazione ad uso abitativo.

4. L’iterazione della stipula: la differente valenza concettuale della proroga e della rinnovazione (temporale) del vincolo

La ricostruzione ermeneutica seguita dalla giurisprudenza in commento non soltanto mal si attaglia al tenore delle disposizioni settoriali che prevedono il rinnovo e la proroga del contratto, ma non è neppure coerente con la scelta legislativa di prevedere, in deroga al sistema ordinario delle locazioni con scadenza quadriennale, contratti di durata più breve.

Procedendo per ordine, i concetti di «proroga» e «rinnovo» del contratto, di là dall’essere tra loro fungibili, meritano una più “giusta” sistemazione, proprio in ragione della notevole valenza pratica che assumono nella concreta dinamica contrattuale.

Ore, entrambe le formule, nell’evocare meccanismi di protrazione temporale del vincolo contrattuale, sono piuttosto estranee al dato positivo ed invece più comuni alla prassi e al discorso dottrinale e giurisprudenziale.

Ciò però non deve indurre a desistere nella ricerca di un significato autonomo attribuibile ai due termini, che di fatto li rende tra loro non sovrapponibili.

La differente valenza concettuale della proroga e del rinnovo del contratto si inserisce, pertanto, nel solco della distinzione, di matrice dottrinale, delle fattispecie che implicano una replica della stipulazione e che possono essere ricondotte, senza esaustività, alle ipotesi di rinnovazione, ripetizione, rinegoziazione del contratto, le quali, si identificano e si distinguono in ragione di una componente di fatto ravvisabile in una nuova attività delle parti in ordine ad una regola pattizia assunta come preesistente[27].

Pur consci della scarsa significatività dei problemi connessi alla rinnovazione soltanto temporale del vincolo, certamente, siffatta iterazione della contrattazione solleva questioni incisive di natura pratica, non soltanto nella locazione abitativa ma, altresì, nei contratti agrari quali la mezzadria di cui all’art. 2144, comma 2 c.c. piuttosto che la soccida art. 2172, comma 2 c.c., e in talune vicende che interessano la somministrazione ex art. 1566 c.c. Tali questioni, dunque, non possono essere trascurate in ragione della sola settorialità della regolamentazione dei tipi contrattuali di riferimento.

Orbene, nel forse unico riferimento normativo di carattere generale riconducibile all’art. 1341, comma 2 c.c., la rinnovazione, inserita nell’elenco di clausole vessatorie che richiedono una approvazione per iscritto, è intesa nel senso di protrazione temporale del rapporto. Ciò consente di distinguere la rinnovazione dalle altre fattispecie di iterazione della stipula, in quanto soltanto tramite quest’ultima si perviene ad un nuovo contratto in luogo di quello precedente ritenuto esaurito[28]. In altri termini la rinnovazione, nell’evocare un elemento di novità della contrattazione[29], fornisce un ulteriore titolo ai reciproci diritti e doveri - titolo in tutto e per tutto uguale al precedente oppure solo in parte, in ragione del diverso periodo di tempo[30]; con la conseguenza che il contratto rinnovativo, nuovo rispetto al precedente in ragione della variazione della dimensione temporale del vincolo, sostituisce il contratto rinnovato, succedendogli.

A conferma, si consideri il tenore letterale dell’art. 1597 c.c., rubricato «Rinnovazione tacita del contratto», il quale prevede che alla scadenza del termine fissato nel contratto di locazione, il rapporto si intende rinnovato se il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata o se non è stata comunicata disdetta. La nuova locazione, prosegue l’articolo, è regolata alle stesse condizioni della precedente. Orbene, l’aggettivazione impiegata nel secondo comma dell’articolo avvalora l’idea per cui la rinnovazione tacita dà avvio ad una nuova fattispecie contrattuale, analoga alla precedente nel contenuto ma dotata di un diverso termine di scadenza. La novità della contrattazione è suffragata dall’accordo tacito, espresso nella forma del comportamento concludente, là dove il conduttore, il quale alla scadenza del contratto rimane nella detenzione dell’immobile, e il locatore, che non comunica disdetta, ritornano sulla stipula originaria nel senso che valutano come ancora opportuna e conveniente la contrattazione, sì da dare nuovo titolo ai reciproci diritti ed obblighi.

Siffatta interpretazione è, peraltro, confortata dalla circostanza per cui la rinnovazione tacita di cui all’art. 1597 c.c. è esclusa qualora parte del contratto sia una pubblica amministrazione, là dove la volontà negoziale della stessa non può desumersi da comportamenti concludenti, dovendo la relativa volontà di obbligarsi essere espressa nelle forme di legge[31].

5. Dall’interpretazione autentica dell’art. 2 comma 5 l. 431/1998 all’affievolimento dell’affidamento del conduttore nella prosecuzione del contratto

Se, pertanto, il meccanismo della rinnovazione consente l’iterazione della stipula in ragione di un nuovo contratto all’esito dell’esaurimento del precedente, lo stesso non può dirsi per il meccanismo della proroga.

Ed invero, già l’interpretazione autentica dell’art. 2 comma 5 l. 431/1998 ad opera dell’art. 19 bis del D.l. 34/2019, inserito in sede di conversione dalla legge n. 58/2019 conferma la diversa accezione ascrivibile ai due concetti, nella misura in cui l’art. 3 della l. 431/1998 fissa in tre anni (più due) la durata del contratto e l’art. 2 comma 5 prevede che solo al termine della proroga biennale di diritto le parti possono convenire sul rinnovo del contratto[32].

Sì ragionando, è evidente che le due tecniche di prosecuzione del regolamento contrattuale si inseriscono in momenti necessariamente diversi del rapporto ed implicano, quindi, la produzione di effetti differenti.

Segnatamente, tramite la proroga si assiste ad una sorta di “slittamento” del termine di scadenza del contratto, il quale, dopo i primi tre anni non è ancora consumato, essendo quindi in corso di esecuzione.

Diversamente, con il rinnovo, come già argomentato sopra, si deve intendere un nuovo contratto a termine tra le medesime parti a seguito dell’avvenuta cessazione del precedente rapporto, quindi dopo l’esaurimento dei tre anni (più due) fissati dalla legge.

In altri termini, la proroga offre un “allungamento” – per così dire - automatico di un biennio della iniziale durata contrattuale fissata in tre anni del contratto ancora in corso di esecuzione. Allungamento automatico escluso soltanto qualora locatore e conduttore non giungano ad un accordo in tal senso. Mentre, il rinnovo comporta la successiva ulteriore rinnovazione biennale del contratto stesso, alle medesime condizioni e alla definitiva scadenza quinquennale.

Le due situazioni sono destinate, pertanto, ad intervenire in momenti necessariamente diversi del regolamento contrattuale (l’una in corso di esecuzione e l’altro alla scadenza) e impongono considerazioni differenti sul contegno che può pretendersi dalle parti.

Segnatamente, l’automatismo connesso alla proroga biennale, di là dall’essere meramente legato a ragioni pratiche, sottende l’esistenza di un affidamento in capo al conduttore nella stabilità e nella prosecuzione del rapporto proprio in ragione del termine breve di durata del contratto e dell’esecuzione, ancora in corso, del rapporto.

Il che impone al locatore di motivare minuziosamente, ex art. 3, il fondamento della disdetta qualora non intenda dar corso alla proroga di diritto[33]. In questo caso, infatti, un rigoroso onere motivazionale in capo al locatore, che si traduce nella prova della serietà del rifiuto, è giustificato proprio in ragione del pregiudizio che potenzialmente il conduttore finirebbe per sopportare qualora, dopo appena tre anni dall’instaurazione del rapporto ancora in corso di esecuzione, il locatore decidesse di riprendere il possesso dell’immobile.

Non così nel caso di rinnovo del contratto alla scadenza del biennio di proroga, ove l’affidamento del conduttore nella rinnovazione di un contratto già eseguito (e scaduto dopo ben cinque anni) sarebbe naturalmente affievolito dall’esaurimento del contratto e dalle ragionevoli pretese del locatore di smobilizzare il bene, riappropriandosene per le più svariate ragioni, non necessariamente connesse ai rigorosi motivi[34] ricondotti all’art. 3 l. 431 del 1998.

6. Considerazioni conclusive

Qualche conclusione può essere tratta. La distinzione ontologica tra i due meccanismi di protrazione del vincolo non soltanto non giustifica, in sede di rinnovo, la necessità, in caso di diniego, di quello stesso onere motivazionale che è, invece, richiesto alla «prima» scadenza triennale del contratto.

Ma, proprio l’affievolimento dell’affidamento in capo al conduttore che ne consegue, giustifica invece la possibilità, per il locatore, al termine della proroga biennale, di comunicare sic et simpliciter la rinuncia al rinnovo, senza motivare alcunché.

Una conclusione differente, oltre a evocare una sorta di insofferenza al vincolo di legge[35], finisce per frustrare gli scopi stessi posti alla base della previsione dei contratti oggetto di autonomia negoziale assistita.

Ed invero, nel disdettare le esigenze sottese alla promozione del mercato locatizio, la scelta di ancorare l’onere motivazione alla seconda scadenza del contratto paralizza inutilmente le prerogative di una parte - quella del locatore – condizionandole ad una regolamentazione vincolata e per nulla in linea con la dimensione pratica del negozio. Dimensione pratica che, nell’involgere una valutazione economica del rapporto in termini di convenienza della fruizione dell’immobile al pari di un diritto di godimento[36], è invece valorizzata dalla soluzione di agganciare lo stringente onere motivazionale alla scadenza del primo triennio locativo e non già alla scadenza del successivo biennio di proroga, il quale, esaurendo il rapporto, apre semmai alla possibilità che le parti ritornino sulla stipula al solo fine di rinnovare il contratto.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Il contributo raccoglie alcune considerazioni critiche suscitate dalla ricognizione e dallo studio di talune pronunce giurisprudenziali oggetto di approfondimento per la stesura di relazioni svolte nell’ambito di un ciclo di seminari formativi organizzati dalla Confederazione italiana della proprietà edilizia (Confedilizia Catanzaro) nell’autunno 2021.

[2] Si veda, sin da ora, per la giurisprudenza di legittimità, Cass., 12 giugno 2020, n. 11308, in Resp. civ. prev., 2022, 1-2, 146 (per un precedente conforme Cass., 12 settembre 2019, n. 22778, in dejureonline) e per la giurisprudenza di merito, sulla quale si ritornerà più avanti, Trib. Roma, sez. VI, 26 marzo 2019, n. 6797 in Condominioelocazione.it, 13 gennaio 2020, con nota di V. Amendolagine, L’operatività della proroga biennale nella locazione a canone concordato e modalità della disdetta; Trib. Bologna, 10 maggio 2021 (R.G. 5798/2021) reperibile sul sito web ASPPI Bologna, con nota di V. Sardini, Nuovamente in discussione la durata dei contratti a canone concordato; Trib. Torino, sez. VIII, 7 dicembre 2020, n. 4349, in Condiminioelocazione.it, 2021, con nota di L. Malfanti, Scaduta la proroga biennale, nell’inerzia delle parti, i contratti di locazione agevolati si rinnovano ogni volta tacitamente per un ulteriore biennio.

[3] Sul tema, ex multis A. Tabet, La locazione-conduzione, in Tratt. Cicu-Messineo, XXV, Milano, 1972, 2; M. Trimarchi, La locazione abitativa nel sistema e nella teoria generale del contratto, Milano, 1988. Per il processo di diversificazione analitica dell’istituto G. Silvio Coco, Locazione, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 918 ss. Senza pretese di completezza si segnalano i seguenti autori: G. ALPA, Manuale di diritto privato, VII ed., Padova, 2011, 693 ss.; E. Bargelli, Proprietà e locazione. Prelazione e valore di scambio, Torino, 2004; M. Bessone (a cura di), Istituzioni di diritto privato, XXI ed., Torino, 2015, 790 ss.; A. Bucci, La disciplina delle locazioni abitative dopo le riforme, Padova, 2000; D. Carusi, Avviamento, proprietà e locazione, Milano, 1992; V. Cuffaro (diretta da), La locazione. Disciplina sostanziale e processuale, Bologna, 2009; Id., Locazioni ad uso abitativo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2001; M. De Giorgi, - D. Maffei, - C. Marvasi (a cura di), Le locazioni. Profili sostanziali, processuali e della nuova mediazione, Padova, 2015; M. De Tilla - S. Giove, Le locazioni abitative e non abitative, in Tratt. dir. priv. Alpa-Patti, Padova, 2009; M. Dogliotti - A. Figone, La locazione. Disciplina generale. Le locazioni abitative, Milano, 1993; G. Gabrielli - F. Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2005; M. Giorgianni, Diritti reali, in Nss. D.I., V., Torino, 1960, 748 ss.; G. Grasselli - M. Masoni, Le locazioni. Contratti e disciplina, Padova, 2013; B. Inzitari, La locazione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990; C. Lazzara, Il contratto di locazione: profili dommatici, Milano, 1961; F. Lazzaro - M. Di Marzio, Le locazioni per uso abitativo, IV ed., Milano, 2007; F. Lazzaro – R. Preden, Le locazioni per uso non abitativo, V ed., Milano, 2005; G. Mirabelli, La locazione, in Tratt. Vassalli, Torino, 1972; F. Padovini, La liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo, in Nuove leggi civ., Padova, 2015, 429 ss.; M. Sinisi - F. Troncone, Le locazioni ad uso commerciale, III ed., Padova, 2010; Paparo, Disdetta del contratto da parte del locatore, in Le locazioni abitative a cura di Vettori, Padova, 2002; F. Trifone, Locazioni ad uso non abitativo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2001.

[4] Nella contrapposizione rispetto all’interpretazione letterale che presuppone che la norma sia una unità logica isolata empiricamente, l’interpretazione è concepita soltanto in chiave logico-sistematica e teleologico-assiologica, in quanto finalizzata all’attuazione dei valori costituzionali. Ciò dunque conduce a bandire il brocardo in claris non fit interpretatio: P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, 581. Per la validità dell’art. 12 disp. prel., per le sole leggi di rango ordinario: A. Falzea, La Costituzione e l’ordinamento giuridico, in ID., Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Milano, 1999, 464.

[5] L’innegabile rilevanza economica e sociale della locazione di immobili ha fatto sì che la materia fosse oggetto di continui interventi da parte delle leggi speciali, nella preoccupazione di evitare che il contrente contrattualmente più forte, val quanto dire il proprietario abusasse del suo potere a danno del contraente, per così dire, più debole. L’intrinseca debolezza contrattuale deriva evidentemente dalle diverse esigenze eterogenee che spingono le parti a contrarre: l’una, quella del locatore, di mettere a reddito l’immobile, l’altra, quella del conduttore, di «conseguire il godimento di una cosa determinata, strumento necessario per appagare i suoi bisogni più essenziali: casa, bottega, ufficio. Sotto questo aspetto, il conduttore è sempre il contraente più debole perché il bisogno di una cosa determinata è sempre più pressante di quello rivolto ad una cosa fungibile»: A. Tabet, La locazione-conduzione, cit., 44.

[6] In deroga al sistema fondato sulla libera contrattazione delle parti: G. Rinaldi, Locazione, in Enc. giur. Treccani, passim. In generale, può affermarsi che il contratto di locazione classico, quale previsto e regolato dal codice, si adatta alla logica di regimi e interessi differenti in corrispondenza al tipo di rapporto instauratosi tra le parti e soprattutto secondo la destinazione del bene locato: A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, XXVII ed., Padova, 2015, 962.

[7] E ciò soprattutto per gli aspetti di maggiore rilevanza quali la durata del contratto e la misura del corrispettivo da versare al locatore: M. Bessone (a cura di), Istituzioni di diritto privato, XXI ed., Torino, 2015, 792. Tant’è che la durata del rapporto viene regolata soltanto nel suo termine massimo con disposizioni poste principalmente a tutela della proprietà; mentre con riferimento alla misura del corrispettivo, il codice non reca alcuna disposizione di carattere cogente.

[8] Per un approfondimento si rinvia a Aa. Vv., Evoluzione legislativa in tema di locazioni ad uso abitativo dopo l’entrata in vigore del codice civile, in foroeuropeo.it.

[9] Protrattasi ininterrottamente dal 1915 fino al 1978, attraverso una copiosa serie di disposizioni normative progressivamente reiterate nel tempo che riguardavano essenzialmente la durata del contratto di locazione e l’entità del canone: da un lato si faceva divieto alle parti di aumentare il corrispettivo pattuito o di aumentarlo oltre una certa misura; dall’altro si attribuiva al conduttore il diritto di protrarre il godimento dell’immobile anche dopo la scadenza del termine stabilito.

[10] I progressivi interventi legislativi, tesi a graduare in modo vincolante gli aumenti dei canoni e prorogando d’imperio la durata dei contratti, hanno inevitabilmente ottenuto l’effetto di provocare una profonda crisi dell’intero settore immobiliare, inaridendo gli investimenti e creando un doppio mercato delle locazioni, con gravi sperequazioni fra locatori e conduttori di immobili vincolati e immobili “liberi”.

[11] Nell’ottica di superare il regime vincolistico pervenendo ad un generale riassetto del settore, il legislatore del 1978 ha individuato due tipologie di rapporti: la locazione di «immobili adibiti ad uso di abitazione» (capo I, titolo I, artt. 1-26) e la locazione di «immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione» (capo II, titolo I, artt. 27-57), differenziando la disciplina in ragione della diversa destinazione economica ricevuta dall’immobile, contemperando l’esigenza dell’inquilino di prendere in locazione una casa (corrispondendo un canone di importo ragionevole), con l’interesse del proprietario ad ottenere una rendita adeguata dalla sua proprietà. Si rinvia al disegno di legge sul c.d. equo canone letto alla luce della legislazione vincolistica in materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, reperibile su Il Foro italiano, Vol. 101, V.

[12] L’art. 79 prevede, infatti, una rigorosa valutazione delle pattuizioni private, che ne determina la nullità se queste sono dirette a derogare, in sfavore del conduttore, la disciplina del canone e della durata ovvero se, comunque, attribuiscono al locatore vantaggi in contrasto con la legge. Le clausole di contenuto difforme rispetto a quello previsto dalle norme cogenti sono sostituite di diritto: in luogo di esse, si inseriscono nel rapporto contrattuale le condizioni imperative individuate dalla legge (inserzione automatica che si produce per l’effetto della regola generale degli artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c., richiamata dagli artt. 1, 12, 25 e 27 l. n. 392/1978). Per un approfondimento A. Jannarelli, Art. 27. Durata della locazione, in Equo canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani, a cura di C. M. Bianca, N. Irti, N. Lipari, A. Proto Pisani e G. Tarzia, Padova, 1980, 231 ss.

[13] Anche la tutela dell’inquilino si era rilevata poco efficace, data la frequente violazione o elusione delle norme imperative concernenti la misura del canone: G. Rinaldi, Locazione, cit., passim. Un timido tentativo di risanamento è stato attuato con la c.d. miniriforma dei patti in deroga di cui all’art. 11 d. l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, convertito in legge dall’art. 11 della legge 8 agosto 1992, n. 359), tramite la quale venne disposta l’abrogazione delle disposizioni limitative del canone contenute nella legge del 1978, limitata ai soli contratti di locazione aventi ad oggetto immobili di nuova costruzione.

[14] Ciò si spiega nella rilevanza che assume il bene-casa tanto da teorizzarsi una rilevanza costituzionale di un diritto all’abitazione (in realtà non registrabile nella giurisprudenza costituzionale). Ciò che emerge da tale rilevanza è una maggiore attenzione non tanto al rapporto contrattuale tra locatore e conduttore, quanto al rapporto reale tra conduttore e bene. In altre parole, per valutare la stabilità dell’uso del bene si assiste ad una sotto ordinazione dell’accordo pattizio rispetto al fatto del godimento: F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, III ed., 1067.

[15] Alla seconda scadenza, ciascuna delle parti ha la facoltà di attivare la procedura per il rinnovo del contratto a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo, comunicando la propria intenzione almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza di detta comunicazione il contratto si intende tacitamente rinnovato alle condizioni originariamente pattuite: G. Rinaldi, Locazione, ibidem.

[16] I contratti di locazioni che ricadono nell’ambito applicativo della legge sono i contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo che non abbiano ad oggetto beni vincolati o che non siano costruiti nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica o che non siano alloggi locati per finalità esclusivamente turistiche (cfr. art. 1).

[17] Condizioni individuate nel rispetto delle indicazioni fornite da una convenzione nazionale promossa dal Ministero dei lavori pubblici cui spetta, in particolare, l’indicazione dei «criteri generali per la definizione dei canoni» (cfr. art. 4 l. n. 431/1998).

[18] Per una recente giurisprudenza di merito sulla differenza tra i due tipi contrattuali si rinvia a App. Roma, sez. VIII, 13 novembre 2019, n. 6252, in dejureonline, la quale, tra l’altro, pone l’accento sull’asserita maggiore stabilità del rapporto garantita dal tipo ordinario di contrattazione.

[19] In entrambi i modelli contrattuali la legge prevede la possibilità per il locatore di avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto, purché ricorra una delle ipotesi tassative previste dall’art. 3 l. n. 431/1998: vale a dire quando il locatore intenda destinare l’immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio o dei congiunti; quando vi sia la necessità di eseguire lavori indispensabili; quando il conduttore non occupi continuativamente l’immobile senza giustificato motivo; quando il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune.

[20] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, vol. IV, Napoli, 2020, 186.

[21] ID., o.u.c., 187. In questi termini, l’A. precisa che l’autonomia negoziale assistita, la quale ha trovato terreno favorevole soprattutto nella legislazione speciale, fa ricorso a forme di condizionamento dell’autonomia negoziale rivolte ad attribuire alle associazioni professionali un ruolo legittimante o convalidante di atti compiuti da soggetti privati, nell’ottica di tutelare la situazione sostanziale tramite un vero e proprio controllo di convenienza. Particolarmente significativo è l’esemplificazione dei contratti agrari e segnatamente dell’art. 45 l. 3 maggio 1982, n. 203, ma anche nei rapporti di famiglia, il riferimento ai nuovi modelli di separazione e divorzio, tramite la negoziazioni assistita da avvocati, conferma il ricorso all’autonomia assistita come strumento di controllo dell’autonomia negoziale.

[22] Ciò in quanto sembra evidente come la libera contrattazione ripercorra quanto già era previsto dai patti in deroga in punto di libera determinazione del canone, durata obbligata di quattro anni più quattro, diniego di rinnovo alla prima scadenza per necessità abitativa o lavorativa. Diversamente un canone legale “imposto”, ancorché concordato, rimane stabilito per i contratti-tipo.

[23] Copiosa la giurisprudenza soprattutto sulle questioni attinenti il regime transitorio. A titolo esemplificativo si consideri App. Milano sez. III, 25 ottobre 2018, n. 4448, in dejureonline, in tema di tacito rinnovo dei contratti di locazione abitativa dopo la legge n. 431/1998.

[24] Cfr. Trib. Roma, sez. VI, 26/03/2019, n. 6797: «Il conduttore, dopo la prima scadenza contrattuale, può non avvalersi della proroga biennale di cui all'art. 2, comma 5, l. n. 431/1998, del contratto di locazione, stabilita esclusivamente in suo favore, laddove non abbia interesse al rinnovo, non manifestando la volontà di rimanere nell'immobile, senza necessità di dare comunicazione del proprio recesso al locatore, il quale, a sua volta, per impedire l'operatività della proroga, può inviare disdetta motivata ex art. 3, l. n. 431/1998, fermo restando che sussiste il potere del giudice di accertare la cessazione del contratto di locazione ad una data diversa e successiva rispetto a quella indicata nell'intimazione di sfratto per finita locazione», in Condominioelocazione.it, 13 gennaio 2020, con nota di V. Amendolagine, L’operatività della proroga biennale nella locazione a canone concordato e modalità della disdetta.

[25] Si tratta di una ordinanza emessa da Trib. Bologna, 10 maggio 2021 (R.G. 5798/2021) reperibile sul sito web ASPPI Bologna, con nota di V. Sardini, Nuovamente in discussione la durata dei contratti a canone concordato.

[26] Sulla necessità di provare la serietà delle ragioni del rifiuto, in giurisprudenza si registrano degli orientamenti difformi, i quali però attengono non già all’onere motivazionale previsto per i contratti a canone concordato, bensì ai contratti, per così dire, ordinari. Il riferimento corre alla pronuncia App. Roma sez. VI, 26 maggio 2020, n. 7777, in dejureonline, la quale ha previsto che affinché il locatore possa legittimamente denegare il rinnovo del contratto alla prima scadenza, secondo quanto previsto dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1998 n. 431, non è necessario che egli fornisca la prova dell’effettiva necessità di destinare l’immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare, ma è sufficiente una semplice manifestazione di volontà in tal senso, fermo restando il diritto del conduttore al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento di cui al comma 3 del citato art. 3, nell’eventualità in cui il locatore non abbia adibito l’immobile all’uso dichiarato nell’atto di diniego del rinnovo nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità.

[27] A. Gentili, Riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione, in N. Lipari, P. Rescigno (diretto da) Diritto civile, vol. III, 776. Gli eterogenei istituti, prosegue l’A. – il quale preferisce discorrere di fattispecie, più che di istituti - non conoscono infatti un disciplina costante capace di contraddistinguerli. Sul tema, ex multis, R. Sacco, Riproduzione, rinnovazione, ripetizione, reiterazione dei contratti, in Dig. Disc. prov., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, 13; Granelli, Riproduzione e rinnovazione del contratto, Milano, 1988.

[28] A. Gentili, Riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione, cit., 806. In particolare la rinnovazione si distingue dalla ripetizione in funzione del fatto che le due stipule, in questa seconda ipotesi, concorrono: quindi la ripetizione è condizionata dall’attualità ed effettività del vincolo, cosa che non accade nella rinnovazione. 

[29] Assente in altre fattispecie quali la rinegoziazione, A. Gentili, o.u.c., 779.

[30] Id., La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. e impr., 2003, 668. In questa prospettiva, una variante della rinnovazione è quella attinenti alla modificazione temporale del vincolo: per tale si intende sia quella ove dalla nuova stipula decorra un eguale periodo di rapporti giuridici, con o senza soluzione di continuità con quelli già decorsi, sia quella ove si fissi una durata diversa: Carnelutti, Documento e negozio giuridico, in Riv. proc. civ., 1926, I, 200.

[31] Cfr. Cass., sez. III, 23 gennaio 2006, n. 1223. Rimane salva la possibilità che la continuazione dell’originario rapporto avvenga in forza di una specifica clausola del contratto precedentemente concluso e perciò in forza della volontà così manifestata di concludere il contratto stesso: cfr. Cass., sez. III, 2 agosto 2002, n. 11649 e Cass., sez. III, 23 giugno 2011, n. 13886, tutte reperibili in dejureonline.

[32] Pertanto, al termine della proroga biennale - prevista “di diritto” per il caso in cui le parti, alla prima scadenza del contratto, non concordino sul rinnovo del medesimo - ove manchi la comunicazione di disdetta, da effettuarsi a cura di ciascun contraente nei termini previsti dalla normativa ad hoc dettata, il contratto locativo deve intendersi tacitamente rinnovato, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio; il tutto giusto il disposto dell’art. 19-bis del d.l. n. 34/2019 (c.d. decreto Crescita) che, integrando l’art. 2, comma 5, ultimo periodo, della l. n. 431/1998, ne precisa così il significato quanto alla previsione del tacito rinnovo “alle medesime condizioni”: così Trib. Torino, sez. VIII, 7 dicembre 2020, n. 4349, in Condiminioelocazione.it, 2021, con nota di L. Malfanti, Scaduta la proroga biennale, nell’inerzia delle parti, i contratti di locazione agevolati si rinnovano ogni volta tacitamente per un ulteriore biennio.

[33] La Suprema Corte, in una recente pronuncia (12 giugno 2020 n. 11308, in Resp. civ. prev., 2022, 1-2, 146, precedente conforme Cass., 12 settembre 2019, n. 22778, in dejureonline) ha, infatti, ribadito che, sulla base del comma 5 dell’art. 3 L. 431/1998, alla prima scadenza del contratto (cioè alla scadenza dei tre anni), dopo l’inciso “ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo” è previsto che il contratto sia prorogato di diritto per due anni, fatta (però) salva la facoltà di disdetta motivata da parte del locatore (alla scadenza dei primi tre anni) e che alla scadenza del successivo periodo di proroga biennale (ovverosia alla scadenza dei tre più due) ciascuna delle parti, ove non ne chieda il rinnovo a nuove condizioni, ha diritto di rinunciare al rinnovo del contratto «comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza», senza aggiungere che tale intenzione debba essere in alcun modo motivata.

[34] Cfr.: Cass., sez. III, 16 gennaio 2013, n. 936, in dejureonline.

[35] Derivante da un «indebolimento del pensiero dogmatico, e quindi degli strumenti concettuali di verifica di legittimità della prassi», colpevoli altresì di una «instabilità della giurisprudenza»: così L. Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi, Milano, 1996, 88.

[36] Ed invero, sebbene il contratto di locazione sia un rapporto di carattere personale che lega il proprietario a chi gode il bene, la natura del diritto di godimento cui la locazione dà luogo presenta delle particolarità che hanno indotto parte della dottrina a considerarlo come un rapporto a metà strada tra i rapporti obbligatori e quelli reali: M. Giorgianni, Diritti reali, in Nss. D.I., V, Torino, 1960, 748 ss. Sul punto anche G. Alpa, Manuale di diritto privato, VII ed., Padova, 2011, 695. A conferma di tale assunto si argomenta sostenendo che il rapporto non ha effetto solo tra le parti, ma è opponibile ai terzi acquirenti: il riferimento corre al brocardo per cui emptio non tollit locatum, all’obbligo di trascrizione, alla prescrizione che il contratto non possa avere durata superiore ai trenta anni, alla facoltà di sublocazione: sintomi della deviazione dal rigore del criterio collegato al rapporto di puro ordine personale: A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, cit., 963.