Pubbl. Mar, 27 Dic 2022
La ragionevole durata delle indagini preliminari alla luce della riforma Cartabia
Modifica paginaIl presente contributo analizza gli interventi attuati dal recente d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 15 in una delle fasi del procedimento penale dove si registrano i maggiori ritardi: le indagini preliminari.
The reasonable duration of the investigations in the light of the Cartabia reform
This contribution analyzes the interventions implemented by the recent legislative decree 10 October 2022, n. 15 in one of the phases of the criminal proceeding where the greatest delays are recorded: the preliminary investigations.Sommario: 1. Deposition time e gli obiettivi della riforma; 2. I nuovi termini di durata delle indagini preliminari; 3. I tempi dell’iscrizione della notitia criminis; 4. La retrodatazione e l’accertamento sulla tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato; 5. Diritti e facoltà dell’indagato e della persona offesa in caso inosservanza dei termini per la conclusione delle indagini preliminari; 6. Possibili valutazioni e prospettive future.
1. Deposition time e gli obiettivi della riforma
Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150[1], adottato in attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante «delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», ha posto le basi per porre fine al problema dei tempi ipertrofici del processo.
Da sempre, infatti, il nodo da sciogliere è stato quello di garantire, nell’ambito del processo penale, che ogni persona sia sottoposta ad una fase investigativa che risulti garantista da un lato e celere dall’altro.
Si tratta tuttavia di un problema strutturale della giustizia italiana che è stato più volte oggetto di diverse sentenza della Corte EDU[2]. Infatti, secondo quanto riportato dalla stessa Ministra della Giustizia Marta Cartabia, nel corso del forum Ambrosetti tenutosi il 4 settembre 2021 a Cernobbio, solo tra il 2015 e il 2020, il nostro Paese ha dovuto pagare 573 milioni e 779 mila euro di indennizzi dovuti per la violazione del principio della ragionevole durata del processo alle 95 mila 412 persone che sono rimaste in attesa di giustizia più di quanto dovuto.
Si consideri che il rispetto di un limite cronologico entro cui sottoporre una persona ad atti investigativi è funzionale, tra le altre cose, ad evitare il «rischio di restare troppo a lungo nell’incertezza della propria sorte[3]».
Sul punto, le spinte esterne che hanno indotto il sistema della giustizia italiana sono da sempre state dettate dall’esigenza di adempiere a quell’obbligo costituzionale dell’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero che non tollera alcuna discrezionalità investigativa bensì richiede una verifica diligente della fondatezza della notizia di reato attraverso un’attività di indagine, tendenzialmente, completa[4].
Nella prospettiva di rendere il procedimento maggiormente efficiente, la riforma Cartabia è intervenuta in quella fase del procedimento penale che, nelle intenzioni del riformatore del 1988, avrebbe dovuta essere snella e di durata predefinita, modificando, per un verso, la delimitazione cronologica dell’avvio del procedimento e, per altro verso, la determinazione di termini massimi di durata della fase investigativa.
È da considerare che tale intervento è stato facilitato dalle conseguenze della catastrofe sanitaria causata dalla diffusione del virus Covid 19 e dall’ingente quantità di somma di denaro che l’Unione Europea ha messo a disposizione degli Stati membri per facilitarne la ripresa economica, condizionandone tuttavia l’utilizzo al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano Nazionale di ripresa e resilienza[5].
In particolare, l’originale progetto di riforma A.C. 2345 è stato presentato dall’allora Ministro della Giustizia per dare attuazione alle condizioni imposte dall’UE per il rilascio del c.d. Next Generation UE. Si trattava di alcuni interventi che miravano a mettere in atto una più celere definizione deli procedimenti penale nel tentativo di rispettare quel principio costituzionale della ragionevole durata dei processi sancito dall’art. 111 co. 2[6]
Nello specifico, in tema di giustizia penale, il Ministero della Giustizia[7] ha reso noto gli obiettivi quantitativi negoziati con la Commissione Europea nell’ambito del PNRR, sulla base dei criteri derivanti dalla disposizioni di legge nazionali (legge 24 marzo 2001, n. 89, nota come “legge Pinto”), indicando i target esigibili a livello nazionale che si sostanziano nella riduzione del deposition time[8].
In termini numerici, è stata richiesta la riduzione dei termini di durata del processo – considerato nei tre gradi di giudizio – del 25 % entro il termine di giugno 2026.
A tal fine, la Direzione di statistica e analisi organizzativa, in accordo con il Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia, ha elaborato un “kit strategico” che riporta l’andamento dei flussi, delle pendenze e del deposition time civile e penale.
Assolvendo pertanto agli obblighi di rendicontazione richiesti dalla Commissione europea, nonostante da tali dati sia emerso un debole miglioramento del deposition time in tutte le fasi del processo penale rispetto al 2019, si assiste ad un aumento delle pendenze.
Pertanto, in linea con il contesto storico-politico, è intervenuto il legislatore con la riforma Cartabia che nel chiaro intento di produrre un effetto deflattivo e di maggiore efficienza del sistema di giustizia[9], propone una serie di modifiche processuali allo scopo di aumentare l’efficacia delle indagini preliminari e bilanciare l’esigenza della completezza delle indagini con il principio della ragionevole durata.
2. I nuovi termini di durata delle indagini preliminari
Per assicurare il rispetto dei principi costituzionali e degli obiettivi europei, il d.lgs. 150, in attuazione dell’art. 1, comma 9, lett. C) della legge delega, ha ricalibrato i termini di durata delle indagini, modificando in maniera impattante l’art. 405, comma 2 c.p.p.
L’intervento della riforma muove dall’esigenza di tendenziale completezza degli accertamenti preliminari e dalla considerazione che l’attuale sistema normativo dei tempi delle indagini non riesce ad evitare il cd. svolgimento di indagini ipertrofiche[10].
Sul punto, la riforma opera in diversi livelli: viene ampliata una prima arcata temporale ad un anno per quanto concerne la generalità dei delitti, ed una seconda arcata, per i procedimenti relativi ai reati contemplati dall’art. 407, co. 2 c.p.p., ad un anno e sei mesi; viene poi ridotto il termine di conclusione delle indagini per le contravvenzioni ad un anno. Pertanto, il nuovo comma 2 dell’art. 405 c.p.p. è qui dappresso sintetizzato:
- Un anno;
- Sei mesi, se si procede per una contravvenzione;
- Un anno e sei mesi, se si procede per taluni dei delitti indicati nell’art. 407, co. 2 c.p.p.
Esaminando nello specifico le modifiche appena richiamate, il legislatore consente di mantenere segreta, per un termine più ampio rispetto a quello oggi previsto (diciotto mesi invece dei dodici), l’esistenza di un procedimento penale nei confronti dell’indagato e di ridurre il tempo massimo di durata delle indagini per i reati di poca rilevanza sociale, potendo durare per un termine massimo di dodici mesi.
Altra importante conseguenza che ne deriva dal nuovo assetto normativo è, oltre l’ampliamento del termine ordinario delle indagini preliminari, la riduzione del termine che il pubblico ministeri può «lucrare attraverso il meccanismo delle proroghe»[11].
In particolare, è previsto che la proroga del termine di durata delle indagini possa essere richiesta dal pubblico ministero una sola volta per un periodo di tempo non superiore a sei mesi ed unicamente in funzione della complessità delle investigazioni.
L’ancoraggio ad una singola e tassativa condizione evita non solo l’arbitraria dilatazione delle indagini ad opera del pubblico ministero, ma anche di sollecitare un più consapevole contraddittorio con la difesa[12]. Tuttavia, nella pratica, diversi sono le problematiche che possono prospettarsi con riferimento all’istituto della proroga.
Da un lato, nell’ambito dei reati ex art. 407 comma 2 c.p.p., il procedimento di proroga viene definito dal GIP una volta già decorsi i termini con l’unico rischio della inutilizzabilità degli atti raccolti salvaguardando, tuttavia, il principio della segretezza delle indagini.
Dall’altro, con riferimento ai procedimenti per i reati di scarso valore sociale, difficilmente trova applicazione la proroga, essendo quest’ultimi definiti, in buona parte, con l’emissione del decreto penale di condanna. Istituto che consente di mantenere il termine ordinario di conclusione della fase delle indagini preliminari e di definire il processo in termini ragionevoli[13].
Gli stessi autori mostrano maggiore interesse alla modifica dell’istituto con riferimento al suo presupposto applicativo: la complessità delle indagini.
Tale inciso evita un ampliamento ingiustificato dei tempi e funziona da parametro per dilatare il termine di durata delle indagini che, a richiesta dell’organo di accusa, può avvenire solo ed unicamente per difficoltà oggettive e non per l’inerzia volontario o obbligata.
3. I tempi dell’iscrizione della notitia criminis
Al fine di contenere i tempi di durata delle indagini, la riforma si concentra sul compimento di una serie di attività di competenza del pubblico ministero ed improntate ad un alto tasso di discrezionalità.
Contrariamente all’opinione comune che ritiene che sia soprattutto la fase del dibattimento e del giudizio di appello a doversi definire in termini più stringenti, è in particolar modo nelle indagini preliminari che iniziano ad accatastarsi una serie di ritardi che provocano effetti a catena sull’intero procedimento.
Il nostro sistema processuale regolamenta la decorrenza dei termini investigativi determinando quale dies a quo il momento in cui il pubblico ministero procede all’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro.
Questo è infatti considerato come un momento procedimentale storicamente documentabile e dunque di facile individuazione, allo scopo di delimitare in maniera precisa l’attività d’indagini preliminare[14].
Tuttavia non è sempre cosi, spesso si trascurano i lunghi lassi temporali che possono registrarsi tra la ricezione della notitia criminis ed il momento effettivo dell’iscrizione.
Infatti, l’obbligo di procedere «immediatamente» alle iscrizioni della notizia di reato da parte del pubblico ministero non implica l’esistenza di un termine che sia computabile in ore o giorni. Quest’ultimo può ritenersi compiuto anche quando l’iscrizione sia avvenuta, per ragioni che debbono considerarsi plausibili, a distanza di qualche giorni rispetto all’acquisizione della notizia di reato stessa[15].
Inoltre, da tale adempimento ne discendono effetti diversi in base al contenuto della stessa notitia: se questa riguarda la sola ipotesi criminosa, ha inizio il decorso del termine entro il quale il pubblico ministeri deve chiedere l’autorizzazione a poter proseguire le indagini ovvero l’archiviazione poiché l’autore del reato è ancora ignoto ai sensi dell’art. 415 comma 1 c.p.p.; quando invece risulta anche il nominativo della personaa cui il fatto di reato è attribuito, viene fissato il suddetto dies a quo del termine previsto dal codice di procedura penale utile a poter raccogliere tutti gli elementi di prova che potranno servire al pubblico ministero di scegliere l’alternativa prevista dall’art. 405 comma 2 c.p.p.
Pertanto, malgrado l’art. 335 c.p.p. sembri ancorare l’obbligo dell’iscrizione ai parametri cronologici della tempestività, risultano ancora incerti i ruoli e i limiti dell’iscrizione.
Sul punto, il legislatore delegato interviene con la riforma sul momento genetico del procedimento che si sostanzia nella recezione da parte della Procura della Repubblica di un atto che può contenere una notizia di reato e che spesso non determina in maniera precisa l’automatico avvio del procedimento.
Come si evince dalla Relazione della Commissione Lattanzi, l’operazione si basa sulla «presa d’atto della particolare delicatezza di un passaggio troppo spesso considerato un mero atto dovuto e sul rischio che si proceda ad un’iscrizione esclusivamente formale dei fatti».
Ora, da punto di vista operativo, il delegato ha chiarito che l’iscrizione è un atto che presuppone l’esistenza strutturalmente di una componente oggettiva, quale la notizia-fatto sussumibile sotto la fattispecie di reato; e una componente soggettiva, rappresentata dal nome della persona cui la notizia di reato è attribuita a prima facie[16].
Nello specifico, dalla modifica apportata all’art. 335 c.p.p. ne deriva una definizione della notizia di reato in termini di fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi ad una fattispecie incriminatrice. Nell’iscrizione sono indicate, ove risultino, le circostanze di tempo e di luogo del fatto. Inoltre, con riferimento alla componente soggettiva, il pubblico ministero provvede all’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino, contestualmente all’iscrizione della notizia di reato o successivamente, indizi a suo carico.
Gli elementi fondamentali sono, dunque, cosi riepilogabili: una rappresentazione di fatto; la sua non inverosimiglianza; il suo carattere determinato con la precisazione che non sono ritenute indispensabili le indicazioni sulle circostanze di tempo e di luogo; la possibile integrazione di una fattispecie di reato. Pertanto, al ricorrere di tali requisiti è ora possibile distinguere il mero sospetto ex art. 116 disp. att. dalla notizia di reato[17].
Con riguardo alla componente oggettiva, qualora quindi il PM sia venuto a conoscenza di un fatto che presenti, nella sua storicità, connotati di verosimiglianza e giuridicamente gli elementi costitutivi di una fattispecie di reato, dovrà procedere all’iscrizione della notitia criminis.
Secondo quanto disposto dal nuovo art. 335 c.p.p., le circostanze di tempo e di luogo del fatto non sembrano essere indispensabili per integrare il requisito della determinatezza in quanto sono indicati dall’accusa solo ove risultino.
Sul punto, come illustrato dalla Relazione della Commissione Lattanzi, nel caso in cui tali elementi dovessero essere individuati in un momento successivo all’iscrizione, quest’ultima andrà integrata.
Tale precisazione risulta in linea con il costante indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero potrà procedere ad una nuova annotazione nel registro delle notizie di reato solo al ricorrere di elementi nuovi[18]. In particolare, vi sarà una nuova decorrenza del termine di conclusione delle indagini solo ove vi siano ulteriori fatti di reato, quando si raccolgano elementi in relazione al medesimo o ad un nuovo reato a carico di persone diverse dall’originario indagato.
Con rifermento riferimento alla componente soggettiva della notizia di reato, i requisiti previsti all’art. 335 comma 1-bis c.p.p. richiedono, ai fini dell’iscrizione del nome dell’indagato, l’esistenza di indizi a suo carico.
L’inciso richiamerebbe il contenuto normativo dell’art. 63 c.p.p. che, per vero, riconnette gli indizi alla reità in relazione a dichiarazione autoindinzianti. In tale modo, il legislatore della riforma ha tentato di escludere la sufficienza dei meri sospetti quale presupposto per l’iscrizione e ha, invece, richiesto la necessità che sia raggiunto un livello di gravità indiziaria[19].
Vanno, quindi, evitate tutte quelle iscrizioni arbitrarie senza un quadro indiziario certo e rintracciare i tratti minimi che ne fanno della fattispecie un fatto di reato costituito dai suoi elementi[20].
Tuttavia, gli standard previsti dalla riforma rileverebbero solo al termine delle indagini per l’esercizio dell’azione penale, in quanto l’esistenza di gravi indizi a carico di un determinato soggetto emergerebbe soltanto al termine di un’attività investigativa.
Infatti, collegare lo status di indagato a quello di una persona gravemente indiziata di un reato, secondo alcuni autori sembrerebbe «eccessivo ove si consideri che un grado di maggiore pregnanza è piuttosto richiesto per autorizzare specifici strumenti di ricerca della prova o iniziative limitative della libertà personale[21]».
Nonostante le considerazioni in ordine a quest’ultima posizione, occorre considerare che il legislatore della riforma ha richiesto letteralmente l’esistenza di indizi a carico di persone da iscrivere nominativamente, caratterizzando la ricorrenza di questi come indispensabile per l’iscrizione e conseguentemente per poter svolgere una ricerca sulla sussistenza di eventuali profili di responsabilità penale.
4. La retrodatazione e l’accertamento sulla tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato
Si è già detto che la riforma, nel tentativo di contenere i termini di durata delle indagini, si concentra sulla correttezza procedurale di alcune attività che, di regola, sono lasciate alla piena discrezionalità del pubblico ministero nella fase pre-processuale.
In tale contesto, risulta del tutto innovativa la disciplina dettata dal legislatore delegato che sottrae ampio spazio al monopolio del pubblico ministro rispetto al momento dell’iscrizione della notizia di reato attraverso l’istituto della retrodatazione.
Tale novità processuale può operare in tre diversi modi: i) la retrodatazione di ufficio (art. 335 comma 1 ter c.p.p.; ii) ordine di iscrizione dell’indagato (art. 335 ter c.p.p.); iii) retrodatazione ad istanza di parte (art. 335 quater c.p.p.).
Nello specifico, ai sensi dell’art. 335, comma 1 ter c.p.p. quando il pubblico ministero non ha provveduto tempestivamente ai sensi dei precedenti commi 1 e 1 bis, all’atto dell’iscrizione può indicare la data anteriore a partire dalla quale essa deve intendersi effettuata.
La norma richiama l’ordine di iscrizione del pubblico ministero e la sua efficacia costitutiva rispetto al momento a partire della quale l’iscrizione deve intendersi effettuata e produce effetti sulla decorrenza dei termini[22] .
Sul punto, è da segnalare che nei primi commenti alla riforma è stato rimarcato che il potere officioso di retrodatazione ex art. 335 co. 1 ter c.p.p. è fisiologico e non può trovare applicazione per il decorso di un lasso temporale di alcuni giorni che è imposto dall’analisi dell’informativa o dalla denuncia/querela da parte del pubblico ministero utile per la registrazione da parte della segreteria[23].
Sembra quindi che il potere riconosciuto al pubblico ministero di retrodatazione possa essere attuato nei ritardi derivanti da errori di qualificazione o che lo abbiano portato ad iscrivere una notizia di reato in un modello rispetto ad un altro.
Altra importante novità che limita la discrezionalità del pubblico ministero al momento dell’atto di inizio del procedimento penale è l’istituto delineato dall’art. 335 ter c.p.p.
In base al primo comma della disposizione, quando deve compiere un atto del procedimento, il giudice per le indagini preliminari, se ritiene che il reato per cui si procede debba essere attribuito a una persona che non è stata ancora iscritta nel registro delle notizie di reato, sentito il pubblico ministero, gli ordina con decreto motivato di provvedere all’iscrizione. In questo caso, il pubblico ministero provvede all’iscrizione, indicando la data a partire dalla quale decorrono i termini delle indagini. Resta salva la facoltà di proporre a richiesta ci cui all’art. 335 quater.
L’intervento del legislatore tenta di recuperare quella funzione di garanzia del giudice per le indagini preliminari che per lungo tempo, è stato escluso dalla giurisprudenza di legittimità.
Il problema che si pone in questi casi è che il giudice per le indagini preliminari, essendo un giudice ad acta, non è in grado di conoscere compiutamente l’intero compendio investigativo sin a quel momento e conseguentemente, secondo alcuni autori, quest’ultimo è considerato «un vero e proprio simulacro di garanzia procedurale in cui il filtro del giudice si fa spesso evanescente o pesino inesistente, sfociando in motivazioni perlopiù standardizzate, circolai e apodittiche[24]».
Pertanto, l’ordine del giudice presuppone l’attivazione di un contraddittorio con il pubblico ministero che deve essere sentito al fine di prevenire l’eventualità di iscrizione che non appaiano realmente necessitate.In
Sulla scia quindi di ampliare i poteri di controllo del GIP, la Relazione illustrativa[25] riprende un meccanismo già esistente nel nostro codice di rito. In particolare, l’art. 415 c.p.p. che attribuiva al giudice per le indagini preliminari, nel caso di richiesta di archiviazione, qualora avesse ritento che il reato fosse ascrivibile ad una persona già individuata, potesse ordinare l’iscrizione.
Con l’intervento della novella, il giudice potrà emettere ordinanza nelle ipotesi in cui sia sollecitato il suo intervento e non più soltanto nelle circostanze indicate dall’art. 415 c.p.p., e la disposizione diventa altresì applicabile anche nei procedimento contro ignoti[26].
Le criticità che sono state segnalate con riguardo alla nuova previsione muovono dal presupposto che dall’indeterminatezza dei tempi dell’interlocuzione tra il GIP e il PM potrebbe derivare un ritardo all’esecuzione dell’atto richiesto. Potrebbe poi porsi un problema sulla possibilità del pubblico ministero di contestare la legittimità e il merito dell’ordine impartitogli dal giudice per le indagini preliminari, non potendo infatti esigere una preventivata motivazione in ordine agli eventuali indizi ritenuti sussistenti a carico della persona di cui si ritiene doverosa l’iscrizione[27].
In realtà, cosi come previsto dal comma 2, sarà in ogni caso il pubblico ministero ad avere l‘ultima parola nell’indicare il dies a quo e decidere sull’effettiva origine temporale delle indagini[28].
Resta infine da esaminare il nuovo art 335 quater c.p.p. che per la prima volta, in attuazione dell’art. 1, comma 9, lett. Q), della legge n. 134 del 2021, disciplina il procedimento di accertamento della tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato.
La novella prende posizione sull’annosa questione relativa al sindacato del giudice e si pone come rimedio a quanto già statuito dalle Sezioni Unite della Cassazione che nella pronuncia del 21 giugno 2000, n. 26, aveva enunciato il principio secondo cui il termine di durata massima delle indagini, previsto dall’art. 407 c.p.p., decorre, per l’indagato, dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto e non dalla data nella quale il pubblico ministero avrebbe dovuto iscriverla nel registro delle notizie di reato.
Il nuovo articolo prevede un procedimento incidentale, istaurato su richiesta della persona sottoposta all’indagine, mirato ad accertare la tempestività dell’iscrizione della notizia di reato e del suo nominativo nel registro delle notizie di reato.
Dal punto di vista procedurale, il controllo sulla tempestività dell’iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. del nominativo della persona indagata non è officioso ma è infatti attivabile su richiesta della persona sottoposta alle indagini che può chiedere al giudice la retrodatazione.
Tuttavia, l’aver attribuito all’indagato l’iniziativa di tale procedimento rappresenterebbe una problematica dal punto di vista dell’onere probatorio che risulterebbe poco definito[29].
Secondo infatti quanto disposto dal comma 1 dell’art. 335 quater c.p.p., la domanda dovrà indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni che la sorreggono e gli atti del procedimento da cui risulti il ritardo.
Secondo quanto riportato dalla Relazione illustrativa, il riferimento ad atti del procedimento deve essere inteso in senso sostanziale cosi come enunciato dalla stessa Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza Cavallo[30]. Infatti, se si seguisse un’impostazione diversa, la necessità di retrodatazione potrebbe desumersi anche da un fascicolo relativo a un procedimento avente ad oggetto una notizia di reato connessa, sotto diversi profili, alla fattispecie di reato oggetto del procedimento cui si rileva la questione[31].
Sempre con riguardo all’istanza presentata dall’interessato, si evidenzia come la riforma richieda al giudice, chiamato a operare nell’ambito dell’incidente sulla tempestività di cui al novello art. 335 quater c.p.p., di valutare la sussistenza di un ritardo inequivocabile e ingiustificato.
Con riferimento al primo requisito, secondo quanto illustrato dall’Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione[32], deve risultare accertata la ricorrenza di indizi a carico dell’indagato in tempo antecedente alla sua iscrizione; con riguardo invece al secondo requisito, il giudice potrà prescrivere la retrodatazione nel caso in cui vi sia un ritardo privo di giustificazione.
Sul punto, si può evidenziare come tale sistema rischia di concedere la possibilità di considerare giustificato anche il ritardo motivato da carenze logistiche o dal sovraccarico dell’ufficio che spesso si presenta come causa principale dei continui ritardi che si registrano nella giustizia italiana. L’unica via ragionevole potrà essere quella di considerare giustificato il solo ritardo causato dalla oggettiva difficoltà delle valutazioni che sono richieste ai fini della compiuta. iscrizione nell’apposito registro del nominativo della persona nei cu confronti si svolgono le indagini.
L’istanza dovrà essere avanzata entro determinati termini, ossia venti giorni da quando l’interessato ha avuto la facoltà di prendere conoscenza dell’atto che giustifica il potere del giudice di retrodatare il dies a quo. La Relazione illustrativa prevede che, nella maggior parte dei casi, la decorrenza potrà coincidere con l’avviso di conclusione delle indagini. Tuttavia, il comma 7 dello stesso articolo prevede che se i presupposti della domanda maturano quando è ancora in corso l’udienza preliminare o il dibattimento, non vi è il bisogno di avviare il procedimento incidentale. Infatti, la questione dovrà essere trattata e decisa nella stessa udienza[33].
Il sesto comma dell’art. 335 quater c.p.p. disciplina il nuovo incidente dal punto di vista procedurale, prevedendo delle linee che mirano a non appesantire il procedimento.
Nello specifico, la domanda dovrà essere depositata presso la cancelleria del giudice con l’avvenuta prova della notifica al PM. Nei sette giorni successivi il pubblico ministero potrà presentare memoria delle quali il difensore potrà prendere visione ed estrarre copia. Inoltre, nei sette giorni successivi a tale momento, entrambi le parti potranno presentar ulteriori memorie.
Il giudice, decorso tale ultimo termine, se ritiene non necessario integrare il contraddittorio orale tra le parti, provvede sulla richiesta.
Infine, la disposizione regola l’eventuale sindacato sulla decisione del giudice. È prevista un’impugnazione che potrà essere avanzata sia dall’imputato, sia dal pubblico ministero. Secondo quanto previsto dal comma 9, la parte interessata dovrà attivare il suddetto procedimento, a pena di decadenza, entro determinati termini: entrambe le parti dovranno presentare la richiesta prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manca, entro il termine di cui all’art. 491 c.p.p.
Diverse sono le criticità che possono sollevarsi in merito a questo nuovo istituto a fronte di un sistema che, fino ad ora, ha riconosciuto al pubblico ministero ampi margini di discrezionalità.
Innanzitutto, sembrerebbe poco efficiente concedere un termine di soli venti giorni all’interessato per presentare una richiesta articolata dalla quale si possa assumere la prova della tardività dell’iscrizione, viste le diverse difficoltà connesse alla valutazione di ogni atto ai fini della individuazione del dies a quo di decorrenza del termine.
Inoltre, altra questione che potrebbe aggravare la tempestività del procedimento è relativa al fatto che entrambe le parti, nel caso di procedimenti per reati a citazione diretta, possono chiedere un nuovo esame della stessa questione già decisa dal GIP, al giudice per il dibattimento. In questo caso, però, l’ordinanza emessa potrà essere impugnata ai sensi dell’art. 586 c.p.p[34].
5. Diritti e facoltà dell’indagato e della persona offesa in caso di inosservanza dei termini per la conclusione delle indagini preliminari
Anche durante la fase conclusiva delle indagini preliminari, spesso, si registrano stati e tempi “morti” ed ingiustificati che lasciano per lungo tempo all’oscuro l’indagato in merito all’iscrizione del suo nominativo nel registro delle notizie di reato, nonché dei reati a lui ascritti.
Secondo il parere di chi scrive, nel nostro codice di rito sono presenti alcune disposizioni da cui emerge la netta superiorità del pubblico ministero rispetto alla difesa riguardo proprio ai tempi dell’indagine nella fase conclusiva del procedimento.
Da un lato, infatti, il pubblico ministero ha la possibilità di gestire in segreto la maggior parte delle acquisizioni durante la fase delle indagini anche in tempi lunghissimi che potrebbero riguardare non solo i termini previsti dall’art. 407 c.p.p. ma anche ulteriori periodi, scaturenti dall’apertura di nuove strade investigative all’interno dello stesso procedimento a seguito di iscrizioni nel registro delle notizie di reati di nuovi possibili autori[35]. In tal caso inizia così a decorrere un nuovo termine autonomo delle indagini, con i possibili periodi di proroga che possono essere chiesti successivamente.
Dall’altro, il difensore ha a disposizione soltanto un termine di venti giorni indicato dall’art. 415-bis c.p.p. o ulteriori trenta giorni successivi alla richiesta formulata per il rinvio a giudizio e prima dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 418 c.p.p. Infatti può accadere che la documentazione delle indagini del pubblico ministero sia abbastanza copiosa e quindi i termini a disposizione della difesa non sono neanche sufficienti anche solo a ottenere la semplice copia degli atti. Questo squilibrio cronologico comporta che l’insufficiente tempo a disposizione non permette alla difesa di predisporre le eventuali investigazioni dirette all’acquisizione di elementi a discarico con un livello di approfondimento necessario alla realizzazione delle attività difensive.
Sotto questo aspetto non esistono ad oggi, tuttavia, precedenti giurisprudenziali che abbiano affrontato il problema dell’esiguità dei termini previsti dalle disposizioni di riferimento, disconoscendo addirittura la possibilità della restituzione nei termini anche quando per cause di forza maggiore non sia possibile dare attuazione alla discovery accusatoria nella fase delle indagini preliminari.
A sostegno delle critiche appena poste, viene confermata quindi la sussistenza di una violazione al principio dalla ragionevole durata durante la fase delle indagini preliminari, in considerazione della disparità dei poteri affidati all’organo d’accusa e alla difesa nell’esercizio delle loro competenze. Sembrerebbe che il legislatore non sia riuscito a colmare questa differenza neanche con l’introduzione nel codice di procedura penale l’elenco di norme riguardanti le investigazioni difensive posto che i difensori poi non riescano ad esercitare, in condizione di effettiva parità, il diritto costituzionale a difendersi.
Tuttavia, la riforma Cartabia sembrerebbe aver fatto tesoro degli errori passati introducendo una serie di rimedi. Infatti, al fine di evitare una stasi del procedimento, il d.lgs. 150/2022 ha introdotto con il nuovo art. 415 ter c.p.p. la c.d. discovery patologica obbligatoria.
In premessa, è da segnalare che la riforma Orlando aveva già sentito l’esigenza di introdurre un meccanismo attraverso cui, decorsi i termini di durata massima delle indagini, il PM fosse tenuto ad esercitare l’azione penale ovvero a richiedere l’archiviazione, entro un termine fissato in base alla gravità del reato e alla complessità delle investigazioni.
Tuttavia, all’inosservanza del suddetto obbligo erano previste unicamente sanzioni disciplinari che, come mostrato dalle Statistiche relative all’attività della Procura generale in materia disciplinare, sono state considerate deterrenti inefficaci[36].
Vista l’inefficacia strumentale dei mezzi proposti dalla riforma Orlando, è stato introdotto il nuovo istituto giuridico che trova per l’appunto applicazione a fronte della conseguente inerzia dell’organo dell’accusa e finalizzata ad attivare lo sblocco della stasi del procedimento su iniziative delle parti.
In particolare, l’art. 415-ter c.p.p. prevede che se alla scadenza del periodo di riflessione ex art. 407-bis comma 2 c.p.p. il pubblico ministero non ha disposto la notifica per l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell’art. 415-bis c.p.p., non ha esercitato l’azione penale o presentato al GIP richiesta di archiviazione, deve notificare, immediatamente, all’indagato e alla persona offesa del reato un avviso che contiene l’avvertimento che il fascicolo del pubblico ministero è depositato presso la sua segreteria e che l’indagato o il suo difensore e la persona offesa hanno diritto di prenderne visione ed estrarne copia[37].
Si darebbe quini avvio ad un meccanismo di discovery degli atti di investigativi che, fino a quel momento, l’indagato non poteva conoscere. Ciò anche ai fini dell’eventuale attivazione di un controllo giurisdizionale[38].
Infatti, laddove l’inerzia del pubblico ministero provochi una stasi del procedimento, e lo stesso non adempia neppure a quanto disposto dal comma 1 dello stesso articolo, il procuratore generale ordina con decreto motivato al procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica del deposito entro un termine non superiore a venti giorni e copia del decreto deve essere notificato alla persona offesa e all’indagato.
Se anche in quest’ultima caso, il pubblico ministero non abbia assunto le determinazioni sull’azione penale, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa avranno la possibilità di chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di provvedere.
Dal punto di vista generale, le novità proposte dalla normativa mirano sicuramente ad evitare “situazioni di stallo” che si possono verificare dopo la scadenza del termini di durata massima delle indagini ma deve anche scontrarsi, nella pratica, con i ritardi che possono accumularsi nelle segreterie dei PM in fase di notifiche degli atti processuali[39].
In realtà, occorre segnalare che prima della scadenza del cd. termine di riflessione ex art. 407-bis c.p.p., al ricorrere delle circostanze di cui al comma 5 bis dell’art. 415-bis, il pubblico ministero ha la possibilità di presentare una richiesta motivata di differimento del deposito e della notifica dell’avviso di deposito al procuratore generale, il quale provvede a norma del comma 5 ter.
Secondo gli autori, oltre a considerare la nuova disciplina come complessa e contraddittoria per certi versi, risulta poco convincente aver puntato nuovamente sulla figura del procuratore generale nonostante la scelta fatta dalle leggi delega sull’attribuzione del giudice per le indagini preliminari. Infatti, quest’ultimo interviene solo su istanza dell’indagato e della persona offesa mentre la direttiva prescriveva di prevedere rimedi alla stasi del procedimento “in ogni caso” mediante il GIP.
6. Possibili valutazioni e prospettive future
Sebbene la riforma Cartabia non possa dirsi realmente sistematica, quest’ultima interviene sul tema delle indagini in modo più deciso rispetto al passato e, almeno astrattamente, sono condivisibili alcuni dei rimedi elaborati.
Sembra, infatti, esistente l’intento di soddisfare l’obbiettivo di razionalizzazione del procedimento della fase delle indagini e risultano delineati i meccanismi acceleratori per fronteggiare i rischi di ritardo o di stasi. Non può infatti non affermarsi l’esistenza di una piattaforma di garanzie difensive dell’indagato e delle parti private finalizzate alla discovery degli atti.
Tuttavia, risulta ancora difficile fare bilanci se non sommari sulla efficacia della riforma.
Purtroppo, come la maggior parte degli interventi modificativi, è sull’effettività che ruota il tasto dolente della riforma Cartabia. Infatti, quest’ultima avrebbe potuto spingersi oltre.
Nello specifico, se da un lato gli strumenti che permettono di adottare dei controlli giurisdizionali sulla tempestività dell’iscrizione consentono di abbattere l’istruttoria occulta, dall’altro la novella manca di un riferimento ai mezzi per contrastare le numerose prassi distorte di cui gli organi inquirenti si servono attualmente.
Tra gli atteggiamenti elusivi della perentorietà dei termini fissati dall'art. 407 c.p.p., a cui segue la dichiarazione di inutilizzabilità degli atti tardivi, si segnalano: lo svolgimento delle indagini senza aver operato alcuna iscrizione, garantendo una maggiore libertà per guadagnare irrituali e incontrollabili allungamenti dei tempi; l'iscrizione di notizie di reato, senza provvedere alla tempestiva identificazione del soggetto, oppure con indicazione di “persona da identificare” pur quando gli elementi di identificazione siano disponibili o di pronto reperimento.
Può capitare, poi, che nell'aggiornamento dell'originaria notizia di reato vengano indicati ulteriori reati in continuazione o in concorso materiale; ciò sarebbe corretto se l'effetto non fosse quello di unificare per tutti i termini già in corso.
Secondo gli autori, queste due ultime ipotesi – «per le quali si usa l'espressione “iscrizioni omnibus” – meritano alcuni chiarimenti: simili comportamenti sono funzionali alla menzionata unificazione, la quale permette di svolgere entro il medesimo tempo indagini per tutte le imputazioni oggetto di iscrizione, di solito di differente gravità»[40]. Se taluna delle iscrizioni tratta reati di cui all'articolo 407, comma 2, lett. a) c.p.p., vengono elasticizzati gli effetti favorevoli sulla durata; e così si concretizza, da un lato, la possibilità di adottare di strumenti investigativi vietati per quei reati di minore gravità, dall'altro, un prolungamento ingiustificato dei termini. «Il pubblico ministero precostituisce così, in maniera incontrollata e artificiosa, una situazione di oggettiva complessità, utile, poi, alla proroga»[41].
[1] D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari” pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 17 ottobre 2022. Per l’entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato decreto, vedi art. 99 bis, come aggiunto dall’art. 6, comma 1 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162.
[2] Si pensi Corte EDU, Grande Camera, 28 luglio 1999, ric. N. 34884/97, Bottazzi c. Italia dove la Corte ha avuto modo di esprimere delle considerazioni prettamente politiche nei confronti dello Stato Italiano affermando l’importanza del principio che la giustizia non sia amministrata con dei ritardi che ne possano compromettere l’efficacia e la credibilità. Inoltre, a considerato che “la lentezza eccessiva della giustizia rappresenta un pericolo importante, segnatamente per lo Stato di diritto”.
[3] B. LAVARINI, La ragionevole durata del processo come garanzia soggettiva, in La Legislazione penale, dicembre 2019, 2.
[4] G. GARUTI, L’efficacia del processo tra riduzione dei tempi di indagine, rimedi giurisdizionali “ènuova” regola di giudizio, in Archivio penale, 2022, 3, 2.
[5] G. CORETTI, La ragionevole durata delle indagini alla luce della riforma Cartabia: nihil sub (italico) sole novum, in Archivio Penale, 2022, 2, 2.
[6] G. NICOLICCHIA, Il “tempo” delle indagini e dell’azione penale, in Percorsi penali, 1, 2022, 42.
[7] Circolare 12 novembre 2021 – Piano nazionale di ripresa e resilienza – Indicatori di raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNFF) – Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi – Direzione generale di statistica e analisi organizzativa.
[8] La Circolare specifica che per deposition time si intende “la misura di durata utilizzata a livello europeo” che fornisce una stima del tempio medio atteso di definizione dei procedimenti mettendo a confronto il numero dei pendenti alla fine del periodo di riferimento.
[9] L. D’ANCONA, Riforma del processo penale e giudice per le indagini preliminari in Questione Giustizia, 4, 2021, 127.
[10] L. TAVASSI, Tempo dell’azione e tempo del processo. Una proposta per garantire la ragionevole durata delle indagini preliminari, in Diritto penale e processo, 9, 2021, 1257.
[11] G. NICOLICCHIA, op. cit., 48.
[12] Commissione Lattanzi, relazione finale, 24 maggio 2021, 18-19.
[13] G. GARUTI, op. cit., 4.
[14] L. LA SPINA, La (ir)ragionevole durata delle indagini preliminari, in www.dspace.unict.it , Catania, 2014, 116.
[15] G. PERROTTA, L’iscrizione della notizia di reato e le sue patologie, in www.diritto.it, 2012, 3.
[16] M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto, Guida alla lettera della riforma Cartabia in www.sistemapenale.it, 2022, 39.
[17] F. DI VIZIO, Il nuovo regime delle iscrizioni delle notizie di reato al tempo dell’inutilità dei processi senza condanna, in DiesCrimen articoli, 2022, 12.
[18] Cass. 12 luglio 2019 – 29 luglio 2019, n. 34510.
[19] F. DI VIZIO, op. cit.,13.
[20] F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2003, 196.
[21] F. DI VIZIO, op. cit.,15.
[22] F. DI VIZIO, op. cit., 17.
[23] G. AMATO, Circolare 9116/2022, in Riforma Cartabia: Tre circolari della Procura di Bologna, in www.sistemapenale.it, 27 ottobre 2022.
[24] G. CIVELLO, Il controllo sull’operato del pubblico ministero nella riforma Cartabia, in www.centrostudilivatino.it, 2022.
[25] Relazione illustrativa e schema di decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 recante delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.
[26] F. DI VIZIO, op. cit., 19.
[27] CSM, parere del 22/09/2022; F. DI VIZIO, op. cit., 20. L’autore pone in evidenza altresì il problema nelle ipotesi in cui l’omessa iscrizione sia avvenuta in un periodo antecedente al 30/12/2022 (termine di entrata in vigore della riforma). Infatti, ferma la perdurante validità degli effetti già prodotti dagli atti ormai compiuti, gli atti del procedimento che siano posti in essere sotto l’operatività della nuova legge non possono che essere regolati dalla disciplina novellata. Nello stesso senso si veda Cass., 14 febbraio 2019, n. 10260.
[28] M. GIALUZ, op. cit., 41.
[29] G. NICOLICCHIA, op. cit., 46.
[30] Cass., n. 10260/2019 cit.
[31] F. DI VIZIO, op. cit., 22.
[32] Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo – Servizio Penale, Disciplina transitoria e prime questioni di diritto intertemporale del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari – c.d. Riforma Carabia), come modificato dall’art. 6 del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, Relazione n. 98/2022.
[33] La Relazione illustrativa pone l’attenzione al caso in cui sorgano esigenze di raccordo tra il procedimento incidentale ed altri procedimenti incidentali. In particolare, propone l’esempio dell’indagato che venga a conoscenza dell’atto che giustifica la retrodatazione in seguito all’emissione di una ordinanza di custodia cautelare nei cui confronti abbia presentato domanda di riesame. In questo caso, è apparso poco pertinente avanzare la domanda di retrodatazione dinnanzi al tribunale della libertà perché da un lato si restringono i termini per presentare la richiesta; dall’altro si potrebbe ritardare una decisione capace di produrre effetti pregiudizievoli sul piano della libertà personale.
[34] F. DI VIZIO, op. cit., 24.
[35] A. SAMMARCO, Tempo e condizioni delle investigazioni difensive. Un caso di inesistenza del giusto processo, in Dir. Pen. e proc., 2008, 528.
[36] procuracassazione.it
[37] G. CARUTI, op. cit., 6.
[38] G. CORETTI, op.cit., 15.
[39] G. CARUTI, op. cit., 7.
[40] G. CORETTI, op. cit., 20.
[41] G. CORETTI, op. cit., 21.
Bibliografia
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