Estratto di ruolo impugnabile, le Sezioni Unite ridimensionano il potere dalla PA.
Modifica paginaLa Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 19704 del 2015 definisce finalmente il contrasto molto acceso in merito all´impugnabilità dell’estratto del ruolo, sancendone la definitiva possibilità qualora il contribuente dimostri l’invalidità della notifica della cartella esattoriale.
Sommario: 1. Premessa - 2. Chiarimenti terminologici - 3. La sentenza - 3.1. Il fatto - 3.2. Analisi del caso in punto di diritto - 3.3. La riqualificazione terminologica - 3.4. La riapertura dei termini per l'impugnazione e la natura reccettizia dell'atto tributario - 3.5. La lettura "costituzionalmente orientata" dell'art. 19 e la ridefinizione del rapporto amministrazione-contrinuente - 4. Conclusioni
1. Premessa
Per comprendere i motivi dei continui contrasti interpretativi e giurisprudenziali sul tema oggetto dell'articolo, occorre ripercorre, in estrema sintesi, il procedimento tributario "ab origine", oltre ad offrire al lettore un ripasso dei termini scelti dal legislatore in materia tributaria.
Preliminarmente giova sottolineare l'assunto secondo cui il diritto tributario è un "settore" dell’ordinamento molto complesso ed estremamente tecnico, per cui non poche sono state le difficoltà in ordine ad una elaborazione unitaria di questa branca del diritto. Lo stesso codice tributario in realtà è forzatamente denominato tale, essendo un mera raccolta di quella che costituisce la normativa principale del settore.
È la fonte principale del nostro ordinamento a stabilire all’art. 53 che in capo al cittadino sorge il dovere di contribuire ed il diritto ad una contribuzione giusta. La concretizzazione di quanto appena affermato si realizza mediante un sistema che, per ragioni di praticità, vede come attore principale il cittadino stesso, il quale in veste di contribuente periodicamente è tenuto alla dichiarazione dei redditi, seguita, nella stessa fase, dal versamento di quanto dovuto. In un momento successivo, la Pubblica Amministrazione (nello specifico uno degli enti cui è dovuto il credito), si preoccuperà di verificare la veridicità di quanto dichiarato e altresì, di quanto versato, ed in caso di omissioni, difformità, se non espletati mezzi alternativi messi a disposizione del contribuente, ed ovviamente in relazione al comportamento illecito attribuito, si provvederà alla formazione del titolo esecutivo, producendo l’avviso di accertamento o l’iscrizione a ruolo.
In seguito, il ruolo verrà consegnato all’agente di riscossione competente (attualmente per la riscossione dei crediti dello Stato la competenza è attribuita al gruppo Equitalia), il quale provvederà alla formazione della cartella di pagamento.
Non occorre addentrarsi ulteriormente nell’analisi delle modalità di svolgimento del procedimento, molto più articolato e per certi versi complesso, ma non possiamo esimerci dalla già preannunciata delucidazione terminologica delle espressioni scelte da legislatore.
2. Chiarimenti terminologici
Innanzitutto il ruolo: secondo un’autorevole dottrina (Tesauro) è definibile come “mezzo di riscossione di tutti i tributi, per i quali la riscossione non avviene mediante ritenuta alla fonte, o versamento diretto”.
La cartella di pagamento rappresenta l’atto identificante le somme che il contribuente è tenuto a versare, essa è formata, sulla base del ruolo, dall’agente della riscossione e deve contenere "l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata". (Tesauro)
L’estratto del ruolo è ben più difficile da definire, proprio perché il legislatore non si è preoccupato di chiarirne il significato consacrandolo in una definizione normativa, ed è proprio da questa grave mancanza che è sorto il contrasto, che questa sentenza del giudice di legittimità, ha finalmente risolto. Preliminarmente, possiamo definirlo come quel documento attraverso il quale è data la possibilità al contribuente di poter constatare tutti i debiti che ha nei confronti dell’ente di riscossione.
3. La sentenza - 3.1 Il fatto
Ma veniamo all’analisi della sentenza in questione.
Il contribuente impugnò una cartella di pagamento emessa da Equitalia dinanzi alla CTP di Bari. La problematica in questione sorge sulle modalità. Difatti, l’impugnazione formalmente era riferita all’estratto del ruolo rilasciato da Equitalia su richiesta del contribuente stesso, ma concretamente era riferita alla cartella di pagamento vera e propria, anche se, nel caso di specie, l’estratto rappresentava l’unico atto attraverso il quale il contribuente era venuto a conoscenza dell’obbligazione.
I giudici della Commissione Tributaria Provinciale, in riferimento al fatto che l’impugnazione riguardava nello specifico l’estratto del ruolo, dichiaravano inammissibile il ricorso, sottolineando che l'art. 19 del D.Lgs. 546/1992 non indica tra gli atti cd autonomamente impugnabili l’estratto del ruolo, ma solamente, tra gli altri, il ruolo e la cartella di pagamento.
Inoltre, ribadiscono, essendo il contenuto dell’estratto del ruolo meramente informativo, difettando del requisito della “coattività”, lo stesso non potrà essere impugnato, ma il contribuente non resterà privo di strumenti in difesa delle proprie ragioni potendo comunque esperire la denuncia dell’inesistenza della notifica della cartella in sede di appello.
3.2. L'analisi del caso in punto di diritto
La Cassazione, resasi conto del contrasto tra numerose pronunce stesso in sede di legittimità in riferimento all’impugnazione o meno del documento in questione, insieme ad altri atti tributari, ha deciso di optare per la composizione a Sezioni Unite per tentare di risolvere definitivamente la problematica in argomentazione.
In primis, la Corte annulla la sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. affermando che “l’estratto del ruolo può essere oggetto di ricorso dinanzi alle Commissioni Tributarie perché costituisce parziale riproduzione del ruolo”, il quale come già specificato, rientra tra gli atti autonomamente impugnabili. La Corte altresì ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha già affermato la “possibilità di ricorrere attraverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria”, non necessitando che la stessa si tramuti formalmente in uno degli atti contemplati all’art. 19 D.Lgs. 546/1992, essendo scontato che la pretesa del contribuente si sostanzia in un chiarimento della sua posizione in relazione all’atto impositivo.
La Corte fa notare come l’impugnazione dell'estratto di ruolo è avvenuta solo dopo un infruttuoso tentativo da parte del contribuente di reperire la cartella di pagamento oggetto dell’estratto, rimarcando quindi che la cartella non era stata validamente notificata e che il ricorso si fonda sulla “conseguenza di elementi circa l’invalidità della notifica della cartella addotti dalla medesima ricorrente e non contestati dalla controparte”.
3.3. La riqualificazione terminologica
Di seguito, la Corte si appresta (finalmente) a chiarire definitivamente, data la facilità del fraintendimento, il significato dei termini “ruolo” ed “estratto di ruolo” .
In riferimento al primo, la corte sottolinea che la definizione è già stata fornita dal legislatore, deducendo dal d.p.r. 602/1973 che il ruolo è un “atto amministrativo impositivo […] proprio ed esclusivo dell’ufficio competente (cioè l’ente creditore impositore) e quindi atto che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale”. Il legislatore disciplina quindi i termini della sua impugnabilità e, altresì, la sua natura di atto potestativo con il contenuto di una pretesa economica.
L’estratto di ruolo, invece, è e resta solo un documento contenente solamente gli elementi della pretesa impositiva, formato dal concessionario della riscossione, che non contiene e “né, per sua natura, può contenere” nessuna pretesa impositiva.
La Corte quindi non va a snaturare la qualità meramente informativa dell’atto in questione, anzi, ne ribadisce addirittura l'inoppugnabilità dello “stesso in quanto tale” proprio perché carente di potere impositivo. Difatti citando l’art. 100 c.p.c., i Giudici sottolineano la mancanza di interesse di chicchessia alla rimozione pretesa giudizialmente di un atto di questo tipo, e si limitano a constatare che, allorquando il contribuente si mobilita impugnando l’estratto, non potendo entrare in possesso dell’atto cui l’estratto è oggetto (per invalida notificazione della cartella, quindi del ruolo), risulterà ovvio che l’impugnativa sarà rivolta non all'estratto in quanto documento, ma al suo contenuto (ovvero il ruolo stesso), ricordando nuovamente che il ruolo è un atto legittimamente impugnabile.
3.4. La riapertura dei termini per l'impugnazione e la natura recettizia dell'atto tributario
La Corte riprende in esame quanto ancora stabilito dai giudici dell’appello, ovvero la precisazione secondo cui l’impugnazione dell’estratto del ruolo non possa riaprire i termini per impugnare una cartella non validamente notifica. Gli ermellini non possono che è essere in disaccordo con tale affermazione, facendo notare, come i termini per l’impugnazione di un atto non possono che cominciare a decorrere dal momento in cui lo stesso sia stato validamente notificato, e se così non fosse il contribuente ha il diritto di “provocare la verifica della validità della notifica dell'atto del quale egli non sia venuto a conoscenza”.
È comunque errato parlare di “riapertura dei termini”, poiché la stessa presuppone che un atto sia stato validamente notificato, mentre nel caso opposto (ovviamente) i termini non sono iniziati neppure a decorrere.
Nonostante quanto affermato dal giudice in appello quindi, la Cassazione specifica che non appare concepibile che, qualora il contribuente non abbia mai ricevuto il titolo esecutivo (la cartella), non possa ricorrere al giudice prima di subire azioni esecutive.
La Corte, nel rinvenire un contrasto giurisprudenziale interno alla stessa, ha citato alcune delle molte pronunce (alcune anche a Sezioni Unite, nel dettaglio la s.u. n. 16293 del 2007 e s.u. n. 3773 del 2014) per ribadire il principio secondo cui qualsiasi atto contente una pretesa tributaria possa essere impugnato, anche se dette pretese non sono espresse in forma autoritativa.
È quindi ammessa “l'autonoma ed immediata impugnabilità di qualsivoglia atto [che] porti comunque legittimamente a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria” superando definitivamente “la questione della natura recettizia dell'atto amministrativo e della sua impugnabilità solo a seguito della notifica al contribuente”.
Non solo, alla luce dell’interpretazione letterale del 1334 c.c. (Efficacia degli atti unilaterali), e ravvisando una già folta giurisprudenza nel merito, chiarisce che la notificazione è una condizione di efficacia dell’atto impositivo, e non un elemento costitutivo dello stesso, per cui, anche se un atto non è stato notificato, può essere impugnato nel momento in cui lo stesso è entrato nella sfera di conoscibilità del contribuente. Inoltre, se si analizzassero ulteriormente altri filoni giurisprudenziali sempre della Cassazione, si rinverebbero numerose sentenze che sanciscono che un atto notificato illegittimamente non compromette la validità dell’atto stesso, poiché l’atto ha comunque raggiunto il suo scopo, operando in tali circostanze la sanatoria prevista dall’art.156 c.p.c., cui la normativa tributaria prevede espressamente l’applicabilità agli atti tributari.
Tuttavia la recettizietà dell'atto tributario deve essere intesa e posta a tutela del destinatario, altrimenti si rischierebbe che l'atto tributario recettizio che, per sua natura, incide (nella maggioranza dei casi negativamente) sulla sfera patrimomiale del cittadino, possa produrre i suoi effetti prima che sia scaduti i termini per impugnarlo.
Questi termini devono essere calcolati dal momento in cui si ha avuto conoscenza dell'atto, nelle modalità espressamente previste dalla legge per cui "non è sufficiente la prova della "piena conoscenza" dell'atto ai fini della decorrenza dei suddetti termini"
Vengono citateulteriormente sentenze della Corte stessa (s.u. n. 3773 del 2014 nonché cass. nn. 17010 del 2012 e 24916 del 2013) ribadendo che l’ammissibilità di una tutela “anticipata” non comporta l’onere dell’impugnazione, ma una “facoltà” della stessa, che, in caso di mancato esercizio, non presuppone alcuna conseguenza sfavorevole al contribuente, fatta salva la possibilità in seguito, di contestare l’atto, nel caso di valida ricezione dell’atto “tipico”.
Quindi non è condivisibile la considerazione secondo cui la recettizietà dell'atto conferisca il potere alla Pubblica Amministrazione la facoltà di stabilire il "dies a quo" in cui poterlo impugnare.
3.5. La lettura "costituzionalmente orientata" dell'art. 19 e la ridefinizione del rapporto amministrazione-contrinuente
Una "lettura costituzionalmente orientata" dell'art 19 co. 3 del D.Lgs. 546/1992 impone, quindi, che resti salva per il contribuente la facoltà di impugnare una cartella nel caso in cui la notifica sia invalida e, proprio a causa di detta invalidità, sia venuto a conoscenza dell’atto oltre i termini previsti per l’impugnazione. Ciò viene confermato alla luce di quanto viene testualmente stabilito dall'art. in esame: “La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo”.
Difatti chiarisce la Corte che "una diversa lettura della norma in esame (nel senso che l'impugnazione di un atto non notificato possa avvenire sempre e soltanto unitamente all'impugnazione di un atto successivo notificato) comporterebbe infatti una abnorme ed ingiustificata disparità tra i soggetti del rapporto tributario”, e solamente attraverso una legittima conoscenza delle iscrizioni a proprio carico, mediante l’estratto del ruolo, potrebbe correggere e bilanciare questo “rapporto sperequato tra amministrazione e contribuente”.
Questa chiave di lettura, sottolinea il Giudice, "è funzionale anche al buon andamento della Pubblica Amministrazione", perchè evita tutti quei costi che sarebbe tenuta a sostenere per una procedura malamente instaurata, lasciando che il contribuente immediatamente possa far valere le proprie ragioni in riferimento ad un atto che gli è stato illegittimamente notificato, senza aspettare la notifica di quello successivo "(che potrebbe essere a sua volta malamente notificato)"
4. Conclusioni
La Cassazione chiarisce e risolve un contrasto interpretativo e giurisprudenziale che ha sollevato, fino ad oggi, molti dubbi e incertezze. Esercitando anche la sua funzione nomofilattica definisce il ruolo ma soprattutto l'estratto del ruolo, delineando i confini della sua impugnabilità.
Non si possono non sottolineare (con estremo favore) anche le operazioni interpretative svolte in merito ai chiarimenti sulla recettizietà dell'atto tributario e dell'arginamento dello strapotere che ha sempre contraddistinto la Pubblica Amministrazione.
Ribadisce quindi che la contribuzione è un dovere, giusto e condiviso, ma al contempo una contribuzione giusta è un diritto, e delle due facce della stessa medaglia la seconda viene fin troppo spesso ignorata.
Note e riferimenti bibliografici