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Pubbl. Ven, 30 Dic 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

La resistenza dello Stato costituzionale. Verso la vittoria della democrazia

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Luana Leo
Dottorando di ricercaLUM Giuseppe Degennaro



Le emergenze pongono sotto stress il sistema costituzionale, con un impatto considerevole sui diritti fondamentali e sulla democrazia parlamentare; tali situazioni necessitano di essere affrontate senza la sospensione dei meccanismi di tutela previsti dal dettato costituzionale e sempre nell´ottica della protezione della persona umana. Nel quadro della crisi sanitaria da Covid-19, la Costituzione è stata spesso posta in discussione, evocando potenziali revisioni. Tale lavoro si propone di dimostrare la buona capacità di resistenza della Costituzione, marcando la necessità di ripartire dalla stessa per risolvere le questioni rimaste in sospeso.


ENG Emergencies put the constitutional system under stress, with a considerable impact on fundamental rights and parlamentary democrazy; such situations need to be addressed without the suspension on the protection mechanisms provided for by the Constitution and always with a view to the protection of the human person. In the context of the Covid-19 health crisis, the Constitution has often been questioned, evoking potential revisions. This work aims to demostrate the good resilience of the Constitution, highlighting the need to restart from it in order to resolve the outstanding issues.

Sommario: 1. Introduzione; 2. L’improprio confronto con gli Stati socialisti e totalitari nella drammatica lotta al contrasto della pandemia; 3. La “peculiarità” della Costituzione Repubblicana in materia di emergenza; 4. L’indiscutibile “tenuta” dello Stato costituzionale; 5. Il ruolo silente e marginale del Parlamento; 6. Conclusioni.

1. Introduzione

“Ubi maior minor cessat”. Il brocardo latino risulta tanto utile quanto attuale per esaltare il valore e l’importanza assunta dalla Costituzione negli ultimi due anni, segnati dalla crisi sanitaria.

Nel contesto dell’emergenza da Covid-19, essa è stata sottoposta a persistenti torsioni, con il concreto pericolo di comprometterne la funzionalità e l’effettiva vigenza futura.

Emblematica si è rivelata l’incessante ricerca di individuare quale diritto potesse prevalere sull’altro, evidente indice di una cultura che sembra ormai aver assorbito definitivamente “la degenerazione patologica della competizione”[1].

Occorre partire dal presupposto che la cornice giuridica relativa alla gestione della pandemia avrebbe potuto trovare nella sola Carta costituzionale il proprio fondamento ed i relativi limiti.

Quest’ultima, pur non racchiudendo uno statuto ad hoc per le situazioni di emergenza, ha dimostrato ottima capacità di resistenza, prevedendo comunque efficaci strumenti per contrastare tali fenomeni.

Come sostenuto dall’allora Presidente della Consulta Marta Cartabia, in occasione della presentazione della Relazione annuale sull’operato della Corte costituzionale, “è la Carta costituzionale così com’è – con il suo equilibrato complesso di principi, poteri, limiti e garanzie, diritti, doveri e responsabilità – a offrire alle Istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare “per l’alto mare aperto” dell’emergenza e del dopo-emergenza che ci attende”[2].

In tale sede, si intende porre in luce come la democrazia costituzionale, quale forma di organizzazione politica nella quale sono garantiti i diritti dell’individuo e dove il potere è limitato dal diritto, sia riuscita a non farsi sopraffare dalle varie problematiche sollevate dall’emergenza sanitaria.

2. L’improprio confronto con gli Stati socialisti e totalitari nella drammatica lotta al contrasto della pandemia  

Prima di entrare nel merito dell’oggetto del predetto lavoro, si ritiene doveroso soffermarsi sul particolare apprezzamento riservato in Italia da studiosi, politici e opinione pubblica a riguardo delle decisioni adottate in Paesi autoritari, come la Cina e l’Iran.

Appare necessario ricordare come la pandemia tragga origine da deficit organizzativi, cesure e occultamenti dei primi segnali del Covid-19, gestiti segretamente dalle competenti autorità sanitarie e politiche, verificatesi proprio nella Repubblica federale cinese.

Celebre è il caso del dott. Li Wenliang, il quale sul finire del mese di dicembre 2019 aveva tentato di segnalare ai colleghi medici del Central Hospital di Wuhan la comparsa della malattia.

Egli, quattro giorni dopo aver riportato la notizia sui social network, era stato convocato dall’autorità locale di polizia che lo intimava, a mezzo di ammonimento, di non diffondere notizie infondate. Lo stesso medico contraeva la malattia, che ne ha provocato la morte, avvenuta in giovane età a seguito di tre settimane di ricovero presso la struttura ospedaliera dove operava come oculista[3].

A prescindere da tali criticità, il raffronto con Cina e Iran in termini di gestione della pandemia non trova riscontro a livello costituzionale, principalmente sotto il profilo della limitazione delle libertà e dei diritti fondamentali.

In Cina, le libertà ed i diritti dei cittadini sono stati drasticamente “compressi”, specialmente nella prima fase di contrasto del virus: l’art. 51 della Costituzione cinese statuisce che i diritti e le libertà possono essere esercitati soltanto nella misura in cui non si pongano in contrasto con gli interessi dello Stato e della società.

A tale previsione costituzionale si accostano gli artt. 53 e 54, in virtù dei quali i cittadini devono “garantire i segreti di Stato […], rispettare la disciplina del lavoro, l’ordine pubblico e l’etica sociale”, “salvaguardare la sicurezza, l’onore e gli interessi della madrepatria e non commettere azioni dannose per la sicurezza, l’onore e gli interessi della madrepatria”. Si tiene a evidenziare come le decisioni assunte in Cina siano “soltanto apparentemente frutto di scelte operate dagli organi dello Stato”[4].

Le stesse, infatti, si conformano alle deliberazioni adottate dal Partito Comunista Cinese, per effetto del meccanismo delle c.d. unioni personali: chi ricopre cariche nello Stato cinese si trova ad esercitare funzioni di livello corrispondente anche all’interno del Partito, non in base a vincoli istituzionali, ma in via di mero fatto. Come osservato in dottrina, tali disposizioni delineano un sistema di “diritti affievoliti”[5] che si pongono nel solco della tradizione confuciana di supremazia delle esigenze collettive su quelle individuali.

A fronte di ciò – e dell’oggettivo carattere di minaccia alla sicurezza ed agli interessi dello Stato – sembrerebbe opportuno parlare, in relazione alle misure emergenziali adottate, non tanto di restrizioni o violazioni dei diritti costituzionali, quanto di loro adeguamento alle esigenze della delicata situazione attraversata.

La mancanza di democrazia ed i pochi strumenti di tutela dei diritti hanno consentito una risposta non sempre positiva alla crisi sanitaria, con misure adottate senza procedure di confronto e fortemente limitative dei diritti individuali[6]. A parte le libertà strettamente legate alla propagazione del virus (circolazione, riunione, etc.), nella realtà cinese è stata limitata anche la libertà di parola, ammettendo la pena di morte per coloro che non si fossero allineati alle misure adottate   

Passando all’ordinamento iraniano, l’art. 79 della Costituzione sancisce che “il Governo ha il diritto di imporre temporaneamente alcune restrizioni con l’approvazione del Parlamento Islamico dell’Iran”. Tuttavia, l’omessa attivazione della disposizione sopraindicata ha comportato l’intervento del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale, con istituzione di un apposito Comitato nazionale per la lotta al virus.

In tale sede, però, preme sottolineare come il catalogo costituzionale delle libertà e dei diritti sia predisposto in modo tale da limitare il riconoscimento degli stessi per mezzo della previsione di chiari condizionamenti “a tutela tanto dei “principi dell’Islam” […], quanto di altri principi e interessi, attraverso il rinvio a testi legislativi che di fatto finiscono per “svuotare” i diritti e le libertà costituzionali”[7].

Discutibile è la scelta di attuare una strategia di “gestione del disordine”[8] nella lotta al contrasto del Covid-19: le misure di contenimento adottate dalle istituzioni iraniane non si sono tradotte in un lockdown totale, quanto invece nell’incisiva limitazione delle libertà costituzionali.

Difatti, è stato esercitato un controllo rigoroso e scrupoloso delle informazioni e della possibilità di esprimere critiche in merito alla gestione dell’emergenza sanitaria, tant’è che diversi esponenti di rilievo della società civile sono stati arrestati con l’accusa di “confondere l’opinione pubblica” e “diffondere voci non veritiere”[9].

Da tempo, la dottrina costituzionalista italiana è unanime nel ritenere che non sussista una classifica dei diritti fondamentali; sebbene taluni appaiano più di altri essenziali per costruire la struttura costituzionale, la regola comune ai fini della coesistenza dei diritti è quella del bilanciamento[10].

L’opera di bilanciamento presuppone che principi o diritti siano posti tutti sullo stesso piano e che in talune circostanze possano anche scontrarsi tra loro[11]: si verifica uno scenario in cui due o più diritti non possano essere sodisfatti contemporaneamente e dunque occorre decidere, per il caso concreto, quale di essi debba prevalere e in che modo debba essere esercitato.

In tale senso, un contributo prezioso è stato offerto in passato dalla giurisprudenza costituzionale: nel delicato caso Ilva[12], il Giudice delle Leggi ha sostenuto che “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri”.

In tale prospettiva, la Costituzione “richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di dissolutezza per nessuno di essi”, il cui punto di equilibrio, “proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale”.

Appare fondamentale evocare la successiva pronuncia[13] riguardante sempre il caso Ilva: il legislatore non aveva rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionalmente rilevanti.

In particolare, la Corte costituzionale è giunta ad attestare che “a differenza di quanto avvenuto nel 2012, il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (artt. 4 e 35 Cost.)”; il Giudice delle Leggi, altresì, ha osservato che la tempestiva soppressione dei fattori di pericolo per la salute e l’incolumità dei lavoratori “costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona”.

Dalla lettura delle decisioni richiamate è possibile cogliere i seguenti elementi: la prima pronuncia rammenta che la necessaria opera di bilanciamento tra diritti fondamentali incombente sul legislatore incontra il limite della proporzionalità e della ragionevolezza; la seconda pronuncia sottolinea come il diritto riconosciuto all’art. 32 Cost. finisca per essere attratto nel giudizio di bilanciamento con altri interessi e diritti costituzionalmente rilevanti[14].

Un altro rilevante dato offerto sempre dalla giurisprudenza costituzionale è quello della temporaneità. Nella risalente decisione n. 15/1982, attinenti ai limiti sulla carcerazione preventiva in tempi di terrorismo eversivo delle brigate rosse, la Corte costituzionale ha statuito che, dinanzi ad un’emergenza deleteria per la salus rei publicae, le limitazioni straordinarie ai diritti fondamentali costituiscono un sacrificio accettabile, ma solo se limitate nel tempo[15].

Infine, affinchè le misure eccezionali si mantengano entro la cornice della Costituzione e di una forma di Stato democratica, si richiede l’osservanza di un ulteriore requisito, ossia il rispetto di forme ed equilibri in relazione al potere dell’esecutivo.

In tale senso, l’adozione di misure emergenziali comporta forme di concentrazione di ingenti poteri in capo ai vertici degli esecutivi; tuttavia, una democrazia impone che tali poteri non siano pieni, nel senso che siano garantiti il controllo e l’intervento da parte di altri organi[16].

Sebbene a livello costituzionale non siano le misure restrittive in sé considerate a destare particolare interesse, occorre chiedersi se possa realmente parlarsi di un bilanciamento tra diritti.

Come ben osservato in dottrina, in talune circostanze, la risposta all’emergenza Covid-19 tende ad essere nel segno dell’economia sociale di mercato, piuttosto che nell’ottica del progetto di emancipazione sociale della Costituzione[17].

Permane comunque – a giudizio di chi scrive – il profondo divario tra Italia e Stati non democratici in tema di limitazione delle libertà e dei diritti fondamentali: nel corso della crisi sanitaria, si carpisce la volontà delle istituzioni italiane di porre al centro delle proprie decisioni l’uomo, quale “pietra d’angolo” dell’intero edificio costituzionale”[18].

3. La “peculiarità” della Costituzione Repubblicana in materia di emergenza

A differenza delle altre Costituzioni democratiche, la Costituzione Repubblicana non prevede una disciplina generale tesa a far fronte alle situazioni di emergenza. Come specificato in dottrina, tale vuoto non deve tradursi in una dimenticanza[19], alla luce dei lodevoli studi di Carl Smith[20] e del pericoloso precedente storico (art. 48 della Costituzione di Weimar). In tale sede, appare essenziale ripercorrere l’iter argomentativo che condusse i Costituenti a non codificare lo stato di emergenza.

L’On. La Rocca, in Seconda Sottocommissione, aveva presentato una proposta volta a dichiarare lo stato di assedio su decisione esclusiva del Capo dello Stato “accertata la necessità e l’urgenza di una misura straordinaria a garanzia della vita del paese”[21].

Nell’ottica della Sottocommissione, però, l’inserimento di tale clausola nel progetto avrebbe posto in risalto “la preoccupazione di prevedere certe eventualità e di organizzare certe situazioni di poteri più o meno dittatoriali, che sarebbero state in contraddizione con la logica stessa della costituzione”[22]. A distanza di poco tempo, su proposta dell’On. Fabbri, prese avvio il dibattito sul divieto di prevedere lo stato di assedio nel testo costituzionale e la sospensione delle sue norme.

L’inflessibile posizione dell’On. Mortati spense ogni speranza anche sulla formulazione in negativo della clausola (“o nella Costituzione non se ne debba dir nulla, affidandosi allo svolgimento futuro della prassi, o che si debba autorizzarlo in quei limiti e con quelle garanzie che, pur avendo un valore relativo, costituiranno sempre una remora ad un eventuale abuso”)[23].

Tale questione fu ripresa in Aula con l’emendamento Crispi, che contemplava lo stato di assedio, identificando nel Governo l’autorità competente a dichiararlo, con possibilità di limitare o sospendere i diritti costituzionalmente garantiti, e nel Parlamento l’organo di ultima istanza chiamato eventualmente a respingerne la proclamazione ed i relativi provvedimenti.

In definitiva, prevalsero le diffidenze rispetto a qualsiasi soluzione di concentrare i poteri, anche se in via temporanea, in capo ad un solo individuo, data la recente chiusura del periodo di dittatura fascista e la minaccia rappresentata dall’art. 48 della Costituzione di Weimar, che aveva agevolato l’avvio della dittatura nazionalsocialista[24].

Tali elementi avevano indotto i Padri Costituenti ad assumere un atteggiamento di assoluta prudenza, tradottosi nel silenzio sul punto del testo approvato.

In Assemblea Costituente si ritenne opportuno regolare non l’emergenza in sé, bensì i poteri esercitabili dal Governo nei casi straordinari di necessità ed urgenza (art. 77 Cost.) ed in seguito alla deliberazione dello stato di guerra da parte delle Camere (art. 78 Cost.)[25].

Con specifico riferimento allo stato di guerra, vi è chi ha posto in risalto il seguente cambio di passo: la Costituzione del 1948, a dispetto di quanto sancito nello Statuto Albertino[26], ha optato per un modello integrativo dell’organo direttamente rappresentativo della sovranità popolare, anche in presenza di una situazione eccezionale di emergenza, come il conflitto bellico.[27] In età statuaria, la dichiarazione del Sovrano era autonoma e svincolata da ogni preventivo atto di un ulteriore organo. Alla luce di ciò, il Capo dello Stato oggi potrebbe assumere un atteggiamento passivo soltanto in caso di contrarietà con i principi ispiratori dell’art. 11 Cost.

Nel dibattito giuridico italiano, la pandemia è stata equiparata proprio ad un evento bellico[28]. L’incerto confronto induce a riflettere sull’effettiva possibilità di “costituzionalizzare” l’emergenza: tale necessità prende le mosse dalla recente proposta di revisione costituzionale (A.C. 2450), che racchiude la c.d. emergency clause circoscritta alla funzione legislativa[29].

Con la presente proposta di legge, si prevede “una procedura straordinaria estremamente garantista, da azionare con una dichiarazione di emergenza deliberata con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in modo da coinvolgere necessariamente anche gruppi di opposizione”, aprendo la strada persino al voto da remoto (art. 55-bis). La medesima concentra l’intera funzione legislativa in capo ad una Commissione parlamentare speciale, la quale si sostituisce alle Assemblee e alle Commissioni.

Tale proposta riserva a tale Commissione una latitudine di poteri analoga a quella delle Assemblee che operano in periodo ordinario, salvo l’area ristretta delle deliberazioni legislative che incidono sulle regole fondamentali. Infine, si legittima a talune condizioni a derogare al riparto costituzionale di competenze tra Stato e Regioni, attivando una via alternativa a quella prescritta dall’138 Cost., benché provvisoria.

Così delineata, tale proposta implica gravose conseguenze: oltre ad intaccare l’esistenza stessa del Parlamento, si comprometterebbe il corretto funzionamento del rapporto parlamentare se a decidere fosse una minoranza di parlamentari che agiscono da stanze virtuali[30].

In generale, vi è chi intravede nella soluzione della “costituzionalizzazione” dell’emergenza una forma di fuga dal diritto vigente, in particolare dal diritto costituzionale[31]. Altra parte della dottrina, invece, ritiene che la stessa sarebbe opportuna per evitare sbalzi interpretativi circa l’autorità competente a dichiarare l’emergenza, la tipologia dei poteri ed i relativi limiti[32]. È doveroso tenere presente – a giudizio di chi scrive – come l’omissione di tale clausola non impedisca di trarre nel testo costituzionale elementi favorevoli alla sua implicita esistenza.

Come già enunciato, nelle Costituzioni europee il silenzio sull’emergenza non costituisce un’opzione. In particolare, la Costituzione francese del 1958 include talune clausole che consentono una disciplina di stati eccezionali.

La più rilevante – ma anche la più dibattuta nei suoi presupposti teorici ed applicativi – è quella   prevista all’art. 16, che autorizza il Presidente della Repubblica ad assumere pieni poteri nell’ipotesi in cui una grave crisi istituzionale o internazionale interrompa il regolare funzionamento del sistema costituzionale, ovvero metta in pericolo l’indipendenza della Nazione, l’integrità del suo territorio o l’esecuzione dei suoi impegni internazionali.

La predetta clausola, il cui unico ricorso risale al Governo guidato da De Gaulle per fronteggiare il tentativo del colpo di stato verificatosi ad Algeri nel 1961[33], riconosce al Presidente della Repubblica un potere illimitato, al fine di salvaguardare la struttura costituzionale esistente. Tuttavia, nel quadro della riforma costituzionale del 2008, l’art. 16 è stato modificato introducendo un meccanismo che coinvolge il Conseil constitutionnel e il Parlamento nella verifica delle condizioni per la permanenza dello stato di emergenza costituzionale.

Oltre all’art. 16, la Costituzione francese racchiude una seconda clausola finalizzata a contrastare le emergenze: si tratta dell’art. 36, regolante l’état de siège, dichiarato con decreto del Consiglio dei ministri per un tempo non superiore ai dodici giorni (salvo proroga autorizzata dal Parlamento), ove sussista un pericolo imminente generato da una “guerre étrangère” o “insurrection armée” (art. L. 2121-1 del Codice della difesa)[34].

In realtà, lo strumentario che l’ordinamento francese prevede per affrontare le emergenze più gravi non è disciplinato a livello costituzionale, ma solo legislativo: la legge n. 55-385 del 3 aprile 1955, spesso emendata e modificata nel periodo 2015-2017, disciplina l’état d’urgence, dichiarato sempre con decreto del Consiglio dei ministri, in caso di pericolo imminente derivante da minacce gravi all’ordine pubblico, ovvero nell’ipotesi di avvenimenti che presentino, per la loro natura e la loro gravità, il carattere di calamità pubblica; si stabilisce poi il territorio nel quale lo stato è dichiarato e la sua durata (non superiore a 12 giorni, prorogabile sempre dal Parlamento)[35].

In ultima analisi, si colgono disposizioni sullo stato di emergenza anche nella Costituzione spagnola del 1978, il cui art. 116 distingue forme crescenti di stato di eccezione, con diversi presupposti e competenze[36], e nella Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania, che distingue differenti stati di eccezione comportanti la sospensione di libertà fondamentali tra quelli di origine esterna e quelli di origine interna[37].

4. L’indiscutibile “tenuta” dello Stato costituzionale

La pandemia da Covid-19 ha senz’altro rappresentato una sfida significativa per l’ordinamento costituzionale.

Nella storia della Repubblica Italiana, per la prima volta, si è posta la necessità di disporre misure giuridiche destinate ad intaccare profondamente l’assetto sociale e le abitudini personali degli individui, causando così uno stravolgimento della sfera politica, economica e culturale del Paese. Difatti, i quesiti sollevati dalle misure adottate sono diversi e sostanziali: si fa leva soprattutto sull’individuazione dei diritti costituzionali concretamente limitabili, sulle fonti giuridiche attraverso le quali è possibile determinare la limitazione dei diritti, sulle conseguenze delle misure restrittive relativamente alla ripartizione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali.

Tuttavia, l’emersione dei predetti interrogativi non deve indurre a ritenere che la Costituzione sia rimasta in stand-by di fronte alla crisi sanitaria, avendo invece dato prova di una buona capacità di resistenza. Pertanto, è doveroso escludere potenziali revisioni[38], non riscontrando alcuna lacuna nel dettato costituzionale. Al contrario, la Costituzione Repubblicana riconosce al Governo sia di avvalersi del decreto-legge[39], ossia una fonte appositamente concepita per consentirgli di fare entrare in vigore immediatamente norme legislative in casi straordinari di necessità ed urgenza che impediscano alle Camere di intervenire con una certa tempestività[40], sia eventualmente di esercitare il potere sostitutivo sugli organi regionali e locali.

Il reale problema risiede – a parere di chi scrive – nella complicata attuazione legislativa e amministrativa del modello costituzionale[41]. L’emergenza sanitaria ha rivelato il modo di essere e di operare delle istituzioni, confermando il costante impiego distorto delle fonti da parte di esse. Come noto, la Costituzione ammette la possibilità di limitare le libertà di circolazione e di riunione per motivi di sanità, sicurezza e incolumità pubblica, risultando più ambigua in ordine agli strumenti e alle modalità per fronteggiare tali situazioni.

L’art. 16 Cost. prevede che sia la legge in via generale a porre dei limiti, senza però indicare le misure da adottare. Tale incertezza accresce la responsabilità politica del Governo, al quale incombe emanare i provvedimenti necessari.

Nel corso della pandemia, l’Esecutivo ha adottato una serie di decreti-legge, definendo le specifiche norme di attuazione con una serie di Dpcm[42], ossia atti di cui è responsabile il Presidente del Consiglio, sentiti ulteriori esponenti politici (Ministri e Presidenti di Regione), senza alcun intervento formale né del Presidente della Repubblica nè del Parlamento. Una buona parte della dottrina ritiene che il decreto-legge, pur essendo lo strumento normativo più adeguato per regolare una situazione di emergenza, oggi pecchi di “lentezza”[43].

Si ammette la contrarietà della prassi seguita con la Costituzione, precisando però che gli atti adottati debbano ritenersi legittimi, in virtù di una presunta autoassunzione di potere extra ordinem che si legittimerebbe per via di necessità, rappresentata dalla pandemia, in mancanza della quale gli atti con cui l’Esecutivo attua una limitazione dei diritti fondamentali dovrebbero essere qualificati come eversivi della legalità costituzionale[44]. In realtà, la ragione di tale “lentezza” non deve essere intravista nel carattere dell’istituto così come ideato dai Costituenti, bensì nella sua distorsiva ed incoerente attuazione da parte dei Governi succedutesi nel corso degli anni[45].

L’emergenza sanitaria da Covid-19 avrebbe potuto rappresentare una valida chance per impiegare in modo ottimale proprio lo strumento normativo ad hoc che la nostra Costituzione prevede “in casi straordinari di necessità ed urgenza”, coinvolgendo così dal primo istante l’organo legislativo.

Piuttosto, si è preferito intraprendere la via meno agevole: l’impiego costante e intenso dei Dpcm ha finito per recare danno “a quel principio di legalità, tanto invocato dal Governo di fronte ai cittadini per chiedere loro, per paradosso, proprio il rispetto di quei decreti emergenziali, espressivi della scelta di limitare le loro libertà costituzionali tramite una fonte normativa di rango secondario, al posto invece di una di rango primario”[46].

Appare ragionevole interrogarsi sui motivi che hanno spinto l’Esecutivo ad adottare misure così limitative con Dpcm e non direttamente con decreto-legge.

In primo luogo, si potrebbe fare leva proprio sulla necessità di ricorrere ad uno strumento più flessibile e celere della decretazione d’urgenza: tali atti, infatti, sono posti in essere da un organo monocratico e non devono passare al vaglio di un organo collegiale in cui trovano spazio varie espressioni politiche. In secondo luogo, si potrebbe evocare il fatto che i Dpcm consentano di integrare il momento della decisione politica (ed amministrativa) con altri contributi tecnico-scientifici, mediante la consultazione di un apposito Comitato.

Tuttavia, le predette ragioni non risultano sufficienti, anche a fronte di una comparazione tra benefici e costi[47]. Oltre a “sacrificare” il principio di legalità, la scelta del Dpcm ha generato altri effetti nocivi: da un lato, in termini di alterazione degli equilibri infragovernativi e di collegialità del Governo; dall’altro, in relazione alle dinamiche dei rapporti tra organi costituzionali e le garanzie di cui gli stessi sono portatori[48].

In aggiunta, il susseguirsi di tali atti non ha giovato alla certezza del diritto, creando caos tra coloro che erano tenuti a rispettare le norme, ed intaccando la medesima gestione della crisi sanitaria, con consistenti ripercussioni anche sul versante economico[49].

La predetta emergenza ha investito anche il quadro dei rapporti centro-periferia. In via generale, è possibile sostenere che il Governo abbia optato per un assetto centripeto a “ridotta collaborazione” [50] nella gestione della crisi sanitaria: se in un primo momento, è sembrato che l’Esecutivo intendesse consentire alle Regioni di intervenire sulla definizione dei divieti, in seguito gli spazi per gli enti territoriali sono stati sensibilmente ridotti, generando una situazione di incertezza sia per le Regioni[51] sia per la società civile.

Con riguardo alla ripartizione delle competenze legislative in situazioni di emergenza, la Costituzione è trasparente: sullo Stato, soggetto maggiormente idoneo a garantire l’uniformità delle misure di contrasto alle malattie infettive sul territorio nazionale, incombono gli interventi legislativi in materia di profilassi internazionale e la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto alla salute (art. 117, comma 2, lett. q) e m) Cost.); alle Regioni, invece, si demandano gli interventi in materia di tutela della salute e di protezione civile, esercitando la propria competenza nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale.

A ciò si aggiunge la possibilità per il Governo di esercitare un potere sostitutivo rispetto agli organi regionali e locali nel caso di “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica”, specialmente per assicurare “la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 120, comma 2, Cost.).

L’intreccio di competenze ha condotto ad una catena di conflitti tra gli attori coinvolti; l’oggetto di tali conflitti risiedeva nella corretta ripartizione dei compiti inerenti il contenimento dei contagi ed il ripristino delle attività del Paese. Nell’ordinamento costituzionale italiano, lo Stato è “il responsabile e il garante dell’uniformità del welfare”[52], mentre le Regioni sono mere esecutrici di una distribuzione differenziata del servizio sanitario “in relazione alle caratteristiche fisiche, sociali e culturali della rispettiva comunità”[53].

A tale riguardo, una chiara risposta è stata offerta dalla giurisprudenza costituzionale: con la sentenza n. 37/2021[54], la Consulta, per la prima volta, si è espressa sui principi che devono reggere il rapporto Stato-Regioni nel corso di una pandemia, nonché sulla competenza legislativa di Regioni e Province autonome ad adottare sistemi di contenimento e di prevenzione dell’emergenza pandemica difformi da quelli statali.

Nel caso di specie, il Giudice delle Leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Valle D’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11 (“Misure di contenimento della diffusione del virus Sars-CoV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato di emergenza”) – sospesa in precedenza con ordinanza n. 4/2021 – nella parte in cui rendeva le disposizioni di legge statale predestinate al contenimento della pandemia da Covid-19 non immediatamente applicabili sul territorio valdostano, mettendo a punto una disciplina “autonoma e alternativa” rispetto a quella prevista a livello per il contrasto al contagio; tale legge avrebbe invaso la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale comprensiva “di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla”.

In tale circostanza, il Giudice delle Leggi ha tenuto a precisare che la legge statale non permette “una politica regionale autonoma sulla pandemia, quand’anche di carattere più stringente rispetto a quella statale, ma la sola disciplina (restrittiva o ampliativa che sia), che si dovesse imporre per ragioni manifestatesi dopo l’adozione di un d.P.C.M., e prima che sia assunto quello successivo. È però chiaro che – alla stregua del quadro normativo statale – ciò può accadere per mezzo di atti amministrativi, in ragione della loro flessibilità, e non grazie all’attività legislativa regionale”. Dalla predetta ricostruzione scaturisce chiaramente come la quota di potere emergenziale facente capo alle Regioni risulti attenuata: si parla esplicitamente dell’impossibilità di una politica regionale autonoma sulla pandemia.

È incontestabile che la scelta della Consulta di trasformare la profilassi internazionale in una materia “trasversale” induca ad alterare il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, immaginando un ripensamento del regionalismo italiano, soprattutto a fronte delle sfide presenti e future rispetto alle quali il Paese potrebbe trovarsi impreparato.

In realtà, desta maggiore allarme – a giudizio di chi scrive – la silenziosa e graduale scomparsa dalla scena di “quel principio di leale collaborazione che, bene o male, ha contribuito a governare in questo anno di pandemia le complesse relazioni fra Governo e Regioni”[55]. Pertanto, si accoglie la posizione di chi evoca il recupero della leale collaborazione come criterio guida dell’operato delle Istituzioni[56], in modo tale da “scongiurare i gravi difetti di coordinamento ed i conseguenti conflitti che discendono dalla mancata concertazione e che, in contesti emergenziali, risultano ancor più dannosi”[57]. Nel complesso, è ragionevole parlare non di vuoto costituzionale, bensì di vuoto istituzionale[58].

5. Il ruolo silente e marginale del Parlamento

Nel contesto dell’emergenza sanitaria, si è preso atto dello spostamento eccessivo dell’asse decisionale dal Parlamento al Governo, nonché della marginalizzazione del primo con riguardo a quelle scelte politiche determinanti la compressione di diritti e libertà fondamentali con strumenti procedurali non idonei. In concreto, si è assistiti ad un’inversione della posizione dei due attori: il Governo ha assunto la veste di “legislatore naturale”; comportando la crescente egemonizzazione del vertice governativo, con conseguente trasformazione in senso monocratico della determinazione e dell’attuazione dell’indirizzo politico, che costituisce una seria minaccia per la democrazia rappresentativa[59].

In realtà, la questione dell’emarginazione del Parlamento è risalente, e dunque non trae origine dall’emergenza in corso: come ben osservato in dottrina, la sua mancata capacità di auto-riforma costituzionale e sub-costituzionale si è tradotta in un processo di auto-emarginazione[60] (comprovato dalla prassi della questione di fiducia su maxiemendamenti)[61], soltanto accentuato dall’emergenza sanitaria. Negli ultimi anni, infatti, sono stati compiuti i più efficaci tentativi – parzialmente riusciti – di esautorare il Parlamento.

Si tratta di tentativi incidenti sull’effettivo funzionamento della nostra forma di governo, che hanno incrinato seriamente i quattro fondamenti giustificativi del parlamentarismo: (la rappresentatività delle Camere, la centralità del rapporto di fiducia, la discussione pubblica, la funzione legislativa).

In Italia, l’esautorazione del Parlamento è avvenuta attaccando tutti e quattro i fondamenti richiamati: minando la capacità delle Camere e dei singoli parlamentari di rappresentare il corpo elettorale, e conseguentemente le diverse tendenze politiche e i diversi interessi sociali del Paese; indebolendo la funzione di controllo e indirizzo delle Camere nei confronti del Governo, accrescendo così la responsabilità politica di quest’ultimo; escludendo dal processo decisionale la tradizionale discussione pubblica che si svolge nelle aule di Camera e Senato, considerata vera “anima” del metodo parlamentare per conseguire la decisione politica; sottraendo al Parlamento il concreto esercizio della funzione legislativa e ridimensionando il procedimento di formazione delle leggi alla mera ratifica di decisioni politiche pre-definite dall’Esecutivo[62].

Tornando allo scenario pandemico, è emblematico – ad avviso di chi scrive – che gli unici soggetti istituzionali dialoganti con il vertice del Governo siano stati i Presidenti delle Regioni, sui quali è ricaduto il compito di gestire in prima linea le diverse difficoltà scaturenti da ogni fase emergenziale[63].

Il rispetto del principio di continuità degli organi costituzionali[64] impone una riflessione sulla necessità di assicurare anche il regolare funzionamento delle Camere, al fine di mantenere l’equilibrio dei poteri costituzionali.

Decorsa la prima fase nevralgica dell’emergenza, si è tentato di instaurare un dialogo costante tra Governo e Parlamento, individuando un meccanismo che consentisse una partecipazione piena delle Assemblee nella lotta alla pandemia, e non riducesse il Parlamento a semplice “spettatore politico”[65] di un fenomeno di ampia portata. Con il decreto-legge n. 19/2020 (“Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19”) è stato statuito l’obbligo, per il Governo, di trasmissione alle Camere del provvedimento emanato il giorno successivo alla sua pubblicazione, sancendo altresì che “il Presidente del Consiglio dei ministri o un Ministro da lui delegato riferisca ogni quindici giorni alle Camere sulle misure adottate”.

È opportuno segnalare che lo strumento dell’informativa urgente del Presidente del Consiglio dei ministri o di un ministro da lui delegato persegue il solo scopo di portare a conoscenza del Parlamento un evento di notevole spessore, avviando un dibattito, che però termina però senza possibilità per i gruppi parlamentari di votare l’atto di indirizzo politico.

La scadente risposta, nel prevedere soltanto un coinvolgimento delle Camere a posteriori, ha indotto alla presentazione di diverse proposte emendative alla legge di conversione del decreto, sino all’approvazione in corso di seduta del c.d. “emendamento Ceccanti”: “il Presidente del Consiglio dei ministri o un Ministro da lui delegato illustra preventivamente alle Camere il contenuto dei provvedimenti da adottare […], al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati; ove ciò non sia possibile, per ragioni di urgenza connesse alla natura delle misure da adottare, riferisce alle Camere […].

A parte l’acclarata insufficienza del meccanismo di parlamentarizzazione dei Dpcm, colpisce particolarmente la posizione di chi coglie una generale tendenza a coinvolgere le Camere, in campi in cui sarebbero altrimenti escluse, attraverso procedure imputabili all’attività di indirizzo-controllo, piuttosto che per mezzo dell’esercizio del potere legislativo, tant’è che la funzione di controllo sembra espandersi “quasi ad assorbire l’attività legislativa”[66].

Al contempo, una parte della dottrina fa notare che il buon esercizio della funzione di controllo “dipende dalla presenza in Parlamento di una maggioranza che non sia sempre disposta ad appiattirsi sulle posizioni del Governo e di un’opposizione non solo declamatoria e pregiudiziale”[67].

Il progressivo dilagare dell’epidemia da Covid-19 ha posto in seria difficoltà il Parlamento specialmente sotto il profilo organizzativo. Il punto nevralgico è stato quello di bilanciare il diritto alla salute dei parlamentari e della collettività con la funzionalità dell’istituzione parlamentare: si tratta di un bilanciamento cruciale, poichè il Parlamento adempie un “servizio pubblico essenziale”; di conseguenza, esso è impossibilitato a congedarsi proprio nel corso di una pandemia globale.

Al fine di risolvere i molteplici “nodi” operativi, si è dato vita ad un “diritto parlamentare dell’emergenza”, imperniato sulle seguenti logiche: da una parte,  la possibilità di partecipare ai lavori parlamentari anche da remoto, in modo tale da consentire al Parlamento di esercitare pienamente le sue funzioni, specie nelle fasi in cui gli spostamenti o la compresenza risultano piuttosto ardui, almeno per una parte dei rappresentanti; dall’altra, la definizione di forme più flessibili di organizzazione e di lavoro parlamentare, per porre tale organo nella condizione di partecipare appieno all’esercizio della funzione legislativa e di monitorare con scrupolosità l’operato del Governo in materia.

Con riguardo al tema della partecipazione da remoto ai lavori parlamentari, la dottrina si è pronunciata in ordine ad un eventuale reinterpretazione del concetto di presenza (art. 64, comma 3, Cost.)[68]. In realtà, il tema in oggetto costituisce un vero e proprio dilemma, a prescindere da una possibile interpretazione evolutiva di tale concetto: da un lato, la partecipazione a distanza ai lavori parlamentari “va a incidere sulle caratteristiche più tradizionali, intime e simboliche del parlamentarismo e della rappresentanza politica”[69]; dall’altro, la negazione di modalità alternative di partecipazione ai lavori parlamentari è espressione della mancata comprensione della delicatezza del contesto storico vigente[70].

La necessità di compiere un passo in avanti in termini di digitalizzazione dell’attività parlamentare scaturisce dal quadro comparato: in varie realtà europee, infatti, sono state introdotte modalità di lavoro e di votazione a distanza. A tale proposito, meritano considerazione i casi di Belgio e Regno Unito. La Camera dei rappresentanti belga ha modificato il proprio regolamento (artt. 25, 26, 42 e 58), affinchè possano essere considerati presenti – sia in Commissione sia in Aula – anche i deputati assenti fisicamente nelle aule, ma che abbiano espresso il proprio voto per via elettronica.

Il 21 aprile 2020, la Camera dei Comuni ha approvato una mozione che consente ai deputati di partecipare ai c.d. scrutiny proceedings (in presenza e a distanza), ammettendo la convocazione di sedute ibride della medesima Camera, alle quali i deputati possono prendere parte in presenza o a distanza; il giorno conseguente, è stata approvata una mozione che permette lo svolgimento in forma ibrida delle sedute riservate ai substantive proceedings.

Appare opportuno puntualizzare come le suddette previsioni trovino applicazione provvisoria, nonché in presenza di una situazione grave ed eccezionale che minacci la salute pubblica ed impedisca ai componenti di partecipare fisicamente ai lavori parlamentari. È proprio questo – a parere di chi scrive – il punto da cui occorre partire: considerare la modalità a distanza quale soluzione una tantum; peraltro, tale scelta oggi avrebbe “il grande merito di dimostrare che la tecnologia non serve a sostituire la rappresentanza […] ma, al contrario, serve ad agevolarla, proteggendola nella sua funzione”[71].

Pertanto, sarebbe irragionevole valutare tale modalità alternativa come un percorso obbligato: non giova al riguardo il riconoscimento da parte della giurisprudenza costituzionale dell’esistenza di estesi margini in capo alle Camere nell’interpretare il numero legale.

Come infatti specificato in dottrina “un conto è che la Costituzione richieda la maggioranza dei presenti “per la validità” di una delibera dell’Assemblea, lasciando alle Camere un margine di interpretazione della norma, altro è dedurre, da una disposizione costituzionale redatta quando neppure era immaginabile che i parlamentari potessero partecipare a distanza, che i regolamenti siano competenti ad ammettere la partecipazione telematica a tutte le attività parlamentari”[72]. In tale prospettiva, trova terreno fertile l’insegnamento di chi sostiene che dal confronto e dalla negoziazione costante tra i rappresentanti e da una possibile reciproca fiducia derivi un valore aggiunto sia in termini di capacità decisionale sia in termini di legittimazione della decisione assunta[73].

Per quanto concerne l’introduzione di modalità più flessibili di organizzazione e di svolgimento delle attività parlamentari, si ritiene fondamentale tracciare una puntuale distinzione tra le forme che possono adottarsi per lo svolgimento della funzione legislativa e quelle da seguire per l’esercizio della funzione di controllo.

Relativamente alla funzione legislativa, il periodo storico vigente offre una valida opportunità per valorizzare il ruolo determinante delle commissioni permanenti in Parlamento. Sul piano costituzionale, esse sono legittimate a sostituirsi in tutto (sede legislativa) o in parte (sede redigente) all’Assemblea, salvo per i disegni di leggi rispetto ai quali è prescritto il normale procedimento legislativo o quando, precedentemente alla loro definitiva approvazione (art. 72, comma 4, Cost.), lo stesso è richiesto da parte di minoranze o dal Governo (art. 72, comma 3, Cost).

A tale riguardo, una corrente di pensiero evidenzia come la facoltà riconosciuta in Costituzione alle commissioni di sostituirsi all’Assemblea implica una rottura dei principi del parlamentarismo classico, a vantaggio di quelli propri dei regimi parlamentari “razionalizzati”[74].

Una parte della dottrina si è poi interrogata sulla possibilità di estendere, in tale fase peculiare, il procedimento in commissione in sede deliberante anche ai disegni di legge di conversione dei decreti-legge, spinta dal proposito di semplificare l’iter parlamentare dei decreti-legge[75]. In tale sede, si condivide il pensiero di chi privilegia la sede redigente che, oltre a dare luogo ad un percorso dall’andamento più ordinato, presenterebbe il pregio di ridurre le ore di seduta in Assemblea e specialmente il numero di voti che dovrebbero svolgersi in plenaria.

Si è ipotizzata, altresì, la costituzione di una commissione speciale[76], adottata di norma all’inizio della legislativa, per l’esame di atti urgenti come i disegni di legge di conversione dei decreti-legge: la sua istituzione, però, trova un ostacolo nel necessario voto dell’Assemblea[77].

È indiscutibile che tali osservazioni riflettano l’esigenza di rivederne in toto la configurazione[78], tenendo presente che la riduzione del numero dei parlamentari (legge cost. n. 1/2020) ha rappresentato una “scossa tellurica”[79] sul sistema delle commissioni. Per quanto attiene alla funzione di controllo sulla strumentazione emergenziale elaborata dal Governo, assume notevole peso la proposta di istituire una commissione bicamerale “ad hoc”, composta da un numero circoscritto di deputati e senatori, alla luce del modello del COPASIR-Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica[80].

In dottrina, si è ritenuto che la stessa, da istituirsi inevitabilmente per legge, dovrebbe essere posta nella condizione di determinare liberamente le forme di pubblicità dei suoi lavori; questa, altresì, dovrebbe potersi avvalere di consulenze tecniche idonee a consentire di carpire all’istante l’andamento della pandemia e di comunicare direttamente non solo con i Presidenti di Regione, ma anche con il comitato tecnico-scientifico e con i commissari straordinari nominati dall’Esecutivo[81].

Nell’ottica di chi scrive, l’ingente attenzione riservata all’urgente definizione di un “diritto parlamentare dell’emergenza” sembra aver trascurato un rischio di non poco conto: l’indebolimento delle funzioni delle Assemblee rappresentative comporta la svalutazione della Costituzione ed il forte declino della nostra forma di governo.

6. Conclusioni

Giunti a tale punto, appare opportuno compiere brevi considerazioni in merito alla “tenuta” dello Stato costituzionale nel quadro dell’emergenza da Covid-19. Occorre prendere le mosse dal presupposto che quella ancora in corso presenta una dimensione nettamente maggiore rispetto alla pandemia del 1918-19 passata alla storia come febbre spagnola[82].

Tale circostanza, dunque, giustifica l’adozione di rigide e mirate misure di precauzione e di contenimento, dirette a sospendere le normali attività di vita di tutta la popolazione. Con specifico riferimento allo scenario nazionale, la presente emergenza si differenzia da quelle verificatesi in passato (eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attivita dell’uomo) in virtù del seguente elemento: nella storia repubblicana italiana, per la prima volta, una situazione emergenziale ha interessato la totalità della popolazione, l’intera sua vita sociale e tutte le sue relazioni globali[83].

L’evoluzione dell’epidemia da Covid-19 ha reso inadatto sia lo strumentario delle ordinanze previste a livello statale e regionale per le crisi sanitarie (art. 35, legge n. 833/1978), sia lo strumentario delle ordinanze prescritte dal codice della protezione civile, inducendo così l’Esecutivo ad avvalersi di impropri strumenti normativi, a partire dal decreto-legge n. 6/2020.

I provvedimenti emanati per fronteggiare la pandemia, però, si sono inseriti in un ordinamento non privo di efficienti soluzioni al riguardo: come già espresso, la Costituzione consente al Governo sia di utilizzare il decreto-legge, sia eventualmente di esercitare il potere sostitutivo sugli organi regionali e locali. Pertanto, stando al dato costituzionale, in casi peculiari, sono legittime misure eccezionali che implicano corrispondenti poteri straordinari.

Tali previsioni non compromettono costituzionale[84], poichè è comunque salvaguardato un rapporto solido tra il Governo ed il Parlamento; mantenendo altresì un ruolo di garanzia in capo al Presidente della Repubblica.

In concreto, la Costituzione Italiana è in grado di reggere emergenze di ampia dimensione: il problema cruciale – a parere di chi scrive – consiste nella scorretta attuazione legislativa e amministrativa del modello costituzionale da parte delle istituzioni.

Una conferma è data dall’inziale indeterminatezza del riferimento ai soggetti chiamati ad assumere i provvedimenti, sebbene poi il ricorso al Dpcm abbia spostato l’attenzione sulla figura del Presidente del Consiglio dei Ministri[85]. Il profilo maggiormente critico – a parere di chi scrive – consiste nella accentuata marginalità del Parlamento che non deve e non può esimersi dalle sue principali funzioni, in quanto ridursi ad assolvere un ruolo accessorio significa “abdicare alla tecnocrazia, talvolta assertiva, talvolta contraddittoria ma spoglia di qualsiasi peculiarità politica e spesso di trasparenza”[86].

La crisi del Parlamento deve essere superata anche mediante il recupero della costituzionale funzione ad esso riconosciuta di organo di mediazione delle istanze[87]. Altro aspetto negativo è rappresentato dalla mancata sottoposizione dei provvedimenti adottati al controllo presidenziale, benché tale omissione non abbia impedito di cogliere l’importanza che continua ad assumere in Italia una Presidenza della Repubblica super partes[88].

In definitiva, oltre a porre a dura prova la tenuta dei sistemi sanitari nazionali, la pandemia da Covid-19 ha lanciato una sfida alla Costituzione: in dottrina, si parla subito di “Costituzione al tempo del Coronavirus”[89], come se si volesse marcare l’inizio di una nuova epoca. La Carta costituzionale, anche in un momento di forte tensione, ha mostrato “la sua straordinaria capacità di adattamento e di garanzia dei principi fondamentali dello stato democratico moderno”[90].


Note e riferimenti bibliografici

*Il presente scritto costituisce una rielaborazione del testo della relazione presentata alla terza Conferenza della sezione italiana dell’International Society of Public Law (ICON·S), svoltasi presso l’Università di Bologna, in data 16-17 settembre 2022.

[1] M. CALAMO SPECCHIA, A. LUCARELLI, F. SALMONI, Sistema normativo delle fonti nel governo giuridico della pandemia. Illegittimità diffuse e strumenti di difesa, in Rivista AIC, n. 1/2021, p. 401.

[2] Sulla stessa linea, G.M. LOCATI, F. FILICE, Lo Stato democratico di diritto alla prova del contagio, in Questione giustizia, n. 1/2022, secondo i quali “la nostra Carta fondamentale non è un qualcosa da rispettare nei momenti di tranquillità e da accantonare nei momenti di difficoltà, ma è la stella polare che ci indica la strada da seguire proprio nei momenti più bui della nostra storia”.

[3] Su tale caso è stata avviata un’indagine, conclusasi con la revoca del provvedimento di ammonimento adottato dalle autorità locali di polizia, ma non alla concessione di un risarcimento ai familiari della vittima. Le indagini, però, non hanno chiarito se si è trattato di un occultamento o di un errore di valutazione. Sul punto, si veda X. Wu, L’incertezza è l’unica certezza della Cina, in www.limesonline.com, 14 agosto 2020.

[4] Così, M. MAZZA, Cina e Asia orientale di fronte alla sfida del Coronavirus, in DPCE-Online, n. 3/2020, p. 4306.

[5] Così, A. CANEPA, Lotta al COVID-19 e diritti dei cittadini nella Repubblica Popolare Cinese. Le peculiarità di un ordinamento socialista asiatico, in L. Cuocolo (a cura di), I diritti costituzionali di fronte all’emergenza Covid-19. Una prospettiva comparata. Osservatorio emergenza Covid-19 – Federalismi, 18 marzo 2020, p. 122.

[6] L. CUOCOLO, Presentazione, in Id. (a cura di), I diritti costituzionali di fronte all’emergenza Covid-19, cit., p. 4.

[7] Così, M.C. LOCCHI, La gestione dell’emergenza sanitaria Covid-19 come osservatorio delle dinamiche politico-costituzionali in Iran, in DPCE online, n. 3/2020, pp. 4327-4328.

[8] M. GHIABI, Managing Disorder: Iran's Governance Amidst the COVID-19 Pandemic, Commentary, ISPI, 12 maggio 2020.

[9] È quanto emerge nell’annuale rapporto 2020 di Report Senza Frontiere, l’organizzazione non governativa che promuove e difende la libertà di informazione e la libertà di stampa. Nel predetto rapporto, si denuncia il crescente numero di casi soppressione dell’informazione, talvolta di mera disinformazione. In generale, si veda F. Lajolo di Cossano, Il diritto di informazione ai tempi del Coronavirus: un diritto fondamentale, in Diritti fondamentali, 10 aprile 2020.

[10] È interessante la posizione di A. Cantaro, Giustizia e diritto nella scienza giuridica europea, in Id. (a cura di), Giustizia e diritto nella scienza giuridica contemporanea, Torino, 2011, p. 12, il quale definisce il bilanciamento come la “formula magica” della scienza giuridica contemporanea.

[11] Tuttavia, vi è chi sostiene la tesi dell’inesistenza dei conflitti tra diritti fondamentali (in tale senso, si veda L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Laterza, 2008). A tale tesi si contrappone quella dell’intangibilità dei principi costituzionali fondamentali (è la posizione di M. Luciani, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in R. Romboli (a cura di), La giustizia costituzionale a una svolta, Torino, 1991, 170 ss.).

[12] Corte cost., 9 maggio 2013. Per un commento alla predetta sentenza, si veda L. Geninatti Satè, “Caso Ilva”: la tutela dell’ambiente attraverso la rivalutazione del carattere formale del diritto (una prima lettura di Corte cost., sent. n. 85/2013), in Forum di Quaderni Costituzionali, 16 maggio 2013; M. Massa, Il commissariamento dell’ILVA e il diritto delle crisi industriali, ibidem, 17 giugno 2013; V. Onida, Un conflitto fra poteri sotto la veste di questione di costituzionalità: amministrazione e giurisdizione per la tutela dell’ambiente. Nota a Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 2013, in Rivista AIC, n. 3/2013; R. Bin, Giurisdizione o amministrazione, chi deve prevenire i reati ambientali? Nota alla sentenza "Ilva", in Giur. cost., n. 3/2013, p. 1505 ss.; M. Boni, La politiche pubbliche dell’emergenza tra bilanciamento e «ragionevole» compressione dei diritti: brevi riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale sul caso Ilva, in Federalismi, 5 febbraio 2014.

[13] Corte cost., 23 marzo 2018, n. 58. Per un’analisi su tale sentenza, si veda G. Amendola, Ilva e il diritto alla salute. La Corte costituzionale ci ripensa?, in Questione Giustizia, n. 3/2018; S. Frega, L’Ilva di Taranto di nuovo di fronte alla Corte costituzionale (osservazioni alla sentenza n. 58 del 2018), in Consulta Online, n. 2/2018.

[14] M. D’AMICO, Emergenza, diritti, discriminazioni, in Gruppo di Pisa, n. 2/2020, p. 27.

[15] Corte cost., 1 febbraio 1982, n. 15. Nel caso di specie, la Consulta dichiara che “l’emergenza, nella sua accezione più propria, è una condizione certamente anomala e grave, ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che essa legittima, sì, misure insolite, ma che queste perdono legittimità, se ingiustificatamente protratte nel tempo”.

[16] A. AGOSTINO, Covid-19: primo tracciato per una riflessione nel nome della Costituzione, in Osservatorio AIC, n. 3/2020, p. 120 ss.

[17] A. AGOSTINO, Costituzionalismo e distopia nella pandemia di Covid-19 tra fonti dell’emergenza e (s)bilanciamento dei diritti, in Costituzionalismo.it, n. 1/2021, p. 62, ricorda che “La Costituzione, senza incorrere nell’eccesso di sovrapporre la figura della comunità a quella del singolo, sino a scivolare nell’insidioso terreno del cittadino totale, o dello stato totale, disegna un progetto di emancipazione che è insieme personale e sociale, sancendo, nel principio personalista, la centralità della persona innervata dalla solidarietà e dalla partecipazione”.

[18] G. LA PIRA, Intervento, in Atti Assemblea Costituente, seduta pomeridiana dell’11 marzo 1947.

[19] G. SILVESTRI, Covid-19 e Costituzione, in Unicost.eu, 10 aprile 2020.

[20] C. SCHMITT, Politische Theologie, Berlin, 1922.

[21] A.C., II Sottocommissione, Relazione del deputato La Rocca, Sul potere Esecutivo.

[22] A.C., II Sottocommissione, 11 gennaio 1947, Appendici generali - Argomenti o articoli non entrati nella Costituzione - Sospensione dei diritti costituzionali e dichiarazione dello stato d'assedio.

[23] A.C., II Sottocommissione, 11 gennaio 1947, Appendici generali - Argomenti o articoli non entrati nella Costituzione - Sospensione dei diritti costituzionali e dichiarazione dello stato d'assedio.

[24] Su tale linea, D. de Petris, Costituzione e pandemia, in https://webmagazine.unitn.it, 12 maggio 2020; A. Pertici, Il Forum - Emergenza Covid e organi costituzionali, in Gruppo di Pisa, n. 2/2020, p. 5.

[25] Sul tema, si veda V. Onida, Guerra, diritto, costituzione, Bologna, 1999, pp. 958-962; G. Vergottini, Guerra e Costituzione, in Quad. cost., n. 1/2002, pp. 19-34; A. Vedaschi, Commento all'articolo 78 della Costituzione delle Repubblica Italiana, in F. Clementi, L. Cuocolo, F. Rosa, G.E. Vigevani (a cura di) La Costituzione italiana : commento articolo per articolo. Vol. 2: Parte II - Ordinamento della Repubblica (Articoli 55-139) e Disposizioni transitorie e finali, Bologna, 2021, pp. 133-137.

[26] Ai sensi dell’art. 5 dello Statuto Albertino: “Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d'alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l'interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l'assenso delle Camere”.

[27] I.A. NICOTRA, Stato di necessità e diritti fondamentali. Emergenza e potere legislativo, in Rivista AIC, n. 1/2021, p. 118.

[28] In tale senso, si veda F. Torre, La Costituzione sotto stress ai tempi del coronavirus, in Biolaw Journal – Rivista di BioDiritto. Instant Forum, 27 marzo 2020, p. 5 ss; A. Celotto, Necessitas non habet legem?, Prime riflessioni sulla gestione costituzionale dell'emergenza coronavirus, Roma, 2020, pp. 60-61.

[29] Leg. XVII, A.C. 2450, Proposta di revisione costituzionale, “Introduzione degli articoli 55-bis e 55-ter della Costituzione, “concernenti la dichiarazione dello stato di emergenza e l’istituzione di una Commissione parlamentare speciale per l’esercizio delle funzioni delle Camere”.

[30] G. DE MINICO, Costituzionalizziamo l’emergenza?, in Osservatorio sulle fonti, fasc. speciale, 2020, p. 564.

[31] Così, A. CARDONE, Il baratro della necessità e la chimera della costituzionalizzazione: una lettura della crisi delle fonti del sistema di protezione civile contro le battaglie di retroguardia, in Osservatorio sulle fonti, fasc. speciale, 2020, p. 350.

[32] G. DE MINICO, Costituzionalizziamo l’emergenza?, cit., p. 546.

[33] In tale senso, si veda P. ABRAMOVICI, Le Putsch des généraux. De Gaulle contre l’Armée 1958-1961, Parigi, 2011.

[34] Nel corso della V Repubblica francese, lo stato di assedio non è mai stato dichiarato.

[35] A tale proposito, P. MILAZZO, Le fonti del diritto e le diverse risposte ad una emergenza simmetrica: qualche lezione francese sul “rendimento” delle clausole di emergenza costituzionale, in Osservatorio sulle fonti, fasc. speciale, 2020, p. 416, sottolinea come tale meccanismo alternativo venga utilizzato “per affrontare tutte quelle urgenze – anche gravissime – per le quali non si ritenga necessario accedere alle clausole costituzionali dell’art. 16 e dell’art. 36, percepite evidentemente come non praticabili in virtù del loro contenuto (soprattutto lo stato d’assedio) ovvero delle torsioni che esse imporrebbero all’assetto del sistema delle fonti e della forma di governo (soprattutto la concentrazione di poteri nel Presidente prevista dall’art. 16)”. Tuttavia, in Francia è stata adottata una normativa ad hoc per gestire l’emergenza sanitaria (loi n° 2020-290 du 23 mars 2020).

[36] Per un approfondimento, tra i tanti, si veda M. CARRILLO, Diritto di eccezione e sistema costituzionale in Spagna di fronte alla pandemia da COVID-19, in Costituzionalismo, n. 1/2021.

[37] In particolare, tra i plurimi, si veda A. De Petris, Un approccio diverso: l’emergenza “collaborativa” del federalismo tedesco, in Osservatorio costituzionale, n. 3/2020, pp. 429-446.

[38] È la specifica posizione di A. RUGGERI, Il coronavirus, la sofferta tenuta dell’assetto istituzionale e la crisi palese, ormai endemica, del sistema delle fonti, in Consulta Online, 6 aprile 2020, p. 211, secondo cui “la crisi nella quale da tempo, endemicamente, versa il sistema delle fonti non sembra ormai più reversibile; e l’unica fioca speranza della sua sopravvivenza […] sembra essere legata all’appagamento del bisogno di una nuova e profonda riscrittura delle norme costituzionali sulle fonti, per l’aspetto delle procedure che presiedono alla loro venuta alla luce come pure per il posto assegnato a ciascuna di esse in seno al sistema e, perciò, per le relazioni che tra le stesse s’intrattengono e gli effetti discendenti dalla loro produzione”.

[39] Come affermato da V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, Padova, 1976, p. 83, la ratio del decreto-legge è quella di “assicurare la sopravvivenza dello Stato e dell’ordinamento, facendo fronte a situazioni imprevedibili che lo mettano in pericolo”.

[40] In tale senso, si veda T. MARTINES, Diritto costituzionale, Milano, 2017; p. 384; L. Paladin, In tema di decreti-legge, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, pp. 534-535. Al contrario, G. Viesti, Il decreto-legge, Napoli, 1967, p. 93 ss., ammette la sussistenza di determinate limitazioni.

[41] Su tale linea, P. BONETTI, La. Costituzione regge l'emergenza sanitaria: dalla pandemia del coronavirus spunti per attuarla diversamente, in Osservatorio sulle Fonti, n. 2/2020, p. 695. Al contempo, l’Autore ritiene che, rispetto alle misure adottate in Italia per fronteggiare l’emergenza sanitaria, “paiono forse eccessive le preoccupazioni espresse da parte della dottrina sul funzionamento effettivo del sistema delle fonti per il rischio di eludere il ruolo costituzionale dei decreti-legge o la riserva di legge o di abusare dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri”.

[42] In linea generale, su tale tipologia di atti, si veda M.C. Grisolia, Osservazioni in tema di decreti del

Presidente del Consiglio a contenuto regolamentare, in U. De Siervo (a cura di), Il potere regolamentare nell'amministrazione centrale, Bologna, 1992, p. 155 ss.; D. De Lungo, Nihil est in intellectu quod Prius non fuerit in sensu: considerazioni empiriche su decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri nell’esperienza recente, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019; M. Giannelli, I decreti “di natura non regolamentare”. Un’analisi a partire dalla prassi della XVI e XVII legislatura, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019. Sui Dpcm adottati nell’emergenza sanitaria, si veda A. Arcuri, Cose vecchie e cose nuove sui d.p.c.m. dal fronte (...dell’emergenza coronavirus), in Federalismi, n. 28/2020; M. Rubechi, I d.P.C.m della pandemia: considerazioni attorno ad un atto da regolare, in Federalismi, n. 27/2021; E.C. Raffiotta, I poteri emergenziali del Governo nella pandemia: tra fatto e diritto un moto perpetuo nel sistema delle fonti, in Rivista AIC, n. 2/2021; M. Cavino, Comitato per la legislazione e dPCM: il diavolo si cela nei dettagli, in Quaderni costituzionali, n. 2/2021, 401ss.; V. Di Porto, La carica dei DPCM, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2021.

[43] G. SILVESTRI, Covid-19 e Costituzione, in Unicost, 16 giugno 2020.

[44] G. AZZARITI, Il diritto costituzionale d’eccezione, in Costituzionalismo.it, n. 1/2020, p. 3.

[45] R. ROMBOLI, L’incidenza della pandemia da Coronavirus nel sistema costituzionale italiano, in Consulta Online, 5 ottobre 2020, p. 519.

[46] Così, F. CLEMENTI, Il lascito della gestione normativa dell’emergenza: tre riforme ormai ineludibili, in Osservatorio AIC, n. 3/2020, p. 39.

[47] G. MOBILIO, La decretazione d'urgenza alla prova delle vere emergenze. L'epidemia da Covid-19 e i rapporti tra decreto-legge e altre fonti, in Osservatorio sulle fonti, fasc. speciale, 2020, p. 370.

[48] G. SILVESTRI, Covid-19 e Costituzione, in Unicost, cit.

[49] A. IANNOTTI DELLA VALLE, F. MARONE, Parlamentarismo e regionalismo alla prova della pandemia: bilancio costituzionale di un’emergenza, in Le Regioni, n. 4/2021, p. 743.

[50] E. LONGO, Episodi e momenti del conflitto Stato-regioni nella gestione della epidemia da Covid-19, in Osservatorio sulle fonti, fasc. speciale, 2020, p. 379

[51] Sul ruolo accordato alle Regioni nella gestione dell’emergenza sanitaria, tra i molteplici, si V. Di Capua, Il nemico invisibile. La battaglia contro il Covid-19 divista tra Stato e Regioni, in Federalismi, Osservatorio emergenza Covid-19, 20 maggio 2020; A. Romano, I rapporti tra ordinanze sanitarie regionali e atti statali normativi e regolamentari al tempo del Covid-19, in ibidem, 20 maggio 2020; V. Neri, Diritto amministrativo dell’emergenza: tra unità e indivisibilità della Repubblica e autonomia regionale e locale, in Urbanistica e appalti, n. 3/2020, p. 346 ss.

[52] Così, E. D’ORLANDO, Emergenza sanitaria e Stato regionale: spunti per una riflessione, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2020, p. 583.

[53] Così, E. D’ORLANDO, Emergenza sanitaria e Stato regionale: spunti per una riflessione, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2020, p. 585.

[54] Corte cost., 21 marzo 2021, n. 37. Su tale pronuncia, si veda B. Caravita, La sentenza della Corte sulla Valle d’Aosta: come un bisturi nel burro delle competenze (legislative) regionali, in Federalismi, 21 aprile 2021; M. Mezzanotte, Pandemia e riparto delle competenze Stato-Regioni in periodi emergenziali, in Consulta Online, n. 1/2021, pp. 329-337; G. Menegus, Osservazioni sulla prima sospensione cautelare (ordinanza n. 4/2021) di una legge regionale da parte della Corte costituzionale (e sulla sent. n. 37/2021), in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 2/2021, pp. 88-110; A. Cardone, Contrasto alla pandemia, “annichilimento” della potestà legislativa regionale e torsioni della decretazione d’urgenza: è davvero così liberamente derogabile il sistema di protezione civile?, in ibidem, n. 2/2021, pp. 312-326; D. Morana, Ma è davvero tutta profilassi internazionale? Brevi note sul contrasto all’emergenza pandemica tra Stato e regioni, a margine della sent. n. 37/2021, in ibidem, n. 3/2021, pp. 11-18; G. Boggero, In pandemia nessuna concorrenza di competenze. La Corte costituzionale promuove un ritorno al “regionalismo della separazione”, in ibidem, n. 3/2021, pp. 103-129; R. Negro, La sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2021 e il controllo dello Stato sulle questioni di rilievo internazionale, in Diritti Regionali, n. 2/2021; A. Poggi, G. Sobrino, La Corte, di fronte all’emergenza Covid, espande la profilassi internazionale e restringe la leale collaborazione (ma con quali possibili effetti?) (nota a Corte Cost., sentenza n. 37/2021), in Osservatorio AIC, n. 4/2021, pp. 231-261; C. Caruso, Il regionalismo autarchico è incostituzionale: dal Giudice delle leggi una pronuncia che mette ordine nella gestione territoriale della pandemia, in Questione giustizia, 13 aprile 2021.

[55] Così, G. DI COSIMO, La pandemia è dello Stato (la Corte costituzionale e la legge valdostana), in laCostituzione.info, 21 marzo 2021. Con particolare riferimento all’esperienza pandemica, si veda A. Saporito, Il principio di leale collaborazione al tempo dell’emergenza sanitaria, in Diritti fondamentali, n. 2/2020; L. Leo, L’ascesa delle ordinanze regionali ai tempi del Covid-19, in Diritti regionali, n. 2/2021, pp. 309-312; C. Padula, La pandemia, la leale collaborazione e la Corte costituzionale, in Le Regioni, n. 1-2/2021, pp. 169-183.

[56] A tale proposito, M.E. RUGGIANO, La “leale collaborazione tra i poteri” ha ultimato la sua parabola. Brevi considerazioni a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 14, 2020, p. 136, ammette che “il principio di collaborazione dovrebbe essere considerato molto più di un semplice galateo costituzionale, ma troppo spesso ormai risulta essere un’aspirazione, una speranza o una bandiera contro le sfrontatezze e contro i centralismi statali e regionali”.

[57] Così, A. PROZZO, Il principio di leale collaborazione quale “bussola” nell’emergenza, in Diritti regionali, n. 3/2020, p. 382.

[58] C. PINELLI, Il precario assetto delle fonti impiegate nell’emergenza sanitaria e gli squilibrati rapporti fra Stato e Regioni, in Amministrazione in cammino, 29 aprile 2020, p. 8.

[59] M. CALAMO SPECCHIA, Le fonti dell’emergenza nella crisi pandemica Riflessioni di sintesi. Le fonti del “diritto della pandemia” tra forma e sostanza, in Dpce Online, 2021, p. 1870.

[60] N. LUPO, Audizione resa il 5 novembre 2020 presso l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari costituzionali del Senato nella prima seduta dedicata all’affare assegnato n. 588, “Sulle modalità più efficaci per l'esercizio delle prerogative costituzionali del Parlamento nell'ambito di un'emergenza dichiarata”: Come evitare l’auto-emarginazione del Parlamento nell’emergenza attuale, in Osservatorio AIC, n. 6/2020, p. 9.

[61] Sul tema, tra i molteplici, si veda E. Griglio, I maxi-emendamenti del governo in parlamento, in Quaderni Costituzionali, n. 4/2005, pp. 807-828; N. Lupo, Emendamenti, maxi-emendamenti e questione di fiducia nelle legislature del maggioritario, in AA.VV., Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione. Atti del convegno (Roma, 17 marzo 2006), a cura di E. Gianfrancesco, N. Lupo, Roma, 2007, p. 41 ss.; G. Piccirilli, L’emendamento nel processo di decisione parlamentare, Padova, 2008, spec. p. 291 ss.; A. Razza, Note sulla normalizzazione della questione di fiducia, in Rivista AIC, n. 3/2016;  G. Pistorio, Maxi-emendamento e  questione di fiducia Contributo  allo studio di una prassi illegittima, Napoli, 2018, p. 155 ss.; I.G. Veltri, Decretazione d’urgenza, maxi-emendamenti e questione di fiducia: profili di costituzionalità di una consolidata ma problematica prassi, in Forum di Quaderni Costituzionali, 23 maggio 2018.

[62] C.F. FERRAJOLI, Come esautorare il parlamento. Un caso esemplare del declino di una democrazia rappresentativa, in Teoria politica, n. 10/2020, p. 161. Sul tema, si veda C.F. Ferrajoli Un declino senza cambiamento. Il Parlamento italiano tra la XVII e la XVIII Legislatura, in Costituzionalismo.it, n. 1/2019, pp. 33-96.

[63] In linea con ciò, P. MAZZINA, Dalla torsione della forma di governo alla verticalizzazione della decisione parlamentare: lo svolgimento dei lavori delle camere in tempo di pandemia e lo smart voting, in Diritto pubblico europeo. Rassegna on-line, n. 1/2022, p. 281.

[64] Sul punto, si veda L. Elia, La continuità nel funzionamento degli organi costituzionali, Milano, 1958; F.S. Marini, Il principio di continuità degli organi costituzionali, Milano, 1997.

[65] Così, G. LAVAGNA, L’emergenza sanitaria. Un banco di prova per la tenuta della nostra forma di governo, in Nomos-Le attualità del diritto, n. 3/2021, p. 7.

[66] A. MANZELLA, Elogio dell’Assemblea, tuttavia, Modena, 2020, p. 59 ss. Sulla stessa linea, A. Contieri, Presidente del Consiglio e ruolo del Parlamento: il mosaico dell’indirizzo politico (europeo), in Osservatorio AIC, n. 2/2020, p. 109.

[67] Così, V. LIPPOLIS, Il rapporto Parlamento-Governo al tempo della pandemia, in Rivista AIC, n. 1/2021, p. 277.

[68] In senso favorevole, si veda S. Curreri, L’attività parlamentare ai tempi del Covid-19: fiat iustitia et pereat mundus?, in laCostituzione.info, 11 marzo 2020; Id., Voto a distanza in Parlamento: i precedenti non lo impediscono affatto, in laCostituzione.info, 16 marzo 2020; S. Ceccanti, Parlamento, proposte per regolare gli stati di emergenza, in Progresso, Europa e riforme, n. 5/2020; C. Fusaro, Coronavirus: meglio niente Parlamento o un Parlamento smart?, in Libertàeguale, 15 marzo 2020. Più cauta è la posizione di N. Lupo, Perché non è l’art. 64 Cost. a impedire il voto “a distanza” dei parlamentari. E perché ammettere tale voto richiede una “re-ingegnerizzazione” dei procedimenti parlamentari, in Osservatorio costituzionale, n. 3/2020. In senso contrario, si veda R. Dickmann, Alcune questioni di costituzionalità̀ in tema di voto parlamentare a distanza, in Federalismi, n. 5/2020; V. Lippolis, Camere, voto a distanza? No grazie, la presenza in aula resta essenziale, in Il Dubbio, 1° aprile 2020.

[69] Così, N. LUPO, Audizione resa il 5 novembre 2020 presso l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari costituzionali del Senato nella prima seduta dedicata all’affare assegnato n. 588, “Sulle modalità più efficaci per l'esercizio delle prerogative costituzionali del Parlamento nell'ambito di un'emergenza dichiarata”: Come evitare l’auto-emarginazione del Parlamento nell’emergenza attuale, cit., p. 22.

[70] È la posizione di S. CURRERI, Il Parlamento ai tempi del Covid-19: perché è necessario e legittimo il voto a distanza, in Progresso, Europa e Riforme, n. 5/2020.

[71] Così, F. CLEMENTI, Virus: In emergenza la democrazia rappresentativa si difende con il voto a distanza, in Progresso, Europa e Riforme, n. 5/2020.

[72] Così, F. BIONDI, P. Villaschi, Il funzionamento delle Camere durante l’emergenza sanitaria. Riflessioni sulla difficile praticabilità di un Parlamento “telematico”, in Federalismi, n. 18/2020, p. 45.

[73] È l’insegnamento di G. SARTORI, Will Democracy Kill Democracy? Decision-Making by Majorities and by Committees, in Government and Opposition, 1975, n. 2, p. 131 ss.

[74] S. CURRERI, Il Parlamento nell’emergenza, in Osservatorio costituzionale, n. 3/2020, p. 226.

[75] G. SILVESTRI, Covid-19 e Costituzione, cit.

[76] S. CURRERI, Il Parlamento nell’emergenza, cit., p. 227.

[77] A. MALASCHINI, Procedure parlamentari e legislazione d’emergenza, Working Papers Series della School of Government della Luiss, n. 57/2020, p. 13. Fermamente contrario è B. Caravita, L’Italia ai tempi del coronavirus: rileggendo la Costituzione italiana, in Federalismi, n.6/2020, 18 marzo 2020, p. 5 ss.

[78] In particolare, si veda F. NERI, Le Commissioni parlamentari: verso un’inevitabile riforma dell’intero sistema, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 3/2020; L. Leo, La riduzione del numero dei parlamentari tra passato e presente, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 3/2020, p. 600 ss.

[79] Così, L. GORI, Sull’organizzazione del Parlamento e sui regolamenti parlamentari, in E. Rossi (a cura di), Meno parlamentari, più democrazia? Significato e conseguenze della riforma costituzionale, Pisa, 2020, p. 138.

[80] È questa la proposta di M. Pandolfelli, Parlamento ed emergenze: per l’istituzione di un Comitato parlamentare per i Grandi rischi, Working Paper Series, n. 9/2020, p. 9. Su tale modello, tra i plurimi, si veda T.F. Giupponi, Servizi di informazione e segreto di Stato nella legge n. 124/2007, in Studi in onore di Luigi Arcidiacono, IV, 2010, p. 1715 ss.; M. Franchini, A proposito delle nuove competenze del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, in Studi in onore di Giuseppe de Vergottini, I, Padova, 2015, p. 696 ss; A. Perrone, Le prospettive del controllo parlamentare nella recente attività del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, in Federalismi, n. 11/2018.

[81] N. LUPO, Audizione resa il 5 novembre 2020 presso l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari costituzionali del Senato nella prima seduta dedicata all’affare assegnato n. 588, “Sulle modalità più efficaci per l'esercizio delle prerogative costituzionali del Parlamento nell'ambito di un'emergenza dichiarata”: Come evitare l’auto-emarginazione del Parlamento nell’emergenza attuale, cit., p. 16.

[82] Una valida comparazione è compiuta da G. Alfani, D. Bidussa, A.M. Chiesi, Contagio globale, impatto diseguale. Influenza spagnola e Covid-19 a confronto, Milano, 2021. Con specifico riguardo all’andamento della febbre spagnola in Italia, si veda F. Rossi, “Il morbo crudele”. Opinione pubblica e diritto dell'emergenza in Italia di fronte all'influenza 'spagnola', in Italian Review of Legal History, n. 12/2020, pp. 293-337.

[83] P. BONETTI, La. Costituzione regge l'emergenza sanitaria: dalla pandemia del coronavirus spunti per attuarla diversamente, cit., p. 691-692.

[84] Come precisato da M. TRESCA, Le fonti dell’emergenza. L’immunità dell’ordinamento al Covid-19, in Osservatorio costituzionale, n. 3/2020, p. 202.

[85] L. IMARISIO, G. SOBRINO, I diritti e i doveri fondamentali nelle condizioni di emergenza: diritto e diritti di fronte alla pandemia Covid-19, in L. Imarisio, M. Malvicini, G. Sobrino (a cura di), Tra emergenza, eccezione e precauzione. Diritti e doveri di cittadinanza di fronte alla pandemia Covid-19, Torino, 2020, p. 42-43.

[86] Così, R. CARIDÀ, La tenuta istituzionale del Parlamento tra COVID-19 e referendum, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 4/2020, p. 151.

[87] R. CARIDÀ, La tenuta istituzionale del Parlamento tra COVID-19 e referendum, cit., p. 152.

[88] Sul ruolo assunto dal Capo dello Stato nella pandemia, si veda G. Brunelli, La pandemia e l'unità nazionale: il ruolo del Presidente della Repubblica, in Diritto Virale, Firenze, 2020, p. 9 ss; L. Leo, Il ruolo di “attore-protagonista” del Presidente della Repubblica in tempi di crisi, in Amministrazione in Cammino, 22 luglio 2022, p. 24 ss.

[89] La predetta espressione è impiegata da C. Tripodina, La Costituzione al tempo del Coronavirus, in Costituzionalismo.it, n. 1/2020, p. 79.

[90] Così, R. CRISTIANO, Solidarietà e leale collaborazione, valori emergenti nella sfida all'epidemia da Coronavirus, in Annali dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli, 2020, p. 425.