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Pubbl. Ven, 23 Set 2022

La conferma delle disposizioni testamentarie nulle non si applica a quelle lesive della legittima

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Luca Collura
AvvocatoUniversità commerciale Luigi Bocconi



Con sentenza del 31.08.2022, n. 25680, la Corte di Cassazione è tornata sull’ambito applicativo dell’istituto previsto e disciplinato dall’art. 590 cod. civ., statuendo, in perfetta sintonia con l’indirizzo pressoché unanime della giurisprudenza di legittimità, che la conferma prevista dall’articolo in parola non si applica alle disposizioni testamentarie lesive dei diritti dei legittimari.


ENG

Confirmation of void testamentary dispositions does not apply to those which are detrimental to the legitimacy

With sentence of 31.08.2022, n. 25680, the Court of Cassation returned to the scope of the institution provided for and governed by art. 590 cod. civ., ruling, in perfect harmony with the almost unanimous orientation of the jurisprudence of legitimacy, that the confirmation provided for in the article in question does not apply to testamentary provisions that are detrimental to the rights of the legitimate.

Sommario: 1. Il casus decisus; 2. Dell’art. 590 c.c. in generale; 3. Art. 590 c.c. e disposizioni lesive della legittima; 4. Della rinuncia tacita all’azione di riduzione: brevi note.

1. Il casus decisus

Nel 2006 si apriva la successione di Tizio, coniugato con Tizia e padre di Prima, Seconda e Terzo, regolata con testamento olografo del 2004, che veniva impugnato da parte della figlia Prima, la quale assumeva ch’esso fosse invalido o che comunque contenesse disposizioni lesive della sua quota di legittima.

Nel giudizio incardinato dinanzi al Tribunale di Milano si costituiva anche Tizia, sostenendo che le disposizioni testamentarie del de cuius prevedevano una sostituzione fedecommissaria nella quale ella era sostituita e la figlia Seconda istituita e chiedendo al giudice, per il caso in cui fosse il testamento fosse stato ritenuto invalido, di quantificare la quota che le spettava per legge, disponendone l’assegnazione in suo favore.

Con sentenza del 2011, il giudice di prime cure statuiva la validità del testamento, riconosceva la qualità di erede in capo a Seconda e procedeva a determinare la quota di legittima spettante a Prima.

Nelle more decedeva Tizia, al che Prima, quale sua erede, conveniva in giudizio Seconda, chiedendo che fosse accertata la quota di legittima spettante a detta de cuius sulla successione di Tizio.

A quel punto, con sentenza del 2018, il tribunale meneghino rigettava la domanda di Prima, ritenendo che Tizia, con le richieste precedentemente avanzate, avesse di fatto rinunciato a far valere i propri diritti di legittimaria rispetto alla successione del coniuge.

Nello specifico, atteso che nel precedente giudizio Tizia si era limitata a richiedere il riconoscimento dell’efficacia della sostituzione fedecommissaria che, a suo avviso, era contenuta nel testamento del defunto coniuge e, in subordine, in caso di invalidità della scheda testamentaria, la quantificazione della quota lei spettante ex lege e la conseguente attribuzione in suo favore senz’anche esercitare l’azione di riduzione, ad avviso del tribunale la stessa aveva di fatto rinunziato all’azione di riduzione.

Contro quest’ultima sentenza proponeva appello Prima, cui resisteva Seconda. La Corte di Appello di Milano, in riforma della decisione impugnata, accoglieva la domanda di riduzione. Ad avviso del giudice del gravame, di fatti, le domande proposte da Tizia nel primo giudizio di primo grado non potevano essere considerate quali tacite rinunce all’azione di riduzione, specie considerato il comportamento extragiudiziale di Tizia (la quale, nello specifico, per il tramite del proprio avvocato, aveva tra l’altro provveduto a richiedere a Prima il pagamento di una somma di denaro per la soddisfazione della propria legittima).

Contro la sentenza di secondo grado ricorreva per cassazione Seconda, sulla base di tre motivi.

Nonostante la ricorrente non lamentasse violazione dell’art. 590 c.c., la Corte ha comunque colto l’occasione per ribadire quale sia l’ambito applicativo della disposizione da ultimo citata.

2. Dell’art. 590 c.c. in generale

Il legislatore del 1942 ha dimostrato di non vedere “di buon occhio” il negozio inter vivos che, per la gravità del vizio che lo affligge, sia da considerarsi nullo, tanto che. l’art. 1423 c.c. dispone che il negozio nullo non possa essere convalidato, salvo che la legge preveda diversamente. La ratio di tale disposizione risiede molto probabilmente nella circostanza per cui, potendo le parti del negozio nullo procedere alla sua rinnovazione, non ha di regola particolarmente senso permetterne la convalida[1].

Diverso, e a ben vedere diametralmente opposto, è invece l’approccio che il conditor legis ha adottato relativamente al negozio testamentario: l’art. 590 c.c. [2], infatti, ammette coloro che vi hanno interesse[3] a procedere alla conferma delle disposizioni testamentarie nulla – nonché, ad avviso della tesi maggioritaria, alla convalida di quelle annullabili[4] –. L’istituto in parola, dunque, è certamente espressione del principio del favor testamenti[5].

3. Art. 590 c.c. e disposizioni lesive della legittima

Una questione sollevata da una parte, a dire il vero anche molto autorevole, della dottrina italiana[6] è quella della presunta estensibilità del rimedio di cui all’art. 590 c.c. anche alle disposizioni lesive della legittima: la conferma espressa o l’eventuale esecuzione spontanea delle stesse ad opera di chi sia a ciò legittimato impedirebbe quindi di metterle in discussione attraverso l’azione di riduzione.

Questa posizione, tuttavia, non è stata accolta dalla giurisprudenza di legittimità[7], la quale, come dimostra da ultimo la sentenza in commento, è invece di opinione completamente opposta. Secondo il giudice nomofilattico, infatti, l’art. 590 c.c. disciplina un rimedio che non è utilizzabile nel caso delle disposizioni lesive della quota di legittima per il semplice motivo che mentre l’articolo de quo fa espresso riferimento alle disposizioni testamentarie nulle (alle quali la dottrina prevalente ha accorpato anche quelle annullabili) quelle che ledono i diritti di riserva che la legge attribuisce ai legittimari non sono nulle né annullabili ma solo riducibili.

L’azione di riduzione, infatti, come dopotutto insegnano la migliore dottrina[8] e la giurisprudenza[9], non è un’azione di nullità, neppure relativa. Le disposizioni testamentarie e gli atti di liberalità lesivi della legittima posti in essere dal de cuius, come precisato già supra, non sono invalidi, ma solo riducibili, ragione per la quale essi non possono essere fatti oggetto di conferma (o convalida) ai sensi dell’art. 590 c.c., ma soltanto di un’azione, quella di riduzione, volta non a determinarne la totale inefficacia erga omnes ma solo l’inefficacia relativa nei confronti del legittimario che abbia agito vittoriosamente in riduzione, il quale, per reintegrare la propria quota di legittima, potrà attingere ai beni oggetto delle disposizioni impugnate fino a concorrenza dei propri diritti.

4. Della rinuncia tacita all’azione di riduzione: brevi note

Nonostante il più importante principio di diritto rinvenibile nella sentenza in commento sia quello riguardante l’istituto di cui all’art. 590 c.c.,  nel caso sottoposto all’attenzione degli ermellini si discuteva non tanto della confermabilità di disposizioni lesive di legittima quanto della rinuncia all’azione di riduzione e in particolare del se nell’aver incardinato un giudizio senza richiedere la riduzione delle disposizioni lesive della legittima, ma solo il riconoscimento dell’efficacia della sostituzione fedecommissaria asseritamente contenuta nella scheda testamentaria e, in subordine, in caso di invalidità del testamento stesso, l’attribuzione della propria quota legittima, procedendo poi all’esercizio dell’azione predetta soltanto in un successivo e separato giudizio, fosse insita un’implicita rinunzia all’azione di riduzione.

Sia quindi concesso spendere in merito qualche parola.

Ad esito dei giudizi di primo e secondo grado la Cassazione, investita della questione, ha ritenuto – a mio avviso in maniera condivisibile – che il non aver sin da subito esperito azione di riduzione non potesse essere interpretato quale implicita rinuncia alla stessa, ma fosse da leggere come una semplice scelta processuale.

La decisione è dotata di intrinseca coerenza logica: l’attribuzione di una quota di d’eredità inferiore alla legittima (al lordo dell’imputazione ex se) è presupposto indispensabile per l’esperimento di un’azione di riduzione, per cui la richiesta dell’attrice in primo grado di attribuzione della quota legale, per poi procedere alla sua esatta quantificazione e alla valutazione circa l’eventuale lesione dei suoi diritti di riserva e quindi all’esperimento, in separata sede, dell’azione di riduzione, lungi dal poter valere come rinuncia all’azione di riduzione, dimostra anzi una certa padronanza della materia successoria ed è dotata di coerenza giuridica e processuale.

Corretta è dunque, a parere di chi scrive, la decisione della Suprema Corte nella parte in cui ha ritenuto che il comportamento processuale di Tizia non integrasse una rinuncia all’azione di riduzione, ma solo una scelta di tipo processuale, con la conseguenza che Seconda, quale sua erede, fosse legittimata a reclamarne in giudizio la quota che la legge le riservava.


Note e riferimenti bibliografici

 


[1] G. FOTI, sub Art. 1423, in Commentario al Codice Civile, Artt. 1343-1469 bis. Contratto in generale, II, Interpretazione, effetti, rappresentanza, simulazione, invalidità, risoluzione, Milano, 2010, 1089.

[2]Per un ulteriore approfondimento sull’istituto di cui all’art. 590 c.c., che non pare opportuno effettuare in questa sede, sia permesso rinviare a L. COLLURA, Dell’applicabilità dell’art. 590 cod. civ. al testamento nuncupativo, in questa Rivista, 2019, 11.

[3] Sulla legittimazione alla conferma vedi, da ultimo, Cass. civ., 15 dicembre 2020, n. 28602, per cui «La legittimazione al negozio di conferma o di convalida, anche sotto forma di esecuzione volontaria, della disposizione testamentaria nulla sussiste solo in capo a chi dall'accertamento giudiziale della invalidità trarrebbe un vantaggio che si sostanzi nel riconoscimento di diritti (o di maggiori diritti) oppure nell'accertamento della inesistenza di determinati obblighi testamentari».

[4] Per tutti v. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Quarta ed., I, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Milano, 2015, 924 e 925, ad avviso del quale sarebbe «contrario al sistema ritenere non confermabile la disposizione testamentarie annullabile, a parte l’evidente assurdità di ammettere la conferma solo per i vizi più gravi che danno luogo alla nullità».

[5] C. CARBONE, Formulario notarile commentato, Notariato e atti notarili, atti mortis causa e atti tra vivi, Milano, 2016, 770; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, IX ed. agg., Milano, 2018, 377 e 378; G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954, 210 ss.; G. CIAN e A. TRABUCCHI, sub Art. 590, in Commentario Breve al Codice Civile, Dodicesima ed., a cura di G. Cian, Milano, 2016, 628; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 915 e 916; in giurisprudenza Cass. 19 aprile 1956, n. 1192; Cass. 24 aprile 1965, n. 719: «L’art. 590 […] è dettato al fine di salvaguardare, in quanto possibile, con particolare riguardo al “favor testamenti”, la volontà del defunto»; Cass. 9 ottobre 1972, n. 2958.

[6] G. GABRIELLI, L’oggetto della conferma ex art. 590 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, II, 1429; G. AZZARITI, Successione dei legittimari e successioni dei legittimi, in Giur. sist., diretta da W. Bigiavi, Torino, s.d., ma 1997, III ed., a cura di A. Iannaccone, 293; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, IV ed., Milano, 2000, 337; A. NATALE, La rinunzia a diritti ereditarii: formalismo e revocabilità, in Fam. pers. succ., 2007, 328; 657; G. F. BASINI, Commento all’art. 590 c.c., in Cod. comm. succ. e don., a cura di G. Bonilini e M. Confortini, Torino, s.d., ma 2011, II ed., 563 ss.

[7] Cass. civ., 7 maggio 1987, n. 4230; Cass. civ., 4 agosto 1995, n. 8611; Cass. civ., 28 marzo 1997, n. 2773; Cass. civ., 20 gennaio 2009, n. 1373; Cass. civ., 21 maggio 2012, n. 8001; Cass. civ., 5 gennaio 2018, n. 168, in Fam. e dir., 2018, 8-9, 757 ss., con nota di F. MASTROBERARDINO, Rimedî alla lesione della quota di legittima tra esecuzione volontaria e rinunzia all’azione di riduzione: «La conferma delle disposizioni testamentarie o la volontaria esecuzione di esse non opera rispetto a quelle lesive della legittima, in quanto gli effetti convalidativi di cui all’art. 590 c.c. si riferiscono alle sole disposizioni testamentarie nulle: ne deriva che in dette ipotesi non è preclusa al legittimario l’azione di riduzione, salvo che egli non abbia manifestato in modo non equivoco la volontà di rinunciare a far valere la lesione mediante un comportamento concludente incompatibile con la stessa».

[8] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 524; D. BARBERO, Sistema istituzionale di diritto privato italiano, Torino, 1965, 1032.

[9] Cass. civ., 23 febbraio 1978, n. 9054; Cass. civ., 30 luglio 2002, n. 11286; Cass. civ., 27 ottobre 2008, n. 25834, la quale precisa che gli atti di liberalità soggetti a riduzione non sono affetti da nullità o annullabilità ma sono validi, anche se suscettibili di essere resi inoperanti attraverso l’azione di riduzione.