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Pubbl. Gio, 12 Nov 2015

Le vicende espropriative indirette. Normativa e giurisprudenza dall’accessione invertita all’acquisizione sanante.

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Valeria Lucia


La Corte Costituzionale, con sentenza n. 71 del 30 aprile 2015, si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 42-bis T.U. Espropriazioni, sollevata dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con ordinanza del 13 gennaio 2014, ritenendo che la stessa persegua egualmente il risultato non consentito di rendere l´ingerenza illecita nella proprietà privata una alternativa ad un´espropriazione svolta secondo i canoni di legge.


La sollevata questione di legittimità costituzionale fa riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; art.1 del Primo Protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

E’ bene evidenziare da subito l’importanza della questione di legittimità costituzionale sollevata, poiché ove l'art. 42-bis, per i consistenti dubbi di compatibilità con il dettato costituzionale, venisse espunto dall'ordinamento, i ricorrenti fruirebbero del trattamento, risultante dalla disciplina previgente all'emanazione delle disposizioni impugnate, per loro piu' favorevole e consistente nella restituzione dell'immobile soggetto ad occupazione in radice illegittima, ed al risarcimento del danno informato ai principi generali dell'art. 2043 c.c.

La regola al vaglio della Consulta rappresenta l’ultima tappa ordinamentale in materia di espropriazioni indirette, le cui fasi sono ormai bene note, ma altrettanto farraginose.

E’ con una pronuncia degli anni ’80 della Suprema Corte che è stato introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della accessione invertita, in netta contrapposizione rispetto all’art. 938 c.c. L’istituto introdotto, infatti, rappresenta un modo particolare di acquisto della proprietà da parte della P.A., qualora avesse irrimediabilmente trasformato la destinazione del fondo privato. A fronte di ciò, spettava al privato un indennizzo da parte della P.A., con lo schema della espropriazione ordinaria e la giurisdizione del giudice amministrativo.

Successivamente subentra la necessità, in una fase preliminare ed autonoma rispetto al procedimento espropriativo, di adozione di una valida dichiarazione di pubblica utilità, quale atto manifestante l’interesse pubblico all’acquisizione, seppur in via indiretta. Grazie a questo ulteriore elemento richiesto è stato possibile passare dalla accessione invertita al fenomeno della occupazione acquisitiva. L’assenza della dichiarazione di pubblica utilità, invece, determinava una occupazione sine titulo, a carattere usurpativo, incapace di degradare la posizione del privato, tale per cui il quest’ultimo manteneva il diritto alla restituzione del bene.

Stante la molteplicità di comportamenti attuabili da parte della Pubblica Amministrazione, la giurisprudenza di legittimità chiarisce che la perdita del bene da parte del privato, pertanto, non è conseguenza automatica di un qualsiasi contegno amministrativo, ma solo di quei comportamenti idonei a determinare l’impossibilità giuridica di continuare ad utilizzare il bene in conformità con la sua precedente destinazione [Cass. S.U. 4 novembre 1996 n. 9521]. L’orientamento dei giudici di legittimità è stato successivamente riscontrato anche in numerose pronunce del giudice amministrativo ed avallato dalla Corte Costituzionale, che ha ritenuto l’istituto pienamente conforme al dettato costituzionale, soprattutto rispetto all’art. 42 Cost., relativamente alla funzione sociale della proprietà. [ex multis C.d.S., Ad. Plen., n. 4 del 2005; Corte Cost. n. 188 del 1995]

Nonostante l’avallo da parte delle giurisdizioni superiori e della Corte Costituzionale, è l’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, CorteEDU, a qualificare per la prima volta il sistema espropriativo italiano, nella sua forma indiretta, come fortemente lesivo dell’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, sull’equo processo, nonché l’art.1 del Protocollo Addizionale, relativamente alla protezione della proprietà, quale istituto giuridico contrario ai principi di legalità, certezza del diritto ed effettività della tutela giurisdizionale, nonché lesivo del diritto di proprietà. [caso Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia del 30 maggio 2000; caso Carbonara e Ventura c. Italia 20 maggio 2000].

A seguito delle aspre considerazioni a livello europeo, non potendo il Legislatore nazionale disattendere tali richieste, nel 2001 ha provveduto alla riorganizzazione della materia espropriativa, cercando di smorzare le tensioni causate a livello europeo, con l’emanazione dell’art. 43 T.U. espropriazioni. Con tale disposizione ha fatto ingresso nel sistema espropriativo l’istituto della c.d. acquisizione sanante, per cui la Pubblica Amministrazione che utilizza un bene immobile per scopi di pubblico interesse, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarazione di pubblica utilità, può sanare la situazione contra ius e disporre l’acquisizione al suo patrimonio indisponibile con effetti ex tunc, a condizione dell’avvenuto risarcimento del danno patito al proprietario espropriato.

Nonostante la modifica fosse inizialmente intervenuta per sopire i dibattiti in merito alla disciplina espropriativa nazionale, nuovamente la Corte EDU interveniva nei confronti del Legislatore nazionale, questa volta preceduta dalla Corte Costituzionale, che dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’ art. 43 T.U. Espropriazioni, relativamente all’art. 76 Cost. poiché “l’istituto previsto e disciplinato dalla richiamata norma […] è connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziali.” [Corte Cost. n. 293/2010]

Peraltro, con la sopra citata pronuncia, la Corte Costituzionale rimarcava gli evidenti elementi di incompatibilità presenti tra l’art. 43 T.U. espropriazioni e il diritto convenzionale europeo, con conseguente violazione del principio di legalità e certezza del diritto, sancendo altresì che mai l’acquisizione sanante può rappresentare un’alternativa all’espropriazione validamente adottata.

 

E’ a seguito di tale declaratoria di incostituzionalità dell’art. 43 T.U. Espropriazioni che il Legislatore nazionale ha introdotto l’art. 42bis T.U. Espropriazioni, la cui legittimità costituzionale è oggetto di interesse della Corte Cost., sent. n. 71 del 30 aprile 2015 in commento. La richiamata sentenza definisce l’art. 42bis come “sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma”.

In essa traspare lo sforzo del Legislatore di superare le censure precedentemente mosse alla disciplina resa con l’art. 43. Questi i punti salienti:

-          l’acquisto della proprietà del bene da parte della P.A. avviene ex nunc solo al momento dell’emanazione dell’atto di acquisizione;

-          è previsto un obbligo di motivazione rafforzato, dal quale devono chiaramente trasparire le attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico;

-          relativamente all’indennizzo, in esso rientra non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale, liquidato forfetariamente;

-          è inoltre previsto che il passaggio di proprietà interviene sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute;

-          la nuova disciplina ricomprende indistintamente le ipotesi di occupazione acquisitiva ed usurpativa;

-          per il periodo di occupazione sine titulo è computata una somma forfetariamente determinataa a titolo risarcitorio;

-          manca la reintroduzione della acquisizione per via giudiziale.

Relativamente alla questione di legittimità costituzionale sollevata rispetto all’art. 3 Cost., a parere della Consulta la norma non attribuisce alla P.A. un trattamento privilegiato rispetto alla commissione di un fatto illecito, in quanto la P.A. con l’acquisizione descritta dall’art. 42bis T.U. Espropriazioni, essendo a carattere questa volta non retroattivo, riprenderebbe a muoversi entro il perimetro della legalità amministrativa, meritevole pertanto di tutela privilegiata, fatto salvo il ristoro del pregiudizio patito dal privato proprietario. Essendo il ristoro comprensivo di tutte le voci di danno, patrimoniale e non, non verrebbe nemmeno a perpetrarsi un indennizzo deteriore ma ulteriore rispetto a quello previsto per le ipotesi di espropriazione ordinaria. Inoltre, prosegue la Corte, non sarebbe neppure attendibile la violazione prospettata nei termini di una esposizione perpetua del privato al potere di acquisizione sanante, posto che sono ormai molteplici le soluzioni con cui è permesso al privato di reagire di fronte alle inerzie della P.A.

In riferimento all’art. 24 Cost., la Consulta evidenzia come il diritto di difesa non sia né sacrificato né impedito, trattandosi semplicemente di una ipotesi di conformazione del diritto stesso.

Ulteriore rilievo posto dalle ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale riguarda l’art. 42 Cost., evidenziando come la potestà espropriativa trovi la propria giustificazione nella eccezionalità del fenomeno, qualora siano presenti “motivi di interesse generale”, i quali si palesano con l’adozione di una dichiarazione di pubblica utilità in un fase preliminare rispetto all’espropriazione. A tale obiezione la Consulta replica sostenendo la esclusività dello strumento di cui all’art.42bis, idoneo a valorizzare ancor di più il dettato costituzionale, accentuando la extrema ratio sottesa al rimedio espropriativo.

In ultima analisi, certamente il maggiore sforzo argomentativo è stato richiesto alla Corte in risposta alla presunta violazione dell’art. 117Cost in combinato disposto con l’art. 6 CEDU e l’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale e, infine, rispetto all’art. 111 Cost. Entrambe le questioni sono state dichiarate infondate, ritenendo la Consulta che con l’introduzione dell’art.42bis T.U. Espropriazioni, il Legislatore nazionale sia stato in grado di rimuovere i limiti che la Corte EDU aveva rilevato rispetto alla disciplina precedentemente introdotta ex art. 43 T.U. Espropriazioni. Secondo la Corte Costituzionale, infatti, tale superamento si concretizzerebbe nella efficacia ex nunc del provvedimento, nella necessaria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico alla acquisizione, nonché, nell’incisivo obbligo motivazionale a carico della Pubblica Amministrazione, qualora ritenga di dover procedere all’espropriazione. Non da ultimo, l’importanza della mancata reintroduzione della acquisizione giudiziale, idonea ad eliminare la imprevedibilità del procedimento espropriativo, nei termini in cui era stata criticata dalla Corte EDU. Le questioni sono dichiarate entrambe infondate. Per la Consulta, l’art. 42-bis T.U. Espropriazioni, grazie alle innovazioni sopra richiamate, è idoneo a superare i limiti registrati con l’adozione dell’art. 43 T.U. Espropriazioni.

Rispetto al panorama normativo e giurisprudenziale descritto, ad oggi è certamente secondario fare riferimento agli istituti della occupazione acquisitiva ed usurpativa, essendo ormai indistintamente confluiti nell’istituto della acquisizione sanante. Nonostante il vaglio positivo della Corte Costituzionale, non può non venire in dubbio l’azione della Pubblica Amministrazione in termini di efficienza ed efficacia, non fosse altro che per abbandonare la necessità di ricorrere ad istituti che indirettamente debbano mettere la Pubblica Amministrazione in condizione di soddisfare il pubblico interesse senza interrogarsi su come ottenere i medesimi risultati facendo riferimento alle sole procedure espropriative dirette.