La scissione delle successioni transnazionali: osservazioni sulla sorte delle liberalità del de cuius
Modifica paginaIl contributo ha ad oggetto l´analisi degli effetti giuridici provocati dalla scissione successoria transnazionale come delineata Cass., ss.uu., ud. 26 gennaio 2021, dep. 5 febbraio 2021, n.2867. L´autore, attraverso una disamina di alcuni istituti di diritto internazionale privato, si sofferma sulle ripercussioni derivanti dall´applicazione della tutela dei legittimari in occasione della frammentazione dello statuto successorio, interrogandosi in particolare sulla sorte degli atti di liberalità posti in essere dal de cuius alla luce dell´esperibilità dell´azione di riduzione e restituzione da parte dei ”riservatari”, evidenziando le incoerenze sistematiche derivanti dalla deroga al principio di unità ed universalità della successione.
The splitting of transnational successions, observations on the fate of the liberality of the deceased
The paper concerns the analysis of the legal effects caused by the transnational succession split as outlined by the United Sections of the Cass., ss.uu., ud. 26 gennaio 2021, dep. 5 febbraio 2021, n.2867. The author, through an examination of some institutes of private international law, focuses on the repercussions deriving from the application of the protection of legitimates on the occasion of the fragmentation of succession´s statute, wondering in particular on the fate of the acts of donation put in place by the deceased as a result of the availability of the reduction and restitution action by ”legitmates”, highlighting the systematic inconsistencies deriving from the derogation from the principle of unity and universality of succession.Sommario: 1. La deroga ai principi di unità ed universalità della legge applicabile alle successioni transnazionali, la rinnovata posizione della Corte di legittimità; 2. La disciplina delle successioni per causa di morte secondo le disposizioni di diritto internazionale privato italiano; 3. L’impatto della scissione successoria sulla tutela dei legittimari nell’ordinamento italiano: il calcolo delle quote di riserva; 3.2 Segue: lesione dei legittimari, effetti dell’azione di riduzione e oggetto della collazione secondo la scissione successoria; 4. Conclusioni. Le incoerenze sistematiche della deroga all’unità della lex successionis: il ruolo dirimente dell’ordine pubblico (internazionale?).
1. La deroga ai principi di unità ed universalità della legge applicabile alle successioni transnazionali, la rinnovata posizione della Corte di legittimità
Con la sentenza n. 2867 del 5 febbraio 2021[1], la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata sui principi di unità e universalità della legge applicabile alle successioni transnazionali elaborando, in materia un rinnovato orientamento in base al quale il nostro ordinamento riconosce cittadinanza giuridica alla scissione dello statuto successorio. Secondo i giudici – chiamati a risolvere una controversia avente ad oggetto la devoluzione di un’eredità transfrontaliera, disciplinata ratione temporis dalla L. 218/1995 – per effetto del combinato disposto degli artt. 13 e 46 della medesima, qualora una successione presenti elementi di estraneità che la colleghino ad un ordinamento straniero, essa potrebbe essere disciplinata da legislazioni di diversi ordinamenti nazionali. Ammettendo in tal modo la deroga ai principi di unità e universalità della lex successionis[2], che caratterizzano l’ordinamento giuridico italiano e che paiono esser presenti anche nelle vigenti norme di conflitto[3].
Più nello specifico gli ermellini, all’esito di un excursus interpretativo che vede protagonista il meccanismo del rinvio, concludono che: «[…]Allorché la legge nazionale che regola la successione transnazionale, ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 46, sottopone i beni mobili alla legge del domicilio del de cuius e rinvia indietro alla legge italiana, come consentito dalla L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 1, lett. b), per la disciplina dei beni immobili compresi nell’eredità, si verifica l’apertura di due successioni e la formazione di due distinte masse, ognuna assoggettata a differenti regole di vocazione e di delazione, ovvero a diverse leggi che verificano la validità e l’efficacia del titolo successorio (anche, nella specie, con riguardo ai presupposti, alle cause, ai modi ed agli effetti della revoca del testamento), individuano gli eredi, determinano l’entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità ed apprestano l’eventuale tutela dei legittimari».
Secondo il dictum giudiziale quindi, l’operatività delle predette norme può comportare una vera e propria “frammentazione” del fenomeno successorio che determina non solo lo smembramento del patrimonio del de cuius in (due, o a seconda dei casi, più) masse patrimoniali distinte e sottoposte a regole sostanziali e processuali di due diversi ordinamenti nazionali, ma altresì la totale incomunicabilità delle due successioni così formate[4].
Così opinando le toghe oltre ad ammettere l’applicabilità di più leggi alla medesima successione, si spingono ad affermare che in alcune circostanze l’operatività delle disposizioni di diritto internazionale privato può originare per il medesimo de cuius due successioni indipendenti tra loro provocando la cosiddetta scissione dello statuto successorio[5].
Considerata la situazione di diritto delineata dall’intervento giurisprudenziale de quo, il presente contributo ha l’obiettivo di analizzare la concreta applicazione del principio fissato dalla sentenza interrogandosi sugli effetti sostanziali della scissione successoria sulle modalità di calcolo delle quote dei legittimari e sulla disciplina avente ad oggetto la loro tutela; problemi che, come si vedrà infra, possono ripresentarsi anche in successioni transfrontaliere regolate dalla normativa comunitaria.
Soffermandoci inoltre sulle conseguenze derivanti dell’esperimento dell’azione di riduzione rispetto agli atti di liberalità effettuati in vita dal de cuius, si avrà modo di mettere in evidenza l’irragionevolezza dei risultati ai quali può condurre l’applicazione pratica del principio di diritto fissato dalla Corte di legittimità.
2. La disciplina delle successioni per causa di morte secondo le disposizioni di diritto internazionale privato italiano
Ogni qual volta il giurista o l’operatore del diritto – come nel caso in esame – siano alle prese con una fattispecie che presenti elementi di estraneità, il primo nodo da sciogliere è quello relativo all’ l’individuazione del diritto ad essa applicabile.
Tale adempimento viene eseguito tenendo conto dei cd. criteri di collegamento[6] che, oltre ad essere un elemento essenziale della norma di conflitto, costituiscono il «mezzo tecnico»[7] attraverso il quale le disposizioni di diritto internazionale individuano il diritto applicabile al caso di specie, che può coincidere con la legge interna oppure con la legge di un altro ordinamento giuridico con cui la fattispecie risulti avere un legame più significativo.
Per ciò che concerne i fenomeni successori transfrontalieri, la vigente normativa di conflitto è rappresentata dal Reg. UE 4 luglio 2012, n. 650 che regola tutte le successioni mortis causa aperte sul territorio di uno degli Stati membri a decorrere dal 17 agosto 2015, anche in caso di de cuius extracomunitario.
La normativa europea ha determinato l’automatica disattivazione delle disposizioni di diritto internazionale privato dettate ex l. 31 maggio 1995, n. 218 in materia successoria[8].
Ciononostante il caso al vaglio della Corte, concernendo una successione apertasi anteriormente al suddetto termine risulta ratione temporis sottoposto al superato art. 46 ex l. 218/95 in base al quale i giudici hanno stabilito che il diritto applicabile alla fattispecie è quello vigente in Inghilterra, Stato del domicile del de cuius al momento del decesso.
È però doveroso precisare che l’applicabilità della vecchia disciplina non confina nel passato i problemi affrontati dai giudici; come sostenuto da autorevole dottrina[9] infatti le medesime questioni potrebbero ripresentarsi «mutatis mutandis» anche in fattispecie sottoposte alla disciplina comunitaria a seguito dell’operatività del rinvio disciplinato dall’art. 34 del Reg. UE 650/2012[10].
A seguito di tale operazione, le disposizioni di diritto internazionale privato non esauriscono la loro funzione, in quanto l’applicazione della legge[11] così individuata può a sua volta determinare un rinvio alle fonti normative di un altro Stato, che, a seconda dei casi, può essere lo Stato di partenza – in cui si è manifestata la fattispecie transfrontaliera – oppure un terzo Stato; ipotesi rispettivamente definite di “rinvio indietro” e “rinvio oltre” o “altrove”[12].
In dettaglio, al manifestarsi della prima ipotesi di rinvio l’operatività del meccanismo è ammessa in ogni caso in quanto favorisce l’applicazione della legge italiana; per effetto del rinvio oltre, invece, ai sensi dell’art. 13 delle norme di d.i.p., l’applicazione del diritto del terzo ordinamento giuridico richiamato è ammessa solo ove lo Stato di riferimento «accetti il rinvio», non richiamando a sua volta l’applicazione della legge di un altro paese. Il “rinvio altrove” è quindi ammesso nei limiti in cui determini la fissazione in modo definitivo della legge applicabile alla fattispecie.
Orbene, la successione transfrontaliera esaminata dalla Corte dà vita ad un’ipotesi di rinvio indietro “parziale”: per effetto della legge inglese infatti una sola parte del patrimonio (rectius: successione) del de cuius – rappresentata dall’insieme dei beni mobili – può essere sottoposta al diritto materiale anglosassone; la restante massa patrimoniale – composta dai beni immobili – va invece regolata secondo la lex rei sitae, richiamata con un rinvio indietro.
Inoltre secondo l’orientamento formulato dai giudici il rinvio (parziale) operante nella fattispecie non determina una semplice ipotesi di concorrenza di due diverse legislazioni sulla medesima successione; l’applicazione delle norme di conflitto ha invero un impatto molto più dirompente per la successione transfrontaliera che subisce una “scissione” giuridica e materiale ad esito della quale al medesimo de cuius sono riferibili due successioni distinte e separate, ognuna regolata da proprie regole formali, sostanziali e processuali, fenomeno che in verità sembra andare ben oltre un’ ordinaria forma di depéçage[13].
L’impostazione giurisprudenziale pur sembrando coerente con l’impianto e la ratio dell’ordinamento internazional-privatistico è tuttavia – secondo il pensiero di autorevole dottrina[14] – costruita sul travisamento dell’operatività dell’istituto del rinvio; ed è proprio tale “svista” a rappresentare l’origine di soluzioni applicative foriere di potenziali violazioni di alcuni principi generali dell’ordinamento positivo.
Si rammenta infatti che allorquando sia richiamata l’applicazione di una legge straniera, quest’ultima ricomprende le disposizioni di conflitto “autoctone”, pertanto, se sulla base delle medesime, l’ordinamento straniero richiamato sottopone la fattispecie al diritto dello stato di partenza non si verifica tecnicamente un doppio rinvio[15]. La fattispecie è in tale ipotesi regolata dalla sola legge oggetto di richiamo, quindi il ricorso al diritto italiano per la regolamentazione di taluni aspetti deve essere inteso come una naturale modalità operativa dell’unica legge applicabile alla successione.
Nel panorama delle vicende successorie transfrontaliere, altra questione di rilievo da affrontare è quella relativa alla tutela dei legittimari richiamata dalla clausola di cui all’ art. 46 co. 2, ex l. 218/1995.
Tale disposizione ha lo scopo di salvaguardare i diritti riservati ai legittimari del de cuius, cittadino italiano, che attraverso una professio iuris[16], ricorrendone i presupposti, decida di sottoporre la propria successione al diritto materiale di un ordinamento diverso da quello italiano. In effetti nonostante la facoltà di scelta riconosciuta al testatore sulla propria successione, il legislatore si è preoccupato di tutelare le prerogative dei cd. riservatari.
Sebbene la ratio antielusiva che sottende la disposizione sia chiara, non altrettanto limpida sembra esserne la natura giuridica ed il quantum della limitazione. Ci si è domandati infatti se – in presenza di diritti dei legittimari – la successione sia totalmente sottratta alla legge straniera scelta dal de cuius oppure quest’ultima sia applicabile nella misura in cui non vengano lese le disposizioni riguardanti la quota indisponibile.
A tal proposito vi è da segnalare che mentre la giurisprudenza[17] e una corrente di pensiero dottrinale[18] hanno a lungo considerato la tutela dei legittimari espressione dell’ordine pubblico, altra dottrina[19] ha invece qualificato tali disposizioni come norme di applicazione necessaria.
Le due qualificazioni, sussumibili rispettivamente sub artt. 16 e 17 ex l. 218/1995, nonostante la diversità giuridica, sortirebbero entrambe l’effetto di escludere l’applicazione della legge straniera all’intera successione[20].
Di diverso avviso è invece una dottrina[21] intermedia la quale, in aderenza alla giurisprudenza più recente e ormai maggioritaria, considera eccessivo l’inquadramento sopra proposto[22] e ritiene che le norme poste a tutela dei legittimari abbiano natura inderogabile solo sul piano interno. Esse pertanto pur essendo indisponibili alle parti non costituiscono un ostacolo alla totale operatività della legge straniera oggetto dell’optio legis.
In tal caso il giudice sarà chiamato al coordinamento della disciplina straniera applicabile alla successione per effetto della professio iuris, con la disciplina interna posta a tutela dei legittimari senza subordinare l’intera successione alla legge italiana.
Si verificherebbe così un’ipotesi di depéçage successorio e la concorrenza di due leggi regolatrici: quella straniera applicata in generale alla fattispecie per l’operare delle disposizioni di d.i.p., e la legge italiana, impiegata esclusivamente per tutelare la posizione degli eredi necessari, in deroga al principio di unità della legge applicabile alla successione.
Ebbene, considerando che la protezione dei legittimari assicurata dal diritto italiano non può pregiudicare l’applicazione della legge straniera, va ora analizzata la portata degli effetti applicativi della successione necessaria in relazione alle vicende che hanno interessato il patrimonio del de cuius prima della sua dipartita nella specifica ipotesi di “scissione” successoria delineata dalle Sezioni Unite, tenendo conto del fatto che, come detto, i fenomeni analizzati possono coinvolgere anche le successioni transfrontaliere sottoposte al Reg. UE 650/2012.
3. L’impatto della scissione successoria sulla tutela dei legittimari nell’ordinamento italiano: il calcolo delle quote di riserva
Come noto, l’ordinamento italiano appartiene a quella grande famiglia di sistemi giuridici[23] che, in materia successoria, riconosce al coniuge ed ai parenti più prossimi al de cuius altrimenti definiti “legittimari” un trattamento di favore, riservando loro una quota di eredità o altri diritti[24] relativi al patrimonio del defunto.
Quota di eredità[25] detta anche “indisponibile” proprio in ragione dell’impossibilità per il medesimo ereditando di disporre in favore di soggetti diversi dai legittimari di tale porzione del suo patrimonio[26].
Nella categoria dei legittimari rientrano ex art. 536 cod. civ., secondo ordini e regole diverse, il coniuge[27], i figli e gli ascendenti del defunto.
Sul piano quantitativo, l’ammontare della quota di riserva ad essi spettante è determinato in proporzione al patrimonio “riunito” del de cuius, calcolato secondo le regole dettate dall’art. 556 cod. civ. che dispone la cd. riunione fittizia delle sostanze patrimoniali del defunto.
Detta operazione va condotta – secondo la formula (relictum-debita)+donatum[28] – partendo in primo luogo dal computo del patrimonio lasciato dal de cuius all’apertura della successione al quale, dopo essere sottratto il valore dei debiti ereditari, si aggiunge il valore di tutte le liberalità (collazionabili ed imputabili)[29] effettuate in vita dal de cuius.
Così fissata la base di calcolo, su di essa vengono poi determinate le quote dei legittimari, che, nel loro complesso, non possono mai ammontare ad un valore superiore ai ¾ del patrimonio riunito; evincendosi da ciò che all’ereditando è sempre garantita la disponibilità di almeno ¼ di tutte le proprie sostanze[30].
Ebbene, considerata l’inderogabilità di tale modus procedendi, ci si chiede ora quali siano le conseguenze che la prassi si trova ad affrontare quando è chiamata all’applicazione della citata disciplina codicistica nel caso di una successione scissa secondo i parametri dettati dalle Sezioni Unite.
In concreto, seguendo il ragionamento caratterizzante l’iter motivazionale della pronuncia, l’operatore di diritto, accertatosi che una successione transnazionale, secondo le norme di conflitto, è disciplinata alla legislazione di due diversi ordinamenti la cui applicazione determina la frammentazione sostanziale e giuridica del patrimonio del de cuius in più masse patrimoniali oggetto di «distinte successioni», deve abbandonare il meccanismo del tradizionale depéçage in base al quale si verificherebbe un fenomeno di mera concorrenza di diverse leggi nazionali sulla medesima trasmissione mortis causa dell’unica massa patrimoniale del defunto.
Di fatto, corollario della scissione dello statuto successorio, come espressamente precisato dalla Corte, è l’autonomia della regolamentazione delle due successioni e la nascita di un “doppio binario” governato dal principio di incomunicabilità delle due masse patrimoniali.
Con riferimento quindi alle operazioni di calcolo supra richiamate, qualora di debba tener conto della prospettata indipendenza della successione italiana da quella straniera, si desume che nella determinazione della quota di eredità riservata ai legittimari saranno compresi i soli beni appartenenti alla massa successoria regolata dalla lex rei sitae, con esclusione di tutto ciò che è devoluto secondo la normativa straniera.
Alla fine di tale procedimento mentre il relictum risulterebbe costituito in via esclusiva dal compendio patrimoniale sito in Italia, nulla dovrebbe cambiare in riferimento al calcolo del cd. donatum che, avendo ad oggetto operazioni aventi titolo diverso dalla devoluzione mortis causa, non sembra essere interessato in alcun modo dalla scissione successoria[31].
Appare evidente come l’impostazione seguita dai giudici calata nella prassi operativa è foriera di conseguenze che – come si vedrà in appresso – danno il via ad un effetto domino il cui risultato finale è la potenziale violazione di principi generali dell’ordinamento gius-privatistico italiano.
3.2 Segue: lesione dei legittimari, effetti dell’azione di riduzione e oggetto della collazione secondo la scissione successoria
Per avere contezza dell’impatto della deroga ai principi di unicità e universalità della lex successionis sul sistema successorio e contrattualistico italiano, è doveroso partire da una sommaria disamina degli effetti reali caratteristici dei mezzi di tutela apprestati dall’ordinamento italiano ai legittimari lesi o pretermessi[32].
All’apertura della successione, una volta determinata la quota di riserva spettante ad ogni singolo legittimario, ci si preoccupa solitamente di verificare se e come il riservatario sia stato soddisfatto[33]; ai fini di tale accertamento per il riempimento della quota di legittima si tiene conto di quanto ricevuto dal legittimario mortis causa e delle liberalità inter vivos di cui è stato beneficiato dal de cuius; attribuzioni liberali che, eccetto i casi in cui vi sia stata dispensa, sono imputate alla quota di legittima secondo il loro valore (venale)[34] all’apertura della successione[35].
In tal modo il legislatore riconosce alle liberalità elargite dall’ereditando ai suoi legittimari una funzione anticipatoria[36] dell’attribuzione successoria ai medesimi spettante ex lege.
Ciò considerato, se all’esito di tale attività di imputazione il riservatario si ritrovi ad aver subìto una lesione quantitativa, è legittimato ad agire in giudizio al fine di reintegrare quanto ad egli spettante ex lege.
Come noto, il rimedio esperibile dal legittimario leso è l’esercizio dell’azione di riduzione[37], azione diretta a ridurre proporzionalmente ogni attribuzione fatta dal de cuius per spirito di liberalità, sia essa mortis causa o inter vivos.
Ebbene, volgendo l’attenzione al petitum ed agli effetti dell’azione in parola, va evidenziata la minuzia della disciplina in relazione alle modalità e all’ordine tassativo secondo cui vanno ridotte le disposizioni lesive della quota di riserva. La ratio di tale specificità sta nella volontà di preservare la stabilità degli atti di disposizione patrimoniale e di garantire l’irrevocabilità della volontà contrattuale.
Nel dettaglio con gli artt. 553 e ss. cod. civ. il legislatore ha fissato un ordine in base al quale le donazioni «non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento» e, qualora il de cuius abbia disposto del proprio patrimonio con più atti di donazione, esse «si riducono cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori». La tassatività normativa mira ad evitare che il testatore, a mezzo del negozio testamentario, eluda arbitrariamente il principio di irrevocabilità delle donazioni.
Riprendendo ora la fattispecie oggetto della pronuncia in commento, dal combinato disposto del principio di separazione delle successioni fissato dalla Corte con l’applicazione delle norme appena analizzate, prendono vita conseguenze operative ricche di contraddizioni sistematiche.
In primo luogo va segnalato il decremento effettivo della base di calcolo delle quote spettanti ai legittimari che vengono computate su un patrimonio diviso[38] piuttosto che riunito[39]. La seconda criticità consiste invece nella non improbabile ipotesi di una lesione “in astratto” della riserva di qualche legittimario, non corrispondente ad una diminuzione patrimoniale effettiva.[40]
In effetti il legittimario “leso” per la legge italiana potrebbe essere stato soddisfatto delle proprie ragioni con attribuzioni derivanti dalla successione straniera, attribuzioni che – secondo il citato principio di incomunicabilità – non possono essere prese in considerazione ai fini della devoluzione del patrimonio relitto secondo la lex rei sitae.
Ma v’è di più, in ossequio alla netta separazione delle successioni delineata dalle Sezioni Unite, il riservatario, leso solo secondo la legge interna, è legittimato ad agire in riduzione contro i beneficiari della massa “italiana”; egli pertanto oltre a poter rendere inefficaci le disposizioni testamentarie lesive della legittima, in ipotesi di incapienza, potrà aggredire le donazioni elargite in vita dal de cuius.
È possibile quindi riscontrare che le conseguenze applicative di una scissione dello statuto successorio che non sia aperta ad alcun tipo di comunicazione tra le due masse possono mettere a rischio la coerenza sistematica dell’assetto ordinamentale interno: di fatto l’esclusione dei beni facenti parte della successione straniera potrebbe determinare un’inammissibile compressione quantitativa della quota disponibile del de cuius, traducendosi de iure in una significativa violazione della libertà testamentaria; inoltre l’immediato effetto di tale compressione – come detto – sarebbe la riducibilità delle liberalità fatte dal de cuius.
Tale ultima conseguenza sembra essere quella che presenta il maggior vulnus giuridico; non va infatti trascurato che il vittorioso esperimento dell’azione di riduzione costituisce la causa principale dell’instabilità degli acquisti aventi provenienza donativa. Pertanto con la scissione delle successioni si riconoscerebbe in capo al legittimario il diritto di ridurre (contr)atti di donazione ordinariamente non aggredibili.
Da ultimo va sottolineato che un ricalcolo della quota di legittima dettato dalla esclusione della massa di beni appartenente alla successione straniera potrebbe impingere il divieto di cui all’art. 549 cod. civ. anche in assenza di effettivi presupposti di fatto[41].
Ulteriore interrogativo sollevato dall’impostazione giudiziale concerne la determinazione dell’oggetto della collazione[42].
Vi è da chiedersi infatti se il notaio incaricato di procedere alla divisione della comunione ereditaria avente ad oggetto la massa di beni regolata dalla legge italiana, nell’attività di calcolo della massa comune debba considerare ai sensi degli artt. 737 e ss. cod. civ. oggetto di collazione anche i beni ricevuti dai condividenti per effetto della devoluzione della successione della massa regolata dalla legge straniera.
Sul punto l’art. 737 cod. civ., prevedendo che «i figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati», sembra riferirsi espressamente alle liberalità inter vivos ricevute dai condividenti e non anche alle attribuzioni mortis causa.
Risulta evidente che tale disposizione sia stata redatta ritenendo “unico” il compendio ereditario da dividere, in ossequio al principio di unità della delazione e più in generale del fenomeno successorio, il legislatore non ha quindi prospettato l’ipotesi di un’eventuale scissione della successione, e della conseguente duplicità di masse da dividere o di delazioni.
Si aggiunga inoltre che la qualificazione dei beni ricevuti in forza della successione straniera come liberalità del defunto, sarebbe un’operazione ermeneutica priva di un valido fondamento giuridico il cui effetto risulterebbe in controtendenza con quanto stabilito dalle toghe: la cd. metaforica “finestra” da cui far rientrare ciò che la sentenza delle Sezioni Unite ha fatto uscire dalla “porta” della «scissione» successoria.
4. Conclusioni. Le incoerenze sistematiche della deroga all’unità della lex successionis: il ruolo dirimente dell’ordine pubblico (internazionale?)
Come visto fin’ ora la deroga ai principi di unità ed universalità della successione alle prese con la prassi operativa dà vita a fenomeni incongruenti con diversi principi ispiratori dell’ordinamento giuridico italiano, che fanno sorgere non pochi dubbi riguardo la sua piena applicabilità.
In particolare è la disciplina relativa alla tutela dei legittimari che, quando viene applicata alla successione italiana, genera un “effetto domino” che travolge non solo il patrimonio relitto, ma anche il donatum del de cuius e mette – di riflesso – in discussione interessi e diritti di soggetti estranei al fenomeno successorio, che in una situazione puramente interna sarebbero esposti a situazioni quanto meno prevedibili.
Di sicuro, l’effetto collaterale maggiormente preoccupante è rappresentato dalla violazione del principio di irrevocabilità della donazione e dall’ instabilità degli acquisti aventi ad oggetto beni immobili di provenienza donativa, che ne deriva.
Instabilità provocata dalla possibilità – per l’attore che ha esperito vittoriosamente l’azione di riduzione – di agire contro gli aventi causa dai donatari ridotti con un’azione recuperatoria ad effetti reali, retroattivi e purgativi, che consente al legittimario di ottenere la piena e libera proprietà dei beni immobili donati dal de cuius[43] ex art. 561 cod. civ. infatti «gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso di cui il donatario o il legatario può averli gravati[…]».
Per tale ordine di ragioni appare evidente l’utilità di un intervento ermeneutico che conferisca maggior coerenza all’impostazione giurisprudenziale e tenda al superamento delle problematiche evidenziate.
Per ciò che invece concerne il pericolo di compressione della quota disponibile, che costituisce il prius logico dei prospettati problemi applicativi, una soluzione utile a riequilibrare le posizioni lese dall’applicazione del principio di autonomia normativa delle successioni scisse potrebbe essere individuata proprio nella disciplina dell’azione di riduzione.
L’art. 564 cod. civ. infatti annovera tra le condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione, l’obbligo per il legittimario-attore di imputare alla sua porzione «i legati a lui fatti».
Orbene, un’interpretazione estensiva della disposizione che ritenga sussumibili nella fattispecie le attribuzioni mortis causa derivanti dalla successione “straniera”, permetterebbe l’adozione di una soluzione perequativa che in concreto obblighi il legittimario che agisce in riduzione a tener conto di quanto già ricevuto in occasione della successione scissa, regolata dalla legge straniera. Tale soluzione, seppur coerente con la ratio legis che anima la disposizione normativa è tuttavia esposta a censure di carattere qualificatorio, sembra infatti azzardato classificare in modo indiscriminato come legato o – più in generale – come attribuzione a titolo particolare, quanto pervenuto al successore dalla massa “straniera” anche a titolo di eredità, o secondo altre fonti attributive aventi causa nella lex successionis estera.
Dalle implicazioni emerse dall’analisi fin’ ora condotta sembra opportuno evidenziare la totale distonia della decisione della Corte con una serie di orientamenti, anche di carattere legislativo, che, nel corso degli ultimi decenni, hanno attraversato e continuano ad interessare il sistema successorio italiano e non solo[44].
Tali orientamenti seguono una direzione “antipodica” a quella percorsa dalla Corte con la sentenza de qua, in quanto inclini da un lato, a ridimensionare la tutela dei legittimari, e dall’altro a garantire la maggiore stabilità possibile dei trasferimenti immobiliari con provenienza donativa.
Tutto ciò ci porta a segnalare – in aderenza a quanto già asserito da altra dottrina[45] – la presenza di ulteriori criticità che interessano la selezione degli argomenti valutativi e l’applicazione delle disposizioni di diritto internazionale privato da parte dei giudici.
Considerando infatti l’effettiva e sproporzionata lesione che la frammentazione successoria può de relato arrecare a diritti quesiti in modo stabile da soggetti estranei alla successione, vi è da chiedersi se la loro tutela possa rappresentare in punto di diritto una violazione dell’ordine pubblico il cui operare possa impedire l’ingresso[46] nell’ordinamento italiano di una deroga così netta al principio di unicità della successione.
Sul tema è bene precisare che quando l’art. 16 della l. 218/1995 dispone il limite dell’ordine pubblico all’applicazione della legge straniera, si riferisce all’ordine pubblico internazionale che va distinto da quello interno[47]; nel nostro caso – va ribadito – che oggetto del vaglio di conformità all’ordine pubblico internazionale non è la tutela dei legittimari; il punto infatti è stato già analizzato e risolto in modo negativo dalla migliore dottrina[48] e dalla stessa giurisprudenza[49]; né il rispetto del principio di unità ed universalità della successione[50]; nel ragionamento proposto una violazione dell’ordine pubblico è, a parere di chi scrive, rappresentata dalla deroga all’irrevocabilità postuma (ed unilaterale) di una liberalità e dalla lesione dei diritti acquistati in buona fede dai successivi aventi causa dal donatario che ne consegue, pertanto va valutato se detto assioma giuridico oltre a rappresentare un cardine del diritto privato interno[51], sia altresì espressione di un principio inviolabile generalmente riconosciuto su scala internazionale.
Ebbene seguendo l’impostazione esposta in dottrina[52] la valutazione di cui si discorre va condotta non in astratto ma, secondo gli elementi rintracciabili in concreto, e solo a seguito di un’attività di bilanciamento degli interessi coinvolti[53], impostazione che appare ignorata dai giudici nel caso de quo, che invece emettono una decisione la cui rigidità mal si adatta alla duttilità ed alla relatività del concetto di ordine pubblico internazionale[54].
Tuttavia, nonostante l’accennata relatività[55], per l’interprete esiste un punto di partenza stabile nel processo di valutazione della sussumibilità di un principio nel concetto di ordine pubblico internazionale. Tale punto di partenza è rappresentato dalla distinzione intercorrente tra i principi “tecnici” e i principi “fondamentali” di un ordinamento[56] : mentre i primi non hanno una portata assoluta, corrispondendo a norme che sono espressione di politica legislativa, i secondi costituiscono invece valori identificativi ed irrinunciabili di un ordinamento. Da ciò consegue la rilevanza meramente interna dei primi, eventualmente sacrificabili al cospetto di una legge straniera richiamata dalle norme di conflitto, e l’inderogabilità dei secondi che entrano così a far parte – dandogli forma – del concetto di ordine pubblico internazionale.
Pertanto a parere di chi scrive sembra coerente evidenziare e sostenere che il predetto limite dell’ordine pubblico, nel caso di scissione dello statuto successorio, secondo i rigidi dettami della Corte, possa ritenersi violato ogni qual volta si concretizzino le ipotesi supra analizzate in ragione di un’incompatibilità dei suddetti effetti collaterali con il principio costituzionale di tutela della proprietà privata ex art. 42 Cost., sicuramente sussumibile tra i principi sopra classificati «fondamentali», anche alla luce della protezione assicuratagli con dall’art. 1, prot. 1 CEDU.
Ammettere senza riserve che per effetto di regole successorie straniere sia indirettamente possibile rimettere in discussione gli acquisti effettuati da soggetti estranei al fenomeno successorio, significherebbe conferire al sistema circolatorio della ricchezza un grado di insicurezza giuridica in netto contrasto con il principio di certezza, stabilità delle pattuizioni e tutela della buona fede, determinando un’ingiustificata “mortificazione” della libera esplicazione dell’autonomia privata[57], che assume particolare rilevanza quando ad essere messi in pericolo sono gli scopi sociali costituzionalmente garantiti dall’esercizio della proprietà privata: si pensi al caso statisticamente più probabile in cui un immobile sia destinato ad essere l’abitazione principale di una famiglia o la sede degli affari economici da cui dipende la vita di un’impresa ed il diritto al lavoro dei suoi collaboratori.
[1] Un abstract della sentenza è pubblicato in Vit. Not., Rassegna Europea di Legislazione, Giurisprudenza e Dottrina aggiornata al 25 marzo 2021, a cura di E. CALO', M.T. BATTISTA, 1/2021, pp. 482 e ss.
[2] La crisi dell’unità della successione era già stata prospettata da L. FUMAGALLI, Rinvio e unità della successione nel nuovo diritto internazionale privato italiano, in Studi Capotorti, Milano, 1999, cit. p. 686, il quale commentando la riforma del sistema delle norme di conflitto del ’95 sosteneva che l’art. 46 della l. 218/1995 «finirà per essere interpretat(o) quale conferma dell’attenuazione del principio di universalità, disposta parallelamente all’ammissione del rinvio».
[3] I principi di unità ed universalità della legge applicabile alla successione caratterizzano in particolare alcuni degli ordinamenti di civil law; diversamente i sistemi di common law ammettono la scissione dello statuto successorio.
Le stesse disposizioni di diritto internazionale privato “tendono” ad assicurare l’unicità della successione e l’universalità della legge ad essa applicabile. Già dall’art. 46 ex L. 218/1995 – ormai superato dall’applicazione del Reg. UE 650/2012 – secondo il quale: «La successione a causa di morte è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte. Il soggetto della cui eredità si tratta può sottoporre, con dichiarazione espressa in forma testamentaria, l’intera successione alla legge dello Stato in cui risiede.[…]» era possibile desumere che la cd. optio legis potendo avere ad oggetto solo l’intera successione, sottoponeva la stessa ad un’unica legge regolatrice, ancorché scelta dall’ereditando.
Nella medesima direzione sembra ora dirigersi il Reg. UE 650/2012, il quale stabilendo all’art. 21 che: «Salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento, la legge applicabile all’intera successione è quella dello Stato in cui il defunto aveva la propria residenza abituale al momento della morte. Se, in via eccezionale, dal complesso delle circostanze del caso concreto risulta chiaramente che, al momento della morte, il defunto aveva collegamenti manifestamente più stretti con uno Stato diverso da quello la cui legge sarebbe applicabile ai sensi del paragrafo 1, la legge applicabile alla successione è la legge di tale altro Stato.», ed al successivo art. 22 che: «Una persona può scegliere come legge che regola la sua intera successione la legge dello Stato di cui ha la cittadinanza al momento della scelta o al momento della morte.[…]» fa intendere che, al di là del criterio di scelta, la legge applicabile per effetto dell’ optio legis regola – in ogni caso – l’intera successione.
Tuttavia, in aderenza alla dottrina che si è occupata della questione (L. FUMAGALLI, Rinvio e unità della successione nel nuovo diritto internazionale privato, in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Process., 1997, p. 835, per il quale si tratta di principi a cui non deve riconoscersi portata assoluta; conformemente, anche sul piano delle questioni di giurisdizione E. CALO', Le successioni nel diritto internazionale privato, Padova, 2007, p. 33;) è necessario precisare, che la propensione per l’unità della successione e l’universalità della legge ad essa applicabile rappresenta solo una tendenza delle disposizioni di conflitto che può in concreto – come nel caso sottoposto alla Corte – subire delle deroghe. Con particolare riferimento alla sentenza in commento, si segnala la posizione di R. BARONE, Le Sezioni Unite della Cassazione intervengono su una successione transfontaliere italo-inglese: una decisione ricca di spunti interessanti, in Vit. Not., 1/2022, pp. 1 e ss. il quale commentando le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale alla causa, opinando diversamente sul tema della necessaria unità della devoluzione dell’eredità, sottolinea la necessità di rivedere il principio di unitarietà della successione ove la stessa sia transnazionale.
Deroghe ammissibili per l’operatività del cd. “rinvio”, istituto previsto sia dall’ art. 13 l. 218/1995, sia dall’art. 34 del Reg. UE 650/2012, la cui ratio sarà analizzata nel corso della trattazione.
[4] La Corte, nella motivazione si sofferma in particolare sull’obbligo per il giudice interno di dover considerare le due successioni indipendenti l’una dall’altra, specificando in particolare che «[…]ognuna assoggettata a differenti regole di vocazione e di delazione, ovvero a diverse leggi che verificano la validità e l’efficacia del titolo successorio (anche, nella specie, con riguardo ai presupposti, alle cause, ai modi ed agli effetti della revoca del testamento), individuano gli eredi, determinano l’entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità ed apprestano l’eventuale tutela dei legittimari[…]».
[5] Sulla questione della scissione dello statuto successorio, con particolare riferimento al caso de quo, cfr. D. DAMASCELLI, La Cassazione si esprime su qualificazione e rinvio in materia successoria: un’occasione persa per la messa a fuoco di due questioni generali del diritto internazionale privato, in Fam. e Dir., 12/2021, pp. 1117 e ss.; F. MARONGIU BUONAIUTI, The Law Applicable to Succession, Between Unity and Splitting of the Relevant Legal Regime, The Role of Renvoi, in The Italian Review of International and Comparative law, I/2021 pp. 406 e ss.
Per una panoramica più generale sull’analisi degli ordinamenti scissionisti vds. H. LEWALD, Questions de droit international des successions, in Recueil des Cours, t. 9, 1925, p. 19 ss.; A.E. Von OVERBECK, Divers aspects de l’unification du droit international privé, spécialement en matière de successions, in Recueil des Cours, t. 104, 1961, p. 561 ss.; E. VITTA, Diritto internazionale privato, vol. III, Diritti reali, Successioni e donazioni, Obbligazioni, Torino, 1975, p. 103 ss.; A. GRAHL-MADSEN, Conflict between the Principle of Unitary Succession and the System of Scission, in Int. Comp. Law Quart., 1979, p. 598 ss.; H. LI, Some Recent Developments in the Conflict of Laws of Succession, in Recueil des Cours, vol. 224, 1990, p. 21 ss.; P. PICONE, La legge applicabile alle successioni, in La riforma del diritto internazionale privato e i suoi riflessi sull'attività notarile. Atti del convegno di studi in onore di Mario Marano, Milano, 1991, p. 57 ss.; A. DAVI', Riflessioni sul futuro diritto internazionale privato europeo delle successioni, in Riv. dir. int., 2005, p. 301 ss.; A. DUTTA, Successions and Wills in the Conflict of Laws on the Eve of Europeanisation, in RabelsZ, 2009, p. 554 ss; J. RE, Pianificazione successoria e diritto internazionale privato, Padova, 2020, pp. 27 e ss.
[6] Sui criteri di collegamento vds. A. GIARDUNA, Collegamento (criteri di): dir. int. priv. proc., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1988; M. DECLEVA, I criteri di collegamento complementari e sussidiari nel diritto internazionale privato, Trieste, 1943; S.M. CARBONE, Codificazione e unilateralismo nel diritto internazionale privato, in C. Campiglio (a cura di), Un nuovo diritto internazionale privato, Padova, 2019, pp. 153 e ss; J. RE, in op. cit. pp. 46 e ss.
[7] Così F.P. LOPS, Le successioni per causa di morte, in Quaderni del Notariato n. 10, La condizione di reciprocità – La riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato - Aspetti di interesse notarile, a cura di M. Ieva, Milano, 2001, p. 228.
[8] Il superamento ratione materiae delle disposizioni della l. 218/1995 a seguito dell’entrata in vigore del regolamento UE 650/2012 è pacificamente condiviso dalla dottrina e dalla prassi giuridica. Sul tema cfr. D. DAMASCELLI, Diritto internazionale privato delle successioni a causa di morte, (dalla l. n. 218/1995 al reg. UE n. 650/2012), Milano, 2013; A. DAVI' - A. ZANOBETTI, Il nuovo diritto internazionale privato europeo delle successioni, Torino, 2014; A. BONOMI - P. WAUTELET, Le droit européen des successions 2, Bruxelles, 2016; P. DE CESARI, La successione per causa di morte (art. 46, L. 31.5.1995, n.218) in Codice delle Successioni e Donazioni (a cura) di G. Bonilini – M. Confortini – G. Mariconda, Padova, 2014, pp. 2293 e ss;
[9] L’osservazione è fatta da D. DAMASCELLI, in op. cit., p. 1118, conformemente F. MARONGIU BUONAIUTI, in op. cit. pp. 410-411, e R. BARONE in op. cit. pp. 19 e ss., il quale ricostruisce, una fattispecie analoga a quella oggetto della sentenza de qua ipoteticamente sottoposta alla vigente disciplina comunitaria.
[10] Sul punto cfr. G. CARELLA, Fondamenti di diritto internazionale privato, tra sovranità cooperazione e diritti umani, Torino, 2021, p. 173.
[11]«il nuovo articolo 13 riferendosi invece al sistema di richiamo e di applicazione della norma straniera prevede il rinvio non solo alle norme sostanziali dell’ordinamento richiamato ma anche quello alle norme internazionali privatistiche di quell’ordinamento con tutte le conseguenze del caso, tra cui in particolare, il fenomeno del rinvio, e di conseguenza accoglie il principio sia del rinvio “indietro” alla lex fori sia il rinvio “altrove” purché l’altro ordinamento accetti tale rinvio», F.P. LOPS in op.cit, cit. p. 230.
[12] Per un’analisi completa del meccanismo del rinvio operato dalle norme di conflitto vds. A. DAVI', Le renvoi en droit international privé contemporain, in Recueil des cours, vol. 352, 2012, p. 9 ss.; id., Ancora sulle finalità (e sui diversi modelli) del rinvio nel diritto internazionale privato contemporaneo, in Riv. Int., 2014, pp. 1032-1107; e nella stessa rivista P. PICONE, Ancora sul rinvio “integrale” nel diritto internazionale privato, ivi 2015, pp. 135-147; limitatamente alla disciplina previgente vds. invece E. CALO', in op. cit. pp. 38 e ss; con riferimento alla sentenza in esame cfr. la disamina effettuata sulla questione del rinvio da R. BARONE in op. cit. pp.14 e ss.
[13] Il depéçage, in materia successoria è quel fenomeno di frammentazione volontaria o legale in base al quale sul medesimo statuto successorio concorrono, per volontà del testatore o dell’ordinamento giuridico «scissionista», una pluralità di leggi regolatrici della sorte dei beni del de cuius. La frammentazione in parola però non incide in modo sostanziale sulla successione, che pur essendo sottoposta a più leggi concorrenti non può ritenersi ontologicamente scissa in successioni «distinte». Per un approfondimento ulteriore del fenomeno vds. J. RE, in op. cit. , pp. 241 e ss.
[14] F. MARONGIU BUONAIUTI, in op. cit. p. 406.
[15] Per una disamina del concetto vds. F. MOSCONI, Articolo 13, in F. Pocar - T. Treves - S. M. Carbone - A. Giardina - R. Luzzatto - F. Mosconi - R. Clerici, Commentario, pp. 54 ss.; F. MUNARI, Art. 13, in S. Bariatti (a cura di), Legge 31 maggio 1995, n. 218, pp. 1018 ss.; P. PICONE, La teoria generale del diritto internazionale privato nella legge italiana di riforma della materia, in Riv. dir. int., 1996, 289 ss.; F. POCAR, Il nuovo diritto internazionale privato italiano, Napoli, 2002; T. BALLARINO, Manuale breve di diritto internazionale privato, Padova, 2002; nonché, limitatamente al rinvio indietro, A. BONOMI, La loi applicable aux successions dans le nouveau droit international privé italien et ses implications dans les relations italo-suisses, in Rev. suisse dr. int. eur., 1996, pp. 479 ss., 485 ss.; N. BOSCHIERO, Appunti sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, Torino, 1996.
[16] Ex art. 46 co. 2. L. 31 maggio 1995, n. 218 «il soggetto della cui eredità si tratta può sottoporre, con dichiarazione espressa in forma testamentaria, l’intera successione alla legge dello Stato in cui risiede. La scelta non ha effetto se al momento della morte il dichiarante non risiedeva più in tale Stato.», sulle ricadute applicative dell’istituto cfr. E. CALO', in op . cit. pp. 54 – 55, il quale in modo critico ritiene che «la formulazione legislativa lascia parecchio a desiderare», prevedendo in buona sostanza le disfunzioni di cui si dirà in appresso sui rapporti tra tutela dei legittimari e scissione successoria, che, a dire dell’autore, possono rappresentare «per un cittadino anglosassone, uno scenario apocalittico».
[17] Ex multis cfr. Cass. civ. Sez. Un. 12 ottobre 1970, n. 1941; App. Reggio Calabria, 7 dicembre 1957.
[18] E. VITTA, Diritto internazionale privato, Torino, 1972, p. 132; V.E. CANTELMO, Fondamento e natura dei diritti dei legittimari, Napoli, 1972, p. 470, il cui pensiero seppur manifestato antecedentemente all’introduzione delle disposizioni di cui alla L. 218/1995, ha a lungo giustificato la sussunzione della tutela dei legittimari sub. Art. 16 d.i.p.
[19] P. MENGOZZI, La riforma del diritto internazionale privato italiano, Napoli, 2004, pp. 206 e ss.
[20] Aderendo alla prima impostazione l’operatività dell’art. 16 d.i.p. determinerebbe uno sbarramento ex post all’applicazione della legge straniera voluta dal de cuius. Sbarramento che, come noto, si verifica solo a seguito di un’operazione di bilanciamento effettuata dal giudice della controversia ai fini dell’individuazione del diritto materiale applicabile.
Seguendo invece la seconda impostazione, la norma di applicazione necessaria applicabile ad una fattispecie determina sensi dell’art. 17 d.i.p. un limite ex ante all’ingresso della legge straniera voluta dal de cuius, non richiedendo alcun accertamento o valutazione in concreto.
[21] A. BONOMI, in op. cit., p. 501; P. DE CESARI, Le prospettive di unificazione in materia di diritto internazionale privato delle successioni, in persona e famiglia, a cura di De Cesari, in Ajani-Benacchio Trattato di diritto privato dell’Unione Europea, Torino, 2008; in giurisprudenza cfr. Cass. Civ. 24 giugno 1996, n. 5832 che ha escluso la configurazione della riserva come limite di ordine pubblico poiché l’art. 42 Cost. non fa riferimento alcuno ai legittimari e la loro quota riservata deve considerarsi un limite alla successione modificabile tra l’altro con legge ordinaria dal legislatore, non qualificabile espressione di un diritto fondamentale.
Per ulteriori approfondimenti vds. altresì P. PANICO Conflitto di leggi e riserva ereditaria: la successione di Maurice Jarre, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, vol. 3, nn., pp. 253-258.
[22] Secondo i predetti Autori, e la giurisprudenza supra richiamata, la tutela dei legittimari non può ritenersi ricompresa tra le norme poste a protezione di un interesse pubblico internazionale, né tantomeno di un diritto costituzionalmente garantito.
[23] Nella maggior parte dei paesi di tradizione romano-germanica (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo, Norvegia, Spagna, Svizzera, ecc.) seppur secondo regole diverse, è riservata al coniuge ed ai parenti più vicini al de cuius (figli, discendenti e/o ascendenti) una quota del patrimonio ereditario di cui l’ereditando non può disporre.
Viceversa, nei paesi appartenenti alla famiglia di common law (Regno Unito, e paesi aderenti al Commonwealth) tale limitazione patrimoniale non è contemplata, potendo il de cuius disporre liberamente dei propri beni.
[24] Si pensi ai diritti reali di uso e abitazione riconosciuti dall’art. 540 co. 2 cod. civ. in favore del coniuge superstite sulla casa di proprietà del defunto adibita a residenza familiare, oppure al diritto (indisponibile) al mantenimento, spettante ex art. 580 cod. civ. ai figli del de cuius nati fuori dal matrimonio, per i quali non è ammesso il riconoscimento.
[25] La riserva è «quota di eredità», pertanto il legittimario che agisce per ottenere ciò che gli è attribuito dalla legge diventa ipso iure erede.
Secondo L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, Milano, 2000, pp. 50 e ss., G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, a cura di A. Ferrucci – C. Ferrentino, III ed. Milano, 2009, pp. 390 e ss., e la giurisprudenza di legittimità, Cass. Civ. 13 gennaio 2010 n. 368 in Red. Giust. Civ. mass, 2010, 1, il legittimario, a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione diventa automaticamente erede senza necessità di accettare l’eredità («in materia di successione ereditaria, l’erede legittimario che sia stato pretermesso acquista la qualità di erede soltanto dopo il positivo esercizio dell’azione di riduzione; ne consegue che, prima di questo momento, egli non può chiedere la divisione ereditaria né la collazione dei beni, poiché entrambi questi diritti presuppongono l’assunzione della qualità di erede e l’attribuzione congiunta di un asse ereditario»).
[26] Si precisa che nel nostro ordinamento è ormai principio consolidato quello di riconoscere la riserva in senso quantitativo e non qualitativo, pertanto il legittimario va soddisfatto con qualsiasi bene o diritto, purchè presente nell’asse. Cfr. Cass. Civ. 12 settembre 2002, n. 13310, in Giust. Civ. mass., 2002, 1658 («il principio dell’intangibilità della quota di legittima deve intendersi soltanto in senso quantitativo e non anche in senso qualitativo, potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni - di qualunque natura - purché compresi nell’asse ereditario; ne consegue che non viola il disposto degli articoli 536 e 540 c.c. il testatore che abbia lasciato al coniuge l’usufrutto generale sui beni mobili e immobili nonché la piena proprietà di crediti, contanti, depositi bancari e postali, sempre che il valore di detti beni copra la quota riservata al coniuge, atteso che l’attribuzione dell’usufrutto generale non costituisce assegnazione di legato ma istituzione di erede e che l’attribuzione della proprietà piena di alcune categorie di beni vale come istituzioni di erede se essi sono intesi come quota dei beni del testatore»).
[27] Ai sensi dell’espresso richiamo di cui all’art. 1 co. 21 l. 20 maggio 2016 n. 76, tra i legittimari deve essere ricompreso in luogo del coniuge l’unito civile del de cuius.
[28] Ex multis vds. V.R. CASULLI, Riunione fittizia, in Noviss. Dig. It., App. VI, Torino, 1986, pp. 900 e ss.; A. CIANDIAN, Massa ereditaria, in Digesto civ., XI, Torino, 1994, pp. 213 e ss.; G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. Rescigno, II ed., 5, I, Torino, 1997, pp. 449 e ss.; D. VENDITTI, Questioni in tema di calcolo e tutela della legittima, in Nuov. Giur. Civ. comm., 1995.
[29] Per un’accurata analisi delle liberalità oggetto di riunione fittizia si rinvia a L. GENGHINI – C. CARBONE, Manuali Notarili, Le successioni per causa di morte, I, vol. IV, Padova, 2012, pp. 692 e ss.
[30] Il risultato di tale proporzione matematica deriva dal combinato disposto degli artt. 537, 538, 540, 542, 544 e 548 cod. civ. che fissano i criteri di calcolo delle quote di riserva a seconda delle categorie e del numero dei legittimari che il de cuius lascia all’apertura della successione.
Si precisa che l’esistenza di discendenti esclude il concorso degli ascendenti, questi ultimi invece concorrono sul patrimonio del de cuius con il solo coniuge superstite solo qualora non vi siano discendenti in linea retta del defunto; il coniuge concorre sia con i figli del de cuius sia con gli ascendenti; per approfondimenti ulteriori si rinvia a L. GENGHINI – C. CARBONE, op. cit. pp. 521 e ss.
[31] La Corte si pronuncia esclusivamente sullo statuto successorio stabilendo che nel caso di specie «si verifica l’apertura di due successioni e la formazione di due distinte masse, ognuna assoggettata a differenti regole di vocazione e di delazione, ovvero a diverse leggi che verificano la validità e l’efficacia del titolo successori (anche, nella specie, con riguardo ai presupposti, alle cause, ai modi ed agli effetti della revoca del testamento), individuano gli eredi, determinano l’entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità ed apprestano l’eventuale tutela dei legittimari.» lasciando quindi “invariata” la disciplina relativa all’individuazione del donatum. Tuttavia secondo R. BARONE, in op. cit. pp. 22, «Sulla riunione fittizia è conseguente ritenere, per derivazione logico giuridico dalla sentenza, che sia le donazioni “estere” che i debiti “esteri” non concorrono alla determinazione della massa ex art. 556 c.c.»
[32] Pretermissione e lesione rappresentano due diverse manifestazioni della lesione della quota di legittima.
Nel primo caso il legittimario è totalmente escluso dalla successione dallo stesso testatore, il quale nel disporre delle proprie sostanze non ha tenuto conto del legittimario, attribuendo il suo intero patrimonio in favore di altri; nel secondo caso invece il legittimario nonostante sia stato istituito erede, concorrendo alla successione, è stato beneficiato di un lascito quantitativamente inferiore alla quota a lui spettante ex lege.
Nel caso di preterizione, il testamento (rectius: la divisione fatta dal testatore) ai sensi dell’art. 735 cod. civ. si considera affetto da nullità, come ribadito altresì dalla giurisprudenza di legittimità: «A norma dell'art. 564 cod. civ., il legittimario che abbia la qualità di erede non può esperire l'azione di riduzione delle donazioni e dei legati lesivi della sua quota di legittima ove non abbia accettato l'eredità con beneficio d'inventario, non potendo tale condizione valere, invece, per il legittimario totalmente pretermesso, il quale può acquistare i suoi diritti solo dopo l'esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento. La pretermissione del legittimario può verificarsi anche nella successione “ab intestato”, qualora il “de cuius” si sia spogliato in vita del suo patrimonio con atti di donazione.», Cass. civ. 23 dicembre 2011, n. 28632 in CED Cass. 2011, che estende altresì il fenomeno della preterizione anche al caso in cui il defunto abbia disposto inter vivos di tutto il suo patrimonio, sul punto cfr. anche Cass. civ. 30 maggio 2014, n. 12221 in Notariato, 4/2014 p. 391(«La totale pretermissione del legittimario si può avere sia nella successione testamentaria, sia nella successione ab intestato. Il legittimario può dirsi pretermesso nella successione testamentaria quando il testatore ha disposto a titolo universale dell'intero asse a favore di altri. In tal caso, ai sensi dell'art. 457, secondo comma, c.c., il legittimario non è chiamato all'eredità fino a quando l'istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti. Nella successione ab intestato, la pretermissione si verifica qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell'intero suo patrimonio con atti di donazione, sicché, stante l'assenza di beni relitti, il legittimario viene a trovarsi nella necessità di esperire l'azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce. A ciò consegue che il legittimario pretermesso, sia nella successione testamentaria sia in quella ab intestato, il quale impugni per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista, solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione, e come tale non è tenuto alla preventiva accettazione dell'eredità con beneficio di inventario.»).
La lesione quantitativa determina invece la riduzione proporzionale delle disposizioni lesive e la loro inefficacia verso il legittimario leso, il quale ha però l’onere di esperire l’azione di riduzione alle condizioni di cui all’art. 564 cod. civ.
In ogni caso è ferma la nullità delle disposizioni testamentarie sussumibili sub art. 549 cod. civ. che comprimono la libera disponibilità della quota del legittimario.
[33] Si precisa che la tutela del legittimario, fuori del caso di specie fissato dall’art. 553 cod. civ., non opera automaticamente; il riservatario leso per poter ottenere la propria quota di eredità ha infatti l’onere di esperire l’azione giudiziale di riduzione che presuppone l’accettazione beneficiata dell’eredità ed altresì l’obbligo di imputazione di quanto ricevuto dal de cuius senza dispensa (ex art. 564 cod. civ. «Il legittimario che non ha accettato l'eredità col beneficio d'inventario non può chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati, salvo che le donazioni e i legati siano stati fatti a persone chiamate come coeredi, ancorché abbiano rinunziato all'eredità. Questa disposizione non si applica all'erede che ha accettato col beneficio d'inventario e che ne è decaduto. In ogni caso il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato.[…]»).
[34] Il criterio è fissato dalla legislazione fiscale in materia di collazione, il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 8, comma 4) stabilisce infatti una forma di riunione fittizia dei beni donati alla massa ereditaria ai soli fini della determinazione delle aliquote con la precisazione che, a quei fini, il valore delle donazioni di beni diversi dal denaro o da crediti in denaro deve essere determinato in base al valore venale dei beni medesimi al momento dell'apertura della successione; per una disamina approfondita dei criteri fiscali fissati per il calcolo di donazioni e liberalità in sede di collazione cfr. G. PETTERUTI, La nuova posizione della Cassazione sulla rilevanza fiscale della collazione nella divisione ereditaria. Un orientamento innovativo ed un importante passo verso la giusta imposizione, in CNN Notizie, Studio n. 154-2021.
[35] Ex art. 564 co. 2 cod. civ.: «in ogni caso il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato», inoltre ai sensi del combinato disposto degli artt. 556 e 747-750 cod. civ. il valore delle predette imputazioni è determinato tenendo conto del valore che detti beni hanno all’apertura della successione, in caso di liberalità dirette.
In caso di liberalità indirette, si segnala in particolare l’orientamento giurisprudenziale della corte di legittimità secondo cui il legittimario deve imputare alla propria quota di riserva il valore venale dell’arricchimento ricevuto, a prescindere dalla provvista apportata dal de cuius, nello specifico cfr. Cass. civ. 12 maggio 2010 n. 11496 in Notariato, 5/2010 con nota di G. IACCARINO secondo cui: «Nell'ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l'acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all'azione nell'ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 cod.civ.), poichè l'azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l'acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell'imputazione; pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell'investimento finanziato con la donazione indiretta dev'essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito, con la conseguenza che, nell'ipotesi di fallimento del beneficiario, la domanda è sottoposta al rito concorsuale dell'accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 della legg. fall.».
[36] È opinione consolidata che le donazioni fatte dal de cuius al coniuge ed ai propri familiari, considerato l’obbligo di imputazione ex se e - per i soggetti che vi siano tenuti – di collazione sanciti dall’art. 724 cod. civ. hanno funzione anticipatoria di quanto sarà corrisposto ai medesimi in occasione della successione del donante, così C. M. BIANCA, Diritto civile, II, la famiglia. Le successioni, Milano, 2005, pp. 840 e ss.; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, pp. 155 e ss.;
[37] Secondo la dottrina pressoché unanime (G. BONILINI, Trattato di diritto delle successioni e donazioni, III, Milano, 2009; G. CAPOZZI, in op. cit., V. CARBONE, Riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in Dig. Dis. Priv., XVIII, Torino, 1998; G. Cattaneo, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. Rescigno, 5, I, Torino, 1997; L. FERRI, Dei legittimari, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 536-564, Bologna-Roma, 1981; G. GABTIELLI, I legittimari e gli strumenti a tutela dei loro diritti, in Vita Notarile, Palermo, 2005; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale, Successione necessaria, in Tratt. Cicu, Messineo, Milano, 2000; G. SANTORO PASSARELLI, Dei legittimari, Codice civile, libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, in Comm. D’Amelio, Firenze, 1941; G. PERLINGIERI, Diritto delle successioni, I, Napoli, 2008) e la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. 5 dicembre 1974, n. 4005, in Mass. Giur. It., 1974, secondo cui :«[…]la particolare azione di riduzione, avente carattere personale, subordinata, per il suo esercizio, a determinate condizioni (art. 564 c.c.) e che trova la sua regolamentazione negli artt. 553 c.c. e ss., Trattasi di tipica azione che, involgendo il compimento di particolari attività (determinazione della porzione disponibile; determinazione della quota spettante a ciascun erede, ecc.) e producendo rilevanti effetti giuridici, deve essere proposta in modo esplicito. La riduzione delle disposizioni testamentarie non può essere fatta valere mediante la proposizione di un'eccezione, potendo l'attribuzione della quota dei beni ereditari dalla legge riservata al legittimario essere conseguita solo dopo l'esperimento vittorioso dell'azione di riduzione».), l’azione di riduzione è espressione della tutela giurisdizionale dell’esercizio di un diritto potestativo, essa ha natura personale, è pertanto incedibile, ma esercitabile in via surrogatoria dai creditori del legittimario (da ultimo cfr. Cass. Civ. 20 giugno 2019, n. 16623 in Nuova Giur. Civ., 2020, 1 pp. 69 e ss. con nota di COGGI), ha natura di azione di accertamento costitutivo con l’effetto di determinare l’inefficacia verso il legittimario delle disposizioni lesive, è quindi esperibile solo per richiedere la riduzione di disposizioni valide.
[38] Sul punto vds. la posizione di R. BARONE, riportata supra in nt. 30.
[39] Volendo fare un esempio chiarificatore si immagini che il de cuius deceda lasciando due figli ed un relictum del valore di 100, dopo aver disposto in vita con una donazione del valore di 50.
In condizioni ordinarie ai due figli ai sensi dell’art. 537 co. 2 cod. civ. sarebbe riconosciuta una quota di riserva pari ad 1/3 del patrimonio riunito per un valore complessivo di 50 ciascuno. In tal caso il relictum risulterebbe sufficiente a soddisfare la quota dei legittimari e la donazione conserverebbe i propri effetti.
S’immagini ora che per effetto della «scissione» della successione il patrimonio relitto sia diviso in due distinte masse successorie di pari valore: secondo il principio di “autonomia” delle successioni elaborato dalla sentenza, in tal caso la quota di legittima spettante ai figli del de cuius sarebbe pari a 33,33 in quanto calcolata sul solo valore della massa “italiana” sommata al donatum.[1/3 di 100 (50 relictum+50 donatum)].
Tale impostazione determina l’incapienza del relictum italiano (del valore di 50), che non risulta essere sufficiente alla soddisfazione dei legittimari, i quali a loro volta potrebbero agire per chiedere la riduzione della donazione per il valore necessario a reintegrare la quota di riserva.
Le conseguenze matematiche degli effetti della scissione della successione, come visto, si traducono nella compressione della quota disponibile del de cuius che non avrebbe più la sicurezza di poter disporre liberamente di almeno 1/4 del suo patrimonio.
[40] Riprendendo l’esempio della nota precedente, si ipotizzi che la massa patrimoniale sottoposta alla disciplina straniera sia stata interamente attribuita ad uno solo dei due legittimari, che nulla ha ricevuto dalla massa “italiana”, interamente assegnata all’atro legittimario.
In astratto entrambi i figli hanno ricevuto sostanze patrimoniali per 50 ciascuno; tuttavia aderendo al principio di separazione della successione, ai fini del calcolo della quota di riserva non si deve tenere conto delle vicende successorie straniere, e pertanto il legittimario che ha ricevuto i beni “stranieri” risulterebbe -relativamente alla successione “italiana”- pretermesso ed avrebbe diritto alla quota (33,33) potendo agire in riduzione verso il fratello assegnatario e verso il donatario ottenendo concretamente più di quanto spettantegli in astratto (all’esito dell’azione di riduzione il legittimario avrebbe ottenuto sostanze del de cuius per una somma complessiva di 83,33 in luogo dei 50, o addirittura dei 33,33 a lui riservati) e di quanto a lui devoluto secondo la volontà del testatore.
[41] Il testatore infatti tenendo conto delle attribuzioni fatte ai propri legittimari, sul presupposto che il suo patrimonio sia considerato in modo unitario e universale, potrebbe aver imposto pesi od oneri su una quota di eredità che ritenesse essere parte della disponibile, violando inconsciamente l’art. 549 cod. civ. da cui deriverebbe la conseguente nullità dell’onere o della condizione.
Tale nullità si concretizza sul piano giuridico in una ingiustificabile violazione della libertà testamentaria, maggiormente inaccettabile qualora l’onere o la condizione nulli siano diretti a perseguire scopi socialmente considerati meritevoli di tutela (si pensi al caso in cui il testatore abbia lasciato un bene immobile - astrattamente rientrante nella sua quota disponibile - disponendo a carico dell’erede beneficiario l’onere di destinare tale bene all’accoglienza o alla cura di persone bisognose).
[42] La collazione, pur costituendo uno strumento “perequativo” in sede di divisione della comunione ereditaria tra i soggetti appartenenti alla famiglia del de cuius, opera su un piano diverso e secondo presupposti soggettivi ed oggettivi indipendenti da quelli relativi alla tutela dei legittimari, essendo diretta a riequilibrare tra i coeredi l’attribuzione del patrimonio del de cuius.
Ai sensi degli artt. 737 e ss. cod. civ. i soggetti tenuti alla collazione sono «i figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione», che hanno l’obbligo di «conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati»
[43] In sostanza il pericolo di evizione per l’avente causa dal donatario del de cuius è solo potenziale e sussidiario in quanto la restituzione del bene immobile può essere richiesta solo per il caso in cui la preventiva escussione del patrimonio del donatario ridotto sia infruttuosa, inoltre si rammenta che l’avente causa dal donatario ha il diritto potestativo di interrompere la pretesa recuperatoria soddisfacendo in denaro l’attore (ex art. 563 co. 3 cod. civ.: «il terzo acquirente può liberarsi dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in denaro.»).
Tuttavia le conseguenze “reali” e “purgative” derivanti dall’esperimento dell’azione di restituzione costituiscono la principale remora alla libera circolazione dei beni aventi provenienza donativa, al punto che la prassi notarile, ha escogitato diverse soluzioni per evitare la totale esposizione dell’acquirente ad un’azione recuperatoria che lo spogli di quanto acquistato.
Per i rimedi de quibus si rinvia a F. Magliulo – G. Iaccarino in Successioni e Donazioni, Tomo II, diretto da G. Iaccarino, Padova, 2007, pp. 2083 e ss.
[44] Basti menzionare a tal proposito sia gli orientamenti giurisprudenziali che hanno dequalificato l’oggetto di attribuzione spettante ai legittimari, sia le posizioni dottrinali e giurisdizionali più “sovversive” che arrivano ad ammettere la diseredazione del legittimario; senza tralasciare gli interventi legislativi finalizzati a riformare la rigidità del sistema recuperatorio retroattivo derivante dall’esercizio dell’azione di riduzione con l’introduzione da un lato di meccanismi di disattivazione ex lege della riduzione e della collazione, e dall’altro di termini di decadenza più brevi, culminati con le riforme che hanno disciplinato il nuovo istituto del “patto di famiglia” e la modificazione degli artt. 561 e 563 cod. civ. (nell’ordine cfr. la giurisprudenza riportata supra in nt. 9, Trib. Catania Sez. III, 14 aprile 2005, nonché il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2 conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80; e L. 28 dicembre 2005 n. 263, art. 3)
Provvedimenti ispirati dall’unica ratio di favorire la circolazione della ricchezza derivante da atti di disposizione a titolo gratuito e diretti a spostare la tutela dei legittimari dal piano reale a quello obbligatorio.
Con riferimento invece alle proposte di riforma non ancora produttive di diritto positivo cfr: S. Delle Monache, La legittima come diritto di credito nel recente disegno di legge delega per la revisione del Codice Civile, in Nuovo diritto civile, 2019, 3, pp. 37 ss.; A. Semprini, La legittima per equivalente, Napoli, 2019, pp. 315 ss.; A. Spatuzzi, Verso una successione diversamente “necessaria”?, in Notariato, 2019, 4, pp. 401 ss.; G. Di Lorenzo, La successione necessaria nel recente disegno di legge delega per la revisione del Codice Civile, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 1, pp. 188 ss.; V. Barba, La successione dei legittimari, Napoli, 2020.
Le proposte e gli interventi normativi italiani seguono tra l’altro un trend che ha coinvolto una buona parte dei Paesi aderenti all’UE, i quali sono hanno apportato modifiche al sistema di diritto privato coinvolgendo anche il diritto successorio, si pensi ad esempio alle riforme che hanno interessato il sistema successorio francese nel
2001 e nel 2006, e quelle che hanno apportato modifiche ai diritti di legittima nell’ordinamento tedesco con la novellazione del BGB del 2009. Per una disamina comparatistica dell’evoluzione normativa cfr. A. Fusaro, Linee evolutive del diritto successorio europeo, in Gius. Civ., 2/2014.
[45] Le osservazioni critiche alla pronuncia sono mosse da D. Damascelli, in op. cit., p. 1118 e ss.; F. Marongiu Buonaiuti, in op. cit. pp. 409 e ss; ed altresì R. Grimaldi, Tramonto (a colpi di rinvio) dell’universalità/unità della successione?, in Giur. It. , 2/2022, pp. 600 e ss.
[46] A differenza dell’operatività ex ante delle norme di applicazione necessaria che ex art. 17 l. 218/1995 devono essere applicate «nonostante il richiamo alla legge straniera», impedendo al giudice ogni valutazione sulla scelta della legge applicabile; l’operatività del limite dell’ordine pubblico sancito dall’art. 16 avviene ex post: il giudice decide di disapplicare la legge straniera in favore di quella italiana solo a seguito di una valutazione positiva di contrarietà all’ordine pubblico che l’adozione della legge straniera potrebbe determinare.
[47] Sulla distinzione tra ordine pubblico internazionale e interno si rinvia all’elaborazione di V. Barba, L’ordine pubblico internazionale, in G. Perlingieri e M. D’Ambrosio (a cura di), Fonti, metodo e interpretazione, Napoli, 2017; L. Gannage, Le droit international privé de la famille entre les exigences des droits de l’homme et le respect des identités culturelles (l’exemple du droit français), in P. Pirrone (a cura di), Circolazione dei valori giuridici e tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, Torino, 2011.
[48] Supra, autori in nt. 20.
[49] Cfr. Cass. civ. 24 giugno 1996, n. 1996 in Studium iuris, 1996 secondo cui: «Poichè la carta costituzionale, all'art. 42, non fa riferimento alcuno ai legittimari, la quota riservata ai medesimi rappresenta un limite della successione legittima, ovvero delle disposizioni testamentarie, che il legislatore ordinario può modificare ed anche sopprimere; pertanto l'istituto non rientra tra quelli che costituiscono l'ordine pubblico, cui si riferisce l'art. 31 delle disposizioni sulla legge in generale». Sul punto vds. la posizione di E. Calò, in op. cit., pp. 87 e ss. il quale sottolinea che «per perorare la causa dell’incostituzionalità bisognerebbe fornire la difficile dimostrazione che la diversità di trattamento e irragionevole, perché non corredata da dati obiettivi a suo sostegno».
[50] È la stessa Corte a sostenere che tali principi sono derogati già dall’adesione dell’Italia alle Convenzioni internazionali di Basilea del 16 maggio 1972, e di Washington del 26 ottobre 1973, attraverso le quali è stato determinato in materia successoria l’importazione del principio della separazione delle successioni.
Sul punto cfr. F. Mosconi, C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, I, Parte generale e obbligazioni, Milano, 2020, pp. 147 e ss.; L. Fumagalli, in op. cit., in Riv. Intern. Priv. e Process. ,1997, pp. 835 e ss.; R. Clerici, Articolo 46 (Successioni per causa di morte), in Riv. Dir. Intern. Priv. e Process., 1997, pp. 1134 e ss.
[51] Il principio è positivizzato dall’art. 1372 cod. civ. che lo declina nella relatività ed indissolubilità del vincolo contrattuale, secondo cui: «Il contratto [ha forza di legge tra le parti.] Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. [Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge]».
[52] G. Perlingieri – G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, Napoli, 2018, pp. 55 e ss.
[53] Così E. Calò, Vite (e morti) parallele di Michel Colombier e di Maurice Jarre: la colonna sonora dell’ordine pubblico internazionale successorio nel diritto italiano e francese, in Dir. succ. fam., 2016, pp. 879 ss.
[54] sul punto cfr. H. Vereul, Public Policy and Relativity, in Netherlands Int’l L. Rev., 1979, p. 109 ss.; F. Lattanzi, Valore assoluto o relativo dei principi di ordine pubblico, in Riv. dir. int., 1974, p. 281 ss.; G. Contaldi, Ordine pubblico, in R. Baratta (a cura di), Diritto internazionale privato, Milano, 2010, p. 273.
[55] Sull’evoluzione storica del concetto di ordine pubblico internazionale cfr. G. Armone, L’ordine pubblico internazionale tra identità e condivisione, in www.questionegiustizia.it.
[56] La differenza è affrontata in modo completo da G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015;
[57] Il nostro sistema tende a garantire la stabilità dei traffici giuridici ed è “ostico” all’ammissibilità di limitazioni convenzionali alla circolazione della ricchezza. Indici normativi di tale chiusura sono rinvenibili nel numerus clausus dei diritti reali, considerati una forma di limitazione della libera circolazione della proprietà, nel diritto di recesso ad nutum riconosciuto ai soggetti di un rapporto obbligatorio a tempo indeterminato, e nei temperamenti imposti, a pena di nullità, ai divieti convenzionali di alienazione, ove ammissibili (ex art. 1379 cod. civ.: «Il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti»).