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Pubbl. Mer, 18 Nov 2015

Costituzione e laicità in Italia: un cortocircuito democratico?

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Gian Marco Lenzi


Un analisi critica dell´articolo Laicità come principio giuridico e Costituzione, del Prof. Gianfranco Macrì


"Ma se la laicità vuole significare che nella vita pubblica non c'è posto per Dio, questo è un grande errore. Le istituzioni politiche e le istituzioni religiose posseggono loro sfere propri. Tuttavia, i valori fondamentali della fede devono manifestarsi pubblicamente, non per la forza istituzionale della Chiesa ma per la forza della loro verità interiore. Se la laicità vuole escludere la religione, è una mutilazione dell'essere umano."

J. Ratzinger,  intervista del 2001 a "Le Figaro", (trad.it Don Pierre Laurent Cabantous)

"Direi che la democrazia non è tanto un concetto generico, quanto ambiguo. Noi affrontiamo questo concetto come se fosse la stessa cosa nell’Atene del quinto secolo e nelle democrazie contemporanee. Come se fosse dappertutto e sempre chiarissimo di che cosa si tratta."

G. Agamben, Intervista al Red Notebook e agli Ενθέματα της Αυγής [Gemme dell’Alba], (trad.it Giorgio Fogliani)

 

Su un noto sito online di filosofia (citato nella bibliografia) il professor Gianfranco Macrì [1], associato di istituzioni di diritto pubblico dell'università di Salerno, ha affrontato dal punto di vista "costituzionale", in un interessantissimo articolo, un tema scottante e attuale: il problema della laicità in una società dal futuro "multiculturale" come, tra le tante, quella italiana.

Il suddetto articolo ha, secondo l'autore, l'obbiettivo di ricercare i "fondamenti" della laicità in Italia, tenendo in considerazione che, secondo l'autore, solo la "“traduzione” pratica di queste pre-ferenze – funzionale alla ricerca delle soluzioni normative poste dai problemi “pratici” del pluralismo sociale (e culturale-religioso in particolare: abbigliamento, alimentazione, luoghi di culto, simboli, festività, etc.) – consente di rinvigorire lo spazio (politico) della democrazia e di alimentare, per connessione, le «capacità inclusive» sottese al valore-significato attribuito (soprattutto dalla giurisprudenza costituzionale) alla laicità italiana.

Quindi se ho ben compreso, l'interesse dell'autore era quello di trovare nei confronti della laicità sia i principi cardine (soprattutto al grado costituzionale), sia l'effettiva attuazione di questi nella realtà italiana. Il mio articolo, invece, si pone l'obbiettivo di far notare quanto sia effettivamente impossibile nella realtà un pensiero costituzionale, "laico" e una "metodologia", nello stesso modo, laica e quanto proprio la stessa forma democratica si ponga come freno per la laicità (e quindi alla stessa democrazia). Iniziamo, dunque, ad analizzare questo articolo.

Come giustamente fa notare il professore, la nostra costituzione ha "robusti punti di forza" con cui “contenere” le dinamiche del «presente cosmopolita e del futuro (inevitabilmente) interculturale della democrazia». Infatti, sono giustamente citati nel saggio gli articoli 11 e 117 che, legati alla vocazione europeista e comunitaria della Costituzione, hanno la volontà/obbiettivo di eliminare tutti gli elementi con probabilità discriminatorie; tutto questo sempre secondo un'ottica di rinnovazione e di auto-correzione del sistema, tipica della democrazia costituzionale: "questa “vocazione” (sempre in bilico) alla composizione – propria delle democrazie liberal-democratiche – si nutre di parole (rectius: di valori-principi), la cui caratteristica peculiare risiede nell’essere dotate di forza “circolante” (in grado, cioè, di rinvigorire costantemente il circuito democratico) e di poter essere diversamente declinate sulla base di strumenti tecnici diversi tra loro (diritto, politica, filosofia, storia, sociologia, etc.). Laicità, dunque, come «narrazione» delle virtù trasformative del costituzionalismo – di cui la convivenza tra culture diverse rappresenta la sfida ultima più poderosa – e come «antidoto» contro tutte le verità rivelate a priori. - "

Per un costante aggiornamento, è necessaria una struttura metodologica che possa far circolare e modificare questo pluralismo: "il canone della laicità [..] bensì come «metodo» (N. Bobbio) oppure «attitudine» dei poteri pubblici a valorizzare, nel quadro ampio della legalità costituzionale, le diverse opzioni culturali e religiose senza identificarsi con alcuna di esse." In questo senso, è piuttosto fondamentale l'opera della Corte Costituzionale che ha il compito di aggiornare e "diffondere" nella Costituzione e nelle leggi sottostanti il principio di laicità: ad esempio, nella sentenza n. 203/1989, la Corte Costituzionale indica la laicità come principio supremo della Costituzione italiana (e quindi come principio immodificabile e inescludibile dalla Carta, nemmeno con lo strumento previsto dall'art.138 della Cost.) 

Mirabile è anche l'efficacia con cui, sempre la Corte Costituzionale, abbia, in seguito all'89 chiarito che: "non si debba stabilire differenze di trattamento fra confessioni religiose sulla base del solo criterio numerico e sociologico (sentt. n. 925/1988, 440/1995, 508/2000), a riconoscere la giusta rilevanza e protezione alla piena realizzazione della libertà di coscienza di ciascuna persona, i cui elementi costitutivi coprono ambiti anche diversi da quelli propri della laicità (sentt. n. 149/1995, 334/1996, 329/1997), a non operare distinzioni e disuguaglianze di trattamento tra confessioni religiose con o senza intesa (sent. n. 195/1993), facendo ricorso all’ampio ventaglio di opzioni semantiche opportunamente individuate da un costituente lungimirante ( la “forma associata” della professione di fede religiosa di cui all’art.19; le associazioni o istituzioni a carattere ecclesiastico o con fine di religione o di culto” di cui all’art.20; le “confessioni religiose” di cui all’art.8) al fine di meglio identificare le diverse “forme collettive” di religiosità."

La disamina del prof. Macrì si conclude però con una considerazione che sembra "sfatare" i passi avanti della Corte Costituzionale nell'applicazione della metodologia della laicità: poichè, "Siamo ancora lontani dalla enucleazione di «un livello minimo apprezzabile ed effettivo di tutela della laicità» e della stessa libertà religiosa in ambito “euro-unitario” (Unione europea, Consiglio d’Europa)." 

Proprio dall'ultima constatazione vorrei inziare a commentare l'articolo che ho in breve tentato di riassumere.

A quanto pare, quindi, la lacitità è molto lontana dall'attuarsi: perchè mai, allora, essendoci una metodologia laica garantita da un principo supremo nella Costituzione, siamo così lontani dal risultato di un ordinamento laico? Semplice: perché la mera metodologia non basta, soprattutto quando è l'intero sistema, con i suoi valori storici ed etici, ad essere commisto con la Chiesa Cattolica. Quello che voglio dire è che la metodologia Laica (come ad esempio quella di aggioramento costituzionale della Corte) non può funzionare in un sistema con essenza Cattolica, dove la grande maggioranza dei cittadini sono Cattolici e dove il resto di essi sono nati e cresciuti a contatto con valori Cattolici.

Anche la Costituzione dovrebbe essere messa a tutela della "sacra laicità", è essa stessa permeata, naturalmente, di valori dell'etica Cristiana. All'art 29, 1° comma della Costituzione, ad esempio, è scritto che "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio [monogamo, dato che è l'unico concesso dall'ordinamento in apparente armonia dell art. 29 ]". Certamente, questo articolo sarebbe molto diverso nel caso in cui l'Italia fosse a maggioranza Mormone (dove la poligamia è accettata). Allo stesso modo, credo, sarebbe stato molto diverso anche laddove fosse stato creato in un'ottica veramente laica. Ciò per sfatare il mito della costituzione asettica ed equidistante nell'affermare la valenza del discorso religioso in Italia, ma anche per sfatare il mito che siamo effettivamente all'interno di un sistema laico, come equidistante dal pensiero delle varie religioni.

Quello che al massimo si può sperare è questo: una laicità intesa come "uno spazio pubblico entro cui tutti i cittadini, credenti e non, confrontano i loro argomenti e seguono procedure consensuali di decisione, senza far valere ragioni autoritative delle proprie verità di fede o dei propri convincimenti in generale"[2]: e quindi, niente di meno che il principio democratico che si utilizza in tutti i campi di disputa etica negli Stati democratici europei. Allora, di conseguenza è ovvio come non vi sia spazio per l'affermazione di una nuova ed effettiva laicità in Italia ricorrendo a questo principio, ma solo un ritorno alla democrazia.

Sembra allora necessraio, a questo punto, valutare più da vicino i meccanismi democratici di tutela.

Se pensiamo, ad esempio, al caso emblematico del crocifisso in scuole, ospedali e tribunali, sarà difficile assicurare un'equa soluzione accettata da tutte le religioni, quando ci troviamo in un paese che, come detto, è a stragrande maggioranza cristiana, dove i giudici che devono giudicare sono spesso Cristiani, così come i parlamentari che promulgano le leggi. In questo caso poi, c'è un discorso molto più legato al potere e il suo legame connaturale con lo spazio: infatti la valenza simbolica del crocifisso che domina "politicamente" lo spazio pubblico, è "necessaria", molto più di quello che si pensi, per non disgiungere il legame apparentemente indissolubile tra sfera pubblica e sfera religiosa . Il Pensare che sia una battaglia rispetto alla tradizioni cristiane dello Stato Italiano è solo una sciarade concettuale: la tradizione (soprattutto espressa simbolicamente) è spesso il velo in cui si nascondono "poteri" tenaci al vaglio inesorabile del tempo.

Dunque, il problema fondamentale di una concreta laicità in Italia si manifesta nel falso principio democratico di tutela delle minoranze: una tutela spesso garantita solo con un "avere una voce" (piuttosto flebile) in un dialogo dove la forza schiacciante di una parte ne soffoca le pretese. Dobbiamo poi ammettere che è sempre difficile chiedere a chi crede un pensiero asettico durante il dialogo democratico, in particolare rispetto a temi sensibili per la sua religione.

Il problema è piuttosto serio, visto che risulta piuttosto difficile coniugare il relativismo della democrazia con i principi assoluti della verità cattolica, il diritto naturale con il diritto "positivo", così Zagrebelsky[3]la "pretesa di generalizzare il diritto naturale [ndt. almeno nella variante cristiana] a tutta la società, nel tempo attuale del pluralismo e, ancor più, in quello del cosiddetto multiculturalismo [...], significa non promuovere la convivenza ma scuoterla dalle fondamenta. Da questo punto di vista, l’appello al diritto naturale è un grido di guerra civile, un appello alla divisione, alla discriminzione".

Certo è che il problema sollevato (tra gli altri, in vari momenti "storici", ma forse arrivato attualmente al punto di rottura) dal prof. Macrì è un problema di attualità fondamentale e, a mio parere, di difficile soluzione affidandosi agli schemi del passato, e da soluzioni che provengono da logiche che, oramai, non fanno il conto con le varie istanze di cambiamento odierno (non solo in un'ottica di maggior libertà, ma anche dall'opposta volontà di un ritorno ad un'etica Cristiana); d'altro canto le previsioni metodologiche, ancorché sicuramente positive e necessarie, rimangono "sulla carta" davanti a un sistema di diritto con logiche necessariamente diverse. Per un'esemplificazione di questo si pensi alle sfide delle nuove tecnologie (es. filiazione in provetta), della nuova idee democratiche della modernità (parità di diritti matrimoniali/adottivi per persone LGBT) o dell'attualità (migrazione).

In particolare, queste problematiche ci pongono davanti agli occhi la lentezza del meccanismo di adeguamento dei valori costituzionali: un meccanismo che, passando per le problematiche fasi del dialogo democratico odierno, non fornisce efficacemente e, in un tempo coerente con le esigenze reali, un effettivo filtro dei valori plurimi e spesso contrastanti delle singole personalità. Il punto, assolutamente da ripensare, è cercare di trovare meccanismi di adeguamento della legge che tengano conto delle differenti "velocità" di cambiamento del reale: ci sono, infatti, dei momenti storici in cui il diritto (e le sue procedure) non riesce a tenere testa alle richieste di cambiamento.

In conclusione credo che vi sia un problema ontologico tra democrazia (relativista) ed etica Cristiana, irrisolvibile all'interno di un sistema come quello italiano creato, gestito e modificato all'interno dei suoi valori originali. Di conseguenza, l'idea democratica costituzionale laica si trova davanti al problema attualissimo di non essere capace di rispondere in tempo e adeguatamente alle nuove sfide, essendo incapace sia di adeguarsi in maniera totalmente laica sia di ammettere in modo definitivo la sua essenza Cristiana, garantendo sistemi di adeguamento lenti e spesso solo transitivi, oppure solamente sulla "carta". Ciò che semmai può garantire il principio supremo di laicità (n. 203/1989) e la sua applicazione è solo la speranza (piuttosto "cristiana") che nel futuro si possa arrivare a una più concreta laicità effettiva del sistema.

La mia conclusione, allora, credo possa essere così sintetizzata: è forse inopportuno pensare che siano sufficienti "strumenti e meccanismi" democratici per rendere un dialogo più democratico (nel senso di più "equamente partecipato"). Gli strumenti, infatti, non tengono conto del milieu storico, agendo e analizzando le situazioni in modo asettico, con logiche che frustrano alla sostanza di un cambiamento quantomai, oggi, necessario.

 

 

BIBLIOGRAFIA

[1]http://filosofiainmovimento.it/laicita-come-principio-giuridico-e-costituzione/#sthash.GCvaQIfT.dpuf

[2] G.E. RUSCONI, Come se Dio non ci fosse, Torino, 2000, 7 e 153. 

[3] G. ZAGREBELSKY, La virtù del dubbio, Roma-Bari, 2007, 71. 

-  A. Di Giovine, Laicità e democrazia, in AA.VV., Studi in memoria di Giuseppe G. Floridia, Napoli, 2008.