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Pubbl. Ven, 12 Ago 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Legami invisibili: ancora resistenze sulle famiglie alternative

Luana Leo
Dottorando di ricercaLUM Giuseppe Degennaro



Il presente lavoro intende porre in risalto come resistenze di diversa natura impediscano di offrire all´interno dell´ordinamento giuridico italiano adeguato rilievo e tutela alle ”nuove” famiglie. Sebbene non possano negarsi i progressi compiuti negli ultimi anni, quest´ultime continuano ad essere inquadrate come una formazione secondaria. L´emergenza sanitaria da Covid-19 ha accentuato il divario sussistente tra la famiglia tradizionale e i legami affettivi ”alternativi”.


Sommario: 1. Introduzione; 2. I problemi sollevati dalla pandemia; 3. I dispersivi interventi normativi; 3.1. La legge n. 76/2016. Un’occasione persa?; 4. “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”; 5. Legami “invisibili”: il poliamore ai confini della società; 6. La Costituzione alla prova dei mutamenti sociali; 7. Conclusioni.

Sommario: 1. Introduzione; 2. I problemi sollevati dalla pandemia; 3. I dispersivi interventi normativi; 3.1. La legge n. 76/2016. Un’occasione persa?; 4. “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”; 5. Legami “invisibili”: il poliamore ai confini della società; 6. La Costituzione alla prova dei mutamenti sociali; 7. Conclusioni.

1. Introduzione

La normativa di emergenza imposta dalla pandemia in atto ha inciso profondamente sulle relazioni familiari e affettive.

Il diritto di famiglia ha subito una profonda trasformazione, passando da modelli relazionali solidi e tradizionalmente ancorati all’istituto matrimoniale ad unioni alternative alla c.d. famiglia legittima[1].

Sul versante giuridico, tale mutazione ha preso le mosse dalla legge n. 151/1975[2], con la quale è in parte venuta meno la struttura gerarchica prevista dalla precedente codificazione del 1942.

La famiglia è, infatti, ancora oggi marcata da patriarcato: tale circostanza trova conferma nella recente pronuncia del Giudice delle Leggi, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme che attribuiscono automaticamente al figlio il cognome materno.

Le novità introdotte dalla storica riforma del 1975 ruotano intorno a due pilastri: il primo, in attuazione del dettato costituzionale, è dato dall’assoluta uguaglianza dei coniugi nei rapporti personali e patrimoniali (art. 29, comma 2) e nei confronti prole (art. 30, comma 1); il secondo si traduce nell’equiparazione quasi totale della posizione giuridica dei figli legittimi e naturali (ad esempio, in materia di successione sono mantenute talune differenze) nell’ottica di una comunità familiare sempre più slegata dal matrimonio circa il trattamento giuridico degli stessi.

Occorre evidenziare come l’indebolimento dell’istituto matrimoniale dipenda anche dall’introduzione dell’istituto del divorzio; la permanenza del rapporto coniugale è oggi accordata alla volontà individuale e agli interessi delle parti.

In tale sede, si vuole porre in luce come la pandemia da Covid-19 abbia sollevato varie criticità interessanti i legami affettivi alternativi.

Tra di esse, si segnalano i dubbi sollevati intorno alla nozione giuridica di “congiunto”; la querelle relativa al presunto predominio del modello di famiglia nucleare nei primissimi provvedimenti adottati per contrastare la propagazione del contagio; la notevole incidenza dell’emergenza sanitaria sulla relazione genitori-figli.

Desta, altresì, forte perplessità la scarsa attenzione prestata nei riguardi delle coppie same-sex e delle relazioni poliamorose, sintomo di un ampio divario tra il modello tradizionale di famiglia e le nuove forme affettive.

2. I problemi sollevati dalla pandemia

Come già enunciato, la normativa emergenziale ha avuto pesanti ripercussioni sulla sfera familiare, creando cruciali problemi soprattutto per le coppie di fatto.

Il DPCM del 26 aprile 2020, all’art. 1 lett. a), consentiva, a partire dal 4 maggio 2020, solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute, ritenendo necessari gli spostamenti per incontrare “congiunti”, a condizione che fosse rispettato il divieto di assembramento ed il distanziamento personale di almeno un metro, oltre all’uso di meccanismi di protezione delle vie respiratorie.

Oggetto di acceso dibattito è stato il ricorso al termine “congiunti”, poiché tendeva ad escludere le affettività esterne al modello della famiglia tradizionale.

Sul versante istituzionale, l’allora Presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia invitava il Governo ad offrire alla cittadinanza un’interpretazione puntuale ed ufficiale del vocabolo: non essendo un termine giuridico, “lascia effettivamente un margine e uno spazio interpretativo molto ampio”; peraltro, “non sembra un termine applicabile a una qualunque relazione di amicizia”, interessando particolarmente i “legami di una comunità affettiva, sicuramente la famiglia legalmente riconosciuta e le unioni civili, ma anche una comunità affettiva stabile”.

Da qui l’urgenza di comprendere se il predetto termine indicasse solo un “familiare” in senso stretto.

La risposta è senz’altro negativa: laddove l’intenzione fosse stata quella di circoscrivere gli incontri al solo familiare, si sarebbe dovuto ricorrere alla nozione tecnico-giuridica di “parenti”.

Dalla definizione di “parentela” riportata all’ art. 74 c.c. (“vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo”)[3] affiora chiaramente la distanza dal termine “congiunti”.

Pertanto, come osservato in dottrina[4], appare indispensabile interrogarsi se esso corrisponda o meno alla nozione di “prossimi congiunti”.

Quest’ultima ricomprende un’ampia cerchia di soggetti, ammettendo anche le unioni civili, quale forma di famiglia alternativa da quella legittima.

Con tale nozione, infatti, si intendono “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti” (art. 307 c.c.).

Da ciò ne discende che la definizione di “congiunti” prevista dal DPCM del 26 aprile 2020 ricomprende una sfera affettiva allargata, tale da comprendere anche le unioni non matrimoniali. Come precisato dalla circolare emanata

dal Ministro dell’Interno ai Prefetti, la definizione del termine “congiunti” ricomprende i coniugi, i rapporti di parentela, affinità e di unione civile, nonché le relazioni connotate “da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti”[5].

Del resto, la ratio di tale DPCM non è quella di definire in modo esaustivo il grado di affettività meritevole di tutela, ma evitare gli assembramenti al fine di tutelare la salute collettiva[6], iniziando ad alleviare le misure restrittive.

La possibilità di incontrare i “congiunti”, dunque, essere interpretata come un primo approccio responsabile alla vita quotidiana.

In tale sede, merita di essere sottolineato come tale termine sia definito dalla legislazione penale e non da quella civilistica[7].

Agli effetti della legge penale, i “prossimi congiunti” sono “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti; nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole”.

In tempi più recenti, la Suprema Corte ha ammesso che, ai fini della nozione di “congiunti”, è possibile “prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o di affinità giuridicamente rilevanti come tali, ove sussista un saldo e duraturo legame affettivo”[8].

Seguendo tale linea, i giudici di legittimità hanno ribaltato il precedente indirizzo orientato verso una nozione di “congiunti” che univa il profilo affettivo e la base giuridica del rapporto[9].

Con riguardo alla legislazione civilistica, invece, non è possibile pervenire ad un concetto unitario.

L’emergenza sanitaria, altresì, ha posto il problema del bilanciamento tra diritto alla salute e diritto alla bigenitorialità.

Con costante frequenza, il preminente interesse del minore[10] è impiegato come criterio di giudizio nel conflitto tra genitori in merito alle decisioni che investono la prole: il giudice, l’assenza di accordo tra le parti, individua la soluzione più idonea per il benessere del minore.

Il primo orientamento giurisprudenziale ha accordato prevalenza al diritto alla bigenitorialità, sulla base del fatto che i pericoli di diffusione del virus, legati al solo spostamento del figlio tra le abitazioni dei genitori, erano così ridotti da dover cedere di fronte all’esigenza di assicurare la continuità delle relazioni familiari.

Seguendo tale indirizzo, il Tribunale di Milano ha attribuito rilievo giuridico alle FAQ pubblicate sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri, in virtù delle quali gli spostamenti per raggiungere i minori presso il genitore affidatario sono sempre consentiti, secondo le modalità stabilite dal giudice con i provvedimenti di separazione e di divorzio[11].

Parimenti, il Tribunale di Brescia ha statuito che “le limitazioni alla circolazione per la grave emergenza sanitaria, a tutela della salute personale e collettiva, non incidono sulle disposizioni dei Tribunali quanto alla frequentazione dei figli con il genitore non collocatario, a garanzia del rispetto del principio della bigenitorialità”[12].

Occorre segnalare come il susseguirsi dei provvedimenti emergenziali abbiano ostacolato la regolare alternanza delle frequentazioni. In tale ottica, si colloca il DPCM del 22 marzo 2020 che ha introdotto nuove e rilevanti restrizioni alla libertà di circolazione, disponendo “il divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”.

In linea con tale DPCM, il Tribunale di Bari ha sospeso le visite paterne presso la casa di residenza del minore, facendo salva la possibilità di rapportarsi con il figlio tramite mezzi telematici sempre secondo il calendario prestabilito[13].

Nel ritenere il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, il giudice non tiene conto dell’intervento chiarificatore della Presidenza del Consiglio dei ministri[14].

Al contrario, di tale intervento si è avvalso il Tribunale di Verona[15], il quale ha avallato la possibilità per la prole di frequentare entrambe le parti, con l’unica precauzione di prolungare i periodi di collocazione presso il domicilio di ciascuna di esse, in modo da ridurre il rischio di contagio.

Parimenti, il Tribunale di Busto Arstizio ha accolto l’istanza di un genitore non collocatario che lamentava la sospensione degli incontri con la prole, disposta dal Servizio Tutela Minori a fronte dei pericoli della pandemia.

Gli spostamenti dei genitori sul territorio per motivi di visita ai propri figli – stando al Tribunale de quo – devono ritenersi consentiti, in quanto rientranti nelle situazioni di necessità previste dalla normativa[16].

Meritano menzione ulteriori due provvedimenti adottati in via d’urgenza dal Tribunale dei Minori di Roma[17] e dal Tribunale di Pescara[18], dai quali si colgono elementi inediti.

Il Tribunale di Roma, nel respingere l’istanza materna di sospensione delle visite della controparte in ragione dei rischi epidemici, giunge ad una conclusione interessante: la salute dei figli, intesa come condizione complessiva di benessere psico-fisico, verrebbe compromessa dalla persistenza mancanza nella comunità familiare di uno o ambedue le figure genitoriali.

Il Tribunale di Pescara, nell’accogliere l’istanza presentata dal genitore non affidatario fondata sulla permanenza temporanea del figlio minore presso il proprio domicilio, sottolinea come la tenera età del figlio (4 anni) richieda la presenza affettiva di entrambe le parti nella vita dello stesso.

Ad avviso del giudicante, il ricorso prolungato ai mezzi telematici nell’ambito delle relazioni familiari prospetta il rischio di una distorsione irreversibile del rapporto tra genitori e figli.

I contrastanti interventi giurisprudenziali sono riconducibili sia alle imprecise indicazioni normative ed al susseguirsi di un ventaglio di fonti differenti sia all’impiego di strumenti aventi limitata efficacia normativa (come le FAQ).

La strada di un bilanciamento in sede giudiziale, dunque, risulta l’unica praticabile, salvo che i genitori pervengano ad un’intesa.

L’attività di bilanciamento tra diritti – a giudizio di chi scrive – dovrebbe conformarsi al principio di buon senso e di ragionevolezza, al fine di garantire il minor sacrificio dei beni implicati.

Pertanto, l’esercizio del diritto di visita e i contatti tra genitori e figli dovrebbero essere sempre consentiti, fatta eccezione nel caso in cui si prospetti un rischio effettivo di contagio non solo per la prole ma anche per l’intera società[19].

Appare indispensabile non trascurare che il diritto alla bigenitorialità ed il diritto alla salute vengono violati “ogni qual volta in cui l’epidemia viene strumentalizzata per interrompere o limitare il diritto di visita di uno dei genitori”[20].

Le decisioni sopracitate – sempre a parere di chi scrive – avrebbero dovuto considerare l’opinione della prole: ascolto del minore costituisce un valido strumento per concedere al giudice preziosi elementi di valutazione.

Il ricorso ad esso avrebbe permesso al figlio di esprimere timore per un potenziale spostamento o invece necessità di rapportarsi al genitore non affidatario[21].

Preme sottolineare l’indifferenza riservata in tale periodo storico alle coppie omosessuali: come le unioni eterosessuali, anche quelle same-sex sono state messe a dura prova dalla pandemia.

La suddetta circostanza consente di mettere a punto l’espressione “pandemia della disuguaglianza”: a ragion di logica, l’Italia avrebbe dovuto trarre da tale esperienza drammatica un valido insegnamento, riconoscendo piena dignità e garantendo parità di trattamento a tutti i cittadini.

Sebbene siano tenute a adempiere a tutte le responsabilità ed ai doveri della cittadinanza, le coppie omosessuali risultano private della possibilità di esercitare i propri diritti.

Esse, dunque, rimangono confinate alla “periferia” della società.

 3. I dispersivi interventi normativi

Sebbene i nuovi modelli familiari abbiano acquisito valenza sociale, il legislatore italiano non si è preoccupato di riconoscere ad essi specifica tutela.

I plurimi progetti di legge presentati al Parlamento si prestano a chiavi di lettura diverse, dovendo essere giudicati da un lato come una indispensabile presa d’atto da parte del legislatore di un fenomeno consolidato, per altro lato, come un altro modo di disgregazione della famiglia nucleare.

Tralasciando la presentazione delle singole proposte[22], merita citazione il ddl governativo varato in data 8 febbraio 2007, intitolato “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi – Di.co.”, avente ad oggetto non il riconoscimento della convivenza in quanto tale, ma solo la tutela di diritti dei conviventi, scaturenti dal fatto della convivenza[23].

Il disegno di legge in esame è frutto di un lampante fraintendimento: è assodato che quando una situazione di fatto assume rilevanza poiché da essa conseguono situazioni giuridiche soggettive attive o passive, la situazione di fatto diventa categoria giuridica e, di conseguenza, sorge il riconoscimento giuridico.

Il suddetto progetto prevedeva una serie di diritti e doveri come conseguenza automatica di una convivenza provata per il tramite di una certificazione anagrafica, dettando regole sul piano dell’assistenza sanitaria, delle decisioni in materia di salute e nel caso di morte.

Al contempo, lo stesso dettava regole anche in relazione ai diritti successori, agli obblighi alimentari ed al subentro nei contratti di locazione.

Tuttavia, il progetto in commento è stato relegato per fare spazio ad un testo unificato delle varie proposte dibattute in Senato diretto ad introdurre il “Contratto di unione solidale” (c.d. CUS), ossia “un contratto concluso tra persone maggiorenne per l’organizzazione della vita in comune o dopo la sua cessazione, le cui modalità sono regolate dal contratto stesso”.

Il disegno di legge in oggetto si differenzia dall’antecedente in ordine alla forma: l’atto deve essere stipulato attraverso una dichiarazione congiunta davanti al giudice di pace o ad un notaio, non essendo più prevista una dichiarazione resa presso l’ufficio di stato civile. Il punto più critico di tale disegno risiede nella collocazione delle norme in esso contenute nel primo libro del Codice civile, che disciplina le persone e la famiglia.

Come esposto in dottrina[24], ove la proposta fosse diventata legge dello Stato, si sarebbe determinata una famiglia parallela a quella fondata sul matrimonio, con palese contraddittorietà rispetto all’art. 29 Cost.   

Come preannunciato, la latitanza legislativa è stata colmata da diverse disposizioni volte a disciplinare differenti aspetti dei rapporti giuridici che possono svilupparsi nell’ambito familiare.

Importante è l’equiparazione del convivente al coniuge per effetto del disposto degli artt. 330, 333, 342-bis e 342-ter c.c., modificati e introdotti dagli artt. 37, legge n. 149/2001[25] e 2, legge n. 154/2001[26].

Altrettanto significativa è l’equiparazione al coniuge della “persona stabilmente convivente”, attuata dalla riforma in tema di amministrazione di sostegno (artt. 408, 410, 411, 417 e 426 c.c., modificati dalla legge n. 6/2004[27]) per via della quale alla stessa si riconosce il diritto di precedenza nella scelta dell’amministratore di sostegno.

A tale proposito, è opportuno segnalare che il co. 48 della legge del 2016 ha prescritto che “il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l’altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all’articolo 404 del Codice civile”; al contempo, il co. 47 ha aggiunto, all’art. 712, c.p.c., il convivente nella cerchia dei soggetti il cui nominativo deve essere indicato nei ricorsi per interdizione e inabilitazione. In perfetta linea con ciò, la disciplina in tema di procreazione medicalmente assistita (legge n. 40/2004) contempla una disposizione (art. 5) che abbraccia le unioni non matrimoniali (“fermo restando quanto stabilito dall’articolo 4, 1° co., possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”)[28].

Meritano menzione anche le disposizioni introdotte dalla legge n. 54/2006 che, sebbene appaiano “svecchiate” rispetto ai tempi moderni, dettano principi fondamentali per la gestione del rapporto rispetto alla prole dei coniugi in difficoltà[29], estendibili alle coppie conviventi.

Tra gli interventi più risalenti, si segnala la legge n. 356/1958, cha garantisce assistenza, per i figli naturali non riconosciuti dal padre caduto in guerra, laddove questi e la madre abbiano convissuto more uxorio, nel periodo di concepimento; l’art. 42, legge n. 313/1968, che parifica ai fini pensionistici alla moglie la donna che convive da almeno un anno con un militare deceduto a causa di guerra; l’art. 1, legge n. 405/1975, in materia di istituzione di consultori familiari, individua come destinataria del servizio di assistenza della famiglia la “coppia”; l’art. 30, co. 1, legge n. 354/1975, che prevede a sostegno dei condannati e degli internati, dei permessi nell’ipotesi in cui esista un imminente pericolo di vita di un loro familiare o convivente; l’art. 5, legge n. 194/1978, sull’interruzione di gravidanza, ammette la presenza dell’individuo individuato come padre del concepito, a prescindere dal vincolo coniugale.

Con particolare riferimento all’adozione, l’art. 6, co. 4, legge n. 184/1983, sostituito dall’art. 6, legge n. 149/2001[30], considera la convivenza stabile e continuativa precedente il matrimonio ai fini della determinazione dell’idoneità di coppia. In materia di maltrattamenti nell’ambito familiare o verso i minori, si esclude l’esistenza di vincoli di parentela civili o naturale per la configurabilità del reato, essendo sufficiente un rapporto stabile di comunità familiare.

Infine, l’art. 317-bis c.c. attribuisce ai genitori naturali conviventi l’esercizio congiunto della potestà parentale sui figli.

Dalla disamina dei principali interventi settoriali emerge la crescente considerazione dei nuovi modelli familiari.

In dottrina, vi è chi sottolinea come tutti i provvedimenti indicati siano stati adottati non per tutelare i predetti legami in via diretta e principale, ma “per salvaguardare interessi garantiti dalla Costituzione agli individui, in quanto tali, ed in via mediata, in quanto componenti di un nucleo familiare”[31].

3.1. La vaghezza della legge n. 76/2016. Un’occasione persa?

Il legislatore del 2016[32] introduce nell’ordinamento giuridico italiano due istituti diversi: si tratta della “unione civile tra persone dello stesso sesso” e delle “convivenze di fatto”.

Con tale ultima espressione, il legislatore nazionale intende riferirsi ai casi di “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”, fuori da vincoli di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile[33], in assenza di requisiti di sesso[34].

La legge n. 76/2016 – la cui particolare strutturazione si deve ad un “maxiemendamento” approvato dal Senato – consta di un unico e lungo articolo suddiviso in ben 69 commi, di cui i primi 35 riguardano le unioni civili, ed i commi da 36 a 65 interessano le convivenze.

La nuova normativa – nell’ottica di chi scrive – necessita di una ricostruzione sistematica, date le diverse incertezze e le omissioni della legge, dovute alla prevalente considerazione riservata alle unioni civili.

Una prima incertezza consiste nella denominazione prescelta. Il legislatore nazionale avrebbe potuto evitare qualunque aggettivazione, considerato che il richiamo alla “fattualità” risulta contraddittorio e fonte di ambiguità.

Come osservato in dottrina[35], l’intento principale è quello di “mantenersi nel solco della continuità con l’esperienza di questi anni, trasformando in diritto vigente il diritto giurisprudenziale vivente e aggiungendovi poco altro”.

In considerazione di ciò, si spiega il motivo per il quale è stata rigettata l’opzione della convivenza registrata, fondata sulla volontaria assunzione di un vincolo più sottile di quello matrimoniale, “per affidarsi alla statuizione ex legge di alcuni diritti collegati al “fatto” del convivere come coniugi”[36].

Una seconda criticità risiede nell’oggetto della disciplina in esame. In tale senso, si pone il problema se essa escluda quelle convivenze che non rispettino tutti i requisiti formali e sostanziali richiesti.

Il comma 36 prevede che le parti, entrambe maggiorenni, siano uniti “stabilmente” da un legame affettivo di coppia e di reciproca assistenza materiale.

La suddetta disposizione, dunque, omette di specificare quando possa dirsi di essere in presenza di un rapporto di coppia stabile, conferendo all’interprete qualsiasi valutazione in merito.

A tale presupposto si riferisce il successivo comma 37, in virtù del quale “ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica” di cui all'articolo 4 e all’art. 13, co. 1, lett. b), D.P.R. n. 223/1989.

Pertanto, il comma 37 solleva perplessità in ordine alla natura della dichiarazione contemplata dal regolamento anagrafico della popolazione residente.

Una valida risposta è stata concessa dalla giurisprudenza di merito[37], la quale ha qualificato la dichiarazione anagrafica come “strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo”, traendo avallo proprio dal comma 36, introduttivo di una definizione normativa “scevra da ogni riferimento ad adempimenti formali”.

In caso contrario, come ben osservato in dottrina, attribuendo alla dichiarazione natura costitutiva anziché probatoria, si sarebbe costretti ad ammettere che la convivenza, per essere stabile, debba risultare nella dichiarazione anagrafica, indipendentemente dalla durata del rapporto[38].

L’indicazione del requisito di “reciproca assistenza morale e materiale” evoca il sistema dei doveri scaturenti dal matrimonio.

Tuttavia, nel quadro delle convivenze, il predetto requisito assume un valore diverso: non prescrive delle condotte, ma si limita a definire una situazione di fatto.

È fondamentale marcare – ad avviso di chi scrive – il mancato cenno alla contribuzione, alla fedeltà e alla collaborazione nell’interesse della famiglia.

In particolare, l’omissione di quest’ultima, legata all’assistenza morale e materiale, potrebbe essere ricondotta ad un intento non dichiarato: la mancanza di un vincolo matrimoniale sembra comportare il venir meno dei doveri personali stabiliti dalla legge[39].

Alla luce di quanto esposto, appare evidente che la fenomenologia della convivenza sia stata trascurata, al fine di concedere maggiore spazio all’unione civile. In via generale, la nuova normativa sulle convivenze di fatto è insoddisfacente: non disciplinando in modo organico e completo la situazione giuridica di tali unioni, il quadro rimane immutato: un groviglio di norme incongruenti, dettate esclusivamente dalle necessità del momento.

Nell’ottica di chi scrive, si sarebbe dovuto affidare la regolamentazione dei due istituti a leggi differenti, non confinando così proprio il modello che aveva catturato l’attenzione degli interpreti[40].

La “pecca” della legge del 2016 – sempre a parere di chi scrive – consiste nel mancato coordinamento delle nuove disposizioni con le norme già vigenti, poiché l’integrazione delle nuove regole con quelle risalenti crea diverse inconvenienti.

Le regole preesistenti sulle convivenze “riconnettono conseguenze giuridiche al mero fatto materiale del vivere insieme, limitandone a volte l’operatività in base a dati anch’essi fattuali”[41], mentre la nuova legge “limita le conseguenze giuridiche del fatto materiale della convivenza in base al dato, non fattuale ma giuridico, dello stato civile dei conviventi, se legati o meno da un matrimonio non sciolto né annullato”[42].

In aggiunta, è fortemente discutibile la scelta di aver fatto confluire nella disciplina delle “convivenze” quella del “contratto di convivenza”.

Come sostenuto anche in dottrina[43], si sarebbe dovuto attuare una univoca scelta tra due scenari caratterizzanti il dibattito: da una parte, quello tendente a giuridicizzare la relazione di convivenza di per se stessa, atta a dare vita ad uno status; dall’altra, quello mirante ad affidare alla decisione delle parti ogni rilevanza giuridica della loro relazione, in modo tale da identificare il contratto di convivenza come l’unica via volta a far acquisire ad essi uno statuto giuridico della loro convivenza.

Infine, appare doveroso considerare “l’altra faccia della medaglia”: la regolamentazione delle convivenze ha imposto una serie di diritti ad una categoria di soggetti la cui volontà era quella di “sottrarsi al dominio del diritto”[44].

4. “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”

Come noto, la legge n. 219/2012[45] ha raggiunto l’obiettivo fallito dalla riforma del 1975, introducendo una condizione unitaria di figlio, senza più alcuna distinzione nominale e sostanziale tra categorie di figli.

Il fulcro della normativa, dunque, è dato dalla “filiazione senza aggettivi”, espressione di concezioni anacronistiche.

Essa provvede all’attuazione completa della previsione contenuta nell’art. 30 Cost., la quale, nel consacrare il principio di pari responsabilità genitoriale, si rivolgeva a tutti i figli.

La precedente riforma aveva già realizzato la parità tra i figli, mantenendo però distinta la posizione dei figli legittimi rispetto a quelli naturali, che giuridicamente non entravano a far parte della famiglia, ma mantenevano un rapporto giuridico unicamente con il genitore che li aveva riconosciuti, senza instaurare un rapporto legalmente rilevante con l’altro genitore ed i suoi parenti.

Il legislatore italiano prende atto della necessità di non riversare sulla prole la scelta della coppia di dare vita ad un nucleo familiare alternativo a quello tradizionale[46].

Al fine della determinazione dello status di figlio, il matrimonio perde rilievo, in quanto quest’ultimo acquista la pienezza dei propri diritti nei confronti di chi lo ha generato e dei loro parenti con l’avvenuto riconoscimento ovvero con la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità.

Pertanto, il risultato della normativa implica che “il matrimonio non si configuri più quale necessario presupposto per dar vita a relazioni legalmente familiari, che sorgono oramai indipendentemente dalla sussistenza del vincolo, cosicché può affermarsi che esso dispieghi ora effetti esclusivamente con riguardo al rapporto tra coniugi”[47].

L’art. 315 c.c., affermando che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, non solo introduce un principio di pari condizione giuridica dei soggetti indipendentemente da fatti collegati alla nascita, ma intende “rappresentare l’idea di una riformulazione della ratio del diritto di famiglia maggiormente incentrata sulla posizione dei figli nel rapporto con i genitori e nei legami familiari con il gruppo più esteso”[48].

Occorre segnalare come tale unificazione costituisca l’atteso approdo di un cammino intrapreso dalla giurisprudenza dopo la riforma del 2006 sull’affidamento condiviso.

La Corte di Cassazione[49], infatti, aveva evidenziato come la legge n. 54/2006 avesse inciso fortemente sull’assimilazione dei figli nati fuori dal matrimonio ai figli nati da genitori coniugati, prevedendo l’applicabilità delle proprie disposizioni anche ai primi.

Tale parificazione era auspicata sia dalla cultura sensibile alla questione, sia dalla necessità di adeguarsi alle altre legislazioni europee che avevano affrontato e risolto il medesimo problema.

In Inghilterra, per esempio, il legislatore è giunto ad una equiparazione tra la situazione giuridica dei figli legittimi e naturali tramite l’asportazione di ogni riferimento normativo alla potenziale esistenza di un rapporto coniugale tra i genitori e, in aggiunta, attraverso l’inclusione dei figli illegittimi tra i successibili dei parenti dei genitori stessi.

Tuttavia, tali disposizioni non sono state accostate da una omogenea attribuzione della parental responsibility simmetrica tra le parti: nel caso dei figli naturali, essa era riconosciuta solo alla madre, con la possibilità per il padre di ottenerla mediante tre diverse modalità (espressa richiesta, da parte del padre, di essere menzionato nel certificato di nascita; con un accordo stipulato con la madre attraverso il quale egli assume la parental responsibility

sulla prole; con un provvedimento giudiziario atto a conseguire un provvedimento che, in mancanza di intesa con la madre, gli attribuisca la parental responsibility, ove ciò risponda al miglior interesse del minore)[50].

Da tale confronto comparatistico emerge un approccio differente al problema: il Parlamento inglese ha perseguito l’obiettivo di una riforma del linguaggio legislativo, senza incidere concretamente sulla separazione tra figli legittimi e figli naturali; il legislatore italiano, invece, ha operato il definitivo distacco del rapporto genitoriale da quello coniugale, in modo tale da evitare che le scelte esistenziali delle parti possano influire sulla condizione giuridica della prole[51].

In seguito, si è discusso in ordine all’effettivo raggiungimento dell’eguaglianza tra tutte le categorie di figli (con l’eccezione dei figli adottati da maggiorenni), considerato che l’unificazione dello stato si limita agli effetti della filiazione[52].

Attualmente, la posizione del figlio nato da genitori coniugati continua a differenziarsi da quella di figlio nato al di fuori del matrimonio.

La pandemia in corso ha accentuato tale disparità.

A tale riguardo, ha generato problemi la dichiarazione di nascita da parte di genitori positivi al Covid-19, impossibilitati a recarsi presso il Comune di residenza.

Nell’ipotesi di denuncia di nascita di figlio nato da genitori coniugati (art. 30, co. 1, D.P.R. n. 396/2000), è stabilito che la dichiarazione possa essere resa da un procuratore speciale con scrittura privata semplice (delega); la controparte effettuerà il riconoscimento successivamente alla nascita, con il consenso del genitore dichiarante la nascita davanti all’Ufficiale di Stato Civile.

Ben più intricato è il caso di denuncia di nascita di prole nata da genitori non uniti in matrimonio; in tale circostanza, trova applicazione l’art. 244 c.c., secondo cui “il riconoscimento del figlio naturale nato fuori dal matrimonio è fatto nell’atto di nascita, oppure con una dichiarazione posteriore alla nascita o al concepimento (c.2), davanti ad un ufficiale di stato civile (o davanti al giudice tutelare), o in un atto pubblico o in un testamento qualunque sia la forma di questo”.

Appare doveroso aprire una breve parentesi in ordine ai figli delle coppie same-sex[53].

In tale fase storica, le famiglie omosessuali sono state escluse dalla cerchia dei beneficiari degli aiuti messi in atto dal Governo per riparare ai danni provocati dalla pandemia, tra cui il bonus per il servizio di baby-sitting.

Proprio con riguardo ai servizi educativi, occorre evidenziare il mancato riconoscimento del genitore sociale, a partire dagli stessi operatori educativi e sociali che tendono ad avere una rappresentazione difettosa della genitorialità omogenitoriale: è largamente diffusa la convinzione che i minori debbano crescere senza deficit psicologici e sociali, nonché con un padre ed una madre.

Diversamente, garantire riconoscimento nelle istituzioni educative ai bambini in famiglie “alternative” costituisce una sfida sia per istituzioni e personale sia per i genitori, al fine di accrescerne “la visibilità e favorirne l’accettazione e l’inclusione sociale in un contesto di parziale riconoscimento giuridico”[54].

5. Legami “invisibili”: il poliamore ai confini della società

È impensabile concludere tale operato trascurando il fenomeno del “poliamore”; ciò per due ragioni: l’aumento delle comunità poliamorose moderne nel mondo; l’insufficiente considerazione riservata ai predetti legami sentimentali nello scenario italiano[55].

Prima di entrare nel merito di ciascun punto, occorre tracciare una definizione adeguata di “poliamore”.

Con tale espressione, si fa riferimento a quelle relazioni affettivo-sessuali vissute come stabili tra più individui adulti consenzienti (omo, etero, bisessuali, queer o persino asessuali), che si vivono come un’organizzazione familiare[56].

Proprio per la totale mutazione delle sue configurazioni in termini di genere e di scelte sessuali, tale tipologia di famiglia è considerata come “moderna”, differenziandosi così da quella “tradizionale”.

Da sempre, la poligamia è contrastata nel quadro nazionale, in ragione dell’imposizione della monogamia quale unica forma possibile di relazione affettiva familiare.

In tale sede, si ritiene necessario sottolineare i due sostanziali elementi che distinguono le esperienze familiari poliamorose dalla poligamia: da una parte, tali relazioni sfidano la monogamia attraversando l’Occidente e senza alcun retaggio religioso; dall’altra, esse non palesano profili di discriminazione di genere al loro interno[57].

Sul versante internazionale, la nuova realtà delle relazioni familiari non monogamiche moderne è seriamente presa in considerazione a partire dagli anni ’90 del secolo scorso.

Nel 2006, il termine “poliamory” è racchiuso nell’Oxford English Dictionary, a conferma della volontà di riconoscere parziale dignità ad un nuovo modo di amare e di creare famiglia, riconducibile a pratiche relazionali intime e affettive plurali e consensuali.

Nel corso del tempo, il poliamore inizia ad ottenere un timido riconoscimento giuridico, specialmente in terra d’oltreoceano: nel 2015, in Brasile, un notaio di São Paulo ha siglato l’unione di un uomo e di due donne[58], con l’intento di tutelarsi reciprocamente a livello economico nell’eventualità di morte o separazione di uno o più tra loro; nel 2017, in Colombia, tre uomini hanno celebrato un matrimonio informale, considerato dai media come il primo matrimonio “poligaymico” giuridicamente riconosciuto[59].

È interessante rilevare come proprio negli Stati Uniti – ove l’adulterio e la coabitazione tra un soggetto coniugato ed il suo non legittimo coniuge costituiscono condotte penalmente sanzionate – talune serie televisive di successo iniziano a porre in luce l’esistenza di famiglie mormone poligame, palesando così il coraggio di accogliere e inglobare tali nuove relazioni nel tessuto sociale:  si tratta di un dato  interessante, poiché lancia il tema della poligenitorialità, che presenta senz’altro elementi innovativi rispetto alla cruciale querelle dell’adozione monogenitoriale o di quella da parte di un genitore singolo.

In Italia, proprio la mancata considerazione mediatica – a giudizio di chi scrive – accresce le difficoltà di riconoscimento giuridico di tali nuove forme affettive e rallenta altresì il dibattito accademico sulla notevole varietà di rapporti familiari.

Appare opportuno interrogarsi su quale sia lo statuto giuridico delle unioni poliamorose nell’ordinamento nazionale. In dottrina, vi è chi sostiene che ad esse sono direttamente applicabili tutti i diritti e tutte le tutele riconosciuti alle coppie non coniugate[60], salvo le poche regole di nuovo conio introdotte dalla legge n. 76/2016 (ad esempio, nel caso di morte del partner convivente, il diritto a continuare ad abitare nella casa in cui si è svolta la vita comune spetta al solo convivente), sebbene non manchino spazi per interpretazioni estensive ed analogiche. In aggiunta, ai componenti dell’ordine poliamoroso è consentito regolare i rapporti scaturenti dalla vita in comune per mezzo di un contratto atipico di convivenza, nel quale le parti possono anche dedurre diritti ed obblighi propri del matrimonio o della convivenza tipica prevista dall’art. 1, comma 36, della legge del 2016.

È indispensabile soffermarsi anche sui “grandi assenti” del dibattito: oltre alla successione, vige assoluto silenzio in ordine alla filiazione.

Come precisato in dottrina[61], la genitorialità riferita ad un gruppo risulta più antica di quella binaria, tanto è vero che una siffatta configurazione del rapporto familiare rappresentava la “normalità” in determinati contesti.

Tuttavia, l’atteggiamento di chiusura sui rapporti tra filiazione e poliamore discende dalla tradizionale convinzione che non sia immaginabile attribuire la responsabilità genitoriale a più persone.

Una parte della dottrina sottolinea come il “best interest of the child”[62] rappresenti un valido argomento a favore di un riconoscimento delle coppie poliamorose, dal momento che al moltiplicarsi dei modelli familiari e della libertà riconosciuta ai soggetti di formare e scindere la propria unione è venuta a corrispondere l’esigenza di tutelare i minori nelle varie e differenti situazioni. In concreto, il preminente interesse del minore diviene criterio per l’instaurazione di un regime giuridico familiare alternativo a quella coppia, teso a conferire “certezza ai rapporti genitoriali pur nella molteplicità e nella fragilità dei modelli familiari esistenti nella realtà sociale…poliamore compreso!”[63].

Il tema del riconoscimento delle famiglie consensuali non monogamiche costituisce una questione ancora poco dibattuta a livello costituzionale, considerato che l’attenzione in tale campo è principalmente prestata alla sola poligamia. In tale sede, si reputa necessario riflettere sulla possibilità di includere le unioni poliamorose nella nozione costituzionale di famiglia (art. 29 Cost.)[64].

Occorre partire dal presupposto che i riferimenti normativi per le relazioni consensuali non monogamiche sono rilevabili in ambito penale (art. 556 c.p.)[65], civilistico (art. 86 c.c.)[66] e nella Direttiva sul ricongiungimento familiare[67].

Sebbene la Costituzione non ammetta esplicitamente tali legami, occorre tenere presente che con l’espressione “società naturale” non si intendeva evocare un’essenza, ma risolvere una questione politica[68]. Nella seduta del 30 ottobre 1946[69], l’on. Aldo Moro dichiarava che il futuro art. 29 perseguiva l’obiettivo di “riconoscere costituzionalmente che lo Stato ha dinanzi a sé delle realtà autonome da cui esso stesso prende le mosse, sia pure a sua volta influenzandole”.

Nella successiva seduta del 6 novembre 1946[70], in merito alla formula “società naturale”, egli sosteneva che “essa corrisponde ad un’evidente preoccupazione di ordine politico (…) che riguarda la lotta contro il totalitarismo di Stato, il quale intacca innanzi tutto la famiglia, per potere, attraverso questa via, più facilmente intaccare la libertà della persona”, escludendo così ogni implicazione di tipo giusnaturalistico”.

La posizione di privilegio riconosciuta alla famiglia tramite la garanzia di istituto non deve essere dissociata da una prospettiva di incessante mutazione della società.

Il modello costituzionale di famiglia risulta strettamente legato agli artt. 2 e 3, nonché ai fini di promozione della personalità e trasformazione della società recepiti dalla Costituzione.

Esiste un intimo legame tra modello costituzionale della famiglia e dimensioni della dignità: a tale riguardo, una corrente di pensiero osserva che l’omesso riconoscimento giuridico di determinate manifestazioni della vita familiare e l’assenza di specifiche garanzie del libero svolgimento della personalità all’interno della formazione familiare medesima non generano “soltanto insicurezza, privando i soggetti interessati di presenza civile e di un “senso di legittimità”, ma acuiscono la vulnerabilità morale di tali soggetti […] e appaiono idonee a incidere sulla stessa determinazione dei contorni dell’immagine costituzionalmente rilevante della persona”[71] .

In definitiva, non sembra soddisfacente cogliere dall’art. 29 Cost. un “nucleo duro” – rappresentato dall’esistenza di un legame affettivo-familiare tra due individui di sesso diverso – il quale comunque richiederebbe, nel tempo, modifiche di dettaglio alla sua disciplina positiva[72].

In ultima analisi, con particolare riferimento all’emergenza sanitaria, uno studio recente ha evidenziato come la sessualità e i legami affettivi “alternativi” non abbiano ricevuto idonea attenzione da parte delle istituzioni italiane[73].

Tale circostanza dimostra come le famiglie poliamorose siano considerate ancora oggi l’eccezione, la devianza, l’anormalità rispetto al sistema di valori largamente condivisi[74].

In tale contesto storico, una maggiore considerazione delle relazioni poliamorose – ad avviso di chi scrive – avrebbe innovato il diritto di famiglia italiano, in virtù di quella solidarietà costantemente evocata nel corso della pandemia da Covid-19.

6. La Costituzione alla prova dei mutamenti sociali

È ormai assodato che la nozione di famiglia sia quella che, più di altre, risulta aver subito maggiori e significative trasformazioni. In considerazione di ciò, appare estremamente complesso tracciare una puntuale definizione; la predetta difficoltà è stata incontrata sia nel panorama giuridico sia in quello sociologico.

Tuttavia, è quest’ultimo ad ammettere, per primo, la sussistenza di una molteplicità di tipologie familiari, nonché l’impossibilità di cogliere un comune denominatore di tali differenze.

In particolare, vi è chi considera la famiglia un prodotto culturale, come tale in continua trasformazione ed evoluzione, in conseguenza del quale le sue caratteristiche strutturali ed i modelli relazionali al suo interno mutano nel tempo e nello spazio[75].

È sempre il contesto sociologico a marcare la necessità di separare la famiglia dal matrimonio, inteso quale insieme di costumi aventi il loro centro nel legame tra una coppia di adulti che si uniscono sessualmente all’interno di una famiglia.

In tale ottica, il matrimonio definisce “il modo di fondazione e di scioglimento di tale rapporto, il comportamento normativo e gli obblighi reciproci al suo interno e le restrizioni che vigono localmente”[76].

È impensabile terminare il presente lavoro omettendo una riflessione sulla “tenuta” delle disposizioni costituzionali alla luce dei mutamenti familiari.

La Costituzione Italiana, che si contraddistingue per la spiccata attenzione riservata alla famiglia, ha dovuto imbattersi in problemi nuovi e intricati, insorti dall’evoluzione del modello tradizionale[77] delineato all’epoca dell’Assemblea costituente: temi discussi parzialmente e sotto un punto di vista diverso (convivenze, figli nati da relazioni extraconiugali) e temi completamente ignorati (omosessualità, poliamore).

La comparsa di nuovi modelli familiari, dunque, ha posto in discussione le disposizioni costituzionali, costringendo a rivedere la nozione di famiglia, data ormai per consolidata.

Da tempo, si tende ad inquadrare ogni altra forma di unione affettiva diversa dal modello tipizzato di famiglia ex art. 29 Cost., per quanto stabile ed incentrata sul principio di responsabilità, come una formazione sociale beneficiaria solo della copertura generale assicurata dall’art. 2 Cost.

Tale concezione proviene non solo dalla dottrina ma anche dalla giurisprudenza costituzionale.

Prima dell’entrata in vigore della legge n. 76/2016, la Consulta escludeva dalla sfera materiale di garanzia dell’art. 29 Cost. la convivenza “priva di caratteri di stabilità e di certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio” e le relazioni omosessuali[78].

Nell’ottica dei giudici costituzionali, ogni soluzione interpretativa volta a far rientrare altri tipi di unioni sotto la copertura dell’art. 29 Cost. non avrebbe potuto concepirsi come una “semplice rilettura del sistema” o come abbandono di “una mera prassi interpretativa”, trattandosi invece di una concreta “interpretazione creativa”, come tale inammissibile; l’art. 2 Cost. – ad ogni caso – legittima l’aspirazione “a vivere liberamente una condizione di coppia”[79].

Di recente, una parte della dottrina ha sollevato dubbi circa l’estraneità dell’art. 29 Cost., chiedendosi se il legislatore potesse decidere se e a quali condizioni estendere la nozione costituzionale di famiglia fino a coprire altre forme di relazioni affettive[80].

Vi è chi ritiene che le disposizioni costituzionali sopracitate congiuntamente favoriscano e proteggano la nascita di nuove formazioni sociali a carattere familiare, ogni qual volta la libera unione “sia in grado di assolvere a quella funzione di sviluppo di valori di ordine “spirituale” e di garanzie di stabilità, meritevoli di tutela in quanto manifestazione di una comunità di “affetti” ove si esprime la personalità dell’individuo”[81].

La Costituzione – seguendo tale ragionamento – risulta in linea

con la realtà, pur essendo avvertita come distante.

Una diversa corrente di pensiero, pur non negando che la Costituzione abbia consentito fino a tale momento all’istituzione familiare di assolvere alle proprie funzioni fondamentali, afferma invece che “le direttrici costituzionali sulla famiglia richiedono oggi di essere adeguate ad una conformazione della stessa che non soltanto è profondamente mutata, ma che anche viene percepita come diversa rispetto alla definizione costituzionale”.

Senza entrare nel merito di tali impostazioni, ci si limita ad evidenziare che “la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti”[82]

6. Conclusioni

Giunti a tale punto, appare opportuno compiere brevi considerazioni circa l’evoluzione normativa del diritto di famiglia.

Oltre al consolidamento morale della parità tra uomo e donna, si è pervenuti allo scioglimento del vincolo coniugale ed alla parificazione della filiazione naturale a quella legittima.

A partire dalla riforma del 1975, l’unità della famiglia “non è più formalmente imposta, ma sostanzialmente salvaguardata attraverso il riconoscimento di quell’autonomia e quella libertà che trovano le loro più evidenti espressioni nei principi di solidarietà e responsabilità, da declinarsi sulla base del diritto alla partecipazione a pari titolo alla conduzione della vita familiare”.[83]

Da ciò discende che l’interesse della famiglia inizia a identificarsi con quello dei suoi componenti. In concreto, si è assistiti al passaggio da un modello familiare dai connotati marcatamente giuspubblicistici – ove l’istituto della famiglia svolgeva una funzione sociale nello Stato – ad un diverso modello di approccio privatistico, nel quale la sfera di autonomia dei membri della comunità familiare e la loro autodeterminazione trovano maggiore spazio, in una prospettiva di valorizzazione dei principi costituzionali.

A dispetto delle notevoli trasformazioni avvenute in tale periodo storico, oggi si assiste ad un effettivo contrattacco a quelle conquiste: la mancata considerazione delle relazioni non monogamiche evidenzia come non sia sufficiente rimuovere gli ostacoli e sostenere la libertà e l’autodeterminazione degli individui, richiedendosi piuttosto l’abbandono di astratti schemi paritari[84].

Di fronte all’impossibilità di arrestare l’evoluzione sociale, si avverte la forte necessità di trovare valide soluzioni che consentano di tutelare anche i nuovi rapporti affettivi, pur essendo lontani dalla concezione tradizionale di famiglia.

Tale esigenza è particolarmente sentita nel contesto storico vigente, segnato da una drammatica emergenza sanitaria che ha posto in risalto le profonde disuguaglianze ancora sussistenti in tale ambito. Sebbene quello tradizionale della famiglia fondata sul matrimonio abbia costituto sino ad oggi il modello-chiave, i cambiamenti sociali implicano necessariamente di tenere conto della realtà[85], nonché dei diversi legami affettivi, anch’essi meritevoli di considerazione.  

In tale sede, pur condividendo il pensiero del giurista Carlo Arturo Jemolo (“la famiglia è un’isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto”)[86], si ritiene che l’atteggiamento di chiusura mostrato verso le nuove realtà affettive costituisca espressione della volontà di compiere un passo indietro nel tempo.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul modello costituzionale della famiglia e sulla sua evoluzione, tra i tanti, si veda C. Esposito, Famiglia e figli nella costituzione italiana, in Studi in onore di A. Cicu, II, Giuffrè, Milano, 1951, 553 ss; M. Bessone, Rapporti etico-sociali. Sub Artt. 30-31 Cost, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1976, 1 ss.; R. Biagi Guerini, Famiglia e Costituzione, Giuffrè, Milano 1989; G. Giacobbe, Il modello costituzionale della famiglia nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 2006, I, 481 ss; A. Morrone, sub art. 2, in M. Sesta (a cura di) Codice della famiglia, I, Giuffrè, Milano 2009, 34 ss.; M. Sesta (a cura di), sub artt. 29, 30, 31 Cost., in Codice della famiglia, cit., 80 ss; M. Manetti, Famiglia e Costituzione: le nuove sfide del pluralismo delle morali, in Rivista AIC, 2010; R. Biancheri, Famiglia di ieri, famiglie di oggi. Affetti e legami nella vita intima, Ets, Pisa, 2012; I.A. Nicotra, La famiglia “in divenire” dinanzi ad un legislatore “fuori tempo massimo”, in Gruppo di Pisa, 2013; T. Auletta, Modelli familiari, disciplina applicabile e prospettive di riforma, n. 3, 2015, 615-648; A. Papa, Il “mosaico della famiglia” tra dettato costituzionale, giurisprudenza e realtà sociale, in Rivista AIC, n. 2, 2015; E. Rossi, Un fossile vivente (e necessario): la famiglia tra disciplina costituzionale e mutamenti sociali, in Osservatorio AIC, n. 2, 2022.

[2] L. 19 maggio 1975, n. 151 (“Riforma del diritto di famiglia”). Per un approfondimento, si veda R. Sarti, 19 maggio 1975: la riforma del diritto di famiglia, in Riv. di cultura e di politica, 17 maggio 2019; S. Lariccia, La legge sul divorzio e la riforma del diritto di famiglia in Italia negli anni 1970-’75, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 2, 2020, pp. 72-76.

[3] Sull’incerta estensione dell’ambito applicativo dell’art. 74 c.c., si veda D. Barillaro, Della parentela e della affinità, sub. art. 74, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 441, il quale limita l’estensione dell’istituto alla sola generazione in costanza di matrimonio. Nella stessa direzione, si muovono G. Galeno, Parentela e affinità (Diritto romano e vigente), in Noviss. Dig. it., XII, Torino, 1968, p. 391; F. Santoro Passarelli, Parentela naturale, famiglia e successione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, p. 27 ss. La valenza del matrimonio quale fondamento della parentela è rinnegata da G. Ferrandi, Il rapporto di filiazione naturale, in Tratt. Bonilini-Cattaneo, Filiazione e adozione, III, Torino, 1997, p. 93. Sulla modifica dell’art. 74 c.c. ad opera della riforma del 2012, si veda G. Werther Romagno, Dalla “filiazione naturale” alla “parentela naturale”. Alcune riflessioni sull'articolo 74 c.c., in Giustizia civile, n. 2, 2015, pp. 313-334.

[4] M. Di Masi, Il diritto di famiglia alle prese con il Covid-19. Alcune questioni, in Rivista Ianus, 20 maggio 2020, p. 3.

[5] La circolare del Ministero dell’Interno evoca la giurisprudenza di legittimità (Corte Cass., Sez. IV, 10 novembre 2014, n. 46351).

[6] Così, M. Di Masi, Il diritto di famiglia alle prese con il Covid-19. Alcune questioni, op. cit., p. 4.

[7] Tale circostanza è posta in luce da F. Meglio, La nozione di «congiunti» e il D.P.C.M. 26 aprile 2020, in Familia. Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa, 28 aprile 2020.

[8] Cass. pen., 14 novembre 2014, n. 46351.

[9] Trib. Trento, 19 maggio 1995.

[10] Sul principio del preminente interesse del minore, la dottrina è ricca. Si veda, tra i molteplici, L. Giacomelli  (Re)interpretando i best interest of the child: da strumento di giustizia sostanziale a mera icona linguistica, in F. Giuffrè, I. Nicotra (a cura di) La famiglia davanti ai suoi giudici, Editoriale scientifica, Napoli, 2014, pp. 467 ss.; S. Romboli, La natura relativa ed il significato di clausola generale del principio dell’interesse superiore del minore, in F. Giuffrè, I. Nicotra (a cura di) La famiglia davanti ai suoi giudici, Editoriale scientifica, Napoli, 2014, pp. 505; E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interest of the child nella prospettiva costituzionale, FrancoAngeli, Milano, 2016; G. Vanoni, L’interesse del minore ad un’educazione conforma ai valori fondativi della Costituzione, in Consulta Online, n. 2, 2017; V. Scalisi, Il superiore interesse del minore, ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, 405 ss.; M.R. Marella, Fra status e identità. L’interesse del minore e la costruzione della genitorialità, in Liber amicorum Pietro Rescigno, II, Napoli, 2018, 1213 M. Acierno, Il mantra del preminente interesse del minore, in Questione Giustizia, n. 2, 2019; M. De Masi, L’interesse del minore. Il principio e la clausola generale, Napoli, 2020, 39 ss.; E. Quadri, Una riflessione sull’interesse del minore e la dimensione familiare della sua tutela, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 1332 s M. Sesta, La prospettiva paidocentrica quale fil rouge dell’attuale disciplina giuridica della famiglia, in Fam. e dir., n. 7, 2021, 763-775. Tra le pronunce più recenti richiamanti il predetto principio, si veda Corte cost. 9 marzo 2021, n. 32 e 33 (per un commento, si veda A. Ruggeri, La PMA alla Consulta e l’uso discrezionale della discrezionalità del legislatore (Nota minima a Corte cost. nn. 32 e 33 del 2021), in Consulta Online, n. 1, 2021; E. Albanesi, Un parere della Corte EDU ex Protocollo n. 16 alla CEDU costituisce norma interposta per l’Italia, la quale non ha ratificato il Protocollo stesso?, ibidem, n. 1, 2021; G. Barcellona, Le “brutte bandiere”: diritti, colpe e simboli nella giurisprudenza costituzionale in materia di GPA. Brevi note a margine di Corte cost. 33/2021, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 2, 2021; A. Matteoni, Legittimità, tenuta logica e valori in gioco nelle “decisioni di incostituzionalità prospettata”: verso un giudizio costituzionale di ottemperanza?, in Consulta Online, n. 2/2021; C. Masciotta, La vexata quaestio della maternità surrogata torna dinanzi ai giudici costituzionali, in Federalismi, n. 2, 2021; E. Frantoni, L’adozione in “casi particolari” non è più sufficiente per tutelare l’interesse dei minori nati attraverso la maternità surrogata, in Nomos-Le attualità del diritto, n. 2, 2021); Corte cost., 23 dicembre 2021, n. 252 (sia consentito il rinvio a L. Leo, “Omnia vincit amor”: adozione monogenitoriale e interesse del minore, in Diritti Fondamentali, n. 1, 2022); Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79 (con nota di M.C. Errigo, Garantire le relazioni familiari. La decisione della Corte costituzionale n. 79/2022, in Osservatorio AIC, n. 2, 2022).

[11] Trib. Milano, ord. 11 marzo 2020.

[12] Trib. Brescia, decr. 31 marzo 2020.

[13]  Trib. Bari, 26 marzo 2020. In tale direzione, Trib. Napoli, decr. 26 marzo 2020; Trib. Trento, 31 marzo 2020; Trib. Cagliari, decr. 9 aprile 2020 e Trib. Monza, ord. 17 aprile 2020. F. Romeo, Emergenza epidemiologica, corretto esercizio della responsabilità genitoriale e tutela della bigenitorialità, in Actualidad Jurídica Iberoamerican, n. 12, 2020, solleva talune perplessità circa la possibilità di surrogare il diritto-dovere di visita del genitore non collocatario mediante una presenza virtuale realizzata tramite sistemi di videochiamata (“non ci sono dubbi che la moderna tecnologia può essere di grande aiuto quando le residenze dei genitori sono lontane ovvero uno quando dei genitori, per ragioni lavorative, è costretto a trascorrere molto tempo in un altro paese. Tuttavia, non si può fare a meno di rilevare che l’utilizzo giornaliero di sistemi di videochiamata è cosa ben diversa dall’interazione fisica tra genitori e figli. Non è possibile assimilare una giornata passata insieme al proprio figlio in presenza ad una giornata passata danti ad uno schermo”).

[14] Sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri è stato chiarito che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro. Tali spostamenti dovranno in ogni caso avvenire scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario (persone in quarantena, positive, immunodepresse etc.), nonché secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori”.

[15] Trib. Verona 27 marzo 2020.

[16] Trib. Busto Arsizio 3 aprile 2020.

[17] Trib. min. Roma 9 aprile 2020.

[18] Trib.  Pescara 22 aprile 2020.

[19] In tale senso, G. Colacino, Emergenza sanitaria da Covid-19, fra istanze di bigenitorialità e tutela del best interest of the child, in Ordines, n. 2, 2020, p. 129 ammette che “mentre il diritto alla bigenitorialità, dopo essere stato temporaneamente limitato potrebbe comunque tornare a riespandersi (pur con tutte le ricadute negative sull’equilibrio e sulla vita del minore che si possano immaginare), quello alla salute, invece, una volta inciso dall’azione infettiva del virus, potrebbe andare incontro ad una compressione non più recuperabile e dagli esiti talvolta letali”.

[20] Secondo A. Pera, Stato di emergenza, libertà fondamentali e diritto alla bigenitorialità nelle famiglie in crisi ai tempi del Covid-19, in The cardozo electronic law bulletin, Vol. 26, 2020, p. 31, “i soggetti lesi saranno soltanto i figli, costretti a subire l’ulteriore stress della tensione familiare, della riduzione degli incontri, della compressione degli spazi condivisi. L’effetto è la violazione di diritti dei minori e dei genitori”.

[21] C. Valente, Interesse del minore e bigenitorialità v. legislazione emergenziale: riflessione sui recenti orientamenti giurisprudenziali, in Jus Civile, n. 5, 2020, p. 1351.

[22] Sulle plurime proposte di legge presentate in Italia, si veda A. M. Benedetti, Le proposte di legge italiane in materia di convivenza, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza. Università degli studi di Genova, n. 1, 2000, p. 39 ss.; C. Petitti, I diritti nelle famiglie di fatto: attualità e futuro, in Familia, 2003, p. 1021 ss.; M. Cocuccio, Convivenza e famiglia di fatto, in Dir. fam. pers., 2009, pp. 934-937; S. Canata, La legalizzazione della vita di coppia: panorama europeo e prospettive di riforma in Italia, in Fam. pers. succ., n. 3, 2010, p. 198 ss.

[23] Per una critica alla proposta, si veda M. Dogliotti, A. Figone, Famiglia di fatto e DICO: un’analisi del progetto governativo, in Famiglia e diritto, 2007, p. 406 ss.

[24] Così, G. Giacobbe, La famiglia nell'ordinamento giuridico italiano materiali per una ricerca, Giappichelli, Torino, 2016, p. 113.

[25] L. 28 marzo 2001, n. 149 (“Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”).

[26] L. 4 aprile 2001, n. 154 (“Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”).

[27] L. 9 gennaio 2004, n. 6 (“Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonchè relative norme di attuazione, di coordinamento e finali”).

[28]S. Canestrari, Procreazione assistita: limiti e sanzioni, in Diritto penale e processo, n. 4, 2004, p. 417, osserva che la predetta norma avrebbe potuto limitarsi ad indicare “coppie di adulti maggiorenni di sesso diverso”, senza alcun richiamo al matrimonio o alla convivenza”.

[29] Ai sensi dell’art. 4 della legge n. 54/2016: “Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”. Tali principi, poi, sono stati recepiti dagli attuali artt. da 337-bis a 337-octies c.c., in un apposito capo (“Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio”), introdotto dall’art. 55 del D.lgs. n. 154/2013.

[30] Nella sentenza 6 luglio 1994, n. 281, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, co. 1, legge n. 184/1983, sollevata con riferimento all’art. 2 Cost., ove esso dispone che, ai fini dell’idoneità ad adottare i minori, gli aspiranti siano uniti in matrimonio da almeno tre anni, escludendo i conviventi non sposati.

[31] Così, A. Pera, Il diritto di famiglia in Europa. Plurimi e simili o plurimi e diversi, Giappichelli, Torino, 2012, cit., p. 128.

[32] L. 20 maggio 2016, n. 76 (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”). Come noto, a tale legge si è pervenuti solo in seguito ad un travagliato iter parlamentare. Sul punto, si veda L. Rossi Carleo, E. Bellissario, V. Cuffaro, Famiglia e successione. Le forme di circolazione della ricchezza familiare, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 109-111. In particolare, M. Moretti, L’unione civile e la tutela dei diritti della persona, in Annali del Dipartimento Jonico, 2017, 254, sottolinea come l’intento iniziale del ddl fosse quello di imitare la legge tedesca sulle unioni civili.

[33] Pertanto, restano escluse altre forme di convivenza di tipo solidaristico o assistenziale. In concreto, il legislatore introduce, anche per le convivenze, taluni impedimenti previsti per il matrimonio e le unioni civili. Secondo G. Ferrando, Diritto di famiglia. Unioni civili e convivenze. Aggiornamento 2016, Zanichelli, Bologna, 2017 p. 11, il legislatore non considera “che una cosa è prevedere condizioni di validità di un atto volontario, altro è prendere in considerazione una situazione di fatto”.

[34] A. Gorassini, Convivenze di fatto e c.d. famiglia di fatto., in Riv. dir. civ., 2017, n. 4. 861, osserva che “le convivenze omosessuali si contrappongono come fatto rilevante a quel sorgere mediante atto, allo stesso modo di come per le coppie etero il matrimonio come atto aveva evidenziato nella sua mancanza nel mondo del diritto l’esistenza di una famiglia di fatto”.

[35] Così, M. Paradiso, Comma 36. Comma 37, in C. M. Bianca, Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. n. 6/2017; d.lgs. n. 7/2017, Giappichelli, Torino, 2018, cit., p. 475.

[36] Così, M. Paradiso, Comma 36. Comma 37, cit., p. 476. In senso critico, si veda E. Quadri, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, in Giustizia civile, n. 2, 2016, p. 8.

[37] Trib. Milano, 31 maggio 2016, con nota di R. Siclari, Dichiarazione anagrafica di convivenza ed accesso del concepito all’accertamento preventivo della paternità, in La nuova giurisprudenza civile, n. 11, 2016, pp. 1473-1483.

[38] Così, L. Lenti, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, in Jus Civile, n. 2, 2016, p. 96.

[39] Nell’ottica di L. Lenti, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, cit., 97, il legislatore italiano intende “ignorare che la giurisprudenza, a partire da quella – fondamentale – della CEDU, è costante e inequivocabile nel giudicare che si ha famiglia ovunque vi siano relazioni interpersonali caratterizzate da quell’intimità che secondo il comune sentire è detta appunto familiare, indipendentemente dall’esistenza o meno di vincoli giuridici”.

[40] Una soluzione già prospettata da tempo. In tale senso, si veda P. Perlingieri, La famiglia senza matrimonio tra l’irrilevanza giuridica e l’equiparazione alla famiglia legittima, in Rass. dir. civ., 1988, p. 601 ss.; A. Falzea, Problemi attuali della famiglia di fatto, in Aa.Vv., Una legislazione per la famiglia di fatto? (Atti del Convegno di Roma Tor Vergata, 3 dicembre 1987), Napoli, 1988, p. 51 ss.; M. Francesca, Famiglia: modello normativo e fatto-convivenza, in M. Francesca e M. Gorgoni (a cura di), Rapporti familiari e regolazione: mutamenti e prospettive, Napoli, 2009, 55 ss.; M. Sesta, Le convivenze tra libertà, solidarietà e public policy, in P.Q.M., 2004, p. 13 ss.; M. Gorgoni, Le convivenze “di fatto” meritevoli di tutela e gli effetti legali, tra imperdonabili ritardi e persistenti perplessità, in Id. (a cura di), Unioni civili e convivenze di fatto, Maggioli, Sant’Arcangelo Romagna 2016 p. 167 ss.

[41] Così, L. Lenti, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, cit., 94.

[42] Così, L. Lenti, La nuova disciplina delle convivenze di fatto: osservazioni a prima lettura, cit., 94.

[43] E. Quadri, “Convivenza” e “contratto di convivenza”, Jus Civile, n. 2, 2017, 108.

[44] Così, M. Tamponi, Del convivere. La società postfamiliare, La Nave di Teseo, Milano, 2019, p. 63.

[45] L. 10 dicembre 2012, n. 219 (“Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”).

[46]  G. Giamo, The status of the child nell’ordinamento giuridico inglese. Brevi raffronti comparatistici, in R. Cippitani, S. Stefanelli (a cura di), La parificazione degli status di filiazione, Roma, 2013, p. 192. 

[47] Così, M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, p. 233.

[48] Così, F. Caggia, Il linguaggio del nuovo diritto di filiazione (alcune considerazioni), in A. Miranda (a cura di), Modernità del pensiero giuridico di G. Criscuoli e Diritto Comparato, Giappichelli, Torino, 2015, 43.

[49] Cass. civ., Sez. I, 10 maggio 2011, n. 10265.

[50] M. Moretti, La filiazione nell’ordinamento giuridico inglese: the status of the child, in Annali del Dipartimento Jonico, 2018, pp. 189-190.

[51] G. Giamo, The status of the child nell’ordinamento giuridico inglese, cit., pp. 193-194.

[52] In particolare, L. Lenti, La costituzione del rapporto filiale e l’interesse del minore, in Jus Civile, n. 2, 2019, p. 2, osserva che “se si accoglie l’idea che l’unicità dello stato sia raggiunta, benché l’unificazione riguardi solo gli effetti, allora va detto che tale traguardo era già stato raggiunto in modo quasi completo nel 1975. Al contrario, se si ritiene che per considerare davvero unificato lo stato non sia sufficiente unificare gli effetti, ma occorra unificare anche le regole sulla sua attribuzione e soprattutto sulla sua rimozione, allora va detto che lo stato di figlio no n è unificato neppure oggi”.

[53] Come noto, la legge n. 76 del 2016, ha riconosciuto il legame tra i partner dello stesso sesso, ma non la c.d. stepchild adoption, negando la possibilità da parte del genitore intenzionale di adottare il figlio biologico del o della partner. Sul punto, tra i tanti, si veda L. Rabboni, “Unioni civili e adozione: l’insidia di una questione nominalistica”, in Minorigiustizia, 2015, n. 4, pp. 114-124; A. Schuster, “L’adozione cogenitoriale per le unioni civili: soluzione doverosa, ma insufficiente”, in Minorigiustizia, 2015, n. 4, pp. 125-133; B. Poliseno, Stepchild adoption, al centro del dibattito tra diritti e legittimità, in Guida al diritto, 2016, n. 9, p. 15 ss.; G. Alberico, La stepchild adoption: cenni introduttivi, in Diritti Fondamentali, n. 1, 2016; M. D’Amico, “L’approvazione del ddl Cirinnà fra riconoscimento dei diritti e scontro ideologico”, in Federalismi, n.5, 2016; V. Turchi, Unioni civili e stepchild adoption. A proposito del dibattito in corso, ricordando la lezione di Norberto Bobbio, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 9, 2016; G. Grasso, Unione omoaffettiva e adozione, in Genius, n. 1, 2017; G. Vannoni, La stepchild adoption nella giurisprudenza italiana, in Revista de la Facultad de Derecho de México, n. 275, 2019; Per un generale inquadramento del fenomeno a livello europeo, si veda S. Aceto di Capriglia, La stepchild adoption e il fenomeno delle coppie same sex nel diritto europeo contemporaneo, ibidem, n. 6, 2020. 

[54] Così, R. Bosisio, A. Santero, Diversità famigliari e diritti dei bambini. Famiglie omogenitoriali e migranti nei nidi d’infanzia e nella scuola, in Riv. pol. soc., n. 1, 2020, p. 99.

[55] Come noto, l’Italia è un Paese marcatamente cattolico; tale aspetto contribuisce a rafforzare il primato del matrimonio eterosessuale monogamico. Sotto tale profilo, B. Gusmano, Oltre le frontiere dell'amore romantico: poliamore, altre intimità e non monogamie consensuali LGBTQ in Italia, in E. Grande, L. Pes, Più cuori e una capanna. Il poliamore come istituzione, Giappichelli, Torino, 2018, p. 55, osserva che “tale primato non ha effetti solo sulla vita affettiva delle persone, ma sull’intera strutturazione della società: sociologicamente, l’Italia fa parte dei paesi a regime mediterraneo, in cui il benessere viene concepito come una responsabilità privata che dipende dal familismo implicito”. In Italia, la necessità di riservare specifica attenzione ai legami affettivi “alternativi” è avvertita già da diverso tempo: “la monogamia, che è in realtà solo un’utile convenzione sociale, non durerà in eterno. Nella pratica raramente è stata rispettata e presto scomparirà anche come ideale. Non credo che la società ritornerà alla poligamia. Andremo piuttosto verso una concezione radicalmente nuova di relazione sentimentale e amorosa. Nulla ci impedisce di innamorarci di più di una persona contemporaneamente” (così, J. Attali, Crepuscolo della monogamia. Siamo l’ultima generazione, in “Corriere della Sera”, 13 settembre 2005).

[56] La predetta definizione è messa a punto da E. Grande, Il poliamore, i diritti e il diritto, in E. Grande, L. Pes, Più cuori e una capanna. Il poliamore come istituzione, cit., p. 186.

[57] M.R. Marella, Il diritto civile e la laicità, in E. Bivona, M. Cavallaro, M. Lazzara, F. Romeo, Sui mobili confini del diritto. Tra pluralità delle fonti ufficiali e moltiplicarsi di formanti normativi “di fatto”, Giappichelli, Torino, 2022, p. 298.

[58] J. Elgot, Brazil Approves Civil Union for Three People, Sparking Religious Fury, in The Huffington Post, 29 agosto 2012.

[59] S. Brodzinsky, Colombia Legally Recognises Union between Three Men, in The Guardian, 3 luglio 2017.

[60] Per un approfondimento, si veda A. Vercellone, Più di due. Verso uno statuto giuridico della famiglia poliamore, in E. Grande, L. Pes, Più cuori e una capanna. Il poliamore come istituzione, cit., pp. 148-149.

[61] Così, M. Rizzuto, Adozioni e poligenitorialità, in Actualidad Jurídica Iberoamericana, n. 13, 2020, p. 651.

[62] Su tale principio, tra i numerosi, si veda E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, FrancoAngeli, Milano, 2016; L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016; A. Ruggeri, Unità della famiglia, eguaglianza tra i coniugi, tutela del preminente interesse dei minori, in Diritti fondamentali, n. 1, 2017; J. Long., Il principio dei best interests e la tutela del i minori, in Questione giustizia, n. 1, 2019; M. Acierno, Il mantra del preminente interesse del minore, in Questione giustizia, n. 2, 2019; M. Di Masi, L’interesse del minore. Il principio e la clausola generale, Jovene, Napoli, 2020. Sia consentito il rinvio anche a L. Leo, 'The best interest of the child' e sottrazione di minori all'estero. Note a margine della sentenza della Corte Cost. n. 102/2020, in Federalismi, n. 25, 2020, pp. 190-193.

 

[63] Così, M. Di Masi, Sull'istituzionalizzazione del poliamore, in Riv. critica del diritto privato, n. 1, 2019, pp. 155-156.

[64] Il predetto aspetto è accuratamente trattato da A. Lorenzetti, Il paradigma diadico del matrimonio. Quali barriere costituzionali al giuridico delle famiglie poliamore?, in E. Grande, L. Pes, Più cuori e una capanna. Il poliamore come istituzione, cit., pp. 91-120.

[65] Ai sensi dell’art. 556 c.p.: “Chiunque, essendo legato da un matrimonio avente effetti civili, ne contrae un altro, pur avente effetti civili, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi, non essendo coniugato, contrae matrimonio con persona legata da matrimonio avente effetti civili”.

[66] Ai sensi dell’art. 86 c.c.: “Non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso precedente”.

[67] Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare. In particolare, ai sensi dell’art. 4, comma 4, di tale Direttiva: “In caso di matrimonio poligamo, se il soggiornante ha già un coniuge convivente sul territorio di uno Stato membro, lo Stato membro interessato non autorizza il ricongiungimento familiare di un altro coniuge”.

[68] In tali termini, si esprime anche, S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 117.

[69] A. C., I sottocommissione, seduta del 30 ottobre 1946.

[70] A. C., I sottocommissione, seduta del 6 novembre 1946.

[71] Così, A. Schillaci, Famiglie e dignità delle relazioni: una lettura costituzionale, in Questione Giustizia, n. 2, 2019.

[72] In tale senso, si veda F. Dal Canto, Matrimonio tra omosessuali e principi della Costituzione Italiana, in Foro It., 2005, p. 278 ss.

[73] M. Costacurta, Le sessualità devianti nel lockdown del 2020 in Italia. Analisi di 16 interviste condotte con persone che hanno violato la quarantena nazionale per coltivare l’intimità, in Rivista Italiana di Antropologia Applicata, n. 2, 2021, pp. 7-36. È doveroso segnalare la sussistenza in Italia di un movimento per il Poliamore: “la caratteristica principale delle relazioni poliamorose è il consenso informato di tutti i partner coinvolti. Perché ci sia consenso, deve necessariamente esserci informazione su ciò a cui si sta dicendo di sì. È importante quindi che all’interno dei rapporti ci sia una comunicazione aperta ed onesta e un’attenzione particolare al rispetto dei sentimenti e dei bisogni di ognuno” (http://www.polia-more.org).

[74] Così, M.R. Marella, Poligamia. Un problema per il diritto occidentale, in S. Marchetti, J.M.H. Mascat, V. Perilli (a cura di), Femministe a parole. Grovigli da districare, Ediesse, Roma, 2012, p. 215 ss.

[75] C. Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, Milano, 1969, 613-617.

[76] Così, G.P. Murdock, Social structure, New York, 1949, trad. it., La struttura sociale, Milano, 1971, 9.

[77] Non vi è alcun circa il fatto che i Costituenti, pur consapevoli dell’esistenza di ulteriori legami, intesero riferirsi al matrimonio tra uomo e donna. Nella sentenza n. 237/1986, la Corte costituzionale ricorda come in Assemblea Costituente fu rigettato “un voto inteso a disgiungere, nell’art. 29, primo comma, la locuzione “diritti della famiglia come società naturale” dall’altra “fondata sul matrimonio”; si procedette - all’incontro - dapprima al voto sul riconoscimento dei diritti familiari, accorpandosi, in successiva votazione, la frase “come società naturale fondata sul matrimonio”, rimasta avvinta in inscindibile endiadi” (a tale proposito, si veda A.M. Poggi, L’intenzione del costituente nella teoria dell’interpretazione costituzionale: Spunti per una sua definizione alla luce della dottrina american dell’“Original Intent of the Framers”, in Dir. Pubbl., 1997, 153 ss). In senso critico sul richiamo alle intenzioni dei Costituenti A. Cariola, Quel che resta e quel che impedisce: la vicenda dell’assegno divorzile nel contesto delle nozioni di famiglia e convivenze nella giurisprudenza costituzionale, in Rivista AIC, n. 4, 2014, 3, secondo il quale “risulta alla fine illusorio andare alla ricerca dei valori prettamente originari ed autentici di una volta, trascurando che i valori della Costituzione sono in gran parte i valori che oggi questa società ritiene essere quelli su cui si fonda la convivenza, una società che tra l’altro è fortemente integrata a livello sovranazionale”.

[78] Corte cost., 14 aprile 1980, n. 45. In linea con ciò, Corte cost., 9 febbraio 1983, n. 35.

[79] Corte cost. 11 giugno 2014, n. 170.

[80] F. Biondi, Famiglia e matrimonio. Quale modello costituzionale, in Gruppo di Pisa, n. 2, 2013, 4 ss.

[81] Così, F. Rinaldi, Dinamiche evolutive in materia di diritti della famiglia nella giurisprudenza costituzionale e di merito, e nuove formazioni sociali, in Diritti fondamentali, 2015, 13-14.

[82] Corte cost., 28 novembre 2002, n. 484.

[83] Così, R. Pasquili, La famiglia nel tempo, Forum, Udine, 2013, p. 226.

[84] C. D’Elia, Il legame tra adulti, la trappola della parità e il riconoscimento delle differenze, in Questione Giustizia, n. 2, 2019, p. 38.

[85] In tale senso, già in precedenza F. Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, I, ora in Persona e famiglia. Scritti di Francesco D. Busnelli, Pacini Editore, Pisa, 2017, p. 354, affermava che “al giurista fedele al dettato costituzionale ma attento al tumultuoso “diritto vivente” emergente dalla prassi spetta il compito di verificare la possibilità di ricostruire un sistema che resti imperniato su tale modello ma che sia in grado di filtrare e di inquadrare armonicamente le istanze della prassi”.

[86] C.A. Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali Univ. Catania, 1948, II, p. 38.