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Pubbl. Lun, 1 Ago 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Bonus docenti: l´ennesimo caso di discriminazione a danno degli insegnanti non di ruolo

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Mattia Angeleri
AvvocatoUniversità degli Studi di Torino



La L. n. 107/2015, all’art. 1, commi dal 121 al 124, ha istituito un bonus annuale al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, riservando tuttavia tale strumento soltanto agli insegnanti di ruolo. L’esclusione dei docenti non in ruolo dalla percezione di tale emolumento appare in netto contrasto non soltanto con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione ma anche con la Direttiva 99/70/CE dell’Unione Europea in materia di tempo determinato, comportando una discriminazione che sarà oggetto di numerosi ricorsi presso i Tribunali locali, fino ad un eventuale e auspicabile intervento del legislatore in grado di sanare la lesione, educativa e professionale, che l’attuale normativa ha generato.


ENG

Teacher bonus: yet another case of discrimination against non-permanent teachers

The Law no. 107/2015, in art. 1, paragraphs 121 to 124, has instituted an annual bonus in order to support the continuous training of teachers and to enhance their professional skills, however reserving this tool only for permanent teachers. The exclusion of non-permanent teachers from the perception of this fee appears in stark contrast not only to Articles 3, 36 and 97 of the Constitution but also with the European Union Directive 99/70 / EC on fixed-term contracts, resulting in discrimination that will be the subject of numerous appeals within the local Courts, up to a possible and desirable intervention of the legislator able to heal the injury, educational and professional, that the current legislation has generated.

Sommario: 1. La disciplina sostanziale; 2. Rapporto tra L. 107/2015 e artt. 3, 35 e 97 della Costituzione alla luce del principio di non discriminazione tra docente di ruolo e non di ruolo e del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione; 3. La violazione del principio di non discriminazione di cui alla Direttiva 1999/70, alla CDFUE e alla Carta Sociale Europea; 4. Conclusioni.

1. La disciplina sostanziale

La “carta del docente”, introdotta dall'art. 1, comma 121, della L. n. 107/2015 per gli anni scolastici 2016/2017 e seguenti, consiste in un bonus in denaro utilizzabile annualmente dall’insegnante per l’acquisto di libri, riviste, ingressi nei musei, biglietti per eventi culturali, teatro e cinema o per iscriversi a corsi di laurea e master universitari, a corsi per attività di aggiornamento svolti da enti qualificati o accreditati presso i Ministeri dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

La Carta, prevista al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, dell’importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, si inserisce nell’ambito degli adempimenti connessi alla formazione in servizio dei docenti di ruolo obbligatoria, permanente e strutturale.

Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria.

In attuazione delle previsioni di cui alla L. 107/2015 è stato emanato il d.p.c.m. 23 settembre 2015 (le cui disposizioni sono state sostituite da quelle del d.p.c.m. 28 novembre 2016 a far data dal 2 dicembre 2016, che non ha variato la disciplina sostanziale in merito ai requisiti necessari per usufruire di tale bonus), rubricato «modalità di assegnazione e di utilizzo della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado».

Tale d.p.c.m., all' art. 2, individua i destinatari della suddetta carta elettronica, indicandoli nei docenti di ruolo a tempo indeterminato presso le Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova, per poi ribadire che la carta è assegnata, nel suo importo massimo complessivo, esclusivamente al personale docente a tempo indeterminato.

L’art. 4 del medesimo d.p.c.m., inoltre, elenca le modalità di utilizzo della carta, riproducendo in buona sostanza le previsioni dell’art. 1, comma 121, della L. n. 107/2015, e sostenendo come la carta possa essere utilizzata da ciascun docente per l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste; per l’acquisto di hardware e software; per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'istruzione, dell’università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale; per rappresentazioni teatrali e cinematografiche; per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo o per iniziative coerenti con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche e del piano nazionale di formazione di cui all’art. 1, comma 124, della Legge n. 107 del 2015, lasciando al Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca la possibilità di sottoscrivere apposite convenzioni, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, con operatori pubblici e privati, finalizzate all’ottimale utilizzo della Carta da parte di ciascun docente.

Sulla base di tale quadro normativo, il Ministero ha infine emanato la nota prot. n. 15219 del 15 ottobre 2015, la quale al punto 2 (“Destinatari”) ribadisce che «la carta del docente (e il relativo importo nominale di 500 euro/anno) è assegnata ai docenti di ruolo delle istituzioni scolastiche statali a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti in periodo di formazione e prova, che non siano stati sospesi per motivi disciplinari (art. 2 DPCM)».

Da una prima lettura della norma, come riportata, apparirebbe plausibile ritenere del tutto legittimo per il Ministero escludere i docenti non di ruolo dalla cerchia dei destinatari del bonus previsto carta dei docenti, in quanto spettante solo agli insegnati assunti a tempo indeterminato.

Tale interpretazione, tuttavia, appare in netto contrasto tanto con il dato costituzionale quanto con quello previsto dalla Direttiva 1999/70/CE.

2. Rapporto tra L. 107/2015 e artt. 3, 35 e 97 della Costituzione alla luce del principio di non discriminazione tra docente di ruolo e non di ruolo e del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione

In merito all’esclusione da parte del Ministero dell’Istruzione dei docenti a tempo determinato dal beneficio della carta elettronica, la giurisprudenza non ha tardato a pronunciarsi.

Nello specifico, nel 2016, si è espresso il TAR Lazio – Roma, Sezione Terza Bis, che con sentenza n. 7799 ha respinto il ricorso dei docenti a tempo determinato che chiedevano il riconoscimento del bonus, sostenendo che il sistema adottato dal Ministero convenuto fosse da considerarsi “a doppia trazione”; tale impostazione comportava che l’obbligo di formazione, permanente e strutturale, fosse previsto soltanto a carico dei docenti di ruolo e che, per tale ragione, questi sarebbero stati gli unici legittimati a ricevere il sostegno economico previsto dall’art. 1, comma 121, della L. 107/2015.

Tralasciando per il momento il problema relativo alla compatibilità con la clausola 4 e 6 della Direttiva 99/70/CE – che si tratterà approfonditamente nel prossimo paragrafo – il T.A.R. è arrivato a sostenere la legittimità del sistema “a doppia trazione”, sulla base di considerazioni che, tuttavia, appaiano decisamente poco soddisfacenti.

I giudici amministrativi hanno sostenuto che la limitazione del beneficio al personale a tempo indeterminato, con esclusione di quello a tempo determinato, non contrasterebbe con il principio di uguaglianza, poiché tale assioma presuppone il trattamento di situazioni presentanti una fondamentale omogeneità delle caratteristiche essenziali in maniera differente che, però, nel caso di specie non sarebbe rinvenibile. L’art. 1, comma 124, della L. n. 107/2015, infatti, prevede soltanto per il personale docente di ruolo la formazione in servizio obbligatoria, permanente e strutturale, mentre nulla di tutto ciò viene previsto per i docenti non di ruolo.

La differenziazione, in sostanza, sarebbe giustificata dal fatto che, sebbene la carta del docente sia solo uno degli strumenti previsti dalla L. n. 107/2015 al fine di sostenere la formazione continua dei docenti, la stessa svolgerebbe tuttavia una funzione indispensabile per il docente nella ricerca dei mezzi ritenuti più utili e adeguati alla propria crescita culturale e professionale; se ne evincerebbe, a dire del citato Giudice amministrativo, che tale bonus costituirebbe il contraltare per la maggior gravosità del servizio espletato dai docenti di ruolo, per i quali soltanto la formazione in servizio sarebbe divenuta attività funzionale obbligatoria, strutturale e permanente.

A tale conclusione, peraltro, non osterebbe il fatto che la nuova disciplina sulla formazione in servizio del personale docente di ruolo dettata dalla L. n. 107/2015 si ponga in contrasto con il C.C.N.L. di categoria (e in specie: con gli artt. 63, 64 e 29 del C.C.N.L. del 29 novembre 2007 invocati a sostegno della tesi secondo cui sussisterebbe un obbligo della P.A. di erogazione della formazione in favore anche del personale docente non di ruolo), poiché la normativa di legge, in quanto successiva, sarebbe da considerarsi prevalente nei confronti delle disposizioni del C.C.N.L.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1842/2022, ha recentemente ribaltato tale decisione arrivando viceversa a ritenere, con argomentazioni del tutto condivisibili, l’illegittimità dell’esclusione.

Il massimo giudice amministrativo, nello specifico, è arrivato a ritenere che il sistema, come interpretato dai giudici di prime cure, andasse a collidere con le disposizioni costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 della Costituzione[1], sia sotto il profilo della discriminazione a danno dei docenti non di ruolo[2] sia per la lesione del principio di buon andamento della P.A.[3], scontrandosi con l’esigenza del sistema scolastico di far sì che sia tutto il personale docente (e non solo quello di ruolo) a poter conseguire un livello adeguato di aggiornamento professionale e di formazione, onde garantire la qualità dell’insegnamento complessivo fornito agli studenti.

A sostegno di tale assunto appare peraltro evidente la non conformità ai canoni di buona amministrazione di un sistema che, ponendo un obbligo di formazione a carico di una sola parte del personale docente (e dandogli gli strumenti per ottemperarvi), continua nondimeno a servirsi, per la fornitura del servizio scolastico, anche di un’altra aliquota di personale docente, la quale è tuttavia programmaticamente esclusa dalla formazione e dagli strumenti di ausilio per conseguirla: non può dubitarsi, pertanto, che, nella misura in cui la P.A. si serva di personale docente non di ruolo per l’erogazione del servizio scolastico, debba curarne la formazione, al fine di garantire la qualità dell’insegnamento fornito agli studenti.

Per questi motivi, l’erogazione della carta non va di certo a compensare la maggiore gravosità dello sforzo richiesto ai docenti di ruolo in chiave di aggiornamento e formazione, poiché identico sforzo viene richiesto anche ai docenti non di ruolo.

Se così non fosse, si andrebbe appunto a creare un sistema “a doppia trazione”, generante una differenziazione di trattamento, a parità di situazione, tra docenti di ruolo e non di ruolo non in grado di assicurare la complessiva qualità dell’insegnamento.

Del resto, l’insostenibilità dell’assunto per cui la carta del docente sarebbe uno strumento per compensare la pretesa maggior gravosità dell’obbligo formativo a carico dei soli docenti di ruolo, si evince anche dal fatto che la carta stessa è erogata ai docenti part-time (il cui impegno didattico ben può, in ipotesi, essere più limitato di quello dei docenti a tempo determinato) e persino ai docenti di ruolo in prova, i quali potrebbero non superare il periodo di prova e, così, non conseguire la stabilità del rapporto.

Quanto premesso porta alla logica conseguenza che la normativa primaria istitutiva della carta docente debba essere interpretata in chiave costituzionalmente orientata, al fine di garantire la conformità del sistema alla Costituzione e ciò tenendo in considerazione anche la disciplina prevista in tema di formazione dei docenti dal CCNL di categoria, da leggersi in chiave di complementarietà rispetto al disposto di cui all’art. 1 commi da 121 a 124 della legge n. 107/2015.

Secondo quanto condivisibilmente affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza in esame, infatti, «l’interpretazione di tali commi deve tenere conto delle regole in materia di formazione del personale docente dettate dagli artt. 63 e 64 del C.C.N.L. di categoria: regole che pongono a carico dell’Amministrazione l’obbligo di fornire a tutto il personale docente, senza alcuna distinzione tra docenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, “strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio” (così il comma 1 dell’art. 63 cit.). E non vi è dubbio che tra tali strumenti possa (e anzi debba) essere compresa la carta del docente, di tal ché si può per tal via affermare che di essa sono destinatari anche i docenti a tempo determinato (come gli appellanti), così colmandosi la lacuna previsionale dell’art. 1, comma 121, della L. n. 107/2015, che menziona i soli docenti di ruolo: sussiste, infatti, un’indiscutibile identità di ratio – la già ricordata necessità di garantire la qualità dell’insegnamento – che consente di colmare in via interpretativa la predetta lacuna».

In estrema sintesi, il Consiglio di Stato, atteso che ai sensi degli artt. 63 e 64 del CCNL di categoria l’Amministrazione scolastica ha l’obbligo di fornire a tutto il personale docente, senza alcuna distinzione tra docenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, “strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio”, ha ritenuto che, al fine di evitare conflitti con la Costituzione prima e il diritto europeo poi, la carta dei docenti non possa che essere ricompresa all’interno di tali strumenti e, dunque, essere garantita indistintamente a tutti i docenti.

Se il ragionamento del Consiglio di Stato appare del tutto condivisibile e coerente con un’interpretazione sistematica dello strumento, è ora necessario comprendere come i Tribunali locali andranno ad affrontare i singoli ricorsi che i docenti a tempo determinato inizieranno molto probabilmente a presentare.

La situazione appare più complicata di quanto possa sembrare ad una prima analisi.

I giudici di prime cure, infatti, nel dirimere la questione si troveranno dinnanzi a due differenti strade: optare per un’interpretazione costituzionalmente orientata o effettuare un rinvio alla corte costituzionale per violazione degli artt. 3[4], 36[5] e 97[6] della Costituzione.

Nel caso in cui si decidesse di optare per la prima soluzione, il problema più evidente sarebbe quello di entrare in pieno contrasto con il dettato normativo che, all’art. 1, comma 121, L. n. 107/2015, indica espressamente come la carta elettronica sia istituita «per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado».

La stessa Corte Costituzionale ha infatti sostenuto come la formula dell’interpretazione costituzionalmente orientata di una norma di legge - quale canone ermeneutico e, ad un tempo, quale argomento interpretativo[7] che fonda sul principio del giusto processo e su quello della ragionevole durata del processo[8] - si basa sul rilievo che le «incertezze di lettura sono destinate a dissolversi una volta che si sia adottato, quale canone ermeneutico preminente, il principio di supremazia costituzionale che impone all’interprete di optare, fra più soluzioni astrattamente possibili, per quella che rende la disposizione conforme a Costituzione»[9]; e che «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali…, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali»[10].

Sulla base di tale lettura, comprensibilmente complesso appare il superamento del lapidario dettato normativo, estremamente stringente nel limitare il bonus docenti, seppur senza alcuna giustificazione, al solo personale assunto a tempo indeterminato. D’altronde fornire al giudice ordinario la possibilità di superare il dettato normativo, apparirebbe in contrasto tanto con l’art. 101, comma 2, della Costituzione[11], quanto con l’art. 12, comma I, delle “Disposizioni della legge in generale”, che evidenzia come «nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore».

È per tali ragioni che la strada del rinvio costituzionale apparirebbe, senza dubbio, una scelta più prudente e coerente con le teorie in materia di interpretazione della legge.

Resta da dire, tuttavia, che il Tribunale di Vercelli, nella causa R.G. n. 83 del 2021, ha aperto un terzo possibile scenario (una terza via), sottoponendo la questione, mediante rinvio pregiudiziale[12], alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per comprendere l’esistenza o meno di un’interpretazione della L. 107/2015 conforme con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con la clausola 4 e 6 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE.

Il rinvio pregiudiziale così compiuto, necessita pertanto di un’analisi in merito alla compatibilità tra la normativa interna e quella europea.

3. La violazione del principio di non discriminazione di cui alla Direttiva 1999/70, alla CDFUE e alla Carta Sociale Europea

Il Tribunale di Vercelli, nel sollevare la questione di pregiudizialità, ha richiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea se l’utilizzazione del sistema “a doppio binario” creato dal Ministero violerebbe o meno il disposto della clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla Direttiva 1999/70 contenente il principio di non discriminazione nell’ambito delle condizioni di impiego (pacificamente esteso anche al pubblico impiego), nonché la clausola 6 dell’Accordo Quadro citato, l’art. 14 della CDFUE e l’art. 10 della Carta Sociale Europea, tutti inerenti al diritto/dovere di formazione e aggiornamento professionale di tutto il personale in servizio.

Senza la pretesa di sostituirsi al lavoro della CGUE nel redigere le motivazioni che hanno portato al recente riconoscimento del bonus docenti anche in capo ai docenti precari - avvenuta con ordinanza del 18.05.2022 pronunciata nella causa C - 450/21[13] - è comunque possibile andare a compiere una disamina per comprendere dove la normativa italiana appaia in contrasto con quella europea e, inoltre, capire come il giudice italiano si dovrà/potrà muovere nel caso concreto sottopostogli una volta ottenuta l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Con riferimento al principio di non discriminazione, la clausola 4 ritiene che «per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possano essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».

Per giurisprudenza costante della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, tale principio impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato[14].

Il principio generale della parità di trattamento, pilastro del diritto dell’Unione, impone in sostanza che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera differenti[15], per cui è sufficiente che i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile perché i primi siano legittimati a rivendicare il beneficio di tale clausola[16].

La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro mira, infatti, ad applicare il principio di non discriminazione ai lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti che sono invece riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato[17].

D’altronde, l’obiettivo dell’accordo quadro, individuato nel considerando 14 della Direttiva 1999/70/CE consiste nella finalità di «migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione», essendo «volontà delle parti sociali stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni»[18].

Pacifico il fatto che i docenti non di ruolo abbiano ricevuto un trattamento meno favorevole di quelli in ruolo, il punto focale per comprendere se si possa o meno applicare la clausola in questione, diventa quello di comprendere se la somma/retribuzione aggiuntiva di cui alla carta dei docenti debba essere sussunta o meno nella nozione di «condizioni di impiego».

Se è pur vero che l’art. 1, comma 124, L. n. 107/2015 ritiene che la somma di cui alla carta dei docenti non costituirebbe retribuzione accessoria o reddito imponibile, è anche vero che la CGUE è arrivata più volte a sostenere che dall’esigenza di applicazione uniforme del diritto dell’Unione deriva che, laddove una sua disposizione non rinvii al diritto degli Stati membri per quanto riguarda una determinata nozione, quest’ultima debba essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto non solo dei termini della disposizione interessata, ma anche del suo contesto e dello scopo perseguito dalla normativa di cui tale disposizione fa parte[19].

Secondo il principio di non discriminazione tra lavoratori di cui alla Direttiva 1999/70/CE, pertanto, una disparità di trattamento che riguarda le condizioni di impiego tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato non può essere giustificata mediante un criterio che, in modo generale ed astratto, si riferisca alla durata stessa dell’impiego al fine di impedire che un rapporto di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato.

La circostanza che il riconoscimento del bonus docente dipenda quindi in modo determinante dall’effettiva prestazione del servizio, non può che presumere che l’assegnazione della carta del docente sia normativamente legata alla mera sussistenza del rapporto di lavoro e, dunque, rientri nelle “condizioni di impiego”, in conformità alla consolidata giurisprudenza della CGUE, secondo cui «il criterio decisivo per determinare se una misura rientri in tale nozione è precisamente quello dell’impiego, vale a dire il rapporto di lavoro sussistente tra un lavoratore e il suo datore di lavoro»[20].

È dato del tutto pacifico che le mansioni, le competenze professionali e i diritti/doveri di formazione e aggiornamento dei docenti a tempo determinato siano normativamente e contrattualmente identici a quelli dei docenti a tempo indeterminato, diversificandosi la posizione sostanziale del docente non di ruolo da quella del docente di ruolo, solo sotto il profilo della stabilità del rapporto di lavoro instaurato con la Pubblica Amministrazione[21].

Un’interpretazione della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro differente da quella fino ad ora vista e che escludesse dalla nozione di “condizioni d’impiego” un emolumento finalizzato all’aggiornamento e alla formazione del personale docente, equivarrebbe pertanto a ridurre, in spregio all’obiettivo assegnato alla suddetta disposizione, l’ambito di applicazione della tutela accordata ai lavoratori a tempo determinato, generando un'ingiustificata discriminazione nei confronti dei docenti non in ruolo[22].

Evidenziato il profilo di discriminazione dovuto alla mancata erogazione a favore dei docenti non di ruolo del bonus, è ora necessario capire se siano o meno presenti delle condizioni oggettive che possano giustificare, tale disparità di trattamento.

Come già precedentemente evidenziato, atteso che dall’art. 282 del decreto legislativo n. 297/94, dall’art. 28 del C.C.N.L. del Comparto Scuola del 4 agosto 1995 e dagli artt. 63 e 64 del C.C.N.L. del Comparto Scuola del 27 novembre 2007 emerge come il Ministero sia tenuto a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio, tanto al personale a tempo determinato che indeterminato, e come la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisca un diritto–dovere anche per gli insegnanti a tempo determinato, in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle loro professionalità, appare evidente come le “condizioni oggettive” giustificanti un diverso trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato non possano essere rintracciate nel caso di specie.

L’integrazione salariale erogata dal bonus docenti non ha infatti lo scopo di ricompensare l’assolvimento di compiti ulteriori che possano essere esercitati unicamente dai docenti a tempo indeterminato con esclusione dei docenti a contratto a tempo determinato, bensì corrisponde ad un diritto/dovere di aggiornamento e formazione che grava su tutto il personale docente, ma che viene remunerato solo al personale assunto a tempo indeterminato.

Il diverso trattamento tra docenti a termine e docenti a tempo indeterminato, infine, non pare possa ritenersi giustificato neppure dalla stabilità del rapporto dei docenti a tempo indeterminato, posto che l’integrazione retributiva viene erogata anche al docente in prova, il quale consegue la stabilità solo dopo l’obbligatorio superamento del periodo di prova.

Preso atto, pertanto, della presenza di una discriminazione, dell’assenza di condizioni oggettive tali da giustificarla e dovendo la normativa interna apparire conforme e in accordo con la normativa europea, è chiaro l'interpretazione coerente al sistema dell’art. 1, commi dal 121 al 124, L. n. 107/2015 consista nel ritenere che il bonus docenti debba essere erogato non soltanto ai docenti di ruolo ma anche a quelli non di ruolo.

Tale interpretazione appare altresì avvalorata dalla clausola 6 della Direttiva 99/70 citata sul diritto/dovere di formazione e aggiornamento professionale di tutto il personale in servizio.

La clausola in questione sostiene come «nella misura del possibile, i datori di lavoro dovrebbero agevolare l’accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunità di formazione adeguate, per aumentarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale».

L’indicazione «nella misura del possibile» deve essere letta alla luce dell’art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europa, per la quale «ogni persona ha diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e continua»[23], nonché dell’art. 10 della Carta Sociale Europea, per cui «ogni persona ha diritto ad adeguati mezzi di formazione professionale»[24], obbligando il legislatore italiano a garantire, stante l’obbligo di parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato in materia di formazione ed accesso ai servizi di connettività, la formazione continua a tutto il personale docente, considerato anche che tale formazione costituisce un’attività funzionale obbligatoria, strutturale e permanente finalizzata al miglioramento dell’insegnamento e, dunque, conforme al principio generale di buon andamento della Pubblica Amministrazione.

In tal senso, sottolineato il conflitto tra normativa italiana e il diritto dell’Unione Europea, è ancora necessario analizzare il rapporto tra diritto dell’Unione Europea e diritto interno, alla luce del primato del diritto europeo su quello degli Stati membri.

Laddove ci si trovi dinnanzi ad una Direttiva, come nel caso di specie, per comprendere se tale atto possa essere applicato direttamente dal giudice nazionale nel caso sottoposto alla sua attenzione è necessario comprendere se le clausole richiamate dalla parte siano incondizionatamente e sufficientemente precise per poter essere invocate nei confronti dello Stato membro a partire dalla data di scadenza del termine concesso a quest’ultimo per realizzare la trasposizione della Direttiva stessa.

E’ stata la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea a sostenere, a più riprese, come le clausole previste all’interno delle Direttive europee, laddove rimaste inattuate o mal recepite dopo la scadenza del termine assegnato allo Stato membro, nel caso contengano disposizioni incondizionate e sufficientemente precise, possono comportare la disapplicazione delle norme interne confliggenti, negata l’efficacia diretta qualora i paesi abbiano un seppur minimo margine discrezionale nell’attuazione della disposizione interessata[25].

Per pacifica giurisprudenza della CGUE, non vi è dubbio che la clausola 4 dell’accordo quadro recepito nella Direttiva CE/1999/70 sia dotata di tali requisiti.

La CGUE ha infatti sostenuto come «il divieto preciso stabilito dalla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non necessita l’emanazione di alcun atto delle istituzioni comunitarie, dato che la disposizione esaminata non attribuisce affatto agli Stati membri la facoltà, in occasione della sua trasposizione in diritto nazionale, di condizionare o di restringere la portata del diritto stabilito in materia di condizioni di impiego» e che, se è pur vero che rispetto al principio di non discriminazione da essa enunciato la clausola preveda una riserva relativa alle giustificazioni fondate su ragioni oggettive, «l’applicazione di tale riserva può essere soggetta ad un sindacato giurisdizionale[26], talché la possibilità di avvalersene non impedisce di considerare che la disposizione esaminata attribuisca ai singoli diritti che possono far valere in giudizio e che i giudici nazionali devono tutelare»[27].

Sulla precisione e sul carattere incondizionato della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non incide neppure il punto 2 della medesima. Infatti, tale punto 2 si limita a sottolineare una delle conseguenze che possono se del caso essere ricollegate, sotto il controllo eventuale del giudice, all’applicazione del principio di non discriminazione a favore dei lavoratori a tempo determinato, senza per nulla incidere sul tenore stesso di tale principio.

Analoghe considerazioni possono essere svolte, in subordine, con riferimento alla clausola 6 del citato accordo quadro, che si limita ad enunciare un principio chiaro e preciso in relazione all’obbligo del legislatore italiano a garantire la medesima formazione sia ai lavoratori a tempo determinato che indeterminato e che, pertanto, può essere direttamente applicato dal giudice nazionale. 

Preso atto della diretta applicabilità delle clausole 4 e 6 della Direttiva 1999/70 è ora necessario, in conclusione, comprendere cosa deve/può fare il giudice ordinario dinnanzi ad una sentenza che dichiari la non conformità della norma italiana a quella europea. 

L’ultimo approdo della Corte Costituzionale sul punto si ha avuto con le sentenze n. 269/2017 e 115/2018, che hanno aperto a due possibili scenari, a seconda che la norma europea sia o meno direttamente applicabile: laddove si verifichi un contrasto tra norme interne e norme europee direttamente applicabili, il giudice sarà tenuto alla disapplicazione delle prime e applicazione delle seconde; diversamente, laddove si verifichi un contrasto tra norme interne e norme europee non direttamente applicabili, il giudice sarà tenuto a sollevare la questione di costituzionalità per contrasto con l’art. 11 e 117 cost.[28]

Soltanto la Corte Costituzionale potrà infatti e in quel caso dichiarare l’incostituzionalità della norma interna difforme a quella dell’Unione per violazione del principio del primato del diritto dell’Unione Europea, recepito dal legislatore costituzionale nei due articoli appena citati.

Applicando i principi appena esposti al caso di specie, spetterà quindi al giudice nazionale disapplicare l’art. 1, commi dal 121 al 125, della L. n. in contrasto con le clausole 4 e 6 della Direttiva 99/70/CE, con conseguente applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratore assunto a tempo determinato e indeterminato che, nel caso di specie, comporterà una piena e totale parificazione tra docente di ruolo e non di ruolo con riferimento all’erogazione del bonus docenti.

4. Conclusioni

La sentenza della CGUE, seppur conosciute soltanto le conclusioni, ha avuto il merito di equiparare l’Italia a tutti gli altri paesi in materia di formazione del personale scolastico.

La partecipazione ad attività di sviluppo professionale è infatti quasi universalmente diffusa in Europa, nonostante la discreta variazione tra paesi nella gamma delle attività di formazione svolte. In quasi tutti i paesi europei gli insegnanti hanno il dovere professionale di partecipare ad attività di formazione continua e, di fatto, più della metà dei paesi europei destina del tempo per la formazione in servizio a ciascun insegnante.

A titolo esemplificativo, in Francia agli insegnanti, oltre ad un’annualità di formazione pratica iniziale effettuata mediante un tirocinio di ingresso nella professione, sono destinate molteplici misure di formazione in servizio nel corso della carriera, le cui forme sono regolate dall’art. 48 della L. n. 380 del 2005[29].

Nel testo si evidenzia come la formazione continua sia strutturata secondo un progetto personale finalizzato al miglioramento dell’attività didattica soggetto all’approvazione del provveditore, tenuto in considerazione ai fini dello sviluppo della carriera e svolto principalmente al di fuori degli obblighi di servizio.

Tale attività può dar luogo ad un indennizzo, ed ha come obiettivo quello di accompagnare il docente fin dall'inizio della professione, facilitando il suo aggiornamento nello sviluppo dell’intera carriera in modo da metterlo nelle condizioni di mantenersi allineato con le evoluzioni ed i cambiamenti nel campo educativo.

La formazione continua degli insegnanti, da intendersi come diritto/dovere, è altresì diffusa anche al di fuori dei paesi dell’Unione Europea.

In Inghilterra, ad es., sono molteplici le attività racchiuse nel termine di formazione in servizio (continuing professional development), finalizzate a migliorare e potenziare la pratica degli insegnanti inglesi. Si tratta di attività svolte non solo entro contesti didattici di tipo formale, ma realizzate informalmente in una pluralità di contesti ed ambienti diversi.

Procedendo secondo una progressione che va dal contesto della scuola e si allarga via via verso ambiti più esterni, il primo luogo entro il quale si realizza la formazione in servizio è dato dalla singola scuola, dove si programmano e trovano realizzazione attività di coaching, mentoring, supporto ed accompagnamento individuale nei confronti dei docenti nel periodo di prova, e si sostanziano in colloqui e incontri per l’analisi delle performance individuali, insegnamento di gruppo (team teaching), condivisione di buone pratiche, osservazione delle sessioni di lezione, feedback, etc…

Un secondo livello di attività include reti di scuole, nella forma di network di istituti, che impostano interventi di aggiornamento, riflessione ed analisi su aspetti metodologico-didattici, o riguardanti tematiche di respiro, o ancora lo sviluppo delle policy nel campo educativo. Le reti di scuole operano inoltre con efficacia nella diffusione ed attuazione di nuove disposizioni definite a livello centrale, ad esempio nella comprensione ed utilizzo dei nuovi standard per accedere al qualified teacher status.

Infine ad un livello ancora più esteso troviamo le attività esterne alla rete di scuole, che si sostanziano in corsi di formazione, preparazione di tipo post-laurea, conferenze, visite di studio e scambi internazionali, sino a periodi sabbatici per insegnanti esperti.

La responsabilità del sistema della formazione in servizio è condivisa da una pluralità di enti ed organismi sia pubblici che privati, tra i quali figurano il governo centrale, mediante il Ministero per l’Infanzia, la Scuola e la Famiglia, la TDA, il National College for Leadership of Schools and Children’s Service, il Consiglio generale degli insegnanti inglesi, sino ai dirigenti di istituto ed ai docenti coinvolti.

La tendenza generale che si può evidenziare da tale rapida disamina, porta a vedere la formazione come un passaggio centrale nella vita di ogni docente ed educatore, indispensabile ai fini dell’insegnamento e, come tale, da riconoscere a prescindere dalla precarietà o meno del rapporto di lavoro concluso con l’istituto scolastico, in quanto fondato sull’effettiva prestazione del servizio, nell’ottica di garantire la migliore formazione possibile alle nuove generazioni[30].


Note e riferimenti bibliografici

[1] La cui tutela è da ricercarsi del disposto degli degli artt. 3, 35 e 97 della Costituzione.

[2] Per un’analisi critica della legislazione sui reclutamenti nella scuola e sul festa del precariato negli ultimi trent’anni, vd. BEATO G., Per una storia della legislazione sul precariato nella scuola, in Giornale Dir. Amm., 2021, 5, p. 585 e ss., con richiami a giurisprudenza e dottrina ivi contenuti.

[3] Per un’analisi sul principio di buon andamento, rapportato ai dipendenti pubblici, vd. ZILLI A., Alla ricerca dell’efficienza delle PP.AA., tra concretezza, milleproroghe e bilancio, in Lavoro nella Giurisprudenza, 2020, 3, p. 226 e ss. e ZOPPOLI L., Buon andamento della pubblica amministrazione e diritti e doveri dei lavoratori, in Lavori nelle pubbliche amministrazioni, 2019, 2, p. 1 e ss.

[4] L’art. 3 recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione; di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Per un’analisi giurisprudenziale del principio di uguaglianza applicato al diritto del lavoro, vd. a titolo esemplificativo, VIDIRI G., Il lavoro nei principi fondamentali della Repubblica Italiana tra ideologia e giudici sovrani, in Lavoro nella Giurisprudenza, 2022, 5, p. 445 e ss. con richiami ivi contenuti.

[5] L’art. 36 recita: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi». Per un’analisi sui principi contenuti nell’articolo, vd. a titolo esemplificativo, PROPERETTI G., Categorie giuridiche, lavoro e welfare: l’evoluzione degli istituti giuridici, in Arg. Dir. Lav., 2017, 2, p. 301 e ss. e richiami in ivi contenuti.

[6] L’art. 97 recita: «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». Per un’analisi sul principio contenuto nell’articolo, vd. a titolo esemplificativo, SICA M., il diritto amministrativo del tempo postmoderno - diritto d’interpello e certezza nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, in Giur. It., 2017, 12, p. 2766 e ss. e richiami in ivi contenuti.

[7] Cfr. TARELLO G., L'interpretazione della legge, Milano, Giuffrè, 1980, p. 341 e ss.

[8] Vd. riferimenti in DE LUCA M., Diritto delle prove e processo del lavoro: argomenti interpretativi e dintorni nel nuovo corso della giurisprudenza, relazione al convegno sul tema «Il diritto delle prove» (Catania, 21-22 novembre 2005), in Atti del convegno, Torino, 2009, p. 163 e ss., e Lavoro giur., 2009, p. 977 e ss.; DALFINO D., Ragionevole durata, competitività del processo del lavoro ed effettività della tutela giurisdizionale, in Foro it., 2009, V, p.180 e ss.

[9] Corte Cost. 14 novembre 2003, n. 198, richiamata da Cass. 17 luglio 2015, n. 15083, consultabile in De Jure.

[10] Corte Cost. 22 ottobre 1996, n. 356, 306, e citata da Cass. 16 gennaio 2020, n. 823, consultabile in De Jure.

[11] Per il quale i giudici sono soggetti alla legge. Vd. sul punto, CALZOLAIO E., Mutamento giurisprudenziale e overruling, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 3, 2013, p. 899 e ss.

[12] Il rinvio pregiudiziale consiste nel rinvio effettuato da uno giudice di uno Stato membro al fine di valutare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 TFUE, la corretta interpretazione di atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione. In altri termini, il giudice nazionale chiede alla Corte di giustizia di formulare un parere sull’interpretazione del diritto europeo per poter applicare la norma correttamente e valutare l’eventuale incompatibilità di una norma interna con quella dell’unione. L’istituto in questione è fondamentale per assicurare l’omogeneità dell’applicazione del dritto europeo su tutto il territorio e per favorire il colloquio tra i giudici nazionali e quelli europei al fine di chiarire il significato e la validità di particolari disposizioni normative. I contributi sul rinvio pregiudiziale sono numerosissimi. Per un’analisi sul rinvio pregiudiziale e sulle modalità con le quali deve essere effettuato, si veda D’ALESSANDRO E., Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di Giustizia, Torino, Giappichelli, 2012; IANNONE C., FERRARO F., Il rinvio pregiudiziale, Torino, Giappichelli, 2020; R. CICCONE, Il rinvio pregiudiziale e le basi del sistema giuridico comunitario, Napoli, 2011; M. CONDINANZI, R. MASTROIANNI, Il contenzioso dell’Unione europea, Torino, 2009, 186 ss.; E. D’ALESSANDRO, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di giustizia. Oggetto ed efficacia della pronunzia, Torino, 2012; S. FOÀ, Giustizia amministrativa e pregiudizialità costituzionale, comunitaria e internazionale. I confini dell’interpretazione conforme, Napoli, 2011, in particolare 133 ss.; F. VISMARA, Interpretazione pregiudiziale e processo tributario, Milano, 2008.

[13] Secondo cui «la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell'istruzione, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di EUR 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, mediante una carta elettronica che può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a cielo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, ad altre attività di formazione e per l'acquisto di servizi di connettività al fine di assolvere l'obbligo di effettuare attività professionali a distanza», consultabile in De Jure.

[14] Cfr. CGUE, 22 maggio 2014, C-356/12, Glatzel punto 43, secondo cui «il principio della parità di trattamento, sancito dall'articolo 20 della Carta, è un principio generale del diritto dell'Unione e il principio di non discriminazione enunciato all'articolo 21, paragrafo 1, della Carta ne è una particolare espressione. Per giurisprudenza costante della Corte, tale principio impone al legislatore dell'Unione, conformemente al disposto dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta, che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., in tal senso, sentenza Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione, C-550/07 P, EU:C:2010:512, punti 54 e 55 nonché giurisprudenza citata). Una differenza di trattamento è giustificata se si fonda su un criterio obiettivo e ragionevole, vale a dire qualora essa sia rapportata a un legittimo scopo perseguito dalla normativa in questione e tale differenza sia proporzionata allo scopo perseguito dal trattamento di cui trattasi (sentenze Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C-127/07, EU:C:2008:728, punto 47, e Schaible, C-101/12, EU:C:2013:661, punto 77)», con nota di FALLETTI E., Osservatorio di diritto internazionale privato e comunitario - norme minime in materia di vista per i conducenti di veicoli pesanti e il principio di non discriminazione delle persone con disabilità, in Famiglia e Diritto, 2014, 12, p. 1228 e ss.

Sempre su tale pronuncia, ALPA G., La tutela giurisdizionale dei diritti umani, in Nuova Giur. Civ., 2016, 1, p. 20108 e ss. In senso conforme: CGUE, 11 settembre 2018, C-68/17, IR., punti 69-70, con nota di RANIERI M., Il primo incontro della Corte di Giustizia con le organizzazioni orientate: tra slanci e qualche timidezza, in Arg. Dir. Lav., 2018, 4-5, p. 1116 e ss.

In dottrina sul principio di non discriminazione di matrice europea con particolare riferimento al settore pubblico, vd. MARESCA A., Il contratto a termine nella fase post pandemica: archiviato o arricchito il Decreto Dignità?, in www.Labour.it, 4, 2021; MASSI E., Contratti a termine: cosa cambia dopo la legge n. 106/2021, in Dir. e prat. lav., 32-33, 2021, 2065 ss.; IACOBUCCI S., Risarcimento del danno per abuso del contratto a termine nelle pubbliche amministrazioni, in Nuova Giur. Civ., 2018, 7-8, p. 1094 e ss.; CORDELLA C., L'abusiva reiterazione di contratti temporanei: la non conversione nel regime «generale» del pubblico impiego privatizzato, in Lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2015, 669 ss.; MALIZIA M., Il lavoro temporaneo in Europa, in Lav. nella Giur., 2013, 8-9, p. 780; ALES V., L'utilizzo temporaneo del lavoro subordinato nelle pubbliche amministrazioni: un'analisi genealogica, in DEL PUNTA- ROMEI (a cura di), I rapporti di lavoro a termine, Giuffrè, 2013, p. 417 ss.

Prima dell'entrata in vigore delle c.d. direttive antidiscriminatorie di seconda generazione si ricorda il famigerato caso Prais (Corte Giust. Ce 27 ottobre 1976, C-130/75). Più di recente, è doveroso il richiamo a CGUE, 14 marzo 2017, C-157/15, Achbita e Corte Giust. Ue 14 marzo 2017, C-188/15, Bougnaoui. Per un commento alle due ultime sentenze, cfr. AMOROSO G., Libertà di culto e principio di «neutralità» nella prestazione di lavoro, in Foro It., 2017, IV, col. 254 e segg.; COLAIANNI N., Il velo delle donne musulmane tra libertà di religione e libertà d'impresa. Prime osservazioni alla sentenza della Corte di giustizia sul divieto di indossare il velo sul luogo di lavoro, in www.statoechiese.it, 27 marzo 2017.

[15] Cfr. CGUE, 26 luglio 2017, C-112/16, Persidera, punto 46, secondo cui «in secondo luogo, al fine di fornire al giudice del rinvio una risposta utile, e nel caso in cui tale giudice giungesse a ritenere che la totalità delle reti in questione è stata legittimamente esercita, occorre ricordare che il principio generale della parità di trattamento, in quanto principio generale del diritto dell'Unione, impone che le situazioni paragonabili non siano trattate in maniera differente e che situazioni differenti non siano trattate in maniera identica, a meno che tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (v. sentenza del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C-127/07, EU:C:2008:728, punto 23 nonché la giurisprudenza ivi citata). Il carattere paragonabile delle situazioni deve, in particolare, essere stabilito e valutato alla luce dell'oggetto e della finalità dell'atto che istituisce la distinzione in parola. Devono inoltre essere presi in considerazione i principi e gli obiettivi del settore in cui tale atto ricade (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C-127/07, EU:C:2008:728, punto 26 nonché la giurisprudenza ivi citata)», consultabile in De Jure, con nota di GRANDINETTI O., Le frequenze televisive: i nodi vengono al pettine troppo tardi? Il commento, in Giorn. Dir. Amm., 2018, 1, p. 39 e ss.

In dottrina, si segnala, PRETEROTTI A. - FERRARO F., Contratto di lavoro a tempo determinato (jobs act), in Dig. disc. priv. - Aggiornamento, Torino, 2017, 276 ss.; AIMO M., Il contratto a termine tra modello europeo e regole nazionali, Torino, 2017; SANTORO PASSERELLI G. (a cura di), Jobs Act e contratto a tempo determinato, Torino, 2014; MENGHINI L., L'apposizione del termine, in AA.VV., Contratto di lavoro e organizzazione, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da PERSIANI M. - CARINCI F., Padova, 2012, p. 239 ss.; SPINELLI C., Rassegna di giurisprudenza comunitaria - lavoro a tempo determinato nel settore pubblico e parità di trattamento, in Lav. nella Giur., 2011, 5, p. 509.; MARESCA A., Apposizione del termine, successione di contrattia tempo determinato e nuovi limiti legali (primi problemi applicativi dell'art. 5, comma 4-bis e ter, d.lgs 368/2001, Scritti in onore di Edoardo Ghera, Bari, 2008, 641 ss.; BELLAVISTA A., La direttiva sul lavoro a tempo determinato e M. Marinelli, Contratto a termine e cause giustificative, in A. Garilli - M. Napoli (a cura di), Il lavoro a terminein Italia e in Europa, Torino, 2003, rispettivamente 1 ss. e 53 ss.

[16] Cfr. CGUE, 13 marzo 2014, C- C-38/13, Małgorzata Nierodzik, punto 28, secondo cui «si deve inoltre rilevare che la nozione di «condizioni di impiego» figura anche sia nella direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16), sia nella direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23). Orbene, occorre constatare che, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78 e dell'articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54, le condizioni di lavoro comprendono, segnatamente, le condizioni di licenziamento. Quanto all'accordo quadro, la portata della nozione di «condizioni di impiego», ai sensi della clausola 4, punto 1, di quest'ultimo, è per analogia simile», consultabile in De Jure.

[17] Cfr. CGUE, 21 novembre 2018, , C-619/17, de Diego Porras, punto 55, secondo cui «l’accordo quadro, in particolare la sua clausola 4, mira a dare applicazione a tale principio nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti che sono riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza del 5 giugno 2018, Montero Mateos, C-677/16, EU:C:2018:393, punto 40 e giurisprudenza citata)», consultabile in De jure, con commento alla normativa di CHIETERA F., L’incerto cammino del precariato non scolastico verso la stabilizzazione, in Lav. nella Giur., 2017, 1, p. 5 e ss. 

[18] Cfr. CGUE, 22 dicembre 2010, , C-444/09 e C-456/09, Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, punto 47 e giurisprudenza ivi richiamata, secondo cui «a tal proposito occorre rammentare, in primo luogo, che, ai sensi della clausola 1, lett. a), dell’accordo quadro, uno degli obiettivi di quest’ultimo è di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione. Del pari, il preambolo dell’accordo quadro precisa, al suo terzo com- ma, che esso «indica la volontà delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni». Il quattordicesimo «considerando» della direttiva 1999/70 precisa, a tal fine, che l’obiettivo dell’accordo quadro consiste, in particolare, nel miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato, fissando requisiti minimi atti a garantire l’applicazione del divieto di discriminazione», consultabile in De Jure.

[19] Cfr. CGUE, 8 marzo 2018, , C 395/16, DOCERAM, punto 20 e giurisprudenza ivi richiamata, secondo cui «secondo una costante giurisprudenza della Corte, dall'esigenza di applicazione uniforme del diritto dell'Unione deriva che, laddove una sua disposizione non rinvii al diritto degli Stati membri per quanto riguarda una determinata nozione, quest'ultima deve essere oggetto, nell'intera Unione, di un'interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto non solo dei termini della disposizione interessata, ma anche del suo contesto e dello scopo perseguito dalla normativa di cui tale disposizione fa parte (sentenze del 19 luglio 2012, A, C-33/11, EU:C:2012:482, punto 27, e del 7 settembre 2017, Schottelius C-247/16, EU:C:2017:638, punto 31, nonché giurisprudenza citata)», consultabile in De Jure.

[20] Cfr. CGUE, 12 dicembre 2013, C-361/12, Carratù, punto 35, secondo cui «la Corte, infatti, ha dichiarato che il criterio decisivo per determinare se una misura rientri nell'ambito delle «condizioni di lavoro», ai sensi della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, è precisamente quello del criterio dell'impiego, ossia del rapporto di lavoro sussistente fra un lavoratore e il suo datore di lavoro (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e a., C-395/08 e C-396/08, Racc. pag. I-5119, punto 46)», consultabile in De Jure con nota di CAFIERO C., Il “nulla osta” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea all’art. 32, comma 5, L. 4 novembre 2010, n. 183, in Giur. It., 2014, 5, p. 1158 e ss.

[21] E non a caso lo stesso art. 2 del DPCM del 23.9.2015 fa dipendere l’erogazione del bonus docenti dal fatto che il lavoratore non sia stato sospeso per motivi disciplinari, o il rapporto non sia stato interrotto o non vi sia stata cessazione del servizio, legando così l’erogazione dell’emolumento all’effettiva prestazione del servizio e non alla durata del rapporto di lavoro, nel pieno rispetto della normativa europea in materia di non discriminazione.

[22] Cfr. CGUE, 13 marzo 2014, C-38/13, Małgorzata Nierodzik, punto 27, secondo cui «nel caso di specie occorre rilevare che la normativa nazionale in questione verte sulle condizioni per la risoluzione di un contratto di lavoro a tempo determinato. Orbene, un'interpretazione della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro che escludesse dalla definizione della nozione di «condizioni di impiego», ai sensi di tale disposizione, le condizioni di risoluzione in parola equivarrebbe a ridurre, in spregio all'obiettivo assegnato alla suddetta disposizione, l'ambito di applicazione della tutela accordata ai lavoratori a tempo determinato contro le discriminazioni», consultabile in De Jure.

[23] Sul valore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, vd. a titolo esemplificativo CELOTTI A., PISTORIO G., L’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in Giur. It., 2005, p. 2 e ss., nonché NASCIMBENE B., Carta dei diritti fondamentali, applicabilità e rapporti fra giudici: la necessità di una tutela integrata, in European Papers, 2021, 6, p. 81 e ss.

[24] Sul valore della Carta Sociale Europea all’interno dell’ordinamento italiano, vd. a titolo esemplificativo, SARTOR E., I rapporti tra diritto interno e sovranazionale: riflessioni su Corte Cost. n. 120/2018, in Lav. nella Giur., 2019, 7, p. 689 e ss., nonché OLIVERI F., La lunga marcia verso l’effettività. La Carta sociale europea tra enunciazione dei diritti, meccanismi di controllo e applicazione nelle corti nazionali, in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, 2008, 3, p. 509 e ss. 

[25] Tale ultimo principio vale, tuttavia, soltanto nei rapporti tra privati e lo Stato e non nei rapporti intercorrenti esclusivamente tra privati. In tal senso, CGUE, 19 gennaio 1982, C - 8/81, Becker vs Finanzamt Münster-Innenstadt e CGUE, 12 dicembre 1990, C-100/89 e C-101/89, Kaefer e Procacci contro Stato francese, nelle quali la Corte ha negato l’efficacia diretta qualora agli Stati sia attribuito un (seppur minimo) margine di discrezionalità nell’attuazione della disposizione considerata. Sul tema, v., MENGOZZI P., Corte di giustizia. Giudici nazionali e tutela dei diritti attribuiti ai cittadini dal diritto comunitario, in Contratto ed Impresa, 1993, p. 1779 e ss.; GAJA G. - ADINOLFI A., Introduzione al diritto dell'Unione europea, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 176 e ss.; RUVOLO M., Interpretazione conforme e situazioni giuridiche soggettive, in Europa e diritto privato, 2006, 4, p. 1407 e ss.

[26] Per un esempio di un sindacato siffatto relativo alla nozione di ragioni oggettive nel contesto della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, v. CGUE, 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler e a., punti da 58 a 75. La sentenza Adeneler ha risposto a tre questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di Salonicco concernenti l’interpretazione proprio della clausola 5 dell’accordo quadro. La prima questione riguardava l’interpretazione della nozione di “ragioni obiettive” che giustificano il rinnovo di contratti a tempo determinato successivi.  Dopo aver riconosciuto che la direttiva non individua il contenuto di tale nozione, la Corte ha precisato che il suo senso e la sua portata devono essere determinati considerando lo scopo perseguito dall’accordo quadro (punto 60) e sottolineato che esso parte dalla premessa secondo la quale i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro (punto 61), che il beneficio della stabilità dell’impiego costituisce un elemento portante della tutela dei lavoratori (punto 62) e che, pertanto, l’accordo intende circoscrivere il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo una serie di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (punto 63). Le “ragioni obiettive” indicate dalla clausola 5, n. 1, lett. a), devono quindi consistere in «circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attività…che possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro» (punti 69 e 79). Per una disamina più approfondita sull’abuso, LATTANZI S., Il conflitto tra norma interna e norma dell'Unione priva di effetti diretti nella vicenda dei precari della scuola italiana, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2015, 4, p. 897 e ss.

[27] Cfr. CGUE, 15 aprile 2008, C – 268/06, Impact; CGUE, 12 settembre 2007, C-307/05, Del Cerro Alonso; CGUE, 08 settembre 2011, C – 177/10 Rosado Santana. Per analogia, CGUE 10 novembre 1992, C-156/91, Hansa Fleisch Ernst Mundt, punto 15; CGUE, 9 settembre 1999, C-374/97, Feyrer, punto 24, nonché CGUE, 17 settembre 2002, C-413/99, Baumbast e R, punti 85 e 86. Tali sentenze, tutte consultabili su De Jure, evidenziano tuttavia anche i limiti dell’interpretazione conforme, che non può essere considerata la panacea di tutti i mali. La CGUE ha infatti precisato che l’interpretazione conforme non può spingersi sino al punto di violare i principi di certezza del diritto e di irretroattività ma soprattutto, non può servire a fondare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale. Per un commento su tale aspetto, ROSSI L.S., Effetti diretti delle norme dell’Unione europea ed invocabilità di esclusione: i problemi aperti dalla seconda sentenza Popławski, in Giustizia Insieme, 2021, p. 1 e ss.

[28] GALLO D., Efficacia diretta del diritto Ue, procedimento pregiudiziale e corte costituzionale: una lettura congiunta delle sentenze n. 269/2017 e 115/2018, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2019, 1, p. 220 e ss.; AMALFITANO C., Il dialogo tra giudice comune, Corte di Giustizia e Corte Costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, 2019, 2, p. 1 e ss.; SCACCIA G., Giudici comuni e diritto dell'Unione europea nella sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2017, in Osservatorio Costituzionale, 2018, 2, p. 1 e ss.

[29] Loi n. 2005-380 du 23-4-2005. JO du 24-4-2005. Loi d’orientation et de programme pour l’avenir de l’école. Chapitre VI - Dispositions relatives au personnel enseignant. Article 48, Art. L. 912-1-2, Art. L. 912-1-3.

[30] DORDIT L., Modelli di reclutamento formazione, sviluppo e valutazione degli insegnanti,  IPRASE, Trento, 2011