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Pubbl. Mer, 17 Ago 2022

La prevenzione della corruzione: i 3 macro-ambiti di azione e focus sulla trasparenza amministrativa

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Walter Ciancio



L´analisi della prevenzione della corruzione attraverso un percorso espositivo che viene strutturato dalla misurazione della corruzione per giungere agli strumenti giuridici che sono stati sviluppati per riuscire ad ostacolare il fenomeno corruttivo. La prevenzione della corruzione è calibrata su tre macro-ambiti di azione che sono 1) Piano Nazionale Anticorruzione e i conseguenti piani anticorruzione decentrati; 2) i codici di comportamento dei dipendenti della p.a.; 3) la trasparenza amministrativa. Si conclude con un focus sullo sviluppo del principio e degli strumenti relativi alla trasparenza amministrativa che deve essere riconosciuta quale chiave di volta per effettuare un controllo diffuso da parte dei cittadini sull´operato della P.A.


ENG The analysis of corruption prevention is structured from the measurement of corruption to the legal instruments that have been developed to succeed in hindering the corruptive phenomenon. The prevention of corruption is calibrated on three macro-areas of action, which are 1) National Anti-Corruption Plan and the resulting decentralised anti-corruption plans; 2) codes of conduct for public administration employees; 3) administrative transparency. It concludes with a focus on the development of the principle and tools relating to administrative transparency, which must be recognised as the key to widespread control by citizens over the work of the public administration.

Sommario: 1.Premessa; 2. Cos’è la Corruzione e cenni sulla fattispecie repressiva; 3. Misurare la corruzione:gli indici e la percezione del fenomeno della corruzione; 4. Prevenzione della Corruzione; 5. Il primo ambito d'azione: il Piano Nazionale Anticorruzione; 5.1 il primo ambito d'azione: i piani anticorruzione decentrati; 6.Il secondo ambito d'azione: i codici di comportamento; 7. Il terzo ambito d'azione: la Trasparenza; 8. La Trasparenza Amministrativa: evoluzione del principio; 9. L'accesso; 10. Il FOIA Italiano; 11. La Semplificazione amministrativa; 12. Conclusioni.

1. Premessa

L’attività di amministrazione della cosa pubblica è contrassegnata sempre dal perseguimento di un interesse pubblico. L’azione amministrativa, infatti, deve essere diretta a concretizzare pubblici interessi, rispettando alcuni principi fondamentali, funzionali all’istaurazione di rapporti con i cittadini ed imprese basati su fiducia e collaborazione reciproche.

Una buona amministrazione è caratterizzata dall’orientamento della p.a. al perseguimento degli interessi della collettività.

Se si prendono le mosse dalla considerazione basilare che lo scopo principale della p.a. è quello di realizzare i bisogni collettivi giuridicamente tutelati, si intuisce subito come il conseguimento di un interesse privato, in determinati casi, possa sviare la sua azione, determinando il passaggio in subordine dell’interesse collettivo.[1]

Il mancato perseguimento degli interessi della collettività determina comprensibili inquietudini dell’opinione pubblica che vede nella corruzione della pubblica amministrazione un fenomeno di allarme sociale.

Un paese corrotto porta con sé un aggravio delle condizioni di vita in quanto non pare affidabile per gli investitori e perde di conseguenza opportunità di fare il business e creare nuovi posti di lavoro.

La corruzione alimenta l’inefficienza dei servizi, aggrava il peso della crisi economica, indebolisce la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e mina il concetto stesso di Stato di diritto.

I fenomeni sociali in quanto tali, soprattutto se consolidati, non rispondono a logiche unitarie di risoluzione, ma possono trovare risposta in un’azione combinata e coordinata dei pubblici poteri, che nel caso di specie, si sostanzia da un lato nel garantire la trasparenza delle amministrazioni, dall’ altro nel potenziamento degli strumenti di prevenzione, per poi, infine, affermare, in caso di commissione del reato, una ragionevole rapidità della repressione penale.

Pertanto, per contrastare la corruzione e la cattiva amministrazione, che ne è alla base, si devono applicare congiunti strumenti come quelli legati alla prevenzione (per un’azione ex ante, affinché l’azione degli operatori pubblici sia dall’inizio orientata e funzionale solo al pubblico interesse, attraverso, cioè, la limitazione dei casi in cui può venire a crearsi una condotta corruttiva) ed alla repressione (per un intervento ex post, quando il fenomeno corruttivo si è manifestato chiaramente e deve quindi procedersi mediante l’attivazione di tutto il regime sanzionatorio predisposto dal legislatore).

Avere una stima della diffusione della corruzione è strategico per capire quali misure di prevenzione adottare e con quanta incisività intervenire per ridurre il fenomeno corruttivo.

2. Cos’è la Corruzione e cenni sulla fattispecie repressiva

La disciplina della corruzione è contemplata negli articoli 318-322 c.p.

Dall’esame coordinato di tali disposizioni emerge la figura generale della corruzione che può definirsi come un accordo fra un pubblico funzionario e un privato, in forza del quale il primo accetta dal secondo, per un atto relativo all’esercizio delle sue attribuzioni, un compenso che non gli è dovuto.

Tale reato getta il discredito sull’intera categoria dei funzionari pubblici e, quindi, sulla stessa p.a.; oggetto della tutela penale è, dunque, l’interesse della p.a. all’imparzialità, correttezza e probità dei propri funzionari come corollari derivanti dall’art. 97 della Costituzione.

Le norme sulla corruzione sono state oggetto di sostanziali correttivi ad opera della legge 190/2012, che ha ridisciplinato la fattispecie ed ha effettuato uno spacchettamento della corruzione.

In particolare, prima della riforma del 2012, il codice distingueva la corruzione in due tipologie. Da un lato con l’articolo 319 c.p. vi era la corruzione propria avente ad oggetto l’omissione o un ritardo di un atto d’ufficio o il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, dall’altro lato con l’articolo 318 c.p. vi era la corruzione impropria per la quale l’oggetto dello scambio illecito era il compimento di un atto di ufficio.

Nell’ambito delle summenzionate figure, poi, distingueva la corruzione antecedente, quando il fatto corruttivo si riferiva ad un fatto che il funzionario doveva ancora compiere, e la corruzione susseguente, quando il fatto di corruzione si riferiva ad un atto già compiuto.

A seguito della legge Severino, l’intero impianto riguardante la fattispecie corruzione è stato riformulato in modo da rendere più evidenti i confini tra le diverse forme di corruzione, distinguendo oltretutto tra le varie tipologie.

Ai sensi del nuovo articolo 318 c.p. vi è la corruzione per l’esercizio della funzione per la quale risponde penalmente il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa. Soggetti attivi del reato sono il privato corruttore ed il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che si lascia corrompere. Quanto alla condotta, oggetto dell’accordo criminoso è l’esercizio della funzione o del potere nel senso voluto dal corruttore; la funzione diviene, dunque, l’oggetto di mercimonio. In quest’ultimo passaggio risiede la differenza rispetto alla preveggente disposizione, secondo la quale l’oggetto dell’accordo corruttivo era la realizzazione di un atto di ufficio.

Tale fattispecie delittuosa è punita con la reclusione da uno a sei anni e si caratterizza per la lezione attuale all’integrità dei doveri del pubblico funzionario, e per il pericolo di una distorsione effettiva dell’attività amministrativa; viene in esistenza se e quando il pubblico funzionario in cambio di benefici o promesse ricevute privato, si risolve a compiere in favore dello stesso un atto conforme ai suoi doveri d’ufficio.

Si passa così dalla corruzione all’asservimento[2]. Viene eliminato il precedente necessario collegamento dell’utilità ricevuta o promessa con l’atto dell’ufficio, da adottare o adottato, e si prescinde dall’individuazione, ai fini della configurabilità del reato, di un atto a cui compimento collegare l’accordo corruttivo.

Diviene sufficiente che la condotta presa in considerazione dall’illecito rapporto tra privato il pubblico ufficiale sia individuabile anche genericamente, in ragione della competenza o della concreta sfera di intervento di quest’ultimo, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di atti singoli non preventivamente fissati o programmati, ma pur sempre appartenenti al genus previsto.

Integra il reato sia l’accordo per il compimento di un atto non necessariamente individuato ab origine, ma almeno collegato a un genus di atti preventivamente individuabili, sia l’accordo avente ad oggetto l’asservimento, più o meno sistematico, della funzione pubblica agli interessi del privato corruttore, come nel caso in cui il privato prometta o consegni al soggetto pubblico, che accetta denaro o altra utilità, per assicurarsene, senza ulteriori specificazioni, i futuri favori.

Si delinea allora il concetto di asservimento del soggetto pubblico alle richieste del soggetto privato, non essendo più necessario dimostrare il legame tra il compenso e specifico atto di ufficio.

La corruzione propria, invece viene regolamentata dall’articolo successivo, il quale punisce il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa. Vediamo, pertanto, che qui contemporaneamente vi è la lesione del dovere di probità del funzionario pubblico, nonché la distorsione reale dell’attività in favore del soggetto privato. In tale fattispecie ritroviamo il criterio temporale per cui la corruzione verrà identificata come antecedente, nel caso in cui l’utilità sia pattuita anteriormente al compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio e al fine di compierlo, oppure sarà susseguente, se la retribuzione concerne un atto contrario ai doveri d’ufficio già compiuto.

Si nota come il passaggio dall’atto amministrativo (di cui alla precedente fattispecie di corruzione) alla funzione amministrativa, sia funzionale ad un importante cambio di rotta nel modo stesso di considerare la corruzione nell’ambito della p.a. [3] Infatti, costituiscono atti contrari ai doveri d’ufficio non solo quegli illeciti o illegittimi, ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volontà del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dall’osservanza di doveri istituzionali espressi norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza e imparzialità.

La condotta di corruzione è a forma libera purché realizzata con un comportamento attivo.

Qualora il pubblico ufficiale simuli la propria accettazione allo scopo di far scoprire e punire il privato, non ci sarà corruzione, mancando l’accettazione, ed il privato risponderà di istigazione alla corruzione di cui all’articolo 322 c.p. Da tale articolo discendono quattro forme alternative di istigazione alla corruzione, ognuna descritta in un comma dell’articolo, per cui troveremo istigazione impropria attiva al primo comma, quella propria attiva al secondo comma, l’impropria passiva al terzo comma e la propria passiva al quarto comma.

La descrizione delle condotte della corruzione, non può concludersi senza il passaggio indispensabile dell’inquadramento delle qualificazioni soggettive. Pertanto, è doveroso rispondere alla domanda: chi può commettere tale reato?

I reati contro la p.a. rappresentano reati propri, in quanto i rei hanno attribuzioni ben determinate che andiamo a delineare. Infatti, i delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a., presuppongono, in primo luogo, che vi sia un soggetto che rivesta una determinata qualifica, ovvero delle figure del pubblico ufficiale, dell’incaricato di servizio e dell’esercente un servizio di pubblica necessità.

Il pubblico ufficiale è inquadrato dall’articolo 357 c.p., secondo il quale “sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giurisdizionale o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, caratterizzati dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”. Da questa definizione si traggono le coordinate dell’inquadramento del pubblico ufficiale attraverso, da un lato, lo svolgimento di un’attività secondo norme di diritto pubblico, distinguendosi così la pubblica funzione, nella quale sono esercitati i poteri tipici della potestà amministrativa, dal pubblico servizio, in cui tali poteri sono assenti; dall’altro, la formazione manifestazione della volontà della pubblica amministrazione, oppure esercizio, indipendentemente da formali investiture, di poteri autoritativi, deliberativi o certificati, disgiuntamente considerati; e per finire, la valutazione più che del rapporto di dipendenza tra il soggetto e la p.a., dei caratteri propri dell’attività in concreto esercitata dal soggetto ed oggettivamente considerata.

L’incaricato di pubblico servizio, invece è indicato dall’articolo 358 c.p., come colui il quale presta pubblico servizio a qualunque titolo, ossia un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza di poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni d’ordine e della prestazione d’opera meramente materiale. In tale inquadramento si individua l’affermazione della concezione funzionale oggettiva, che basa la sussistenza della titolarità della qualifica soggettiva sull’effettivo svolgimento di un’attività pubblicistica. Si deve rilevare inoltre che il criterio oggettivo funzionale, utilizzata la locuzione “a qualunque titolo”, elimina ogni riferimento al rapporto di impiego con lo Stato o altro ente pubblico. Non si richiede, infatti, che l’attività svolta sia direttamente imputabile a un soggetto pubblico, essendo sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalità pubbliche.

Ai sensi dell’articolo 359 c.p., infine, per completezza, nell’ambito soggettivo-qualificativo di coloro che possono compiere reati contro la p.a., sono indicati gli esercenti un servizio di pubblica necessità, come quei soggetti privati che adempiono ad un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della p.a..

Tali qualifiche soggettive summenzionate sono uno dei presupposti per l’esistenza del reato, che però necessiterà per la sua qualificazione anche dei criteri di contestualità, casualità e consequenzialità.

3. Misurare la corruzione:gli indici e la percezione del fenomeno della corruzione

Per comprendere il fenomeno della corruzione si deve capire innanzitutto che cosa essa in generale rappresenti nel mondo economico e sociale.[4]

Spesso la corruzione viene definita come il maggior ostacolo allo sviluppo economico sociale dei paesi riducendo il tasso di crescita degli stessi per diversi punti percentuali.[5] Infatti sul fenomeno corruttivo non si è limitata l’attenzione degli studiosi del diritto, ma ha coinvolto anche quella degli studiosi dell’economia e sociologia, in quanto la corruzione da un lato ha effetti diretti sul sistema economico danneggiando la libera concorrenza, favorendo la concentrazione di ricchezze e deprimendo gli investimenti, e dall’altro produce effetti sulla razionale distribuzione delle risorse mettendo in discussione il principio di uguaglianza, consentendo vantaggi competitivi illeciti a chi ne fa uso e minando la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.[6] 

La ricerca economica e sociale si trova spesso nella condizione di dover studiare un fenomeno senza poterlo osservare, misurare direttamente, ma soltanto indirettamente attraverso opportuni indicatori.

Il problema dello studio della corruzione è che purtroppo non si è ancora trovato un indicatore convincente.

La consapevolezza di questa difficoltà ha portato ad una crescente attenzione verso gli strumenti di misurazione. Per contrastare la corruzione è necessario, anzitutto, riuscire a quantificarla in modo preciso e, in secondo luogo valutarne le cause.

Altro problema sociologico connesso, consiste nel fatto che paesi con livelli di sviluppo economico, sociale e politico similari, sembrano manifestare una diffusione della corruzione del tutto differente tra loro.

Il primo problema specifico allora consiste nel quantificare il fenomeno. Purtroppo, i numeri della corruzione non sono individuabili. La misurazione della corruzione ad oggi è l'obiettivo non raggiunto.

Vi sono delle stime che appaiono tuttavia approssimative, secondo le quali in Italia il peso della corruzione corrisponda ad un costo di 60 miliardi di euro annui[7].

Nell’obiettivo di quantificare il fenomeno della corruzione ci si trova pertanto davanti ad un problema che se non è possibile definire attraverso dei dati certi si deve risolvere attraverso altre metodologie, pertanto ci si deve affidare alla ricerca di indici e di indicatori che possono aiutare a stabilire l’incidenza del fenomeno sulla collettività e sull’economia.

Tale ricerca empirica di analisi di indici e di indicatori che riescano a condurre all’individuazione delle misure della corruzione è ancora ad oggi in una fase di studio che continua a svolgersi per tentativi.

La corruzione incide sull’economia, ma non è da questa che può essere dedotta, pertanto l’unico indicatore oggettivo della misurazione della corruzione è, senza dubbio, quello legato al criterio giudiziario. Questo criterio si fonda sulla base delle statistiche giudiziarie espressione di denunce, arresti, condanne.

Il vantaggio di quest’indicatore consiste nel fatto di poter essere molto analitico e di poter garantire disaggregazioni per aree territoriali o settori.

Infatti normalmente i dati riguardanti il settore giudiziario[8] provengono dalle denunce presentate dai cittadini e/o da dalle indagini delle forze di polizia, e tramite un’operazione aritmetica vengono conteggiati per ottenere un quadro sostanzialmente attendibile.

Invece nel caso in cui il reato in oggetto sia quello della corruzione tale indicatore è visivamente falsato poiché riesce a misurare solo la corruzione emersa.

 Il numero oscuro dei reati di corruzione è, invece, consistente, molto di più che in altri casi, a causa di diversi fattori, tra cui la scarsa propensione alla denuncia dovuta al coincidente interesse al silenzio di corruttore e corrotto, all’apparente assenza di una vittima, alla scarsa visibilità del reato. Tale indicatore, pertanto, è da considerarsi fuorviante in quanto non riesce a quantificare la diffusione della corruzione in sé[9], né nei rapporti con l’efficienza del sistema giudiziario.

Per mero scrupolo di analisi sul punto, inoltre, è doveroso evidenziare che l’aggiornamento dei dati e delle rilevazioni che possono derivare da tale indicatore non ha natura tempestiva, anzi, gli effetti ed i dati estrapolati da tutti i dati aggregati dell’iter giudiziario riguardanti la condotta corruttiva possono essere valutati ed analizzati solo a distanza di alcuni anni, divenendo pertanto studiabili solo in un’ottica di medio lungo periodo.

Per le statistiche giudiziarie, si può dire allora che la cifra nera è molto alta. In tale contesto vi sono denunzie che quantitativamente sono da considerarsi poche o nulle, a parte quelle anonime che spesso non sono corredate da fondamenti o basi sostanziali verificabili e che pertanto vengono archiviate immediatamente in via amministrativa. Inoltre, nonostante delle volte ci siano state denunce vere, spesso vi è da dire che non si è arrivati ad esiti giudiziari positivi.

Gli unici numeri, tuttavia, sono quelli giudiziari che attestano con certezza i numeri della corruzione. Purtroppo vi è da constatare che questi numeri implicitamente indicano l'inefficienza del mondo giudiziario. Infatti, se facciamo caso al dato dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2017, il Primo Presidente Canzio disse che i procedimenti per corruzione che erano giunti alla Corte di Cassazione non arrivavano allo 0,5 % dei procedimenti arrivati all'esame della Corte di Cassazione. Per Canzio «occorre avviare una approfondita riflessione sull'efficacia delle attuali misure, preventive, repressive, di contrasto al fenomeno, perché ne sia consentita l'emersione nelle sue reali dimensioni anche nelle aule di giustizia».[10] 

È evidente che si parla di numeri che oggettivamente sono scarsamente significativi, e che in realtà, se presi alla lettera, dimostrano due ipotesi antitetiche, ovvero a) che l'Italia è un paese che assolutamente non ha corruzione oppure che b) c'è un numero nero dei dati di corruzione. Purtroppo, sul punto appare più congruente che la seconda ipotesi sia quella che si sposi con la realtà fenomenica e che in quanto tale venga percepita dal sentire comune.

Partendo da tale presupposto, sarebbe, allora, interessante poter spiegare e parlare di indici alternativi, per esempio, quelli relativi alla percezione della corruzione che danno per assodato un quadro fallimentare della massiccia presenza di corruzione nel nostro Paese.

Vi è da rilevare che sull’utilizzo degli indici, non vi è un comune pensiero. Infatti secondo alcuni gli indici della corruzione non hanno alcun valore scientifico.

Tuttavia, è opinione più diffusa, che moltissimi studi internazionali evidenziano correlazione interessanti, per esempio, tra i paesi che fanno pochissimi investimenti nella ricerca ed hanno, con i dati della corruzione scientifica, elevati numeri di fuga dei cervelli; o tra livello di corruzione percepita all’interno dei paesi e tassi di crescita economica.[11] Dal punto di vista sociologico, ad esempio, questi sono i paesi ad alto livello di corruzione.

Lo studio della percezione della corruzione, comunque, porta con sé un dato che è sintomatico e tipico dei paesi con alto tasso della corruzione, ovvero, la scarsa fiducia dei cittadini nei confronti dell'istituzione[12]. Cioè, si nota, tristemente, che i sondaggi fatti sui cittadini sono la prova che questi non hanno alcuna fiducia nei confronti delle istituzioni e le considerano corrotte malgrado non siano in grado di riferire di episodi specifici. Tuttavia, la sfiducia delle istituzioni rappresenta essa stessa un dato che inquadra le istituzioni medesime nell'attività corruttiva.

Questo sentire, enfatizza però il fenomeno corruttivo. Infatti, se il soggetto stesso non crede che la pubblica amministrazione si comporti in modo corretto, evidentemente proverà ad interfacciarsi con l’istituzione stessa attraverso metodi illeciti, superando l’applicazione di metodi leciti, poiché ritenuti inefficaci.

Da queste riflessioni si riesce a capire che i dati numerici della corruzione sono certamente diversi da quelli giudiziari, e moltissimi sono gli indici che lo avvalorano[13].

Le riserve sulle statistiche giudiziarie conducono a formulare indici di percezione della corruzione, tra i più noti quelli pubblicati da Transparency International (TI-CPI o Corruption Perception Index)[14] e dalla Banca Mondiale (WB-RCC o Rating of control of corruption)[15], che forniscono una misura nazionale per la maggior parte dei paesi mondiali.

Il corruption percetion index (CPI) di Trasparency International serve soprattutto per misurare la corruzione nel settore pubblico e viene ricavato in base a sondaggi effettuati da diverse istituzioni indipendenti interrogando esperti. Un suo limite sta nel fatto che non vi è certezza che la corruzione percepita corrisponde a livello di corruzione reale. Inoltre la percezione del fenomeno può essere fortemente condizionata da fattori esterni che non hanno necessariamente un impatto concreto sul livello di corruzione reale, quale ad esempio le opinioni stereotipate, i pregiudizi o l’importanza attribuita dai media a scandali politici o economici.

Entrambi gli indici aggregano i dati relativi alle indagini prodotte da agenzie di consulenza, dove il TI-CPI prevede che vi siano almeno tre differenti fonti disponibili[16], mentre il WB-RCC ne prevede solo una. Ciò comporta che l’indice WB-RCC ha una precisione minore rispetto al TI-CPI. La logica di tali indici è che gli indicatori che concorrono al calcolo dell’indice di corruzione percepita avrà un errore di misurazione, in quanto le percezioni non necessariamente riflettono la realtà, ma visto che questi errori sono tra loro indipendenti allora l’indice complessivo tenderà ad attenuare l’errore complessivo.

La criticità di questo tipo di analisi è nel grado reale di affidabilità delle informazioni fornite dagli intervistati, che purtroppo è sconosciuta, in quanto chi è implicato direttamente negli atti di corruzione tenderà a sminuire il fenomeno, d’altro canto coloro che invece non partecipano direttamente negli atti corruttivi possono non avere informazioni accurate e parlare semmai solamente “per sentito dire”. Naturalmente queste distorsioni si tramutano in errori di dati ed essendo il TI-CPI e il WB-RCC una sorta di media di misure distinte, la loro affidabilità tende ad essere maggiore per i paesi per i quali è disponibile un numero maggiore di indicatori, minore per quei paesi per i quali ne sono disponibili meno.[17]

L’uso di sondaggi per misurare le esperienze o le opinioni dirette dei cittadini sulla presenza o sulla percezione del fenomeno è un metodo per calcolare la corruzione ma questo viene condizionato anche dal fattore di desiderabilità sociale, non tenendo conto delle diverse basi conoscitive o esperienziali del fenomeno.

Quella fin qui svolta è stata un’analisi teorica metodologica sull’individuazione degli indici che permettono di capire la grandezza del fenomeno della corruzione. Purtroppo, attraverso tale analisi l’ultimo rapporto di Transparency International ha definito l'indice di percezione della corruzione di 180 paesi e trova l’Italia solamente al 52esimo posto.

Detto ciò, si vuol evidenziare però, che non è vero che la percezione è direttamente ed automaticamente collegata solo alle notizie stampa perché nel nostro paese negli ultimi anni si è assistito ad un miglioramento della classifica degli indici di percezione malgrado in questi ultimi anni si è parlato molto di più di corruzione. Quindi avvalorare la tesi che la percezione della corruzione sia influenzata dai Media, tenderebbe a sminuirne il fenomeno, fermo restando che anche quegli indici abbiano un loro valore tendenziale.

Il loro valore tendenziale ci consente però di affermare che le indagini giudiziarie da sole non possono essere l’elemento esclusivo, ma il tutto deve essere supportato anche da un’inversione culturale.[18]

Cioè non basta il momento repressivo, che fra l’altro per sua natura interviene ex post, ed interviene quasi ed esclusivamente solo in modo casuale (infatti, le indagini giudiziarie non partono quasi mai dall’ipotesi di corruzione). Anzi, si evidenzia che quasi sempre si parte da indagini riguardanti altre fattispecie di reato. Quest’ultimo passaggio però appare giustificato dal fatto che è evidente che quella struttura tipica della corruzione che è un reato caratterizzato dall’essere un reato occulto non consente di fare una valutazione in termini né numerici né in termini quantitativi e qualitativi in modo preciso, per cui l’inizio delle indagini per corruzione spesso deriva dal sospetto di altre ipotesi delittuose.

La corruzione è una delle emergenze più gravi del nostro paese perché disperde risorse pubbliche vitali, distorcere la concorrenza, riduce la qualità di beni e servizi e diminuisce gli investimenti nel paese, specialmente quelli stranieri. Molte ricerche hanno evidenziato il legame tra corruzione e livelli di sviluppo economico, notando una forte correlazione negativa tra il fenomeno corruttivo e l’andamento del prodotto interno lordo (Pil).[19]

Le caratteristiche di un paese corrotto sono: malgoverno[20], istituzioni pubbliche inefficaci e mancanza di indipendenza degli organi di stampa.

Per combattere la corruzione abbiamo bisogno innanzitutto di strumenti affidabili per misurarla e che contribuiscono ad individuare le forme di corruzione più diffuse nel paese, identificare i settori a rischio e la diffusione territoriale della corruzione, individuare possibili soluzioni risorse necessarie per attuarle.

Ad oggi, come detto, non esistono dati ufficiali che misurano l’entità della corruzione, tuttavia sono stati stilati da esperti, sondaggi indirizzati ai cittadini sulla loro percezione o esperienza diretta, basati su statistiche economiche, nonché dati sulla criminalità e sulla giustizia penale.

Secondo l'indagine dell'ente non profit Trasparency International l'Italia ha cominciato a scalare la classifica nel 2012, cioè dall'introduzione della legge anticorruzione. Infatti, da allora il paese è avanzato di diverse posizioni, ed è migliorata di posizioni di anno in anno, pertanto, pur dovendo riconoscere un miglioramento degli ultimi 5 anni, complessivamente la valutazione deve ritenersi insufficiente.

Resta ancora parecchia strada da fare sulla via della trasparenza, perché il voto complessivo è 53 punti su 100.

A pesare è soprattutto la scarsa trasparenza dell'amministrazione pubblica e dei partiti e della politica.

Da tali classifiche effettuate da Transparency International riesce facile cogliere il dato che nei paesi dove c’è più trasparenza risulta esserci meno corruzione, e pertanto tali dati possono essere rilevati sempre a pari passo tra loro.

In cima all’indice di Transparency International, che ogni anno classifica i paesi sulla base del livello di corruzione percepita nel settore pubblico, assegnando un punteggio da 0 (molto corrotto) a 100 (per niente corrotto), ci sono anche quest’anno a parimerito la Danimarca e la Nuova Zelanda, entrambe con 88 punti. Invece, anche quest'anno, la coda della classifica si chiude con Sud Sudan e Somalia entrambe tristemente parimerito come più corrotte.

La graduatoria annuale di Transparency International vede un miglioramento dell'Italia, che però resta ancora tra i paesi peggiori in Europa infatti in occasione della presentazione del Cpi 2020 il presidente di Transparency International Italia, Iole Anna Savini afferma che l’Indice di percezione della corruzione 2020 segna un rallentamento del trend positivo che aveva visto l’Italia guadagnare 11 punti dal 2012 al 2019, pur confermandola al 20° posto tra i 27 Paesi membri dell’Unione.

Tassello interessante da rilevare tuttavia è che questo miglioramento della posizione in classifica dell’Italia possa derivare dal fatto che le politiche di prevenzione di questi anni e delle organizzazioni chiamate a realizzarle siano complici di aver creato anche un’ “anticorruzione percepita”.[21]

Lo studio della misurazione della corruzione in ogni caso non è fine a se stesso ma diviene strategicamente rilevante per individuare le strategie di contrasto. È di tutta evidenza che più la strategia di contrasto è consapevole del fenomeno da contrastare, più la stessa sarà efficace. A tal guisa le indagini statistiche aiutano a guidare le strategie di prevenzione indicando le aree geografiche, i settori con maggiore corruzione, le dinamiche del fenomeno.[22] Ad esempio, l’Anac ha inserito sistemi di alert, le cosiddette “red flags”[23] nel campo dei contratti pubblici che segnalano ogni qualvolta vi siano dei comportamenti anormali.

4. Prevenzione della Corruzione

Il ruolo della prevenzione nella lotta alla corruzione è ormai unanimemente ritenuto un fattore importantissimo. Infatti, per poter effettuare una lotta alla corruzione lo strumento principe da cui partire è indubbiamente quello della prevenzione, in quanto tramite questo strumento si ottiene ex ante un intervento che può essere in grado di bloccare o ostacolare il fenomeno corruttivo.

Questo ci consente di porre il quesito: se non ci dobbiamo accontentare solo dell’idea di intervenire tramite i canali giudiziari ex post, quali sono gli strumenti per intervenire sulla corruzione ex ante? 

I meccanismi di prevenzione nella lotta alla corruzione sono molteplici ma confluiscono attraverso diverse metodologie tutti verso lo stesso obiettivo.

Ciò che cambia, significativamente rispetto al passato, è l’approccio al fenomeno corruttivo. Infatti, se precedentemente il campo di intervento era limitato strettamente alla repressione di specifiche condotte individuali, adesso, invece, il raggio di azione si amplia dirigendosi sulle questioni preliminari, aspetti organizzativi, regolazione e procedimentalizzazione di specifiche attività.

Questa estensione del campo d’azione è il risultato logicamente deducibile dal mutamento di prospettiva adottato dal legislatore, il quale decide di prestare maggiore attenzione a situazioni nelle quali il rischio di corruzione è solo potenziale ed il conflitto di interessi è anche solo apparente.[24]

Uno Stato che miri alla prevenzione della corruzione deve puntare alla creazione di un apparato amministrativo fondato sui criteri della buona amministrazione che spaziano dalla garanzia ed efficacia dei controlli alla promozione della trasparenza amministrativa, dalla promozione dell’integrità del pubblico ufficiale alla sensibilizzazione di coloro che operano nella pubblica amministrazione ed alla riduzione delle opportunità di corruzione.

Per parlare di prevenzione nella lotta alla corruzione si deve tenere a mente il periodo successivo a “mani pulite”, quale punto di svolta dove veniva a radicarsi sempre più l’idea che la lotta alla corruzione non poteva effettuarsi solo tramite la repressione penale ma doveva essere posta anche altro tipo di attività per riuscire ad arginare il fenomeno.

L’attività alternativa della prevenzione della corruzione viene esplicitamente dichiarata come necessaria dall’articolo 5 della  Convenzione Internazionale di Merida[25] del 2003[26] che indica con chiarezza che gli Stati devono mettere in campo obiettivi di prevenzione della corruzione, perché la prevenzione sfrutta strumenti che anche se non riescono ad impedire in senso assoluto la corruzione, ma è tramite i meccanismi di prevenzione che si può rendere più complicato il verificarsi della corruzione, si possono fare inceppare le macchine più o meno oliate in modo perfetto per mettere in campo attività corruttive e si può, soprattutto, provare a intervenire per rendere quei meccanismi sostanzialmente meno facilitati nella logica di raggiungere il fine illecito.

L’importanza della Convenzione di Merida risiede oltre che nei temi da essa trattati anche nel fatto che per la prima volta in un atto internazionale compare il riferimento non solo a interventi repressivi ma anche a “misure preventive”.[27]

Dalla Convenzione di Merida discendono infatti obblighi posti agli Stati per l’adozione di efficaci politiche di prevenzione della corruzione, a cui questa dedica l’intero titolo II, che prevede diverse misure miranti a coinvolgere il settore pubblico ed al tempo stesso anche il settore privato.

Queste misure includono meccanismi istituzionali, quali la creazione di uno specifico organo anticorruzione, codici di condotta e politiche favorevoli al buon governo, allo stato di diritto, alla trasparenza e alla responsabilità, nonché la previsione di fissare criteri obiettivi sia per l’assunzione e la promozione dei dipendenti pubblici, sia per la materia degli appalti pubblici.

Da notare che la Convenzione sottolinea il ruolo importante della società civile, in particolare di organizzazioni non governative e di iniziative a livello locale, ed invita gli Stati firmatari ad incoraggiare attivamente la partecipazione dell’opinione pubblica e la sensibilizzazione della stessa al problema della corruzione.

Il tema, sulla scena internazionale continua ad essere trattato anche in ambito europeo, in particolare con le convenzioni sulla tutela degli interessi finanziari e con la direttiva 2014/23/EU del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014[28], dove si legge l’articolo 35 dedicato alla “lotta alla corruzione prevenzione dei conflitti d’interesse”, in cui il tema della corruzione è strettamente collegato oltre che alla trasparenza, anche alla tutela del mercato e della concorrenza.

Il nostro ordinamento dopo aver concentrato per lunghissimo tempo la propria attenzione solo ed esclusivamente sul fronte repressivo della corruzione, ha finalmente scelto di operare incisivamente sul piano della prevenzione della corruzione attraverso la legge 190/2012 che rappresenta un’inversione di tendenza, non perché prima non ci fosse stata mai un’attività di prevenzione della corruzione, ma perché gli interventi erano stati sporadici (tutti dopo Tangentopoli quando venne approvata la legge Merloni sugli appalti).

L’intervento della legge Merloni era proprio sulle indagini giudiziarie. Persino la riforma della pubblica amministrazione Bassanini pone la logica di sganciare la politica con la gestione.

Poi, la legge 190/2012, a fronte della sempre più dilagante corruzione tra le maglie della struttura pubblica, ha impresso una spinta decisiva verso un’azione amministrativa più rispondente alle istanze di chiarezza sollevate sia dalle parti sociali sia dalla stessa classe politica, predisponendo un articolato sistema di prevenzione e repressione dell’illegalità nelle pubbliche amministrazioni e delegando il governo all’emanazione di una serie di decreti[29] che riordinassero ed aggiornassero la normativa in settori ritenuti strategici per la lotta e prevenzione alla corruzione.

Con la legge Severino, infatti, si prova a mettere in campo misure specifiche che hanno come unico obiettivo quello della prevenzione della corruzione. Le misure passate, invece, non avevano come obiettivo quello della prevenzione alla corruzione ma avevano altri obiettivi, e solo mediatamente si occupavano di prevenire la corruzione.

La legge 190/2012 ha inteso prevenire e reprimere i fenomeni di malaffare nel settore pubblico adottando un approccio multidisciplinare, in cui la repressione diviene solo uno degli strumenti per la lotta alla corruzione: a questa, infatti, sono affiancati nuovi obblighi ed adempimenti volti alla prevenzione posti direttamente in capo alle pubbliche amministrazioni.

Le misure preventive, infatti, accompagnano la deterrenza penale con regole e soluzioni organizzative che rendono più difficile il compimento di atti corruttivi da parte del funzionario.

Tale normativa, in primo luogo, ha individuato i soggetti, gli organi aventi l’incarico di svolgere il controllo, la prevenzione e la repressione dei fenomeni corruttivi all’interno delle p.a., con modalità tali da assicurare un’azione coordinata; ed in secondo luogo ha provveduto a modificare direttamente determinati testi di legge aventi incidenza nell’ambito dell’anticorruzione e della trasparenza, tra cui oltre ad articoli del codice penale, anche articoli della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo e del D.lgs.165/2001 sul pubblico impiego.

Per prevenire la corruzione infatti si devono attuare misure ad ampio spettro rivolte a ridurre il rischio di fatti corruttivi, e queste misure, per essere efficaci, non si devono limitare a prevenire solo comportamenti corruttivi ma devono riguardare anche comportamenti non rilevanti penalmente, ma costituenti in senso ampio la maladministration.[30]

In questa visione si comprende come con la prevenzione si cerca di evitare: atti illeciti o illegittimi, atti solamente irregolari (che tuttavia se ripetuti possono aprire la strada a comportamenti penalmente rilevanti), comportamenti individuali violativi di norme solo disciplinari.

Si intuisce agevolmente, pertanto, che il contenuto della prevenzione è costituito quindi da un ampio spettro di misure di riduzione del rischio.[31]

Nella sua impostazione originaria la legge Severino utilizza soprattutto tre ambiti d’azione che andiamo di seguito ad analizzare.

5. Il primo ambito d'azione: il Piano Nazionale Anticorruzione

Il primo ambito punta all’organizzazione della pubblica amministrazione.

Invero, pensare che la lotta alla corruzione possa essere fatta perseguendo una battaglia contro la pubblica amministrazione, è una risposta completamente sbagliata.

Infatti, considerare l’amministrazione semplicemente come oggetto dell’attività e non come soggetto dell’attività è un errore metodologico dovuto sostanzialmente ad un pregiudizio, cioè al fatto che l’amministrazione viene considerata tutto sommato in gran parte corrotta e controllata.

La logica che si era perseguita in passato era quella dell’amministrazione controllata in maniera apicale attraverso controlli che in molti casi hanno, invece, favorito la corruzione. Tale sembrava una soluzione per mettere sotto tutela l’amministrazione, ma un’amministrazione sotto tutela è di fatto un’amministrazione ritenuta sospetta come presupposto.

Tuttavia, è un errore presupposto, perché, invero, proprio nelle realtà più complicate si trovano spesso meccanismi e soggetti che sono la riprova dell’anticorruzione al livello di istituzione.

Pertanto, la lotta alla corruzione che parte dall’idea che l’intera amministrazione sia corrotta è assolutamente deviata, forviate e dannosa, ma soprattutto non può portare ad alcuna conclusione utile, anche perché partendo da un simile presupposto si potrebbe solo giungere a derive assurde e antitetiche, poiché se l’assunto base è che tutto è corruzione, allora ne deriva che niente è corruzione.

In tale contesto dove la malattia, non solo è tale, ma viene vista con una riprovevolezza che autoalimenta la portata della malattia stessa, diviene allora necessario farsi prestare il concetto medico del “prevenire è meglio che curare”.

Infatti se vi si ricollega ai passaggi prima esposti riguardanti la bassa soglia di corruzione scoperta e perseguita nei confronti dell’alto grado di corruzione sommersa e percepita, si capisce bene come un azione di prevenzione possa essere una strategia di ricostruzione del corretto funzionamento del sistema delle istituzioni, lasciando così al giudice penale un area residuale d’intervento solo qualora debba avvenire il momento repressivo.[32]

La scommessa della legge Severino, rispetto al passato, è quella di guardare alle amministrazioni come soggetti attivi che contrastano la corruzione, ma non tanto perché sono assoggettati al controllo ma perché sono le amministrazioni stesse a mettere in campo i mezzi per lavorare contro la corruzione. Cioè la ratio da cui parte la norma è semplice: chi è in grado di conosce meglio le logiche della corruzione all’interno degli uffici se non i soggetti che stanno proprio dentro tali uffici?

All’interno degli uffici si devono, allora, predisporre misure idonee per poter combattere la corruzione. Rispondono a tale esigenza i piani di prevenzione della corruzione, che sono degli strumenti di compliance analoghi a quelli previsti dal d.lgs. n. 231/2001[33], cioè strumenti che partono dall’idea che all’interno amministrazione si debba valutare il rischio e predisporre le consequenziali misure di prevenzione.

Si traduce così il problema in una questione di gestione del rischio, dove la logica consiste nella capacità di individuare i rischi che provengono sia dal contesto esterno che da quello interno. A questa mappatura del rischio, naturalmente, dovrà corrispondere l’attività di gestione e minimizzazione del rischio stesso[34].

In Italia si è previsto di articolare la struttura del piano su un doppio livello: Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) e un piano decentrato di ogni singola amministrazione.[35]

Il piano di prevenzione della corruzione risponde all’idea che meccanismi di compliance sono messi in campo dalla stessa amministrazione che fa una valutazione del rischio e che indica direttamente le misure da porre in essere.

Il sistema dei piani (nazionale e decentrati) poggia essenzialmente sui due pilastri delle misure anticorruzione e delle misure trasparenza.

Il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) ha, in primo luogo, il compito di promuovere presso le amministrazioni pubbliche l’adozione di misure di prevenzione della corruzione.

Questo provvedimento viene adottato dall’Anac, ha durata triennale ed è aggiornato annualmente.

Si configura quale atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione, e, in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, ha l’obiettivo di individuare i principali rischi di corruzione con i relativi rimedi e contiene l’indicazione di obiettivi, tempi, modalità di adozione e attuazione delle relative misure di contrasto.

Le misure anticorruzione si distinguono in oggettive, se mirano, attraverso soluzioni organizzative, a ridurre ogni spazio possibile all’azione di interessi particolari volti all’improprio condizionamento delle decisioni pubbliche, e soggettive, se funzionali, invece, a garantire la posizione di imparzialità dei funzionari pubblici che partecipano, nei vari modi previsti dall’ordinamento ad una decisione amministrativa. L’individuazione di tali misure spetta poi alle singole amministrazioni, perché solo esse sono in grado di conoscere la propria condizione organizzativa, la situazione dei propri funzionari ed il contesto esterno nel quale si trovano ad operare.

Il Piano Nazionale Anticorruzione[36] è una sorta di guida per le amministrazioni nell’adozione di concrete ed effettive misure di prevenzione della corruzione, senza imporre soluzioni eccessivamente uniformi e standardizzate, che finirebbero per svilire le diverse realtà organizzative, compromettendone l’efficacia. Esso vuole operare attraverso un approccio integrato tra ciascuna amministrazione e l’Autorità anticorruzione.[37]

Elemento innovativo del PNA è quello della definizione di condizioni, eccezioni, misure e settori nei quali si deve effettuare il processo di rotazione del personale per evitare i rischi corruttivi. Inoltre, sempre il PNA individua le tipologie di rotazione a seconda del caso concreto, diversificando le fattispecie da “ordinaria” a “programmatica”, da “straordinaria” a “legata ad un rischio specifico”.[38]

Il PNA effettua, inoltre, valutazioni sulle misure di prevenzione della corruzione attraverso il monitoraggio dell’evoluzione della qualità dei piani triennali di prevenzione della corruzione, analizza il contesto esterno, effettua la mappatura dei processi, identifica gli eventi rischiosi, svolge la valutazione e ponderazione del rischio, analizza il trattamento del rischio.

Interessante risulta in tal senso il richiamo del PNA 2019-2021 riguardante all’AIR e alla VIR quali strumenti utili in quanto costituiscono un supporto alle decisioni dell'organo di vertice dell'amministrazione in ordine all'opportunità dell'intervento normativo e pertanto sono funzionali ad un costante monitoraggio sull’efficacia delle misure adottate.[39]

Con l’approvazione del piano nazionale, poi, prende concretamente avvio la fase di pianificazione della prevenzione a livello decentrato, mediante la predisposizione di un quadro unitario e strategico di programmazione delle attività in cui ciascuna amministrazione possa redigere il proprio piano triennale di prevenzione della corruzione.

5.1 Il primo ambito d'azione: i piani anticorruzione decentrati

Il piano triennale è adottato dall’organo di indirizzo politico, su proposta del responsabile della prevenzione della corruzione ed è soggetto ad aggiornamento mediante l’emanazione di apposite linee guida.

Il piano triennale è obbligatorio ed ha contenuto in parte vincolato in quanto deve seguire gli elementi minimi derivanti dalla legge 190/2012, dalla sua normativa di attuazione, nonché dal Piano Nazionale Anticorruzione.

I piani triennali si caratterizzano per l’analisi del contesto di riferimento della singola p.a., sia esterno (relativo al rischio corruzione con riguardo al territorio), sia interno (parametrato alla struttura organizzativa dell’ente, al personale e alla sua classificazione).

La progettazione del piano richiede la collaborazione tra il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ed i dirigenti o responsabili dei servizi in considerazione dei contenuti specifici di ogni settore.

Dalla violazione delle misure di prevenzione previste nel piano discendono responsabilità disciplinari.

Possiamo definire il piano triennale di prevenzione della corruzione e trasparenza con un programma di attività che partono dalla mappatura del contesto (fisico-geografico, economico, burocratico)[40] per giungere alla costruzione di uno strumento destinato a contenere le misure concrete per la prevenzione della corruzione, con l’indicazione specifica delle aree di rischio e degli accorgimenti da adottare nella pratica per lottare contro i fenomeni corruttivi.

Oggi tutte le amministrazioni, inoltre, devono avere un responsabile di prevenzione della corruzione al quale la legge conferisce tutta una serie di poteri che sono tutt’altro che dei poteri neutri.

Questa figura rappresenta uno snodo indispensabile che serve tra il PNA e l’amministrazione decentrata da elemento imprescindibile di congiunzione.

Infatti, egli segnala all’organo di indirizzo ed all’organismo indipendente di valutazione le disfunzioni inerenti all’attuazione delle misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza ed indica agli uffici competenti l’esercizio dell’azione disciplinare ed i nominativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza.

In una prima fase di attuazione della legge 190/2012, quasi tutte le amministrazioni scelsero i dirigenti meno formati perché tale ruolo era sottovalutato. Oggi, invece, c’è una grande attenzione perché il responsabile della prevenzione della corruzione che fa bene il suo mestiere, è in grado di interagire in modo pervasivo all’interno degli uffici grazie a tutta una serie di poteri che lo rendono referente apicale all’interno dell’amministrazione.

Ad oggi ci si deve chiedere se questo sistema sta funzionando? La risposta è che tutto il nuovo impianto ovviamente ha incontrato molte difficoltà perché spesso sono ricadute responsabilità e ruoli su questi soggetti senza un’adeguata preventiva formazione in materia.

Probabilmente però il problema maggiore consiste nel non aver capito l’importanza del piano, riproponendo pertanto nei piani dei consistenti copia-incolla[41] di altri enti, ragion per cui è evidentemente tradita la ratio del nuovo sistema, elusa la mappatura del contesto e verosimilmente anche inficiata l’efficacia della prevenzione da rischi corruttivi.

6. Il secondo ambito d'azione: i codici di comportamento

Se un primo obiettivo è quello di una responsabilizzazione dell’amministrazione attraverso i piani, il secondo obiettivo è quello che riguarda i singoli dipendenti della p.a., e si concretizza nel mettere in campo una serie di elementi che provino a costruire la figura del funzionario modello[42], cioè dell’applicazione di misure che rendano il funzionario meno sensibile alla corruzione evitando la creazione di possibilità di conflitto di interessi.

Questo secondo ambito viene sviluppato attraverso l’introduzione dei codici di comportamento.[43]

I codici di comportamento costituiscono lo strumento che più di altri si presta a regolare le condotte dei funzionari e ad orientarle alla migliore cura dell’interesse pubblico, in una stretta connessione con i Piani triennali di prevenzione della corruzione e della trasparenza.

 Fonte primaria della disciplina sui codici di comportamento è la Costituzione che impone che le funzioni pubbliche siano svolte con imparzialità (art. 97), al servizio esclusivo della Nazione (art. 98) e con “disciplina e onore” (art. 54, comma 2).[44]

Vi è da dire che sin dagli anni Novanta vi è stata l’introduzione di regole di comportamento volte alla promozione di una “buona condotta”.  

Da allora l’evoluzione che l’etica pubblica ha effettuato, è stata imperniata su diverse fasi[45] prima di giungere all’ultimo codice di comportamento generale, che è valevole per tutti i dipendenti pubblici e deriva dal d.p.r. 16 aprile 2013, n. 62.

Questo nuovo codice costituisce un importante punto di riferimento per delineare il sistema dei doveri[46] e delle responsabilità dei pubblici dipendenti e si inserisce in un contesto di riforma della p.a. nella direzione del recupero della legalità, della trasparenza e della democraticità dell’azione amministrativa, poiché definisce i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i dipendenti pubblici sono tenuti ad osservare.

Il codice all’art. 1, co. 2 rinvia poi all’art. 54 del d.lgs. 165/2001 prevedendo che le disposizioni ivi contenute siano integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni.

Le previsioni di questo codice infatti devono poi essere integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni.

In merito all’adozione dei singoli codici, l’ANAC ha emanato le linee guida in materia di codici di comportamento delle singole amministrazioni.

Le disposizioni all’interno dei codici sono obbligatorie[47] e la loro violazione integra gli estremi di un illecito disciplinare.

Purtroppo, sul punto, la tendenza è stata fin da subito quella di emanare codici di comportamento meramente riproduttivi del codice generale.[48]

Si deve evidenziare come la legge anticorruzione dia una nuova rilevanza giuridica ai doveri di comportamento definiti dai codici indipendentemente dalla loro rilevanza penale. Infatti, in primo luogo questi ambiscono a svolgere un azione di presidio dell’amministrazione, in quanto più procedimenti disciplinari dovrebbero corrispondere ad un minor numero di procedimenti penali. In secondo luogo, il procedimento disciplinare potrebbe fornire in chiave penale un contributo utile a fornire l’emersione di fatti di possibile rilevanza penale. Infine, in terzo luogo, l’autonomia del procedimento disciplinare assume contenuti qualificanti, dando spazio a un più penetrante potere di accertamento del fatto da parte dell’amministrazione.

I codici di comportamento, inoltre, non vanno confusi con i codici “etici/deontologici”.

Infatti i codici etici hanno una dimensione “valoriale” e non disciplinare e sono adottati dalle amministrazioni al fine di fissare doveri, ulteriori e diversi, rispetto a quelli definiti nei codici di comportamento. Questi valori sono rimessi alla autonoma iniziativa di associazioni di pubblici funzionari, gruppi o categorie.

Questi codici individuano sanzioni etico-morali che vengono irrogate al di fuori di un procedimento di tipo disciplinare (spesso però sono previste regole di accertamento della violazione), in quanto fondate essenzialmente sulla disapprovazione che i componenti del gruppo esprimono in caso di violazione delle regole autonomamente fissate.

I codici di comportamento, diversamente, fissano doveri di comportamento che hanno una rilevanza giuridica che prescinde dalla personale adesione del funzionario. Essi vanno rispettati in quanto posti dall’ordinamento giuridico e, a prescindere dalla denominazione attribuita da ogni singola amministrazione al proprio codice, ad essi si applica il regime degli effetti e delle responsabilità conseguenti alla violazione delle regole comportamentali previsto dall’art. 54, co. 3, del d.lgs. 165/2001.[49]

Pertanto è essenziale che le amministrazioni tengano ben distinti i codici di comportamento, giuridicamente rilevanti sul piano disciplinare, da eventuali codici etici.

Con questa copresenza, però, si apre la strada per una nuova convergenza dialettica tra due fondamentali tipologie di doveri, tanto sul piano della individuazione dei doveri giuridici, quanto sul piano del loro effettivo rispetto.

Se infatti è vero che i doveri giuridici individuati dall’ordinamento non possono non risentire del contesto culturale e morale della comunità regolata, allora si intuisce come può essere pregnante e forte il peso delle prescrizioni etiche seguite da coloro che aderiscono al codice etico. E di converso si può vedere come anche i doveri morali possano essere influenzati o comunque tener conto dell’evoluzione – mutamento del contesto giuridico e dei doveri individuati dalla legge.[50]

Si può concludere, pertanto, che un rafforzamento dei doveri morali contribuisce al rispetto dei doveri giuridici e viceversa.

Chiusa l’analisi del rapporto tra codici di comportamento e codici etici, resta da capire come possa tradursi la previsione della rilevanza disciplinare nella fattispecie pratica.

Il dovere comportamentale infatti per avere rilevanza ed efficacia giuridica deve essere assistito in caso di violazione da una sanzione. Pertanto è necessario effettuare la delineazione della tipizzazione delle infrazioni disciplinari con a monte l’individuazione della contestazione della violazione per poi scendere fino a valle con la possibile sanzione da applicare.

Naturalmente il tutto deve essere inquadrato all’interno di una gamma diversificata di gravità della violazione.

Tuttavia, nel quadro delle violazioni diviene intuitivo che per “ottenere” la scoperta delle stesse entri in gioco il criterio della trasparenza come strumento attraverso il quale diviene tutto visibile e pertanto anche le violazioni ai codici possono essere individuate.

Senza le recenti norme sulla trasparenza amministrativa, peraltro, l’art. 98 della Costituzione, che afferma che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione, rimaneva il vuoto contenitore di un proclama inattuato. È evidente infatti che, se si parla di servizio verso la nazione, allora occorre anche dotare la nazione degli strumenti per verificare la qualità di quel servizio, e far sì che l’erogatore non si sottragga al controllo.[51]

7. Il terzo ambito d'azione: la Trasparenza

Il terzo inscindibile obiettivo che deriva dalla l.190/2012 è quello della trasparenza.

La trasparenza è lo strumento che rappresenta in tutte le democrazie il sistema di controllo del potere. La logica della trasparenza è quella di consentire il controllo civico diffuso da parte di cittadini e cioè rendere note le scelte dell’amministrazione per sapere cosa queste fanno con il bene comune del denaro pubblico.

La trasparenza può rappresentare quello strumento che permette di controllare, nonché il meccanismo che consente di superare la sfiducia nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

Infatti, a volte la sfiducia che si è creata nei confronti della pubblica amministrazione può non essere giustificata, ma vi si può porre rimedio solo attraverso la possibilità di sapere quello che le P.A. fanno, e pertanto tramite questo mezzo si giunge infine ad una scelta di democrazia.

La chiave di volta per combattere e, ancor prima, per prevenire i fenomeni corruttivi è indubbiamente quella della trasparenza, mediante la quale ogni aspetto dell’azione e dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche diventa rendicontabile agli occhi dei cittadini.

La trasparenza, nell’ambito della moderna visione dell’amministrazione, è un valore portante e necessario dell’ordinamento, un modo di essere e di agire dell’amministrazione che assume un fondamentale rilievo anche come strumento di riavvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione.

La partecipazione e conoscenza procedimentale degli atti, costituiscono il primo passaggio verso la discousure mediata dalla rinuncia alla riserva amministrativa degli atti.

La trasparenza, infatti, non rappresenta solo il fine cui tendere, ma un efficace strumento per una amministrazione, affinché questa operi in maniera eticamente corretta e persegua obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione valorizzando l’accountability[52] nei rapporti con i cittadini.

La trasparenza non deve essere solo un principio proclamato, ma si deve tradurre in un modus operandi delle pubbliche amministrazioni, attraverso una serie di strumenti che consentano in concreto ai cittadini di rendersi più vicini alle istituzioni e poterne conoscere il funzionamento ed il modo d’utilizzo delle risorse pubbliche.

Infatti, la conoscibilità e la comprensibilità delle procedure sono finalizzate a realizzare l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa e, pertanto, riescono a far comprendere le ragioni delle scelte poste dall’amministrazione e rivolte alla cura dell’interesse generale.

8. La Trasparenza Amministrativa: evoluzione del principio

Il principio della trasparenza nel nostro ordinamento, fino all’adozione della legge 7 agosto 1990, n. 241, non aveva ancora ricevuto il riconoscimento giuridico che lo avrebbe qualificato come uno dei valori cardine dell’organizzazione e dell’attività amministrativa.

Infatti, fino alla l. 241/90 il segreto d’ufficio ex D.P.R. n. 3/1957 era considerato da un lato una garanzia di tranquillità del funzionario e di efficacia dell’azione amministrativa, e dall’altra una tutela contro la permeabilità dell’amministrazione pubblica alle pressioni dei gruppi di potere.

Nella prassi instauratasi nel nostro ordinamento, la funzione del segreto aveva trovato un ulteriore ampliamento fino a configurare il segreto come «cardine fondamentale dell’organizzazione»: esso doveva svolgere una vera e propria «funzione di separazione», per garantire che l’autorità agente non interferisse, né subisse interferenze.[53]

Da tale contesto di partenza si innesta il passaggio storico ad una moderna amministrazione vicina ed al servizio dei cittadini. Questo è rappresentato da un nuovo modo di agire della P.A., che attraverso il criterio guida della trasparenza, consacrato per la prima volta dalla legge n. 241/1990, fa avvicinare il cittadino alla P.A. i cui atti diventano conoscibili da parte dei soggetti interessati.

I principi di pubblicità e trasparenza, espressamente richiamati dall’articolo 1 della legge n. 241/1990, sono così diventati criteri generali dell’azione amministrativa che il diritto di accesso contribuisce a realizzare.

Tuttavia, con la legge 241/1990, che è il passaggio fondamentale dal dovere di segretezza del pubblico ufficiale al diritto di accesso, siamo ancora in una prima fase di introduzione del principio di trasparenza.

Infatti, la trasparenza voluta con la legge n. 241/90 privilegiava un rapporto unidirezionale verso una partecipazione singolare tesa anche all’emersione di eventuali scorrettezze procedimentali verso il destinatario dell’atto, ma esulava da un controllo diffuso dell’operato della pubblica amministrazione.[54]

Con l’introduzione di tale legge si ha pertanto un diritto di accesso, ma tale diritto riveste ancora il carattere dell’individualità in quanto visto come uno strumento di difesa[55] e che per essere attuato deve presupporre la concretezza e l’attualità del proprio interesse all’atto amministrativo.[56]

L’accesso ai documenti amministrativi costituisce quindi uno degli snodi essenziali dell’evoluzione in senso pari ordinato dei rapporti fra cittadini e pubbliche amministrazioni.

La normativa tutela la trasparenza come un principio che si realizza attraverso la partecipazione dei cittadini allo svolgimento dell’azione amministrativa. Ed è in base a tale principio che l’amministrazione ha subito una ristrutturazione della sua organizzazione in funzione degli interessi dell’utente.

In questo contesto, l’esercizio dell’accesso ai documenti amministrativi dimostra di essere lo strumento principale previsto dalla legge per realizzare e garantire la trasparenza dell’attività amministrativa.

Per questo negli ultimi anni, l’accesso alla documentazione pubblica ed il collegato principio di trasparenza hanno subito una vera e propria mutazione genetica[57] avviata con l’articolo 1 del d.lgs. n.150/2009 e poi effettivamente realizzata con il d.lgs. n. 33/2013, recentemente modificato dal d.lgs. 97/2016.

La trasparenza diventa adesso accessibilità totale. Si legge, infatti, all’art.1, comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013 come riformulato dal d.lgs. n. 97/2016, che la trasparenza è “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa”.

Tutto ciò è allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini e soprattutto di favorire forme diffuse di controllo[58] sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

Nasce così un diritto di acceso civico generalizzato alle informazioni degli uffici pubblici.

Si attribuisce cioè al cittadino un diritto/potere ai fini del controllo diretto e diffuso della gestione pubblica, dell’utilizzo delle risorse pubbliche e dei risultati di gestione.[59]

In questo modo si passa da un rapporto unidirezionale in cui la trasparenza serviva quale strumento a difesa del cittadino dall’operato dell’amministrazione, ad un rapporto bidirezionale.

Viene implementata, così, la trasparenza dei procedimenti e degli assetti organizzativi, garantendo da un lato l’efficienza dell’apparato amministrativo ed al contempo dall’altro lato svolgendo un ruolo di argine al fenomeno della corruzione[60], in quanto il pubblico ufficiale anche obtorto collo viene posto in condizione dissuasiva dalle ipotesi di malaffare poiché le proprie attività sono esposte ad un vero e proprio controllo sociale.

Si garantisce la libertà di accesso di chiunque ai dati e documenti detenuti dalle amministrazioni, con limitazioni espressamente individuate, attraverso un doppio binario: obblighi di pubblicazione e l’accesso civico.

Questi istituti coesistono e si aggiungono alle diverse forme di accesso già disciplinate in precedenza.

In tal senso, da una parte va considerato il diritto di accesso ai documenti, che consente ai soggetti titolari di un particolare interesse di accedere, ad esempio, agli atti di gara al fine di tutelare la propria sfera giuridica.

A questa oramai tradizionale modalità di accesso ai documenti si è affiancato, di recente, l’accesso civico “c.d. generalizzato”, che consente a tutti i cittadini di avere contezza di atti amministrativi senza che sia richiesta alcuna legittimazione.

Va anche tenuto conto che la trasparenza nel settore dei contratti pubblici è attuata a mezzo di specifici obblighi di pubblicazione a carico delle pubbliche amministrazioni con riguardo alle procedure bandite, e ciò al fine “di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”, ponendosi in concreto anche come strumento fondamentale e misura di prevenzione della corruzione.

Si può notare anche come nel solco segnato dal d.lgs. n.150/2009, la legge Severino, faccia assurgere la trasparenza dell’azione amministrativa da un lato a strumento volto a garantire l’efficienza della pubblica amministrazione per il tramite della trasparenza sulle performance e dall’altro a misura preventiva e trasversale di lotta alla corruzione e all’illegalità in generale nella pubblica amministrazione.[61]

La l. 190/2012 infatti si collega, tramite la delega conferita con l’art.1, comma 35, con un fil rouge al d.lgs. 33/2013. In quest’ultimo si afferma l’obbligo di pubblicare delle notizie-dati in possesso della pubblica amministrazione tracciando un nuovo solco per la trasparenza attraverso la definizione del controllo sociale diffuso, e facendo pertanto in modo che i cittadini siano messi in grado di controllare l’operato pubblico.

Il legislatore, così facendo, dal 2012 inizia un percorso volto alla creazione di un circolo virtuoso per riallacciare il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione.

Il d.lgs. 33/2013, c.d. TU della trasparenza, raccoglie in unico corpus normativo gli obblighi di pubblicazione disseminati nei vari testi normativi, accresce il novero degli atti e documenti oggetto di pubblicazione, istituisce la sezione “amministrazione trasparente” nei siti istituzionali delle amministrazioni, individua modalità tecniche uniformi che garantiscano la facile reperibilità delle informazioni e la loro confrontabilità, detta criteri in tema di qualità delle informazioni.

In tale quadro il principio di trasparenza diviene quasi un prolungamento dell’articolo 97 della Costituzione, tuttavia non ottenendo un recepimento formale all’interno della stessa, ma rimanendo un implicito corollario.[62]

Infatti l’assenza formale di un riferimento nella Carta costituzionale non ha impedito di riconoscere alla trasparenza rilevanza costituzionale attraverso l’interpretazione sistemica di diverse disposizioni.[63]

Nonostante cioè la mancanza di agganci costituzionali espliciti, tale diritto trova il proprio riconoscimento nel combinato disposto degli articoli 2, 3, 21, 97 e 117 della Carta Costituzionale.[64]

Nella visione evolutiva del principio di trasparenza[65] si innesta infine il d.lgs. n. 97/2016 recante disposizioni per la revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione e di pubblicità e trasparenza delle pubbliche amministrazione. Infatti, oltre ad intervenire sul Codice di trasparenza, il provvedimento ha modificato la legge anticorruzione (l. 190/2012) incidendo, in particolare, sulle disposizioni relative al Piano nazionale anticorruzione, e ai piani per la prevenzione della corruzione predisposti dalle singole amministrazioni.

Mediante quest’ultimo decreto legislativo il legislatore, in attuazione dei principi fissati dalla Legge Madia, ha inteso adeguare la normativa italiana sulla trasparenza con una nuova ed ulteriore forma di accesso civico ai dati e ai documenti pubblici attraverso il modello c.d. FOIA (Freedom of Information Act), adottato da tempo sia a livello internazionale che europeo.

Tale ultima normativa ha portato numerosi cambiamenti alla regolamentazione sulla trasparenza, rafforzandone il valore di principio che caratterizza l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni e i rapporti con i cittadini.

Si afferma così un nuovo modello di trasparenza che promuove la partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa e che consente forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’uso delle risorse da parte dell’apparato pubblico, prevenendo in maniera trasversale il fenomeno della corruzione.[66]

Infatti quest’istituto col d.lgs. n. 97/2016 ha modificato la prospettiva del d.lgs. n. 33/2013 che si sostanziava nel diritto di chiunque di richiedere documenti, informazioni o dati in merito ai quali la P.A., essendovi obbligata, ne avesse omesso la pubblicazione.

Oggi, invece, l’istituto è inteso come un vero e proprio diritto di accesso che prescinde da qualsiasi valutazione inerente la legittimazione attiva.

L’introduzione ex d.lgs. n. 97/2016 della nuova figura di accesso civico, il c.d. “accesso generalizzato”[67] che si aggiunge al diritto di accesso già previsto nel precedente Decreto trasparenza (ex articolo 5), che ora viene denominato “accesso civico” o “accesso semplice”.

La regola generale a seguito di tale percorso evolutivo diviene, pertanto, la trasparenza come “total disclosure”[68], mentre la riservatezza ed il segreto costituiscono oggi le eccezioni.

Infatti, tra le modifiche di carattere generale di maggior rilievo che derivano da questa innovazione normativa si rilevano il mutamento dell’ambito soggettivo di applicazione della normativa sulla trasparenza dovuto all’introduzione del nuovo istituto dell’accesso civico generalizzato agli atti e i documenti detenuti dalle pubblica amministrazione, l’unificazione fra il programma triennale di prevenzione della corruzione e quello della trasparenza, e l’introduzione di nuove sanzioni pecuniarie nonché l’attribuzione devoluta ad ANAC della competenza all’irrogazione delle stesse.

È interessante a tal proposito vedere come, sin dalla sua nascita, vi sia stato un crescendo sempre maggiore di attribuzioni, di poteri e competenze incisive assegnate all’ANAC all’interno dello Stato. Da ciò si deduce come sia stato delegato a questa autorità indipendente un ruolo fondamentale che vede nell’anticorruzione un vero strumento di rinascita nel paese in chiave economica, burocratica, funzionale.

Naturalmente ulteriori poteri e competenze comportano anche nuovi interventi che ANAC ha effettuato utilizzando la soft law, attraverso la predisposizione di linee guida che incidono sul principio di trasparenza per delinearne e fornire indicazioni a favore dell’applicazione di tale principio per le pubbliche amministrazioni.

La ragione del ricorso a norme di soft law è stato generato dall'esigenza di creare una disciplina flessibile, in grado di adattarsi alla rapida evoluzione che caratterizza contesti diversi tra loro e che spesso incidono su settori della vita economica o sociale del paese.

9. L'accesso

La legge n. 241/1990 ha consacrato il passaggio storico ad una moderna amministrazione al servizio dei cittadini, i cui atti diventano conoscibili da parte dei soggetti interessati. I principi di pubblicità e trasparenza, espressamente richiamati dall’articolo uno della legge n. 241/1990, sono così diventati criteri generali dell’azione amministrativa che il diritto di accesso contribuisce a realizzare. L’accesso ai documenti amministrativi costituisce quindi uno degli snodi essenziali dell’evoluzione in senso pari ordinato dei rapporti fra cittadini e pubbliche amministrazioni.

Ciò posto, tuttavia, l’analisi dell’istituto dell’accesso non può oggi essere circoscritta esclusivamente alla disciplina dell’accesso documentale introdotta nel 1990.

Negli ultimi anni il principio di trasparenza ha subito una vera e propria mutazione genetica avviata con l’articolo uno del d.lgs. n.150/2009 e poi effettivamente realizzata con il d.lgs. n. 33/2013, recentemente modificato dal d.lgs. 97/2016.

La trasparenza diventa adesso accessibilità totale con un accesso che diventa “libero e universale”[69], ciò allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini e soprattutto di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

Si garantisce la libertà di accesso di chiunque ai dati e documenti detenuti dalle amministrazioni, con limitazione espressamente individuate, attraverso un doppio binario: obblighi di pubblicazione e l’accesso civico.

Questi istituti coesistono e si aggiungono alle diverse forme di accesso già disciplinate in precedenza. Emerge in tal guisa l’esistenza di una pluralità di modelli di accesso, che può ulteriormente ampliarsi anche in considerazione della possibilità per regioni ed enti locali di prevedere livelli ulteriori di tutela.

A ciò dovranno aggiungersi le discipline settoriali dell’accesso, come ad esempio quelle del settore degli appalti pubblici, della materia ambientale e degli enti locali.

L’accesso ai documenti amministrativi costituisce un principio generale dell’attività amministrativa volta a favorire la partecipazione dei soggetti interessati a procedimento amministrativo e ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’operato della p.a.

Alle amministrazioni è fatto obbligo di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali.

La qualificazione normativa dell’accesso ai documenti amministrativi come principio generale dell’attività amministrativa rappresenta il punto di arrivo di una lenta riforma che dagli anni 90 ad oggi ha investito la concezione stessa dell’amministrazione pubblica, come amministrazione al servizio dei cittadini secondo le logiche del buon andamento.

Negli ultimi anni si è assistito ad una forte accelerazione del descritto processo evolutivo con la diretta conseguenza della valorizzazione del principio di trasparenza, di cui il diritto d’accesso ai documenti amministrativi, come anticipato è chiara espressione.

Tutto ciò trova positivo riscontro anche nella normativa comunitaria e nella carta dei diritti fondamentali dell’unione europea che qualifica l’accesso ai documenti amministrativi come diritto fondamentale dei cittadini[70], anche, e soprattutto, ricollegandolo sin dalla prima previsione al diritto a una buona amministrazione come interesse del cittadino ad una conoscibilità in chiave di controllo della pubblica amministrazione.[71]

L’accesso ai documenti amministrativi si sostanzia nella possibilità di prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi, siano essi atti anche interni o non relativi uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e contenenti l’attività di pubblico interesse.

In dottrina[72], ormai ampiamente recepito anche dalla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi presso Presidenza del Consiglio dei Ministri, si usa distinguere fra accesso endoprocedimentale e accesso esoprocedimentale.[73]

L’accesso endoprocedimentale si riferisce a un procedimento in itinere, non ancora concluso; tale accesso consente di prendere visione degli atti del procedimento.

L’accesso esoprocedimentale ha un ambito oggettivo di applicazione più ampio, posto che può riguardare qualsiasi atto o documento amministrativo detenuto dalla p.a. e concernente l’attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla pendenza di un procedimento. Inoltre, consente ai soggetti interessati non solo di prendere visione ma anche di estrarre copia dei documenti amministrativi.

L’accesso endoprocedimentale permette al singolo una partecipazione informata al procedimento amministrativo, garantendo così l’instaurazione del contraddittorio e lo svolgimento di un giusto procedimento, anche mediante la presentazione di memorie scritte e documenti.

L’accesso esoprocedimentale risponde a rilevanti finalità di pubblico interesse contribuendo indirettamente ad assicurare imparzialità e trasparenza, intese come tendenziale forma dell’azione della p.a.

Deve precisarsi che sebbene l’accesso ai documenti amministrativi possa riferirsi a un procedimento già concluso, non potrà mai sostanziatisi in un controllo diffuso sull’attività amministrativa.[74]

Il diritto d’accesso infatti, non si sostanzia in un’azione popolare dovendo sempre esso ricollegarsi all’esigenza di tutelare situazioni soggettive giuridicamente rilevanti e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

I soggetti interessati a presentare un’istanza di accesso sono coloro che vantano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento di cui si domanda l’esibizione.

I soggetti cui la legge riconosce legittimazione attiva sono sia i destinatari diretti del provvedimento finale, gli interventori necessari e i potenziali contro interessati, sia tutti i soggetti che, pur non essendo destinatari della comunicazione del procedimento, potrebbero comunque avere un interesse qualificato a parteciparvi.

La titolarità del diritto d’accesso spetta ai soggetti che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale.

Diretto in quanto personale; concreto perché effettivo e serio; attuale da intendersi non in senso rigoroso ma ritenendo che sia riferibile alla possibilità attuale di tutela, in senso ampio, del bene della vita cui l’accesso è ricollegato, senza perciò precludere possibilità di avanzare istanze di accesso preventive.

Tale interesse concreto, diretto e attuale deve corrispondere a una situazione giuridicamente tutelata (sostanziale e meritevole di tutela sia che abbia natura di interesse legittimo o di diritto soggettivo) e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. [75]

L’istanza di accesso può avere ad oggetto atti del procedimento amministrativo o, più in generale, documenti amministrativi.

Il documento accessibile va individuato in quell’atto il cui contenuto sia direttamente connesso e ricollegabile all’esercizio di un’attività di pubblico interesse.

Tutti documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli indicati nell’articolo 24 commi 1,2,3,5,6 della legge n. 241/1990.[76]  

Al di fuori di queste ipotesi vi possono essere altri esempi di documenti da sottrarre all’accesso per esigenze di tutela di interessi pubblici prevalenti e antitetici poiché da un accesso potrebbe derivare un pregiudizio: per la difesa nazionale, per la politica monetaria valutaria, per l’ordine pubblico, per la riservatezza di persone fisiche, per attività connesse alla contrattazione collettiva nazionale.

Tuttavia, funge da controlimite, come strumento di bilanciamento alla non accessibilità ai documenti amministrativi, la previsione di cui al comma 7 della legge n. 241/1990 che dispone che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del d. lgs. n. 196/2003, in caso di dati idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale”.

Il diritto d’accesso si esercita mediante la presa visione degli atti del procedimento o mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla legge.

L’istanza di accesso va rivolta all’amministrazione competente, ossia a quella che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. Spetta all’amministrazione, eventualmente, indicare l’unità organizzativa a tale compito preposta.

La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata proprio per consentire all’amministrazione di ravvisare la sussistenza, in capo al richiedente, dell’interesse alla tutela di quelle situazioni giuridicamente rilevanti, costituente presupposto indefettibile del diritto alla conoscenza.[77]

Il d.p.r. n. 184/2006, distingue due tipologie di accesso: l’accesso formale e l’accesso informale.

L’accesso informale può essere esercitato mediante richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione competente. Il richiedente può limitarsi a indicare gli estremi del documento che s’intende conoscere, ovvero gli elementi che ne consentono l’identificazione, nonché la specificazione dell’interesse connesso all’oggetto della richiesta. Il richiedente dovrà dimostrare la propria identità o eventualmente i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato. La richiesta potrà essere esaminata immediatamente senza formalità, esibendo il documento richiesto o consentendone l’estrazione di copia, ove accolta.

La disciplina informale, più celere snella, si spiega per l’insussistenza di controinteressati all’ostensione del documento amministrativo. Infatti, ove l’amministrazione dovesse riscontrarne la presenza, inviterà il richiedente a presentare un’istanza di accesso formale.

L’accesso formale trova applicazione nell’ipotesi in cui non sia esercitabile l’accesso informale.

Il procedimento di accesso formale deve concludersi entro 30 giorni decorrenti dalla presentazione della richiesta all’ufficio competente. Nel caso di accoglimento dell’istanza il diritto di accesso si esercita mediante esame d’estrazione di copia dei documenti amministrativi. L’esame dei documenti è gratuito mentre il rilascio di copia è subordinata al costo di riproduzione salve le disposizioni in materia di bollo nonché eventuali diritti di ricerca e di visura.

Naturalmente in caso di diniego a tale diritto è possibile anche ricorrere all’autorità giurisdizionale. Infatti, il giudizio in materia d’accesso che è stato introdotto dalla legge n. 241/1990 all’art. 25, attribuisce la giurisdizione sul contenzioso in materia di accesso al giudice amministrativo.

Il giudizio in materia di accesso è stato configurato come un giudizio impugnatorio, perché oggetto del ricorso è il diniego di accesso, il differimento, ovvero il silenzio rigetto. È un rito impugnatorio abbreviato perché è connotato da termini processuali più stringati rispetto a quelli ordinari e la definizione della lite viene effettuata con sentenza in forma semplificata.

La stessa l. 241/90 ha disciplinato anche il procedimento amministrativo, delineandone principi e connotati.

I principi alla base del procedimento amministrativo sono quello di legalità, di applicazione dei principi dell’ordinamento UE, di sottoposizione ai criteri di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza e pubblicità, il divieto di aggravamento del procedimento, l’obbligo di conclusione esplicita del procedimento, la tempistica procedimentale per l’adozione del provvedimento, il sistema di responsabilità per mancata tardiva emanazione del provvedimento nei termini di legge, il risarcimento del danno ingiusto per inosservanza dolosa - colposa del termine, l’indennizzo per mero ritardo, l’obbligo generale di motivazione (anche per relationem) ed infine l’incentivo all’uso della telematica.

Filo conduttore del concetto di accesso e del procedimento amministrativo è quello relativo al principio della trasparenza.

Il d.lgs. 33/2013 realizzava la trasparenza intesa come accessibilità totale a dati e documenti detenuti dalle amministrazioni, attraverso lo strumento principale degli obblighi di pubblicazione. L’accesso civico si presentava come un semplice corollario del numerus clausus di obblighi di pubblicazione tassativamente indicati: esso era esercitabile da chiunque ma solo in caso di mancata osservanza dell’obbligo di pubblicazione di documenti, informazioni e dati. In buona sostanza il perimetro di operatività dell’accesso civico coincidere esattamente con quello delimitato dagli obblighi di pubblicazione individuati dal d.lgs. 33/2013.

L’accesso civico si traduce, dunque, in un’estensione del “controllo” sull’attività dell’amministrazione, posto che la ratio della normativa è proprio quella di garantire la più stringente verifica dei conti pubblici, delle spese connesse al funzionamento degli uffici e dei servizi e, in definitiva, dell’effettiva rispondenza dei servizi erogati ai bisogni dei cittadini. Il tutto a condizione, evidentemente, che quest’ultimi non si atteggino più a meri “amministrati” ma si trasformino, appunto, in “cives”, come tali responsabili anch’essi della gestione della cosa pubblica.[78]

Con il d.lgs. 97/2016 l’accesso civico è stato sganciato dall’ancoraggio esclusivo ai casi tassativi di obblighi di pubblicazione per assumere una valenza generale, per cui chiunque ha il diritto di accedere ai dati ed ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti.

Questo ha confermato il sistema del doppio binario su cui si fonda la trasparenza amministrativa: obblighi di pubblicazione - accesso civico, con talune sostanziale novità nella prospettiva dell’avvicinamento ai modelli Foia.

L’esercizio del diritto di accesso civico non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L’istanza di accesso civico deve indicare i dati, le informazioni o i documenti richiesti e soprattutto non richiede alcuna motivazione.

Si individuano due tipologie di accesso civico: quello semplice (esercitabile da chiunque ma solo nei casi di violazione degli obblighi di pubblicazione di informazione documenti) e quello generalizzato (esercitabile da chiunque anche fuori dai casi di obbligo di pubblicazione ma seppur nel rispetto ad una serie di vincoli appositamente disciplinati).

Dal punto di vista oggettivo, i limiti applicabili all’accesso civico risultano molto più ampi ed incisivi rispetto a quelli indicati nella legge 241/1990.

L’accesso civico generalizzato garantisce a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti posseduti dalle pubbliche amministrazioni, se non c’è il pericolo di compromettere altri interessi pubblici o privati rilevanti, indicati dalla legge.

Alla presenza di tre diverse forme differenti di accesso, si deve avere chiaro che questi .[79]

L’ANAC, pertanto, consapevole della difficoltà di coordinamento di tre istituti diversi ma complementari, con Linea guida 1309 del 2016, invita le amministrazioni e gli altri soggetti tenuti ad adottare anche adeguate soluzioni organizzative volte a rafforzare il coordinamento dei comportamenti sulle richieste di accesso, indicando ad esempio, la concentrazione della competenza a decidere sulle richieste di accesso in un unico ufficio (dotato di risorse professionali adeguate, che si specializzano nel tempo, accumulando know how ed esperienza), che, anche ai fini istruttori, comporta un crescendo di dialogo con gli uffici che detengono i dati richiesti.[80]

Con la normativa FOIA[81], si è di fronte alla più ampia forma di accesso che si innesta nel principio di trasparenza estrinsecazione di quella che adesso può essere definita casa di vetro[82], per cui lo ordinamento italiano riconosce la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni come diritto fondamentale.

Il principio che guida l’intera normativa è la tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo di tutti i soggetti della società civile. La trasparenza rappresenta, perciò, un dovere della p.a. che s’impronta a divenire sempre più vicina al cittadino e deve essere intesa quale regola di condotta della pubblica amministrazione che trova fondamento nell’art. 97 Cost.

La necessità di un controllo democratico da parte di cittadini sull’operato della p.a. impone che l’attività svolta sia sottoposta a pubblicità, ed infatti, l’obiettivo della norma diventa quello di favorire una maggiore trasparenza nel rapporto tra le istituzioni e la società civile, ed incoraggiare un dibattito pubblico informato su temi di interesse collettivo.[83]

Pertanto, si rinviene che il principio di pubblicità si pone in termini funzionali rispetto al principio di trasparenza, nella misura in cui quest’ultimo può essere inteso come conoscibilità esterna dell’azione amministrativa.

Il legislatore infatti con il d.lgs. n. 97/2016, inoltre, ha provveduto alla rivisitazione ed alla razionalizzazione di alcuni adempimenti relativi agli obblighi di pubblicazione delle amministrazioni sui propri siti istituzionali.

La tipologia più ampia di obblighi, disciplinati nel decreto, riguarda la pubblicazione di informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni (articoli 13-28 in cui per es. vi rientrano dai dati relativi all'articolazione degli uffici, con le relative competenze e risorse a disposizione e tutte le informazioni sui riferimenti utili al cittadino che intenda rivolgersi per qualsiasi richiesta inerente i compiti istituzionali). Un secondo gruppo di pubblicazioni obbligatorie riguarda l'uso delle risorse pubbliche (articoli 29-31) e comprende la pubblicità dei dati relativi al bilancio di previsione e a quello consuntivo, nonché le informazioni degli immobili posseduti e i dati relativi ai risultati del controllo amministrativo-contabile.

Per garantire il buon andamento delle amministrazioni, il decreto riordina altresì le disposizioni relative ad obblighi concernenti le prestazioni offerte e i servizi erogati (articoli 32-36). Rientra in queste tipologia la pubblicazione di: carta dei servizi e standard di qualità; tempi medi di pagamento relativi agli acquisiti di beni, servizi e forniture; l’elenco degli oneri informativi gravanti sui cittadini e sulle imprese; i dati relativi alle tipologie di procedimento di competenza di ciascuna amministrazione.

Completano l’elenco degli obblighi di pubblicazione alcune disposizione che riguardano settori speciali (art.37 - 42).

Come sottolineato dal Consiglio di Stato nel parere del 18 febbraio 2016,[84] tali innovazioni determinano il passaggio da una forma di trasparenza di tipo “proattivo”, ossia realizzata mediante la pubblicazione obbligatoria sui siti web di determinati enti dei dati e delle notizie indicati dalla legge (d.lgs. 33/2013), ad una trasparenza di tipo “reattivo” cioè in risposta alle istanze di conoscenza avanzate dagli interessati. Il passaggio dal “bisogno di conoscere” al “diritto di conoscere” (from need to right to know” nella definizione inglese del FOIA) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernica[85].

Tutti questi obblighi di pubblicazione hanno indubbiamente esposto la macchina burocratica ad un controllo più pervasivo da parte della cittadinanza, il che naturalmente ha centrato l’obiettivo di trasparenza come chiave di volta per la prevenzione della corruzione all’interno degli uffici.

Si deve, inoltre, rilevare che la trasparenza va oltre gli obblighi procedimentali richiedendo una comprensibilità dell’azione amministrativa che esorbita dal mero rispetto delle regole procedimentali. La trasparenza contribuisce a raggiungere obiettivi ulteriori, come l’attuazione del principio di responsabilità della pubblica amministrazione e quello di lealtà dei dipendenti.

La trasparenza funge, altresì, da strumento per attuare i principi di imparzialità ed uguaglianza e permette di verificare l’eventuale insorgenza di conflitti di interesse.

Vi è di più, si può considerare la trasparenza come strumento preliminare a forme diffuse di controllo sull’operato dell’amministrazione, sull’uso delle risorse pubbliche, nonché sulla valutazione dell’operato dei dipendenti.

Tutti questi elementi pongono la trasparenza quale imprescindibile corollario cardine del principio di buona amministrazione di cui all’art 97 Cost.

Naturalmente quest’ottica di massima trasparenza la normativa del d.lgs. 97/2016 ha dovuto individuare anche dei limiti attraverso un elenco tassativo, con lo scopo di bilanciare gli interessi pubblici e quelli privati. Pertanto, su questa base, restano salvi dal lato degli interessi privati quelli riguardanti la protezione dei dati personali e della libertà di corrispondenza, dal lato degli interessi pubblici quelli riguardanti l’ordine pubblico e, come limite assoluto, quello inerente il segreto di Stato.

Tutto ciò è stato previsto nell’ottica di bilanciamento degli interessi in concreto, in quanto se tale bilanciamento fosse stato lasciato alla discrezionalità delle singole p.a. si sarebbe lasciato un vulnus, che invece è stato colmato con specifico riferimento all’adozione di linee guida per definire le esclusioni e limiti.

L’esclusione del diritto di informazione o una sua limitazione è ammissibile, infatti, solo in casi determinati, individuati con legge o regolamento.

10. Il FOIA Italiano

Il quadro giuridico, come visto, assicura la trasparenza amministrativa e l'accesso alle informazioni pubbliche, sia su richiesta che in base agli obblighi di pubblicità sull'attività amministrativa.

La legge sulla libertà d'informazione (FOIA) riconosce la libertà di accesso alle informazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche come diritto fondamentale e stabilisce il principio secondo cui le amministrazioni devono dare la precedenza al diritto di conoscere e di accedere alle informazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche da parte di chiunque, senza dover dimostrare alcun interesse qualificato in materia.

Le Amministrazioni pubbliche, infatti, sono detentrici di un patrimonio informativo pubblico[86] che come tale, secondo la filosofia del FOIA, deve essere accessibile ai cittadini in quanto trattasi di bene comune, la cui disponibilità è funzionale al rafforzamento della trasparenza amministrativa, al fine di favorire forme diffuse di controllo ed una più efficace azione di contrasto alle condotte illecite nelle pubbliche amministrazioni.

Se infatti da un lato l’ordinamento offre lo strumento dell’accesso documentale che rende possibile ai soggetti interessati l’esercizio delle facoltà partecipative, oppositive e difensive per la tutela di posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari, escludendo pertanto un controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione, dall’altro lato l’ordinamento disciplina tale controllo generalizzato attraverso lo strumento dell’accesso generalizzato proprio allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.

Tuttavia il legislatore del 2016, con l’intento di bilanciare l’estensione dell’ambito applicativo dell’accesso generalizzato, ha introdotto nel corpus del d.lgs. n. 33/2013, l’art. 5bis e 5ter, recanti la disciplina relativa ad esclusione e limiti.

Infatti, al di fuori delle ipotesi di accesso civico con obbligo di pubblicazione, la pubblica amministrazione deve respingere la richiesta di accesso generalizzato ove sia necessario per evitare un pregiudizio concreto da un lato alla tutela di interessi pubblici inerenti a: la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive; e dall’altro lato al caso in cui il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; la libertà e la segretezza della corrispondenza; gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.

In questi casi, è necessario che l’amministrazione motivi adeguatamente il diniego di ostensione, dando conto della natura seria, concreta e ragionevolmente prevedibile del pregiudizio che l’accesso in questi casi causerebbe all’interesse protetto dall’esclusione.[87]

A tali limiti si devono aggiungere quelli previsti per il segreto di Stato, che rappresentano un limite assoluto e, pertanto, in questi casi l’amministrazione non è tenuta a motivare il diniego in termini di pregiudizio concreto, ma deve in ogni caso, solo, dimostrare di aver verificato che i dati o i documenti richiesti ricadano nell’ipotesi di esclusione.

Sul punto è doveroso sottolineare che tuttavia tali limiti sono stati elencati con particolare ampiezza, e che quest’ultima porta con sé il rischio di neutralizzare la portata del nuovo istituto.[88]

Tali limiti, tuttavia, sono ridotti nella portata dai commi 4 e 5 dell’art. 5 d.lgs. 33/2013 che ne riducono la porta sia dal punto di vista spaziale, in quanto devono essere resi accessibili gli altri dati o parti non coperte dal limite, sia dal punto di vista temporale, in quanto relativamente unicamente per il periodo nel quale la protezione è giustificata in relazione alla natura del dato e con l’ulteriore previsione che è anche possibile il differimento in futuro del dato[89].

L’ampiezza di tali limiti,[90] pertanto, viene ridotta drasticamente da tali previsioni.

Tuttavia, la presenza delle condizioni che permettono di escludere l’eccesso civico generalizzato, come l’esistenza di un pregiudizio alla tutela di interessi pubblici o di interessi privati, non rappresentano limiti assoluti all’accesso. La pubblica amministrazione, infatti, deve effettuare una valutazione discrezionale e comparativa, secondo il principio di proporzionalità,[91] fra il beneficio che potrebbe arrecare l’accesso richiesto e il sacrificio causato agli interessi pubblici e privati contrapposti che vengono in gioco.[92]

Il necessario equilibrio con la protezione dei dati personali impone, infatti, che la trasparenza sia ragionevole e rispetti il principio di proporzionalità, non potendo introdurre un regime indifferenziato, insensibile rispetto alle finalità perseguite e alle potenzialità diffusive dei dati pubblicati.[93]

Le pubbliche amministrazioni, pertanto, in sede di valutazione di istanze di accesso, avranno l’onere di applicare correttamente il fondamentale principio di accountability che le obbliga a porre in essere un bilanciamento tra obblighi di protezione dei dati e obblighi di trasparenza in un’ottica di total disclosure.

Trasparenza, diviene, perciò criterio di prevenzione e, pertanto, viene collegata strettamente al concetto di anticorruzione. Si può dire che tali principi costituiscono due valori in continua ascesa che, per la loro trasversalità, condizionano e indirizzano l’attività dei pubblici poteri e i rapporti tra le istituzioni e i cittadini utenti.

Sempre più diffuso, infatti, è l’utilizzo della locuzione congiunta anticorruzione e trasparenza nella pubblica amministrazione, quasi le due espressioni fossero un tutt’uno.[94]

Si tratta, in realtà, di due aspetti dell’azione amministrativa che, pur mantenendo ciascuno la propria autonomia, sono strettamente correlati in quanto ponendosi in pratica come due risvolti della stessa medaglia, devono agire in simbiosi.

L’obiettivo della loro unione è quello di delineare una pubblica amministrazione integra e quanto più possibile libera da condizionamenti illeciti e fenomeni corruttivi.

L’anticorruzione può essere considerata come assioma del contrasto alla corruzione, intesa non solo in senso stretto, ossia come reato punito dal codice penale insieme a tutti gli altri reati contro la pubblica amministrazione, ma come un complesso generale di situazioni che provocano, nell’ordine, violazione dei doveri legati alle funzioni pubbliche, mal funzionamento dell’apparato pubblico e, infine, la lesione degli interessi della collettività che sono l’essenza dell’attività di gestione della cosa pubblica.

Per ottenere risultati tangibili, strettamente legati e funzionali alla trasparenza dell’anticorruzione, in tale contesto di prevenzione, non devono essere trascurate le spinte alla semplificazione e alla digitalizzazione dell’azione amministrativa.

11. La Semplificazione amministrativa

Diventa, così, funzionale leggere i principi di trasparenza ed anticorruzione anche attraverso l’innovativa visione della pubblicità tramite i criteri di semplificazione ed digitalizzazione a cui l’azione amministrativa deve tendere.

Se infatti è vero che sul principio di trasparenza si è giocato in un crescendo costante un ruolo fondamentale per avvicinare il cittadino alle istituzioni, allora è evidente come strumenti open user possano aiutare a trasformare l’amministrazione nella famosa casa di vetro, facendola diventare accessibile, chiara nella gestione e fruibile per i servizi che offre.

Semplificazione amministrativa vuol dire, infatti, rendere più chiaro, facile, comprensibile e snello il funzionamento dell’Amministrazione.

È per questo motivo che questo tipo di azione è strettamente legata all’universo dell’amministrazione pubblica.

Per semplificare l’attività delle pubbliche amministrazioni si deve agire sia sul fronte normativo, cioè sull’eccesso di norme da applicare, sia sul fronte procedimentale, cioè sulla numerosità di atti da compiere all’interno di un procedimento amministrativo.[95]

Semplificazione ed informatizzazione sono, appunto, assolutamente funzionali alla creazione di una pubblica amministrazione integra e trasparente.

Infatti, se un’amministrazione è tenuta a rendere pubblico ogni aspetto della propria organizzazione ed azione, e per di più deve procedere alla pubblicazione dei dati sul sito web istituzionale[96], diviene intuitivo che diventa sempre più difficile mantenere aree di opacità in cui può annidarsi il malaffare.

Si può individuare, pertanto, come la semplificazione dell’attività amministrativa può essere volta in due direzioni complementari: da un lato, essa è diretta agli utenti esterni alla p.a., mirando a far comprendere il funzionamento delle amministrazioni senza inutili aggravi nonché migliorando l’efficienza della pubblica amministrazione; dall’altro, essa è diretta ai dipendenti dell’amministrazione stessa, quale processo continuo di miglioramento diretto a rendere più fluida e flessibile l’organizzazione medesima nonché più funzionale verso i privati destinatari dell’azione amministrativa.

La semplificazione, a sua volta, viaggia necessariamente sui canali telematici.

Un’amministrazione moderna, infatti, non può prescindere dall’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: l’informatizzazione consente, infatti, da un lato la velocizzazione delle pratiche e delle procedure, da parte degli uffici e nei rapporti con cittadini e imprese, dall’altro lato è un presupposto irrinunciabile dell’altro criterio della trasparenza con i connessi profili di legalità e anticorruzione.

Semplificare l’azione amministrativa, in concreto, vuol dire tagliare passaggi procedurali, controlli, adempimenti inutili: cioè vuol dire eliminare tutto quello che è superfluo o addirittura dannoso per un buon funzionamento dell’amministrazione.

Il Consiglio di Stato[97] precisa come a volte, in passato, l’esigenza di trasparenza è stata collegata ad oneri – regolatori, amministrativi, economici – ‘non necessari’ al perseguimento dello scopo. E continua evidenziando come ciò abbia indebolito, di fatto, il perseguimento dello scopo medesimo, creando piuttosto una sorta di ‘burocrazia della trasparenza’ che andava a sovrapporsi alla burocrazia già esistente, con risultati poco rilevanti per la tutela di questo valore fondamentale, ma con importanti effetti collaterali negativi, dall’incremento di oneri all'incentivazione degli stessi fenomeni corruttivi che si intendeva contrastare.

In questo quadro, la misurazione degli oneri burocratici costituisce una fondamentale base conoscitiva per individuare le procedure più complicate da semplificare e per verificare gli effetti degli interventi di semplificazione adottati.

Il problema che permane è che, talvolta, certi passaggi o adempimenti non si possono eliminare senza provocare danni maggiori dei vantaggi dell’eventuale semplificazione. Ciò implica che, in questi casi, semplificare significa saper trovare modi diversi, più semplici, rapidi ed economici per ottenere lo stesso risultato garantito da quel particolare passaggio procedurale, controllo, adempimento.

Questo ci porta a dire che semplificare l’azione amministrativa vuol dire cercare di raggiungere l’obiettivo fissato dalle norme con modi diversi in quanto più semplici ed efficienti di quelli tradizionali.

La semplificazione amministrativa non è dunque un fine, ma un mezzo per migliorare il rapporto con l’amministrazione dei cittadini, dei soggetti economici, delle formazioni sociali nonché, ovviamente, di tutti coloro che operano all’interno del sistema amministrativo stesso.

In questo senso si spiega perché la semplificazione amministrativa venga anche considerata come sinonimo di riforma amministrativa, cioè di un cambiamento complessivo dell’amministrazione finalizzato a rendere la sua azione più efficiente, rapida ed economica.

Si deve evidenziare come le spinte verso la semplificazione e la qualità della regolazione siano da tempo considerate, a livello europeo ed internazionale, un fattore chiave per la competitività e lo sviluppo.

Infatti, per recuperare lo svantaggio competitivo dell’Italia, è essenziale, quindi, apprendere dalle esperienze dei Paesi avanzati e partecipare alle nuove politiche di “better regulation” a livello europeo.

12. Conclusioni

In conclusione dell’analisi fin qui svolta si deve valutare un ripensamento della pubblica amministrazione come motore di traino per il Paese.

Il modello di nuova amministrazione deve essere volto a creare un amministrazione di qualità, investendo su ampio raggio all’interno della stessa, creando un vero e proprio processo di riqualificazione del settore pubblico.

Questo significa sul fronte del personale attuare politiche di incremento di risorse ai fini organizzativi - strutturali con azioni di formazione continua per l’organico già presente e reclutamento dall’esterno di nuovi funzionari con ampie qualità tecnico professionale.

Sul fronte tecnico significa invece investire in processi di digitalizzazione dei sistemi informatici per velocizzare gli adempimenti, rendendo tra di loro interattive le banche dati con collegamenti ipertestuali, aumentando la tracciabilità dei dati, la conoscenza e la trasparenza.

La trasparenza amministrativa deve svolgere un ruolo incisivo nella Pubblica Amministrazione perché deve incidere da un lato sulla funzionalità corrispondente all’efficienza, efficacia, conoscibilità ed imparzialità dell’azione della P.A. volta alla buon erogazione del servizio all’utente, e dall’altro lato deve giocare un ruolo all’interno dell’anticorruzione, divenendo uno dei principali tasselli nella lotta alla corruzione come strumento di prevenzione dalla stessa. Infatti, riuscendo ad osservare a tutto campo quello che all’interno dell’amministrazione succede, si mette in luce il concetto di buona amministrazione volta sì alla cura ed al servizio del cittadino ma soprattutto disposta a mettersi a nudo verso la cittadinanza affinché questa giochi un ruolo attivo di controllo nei suoi confronti.

Lo strumento della trasparenza deve essere un congegno volto all’apertura della P.A. che attraverso la diffusione di informazioni funga da pungolo verso la creazione di una cittadinanza attiva affinché sia in primis il cittadino ad effettuare opere di controllo diffuso e determinare così l’effetto di prevenzione.

In questo quadro di attuazione piena della trasparenza è evidente che la creazione di un circolo virtuoso può riuscire a sconfiggere il fenomeno corruttivo o quantomeno a determinare una forte riduzione dello stesso, ricordando sempre che quest’opera di contrasto alla corruzione ha conseguenze oltre che etico/morali anche economiche/sociali e che, pertanto, un suo azzeramento può giocare un importante ruolo nel risollevare l’Italia dallo svantaggio competitivo che la corruzione ha nel tempo determinato.


Note e riferimenti bibliografici

[1] La Convenzione di diritto civile sulla corruzione del Consiglio d’Europa (Strasburgo 4 novembre 1999, European Treaty Series n. 174) considera “corruzione” il “sollecitare, offrire, dare o accettare, direttamente o indirettamente, una somma di danaro o altro vantaggio indebito o la promessa di tale vantaggio indebito, che distorce il corretto adempimento di una funzione/compito o comportamento richiesto dal beneficiario dell’illecito pagamento, del vantaggio non dovuto o della promessa di un tale vantaggio”.

[2] Cfr. Padovani T. Metamorfosi e trasfigurazione. La disciplina dei delitti di concussione e di corruzione, in Archivio penale, 2012, 789.

[3] La Cassazione penale n. 40237/2016, sez. VI, illustra il mutamento di prospettiva riguardante il sostanziarsi del momento corruttivo

[4] Raffaele Cantone, (ex) Presidente dell’ANAC, al termine del Summit Internazionale contro la corruzione tenutosi a Londra, 12 maggio 2016 “La presa di coscienza a livello apicale, che la corruzione è un cancro del mondo globalizzato è un enorme passo avanti per combattere tale fenomeno e per creare anticorpi alla malattia nella società civile, creando in tutti i paesi una cultura di contrasto al malaffare”.

[5] Ormerod, corruzione e crescita economica, in Istituto Bruno Leoni, indice delle liberalizzazioni, IBL libri, Milano 2016;

[6] Raffaele Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione; prefazione di Ferdinando Pinto, G. Giappichelli Editore, 2020, cap.1.

[7] Cfr. Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; che descrive come questi 60 miliardi di euro siano una cifra ridondante ma mai accurata all’interno del mondo giudiziario e politico. La cifra infatti discende da un’analisi della World Bank che quantificava a livello mondiale il valore del costo delle tangenti nel 3% del Pil, e pertanto prendendo questo dato per buono e proiettandolo questa percentuale sul Pil del nostro Paese si è giunti alla stima di 60 miliardi. Tale cifra riguardante il nostro Paese viene richiamata sia dai vertici della Corte dei Conti sia dal dibattito politico, e questi richiami autorevoli e ripetuti portano alla consolidazione - in mancanza di certezza - della stessa.

[8] Davigo, Mannozzi - La corruzione in italia: protezione sociale e controllo, 2007 ove cercano di dare delle risposte su quanto riescono a incidere gli apparati investigativi e di polizia italiani, scoprendo e reprimendo i delitti di corruzione? E continuano la loro indagine rispetto all'improvviso emergere di una enorme massa di reati connessi al malaffare politico-amministrativo, qual è stata la reazione degli organi giudiziari?

[9] Cfr. Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; Milano: Feltrinelli, 2018; ove spiega agevolmente il motivo per cui non può essere il numero di denunce ad essere dirimente in quanto “I partecipi del patto” corruttivo “non hanno (quasi mai) interesse a denunciarlo perché, essendo entrambi punibili, la denuncia si trasformerebbe nella confessione di un reato; è, inoltre oltremodo difficile che possano essere altri a denunciare una mazzetta; l’esperienza consolidata dimostra che quasi mai degli estranei vengono messi a conoscenza di fatti di corruzione e comunque non è detto che gli eventuali terzi a conoscenza, non essendo vittime del reato, abbiano interesse a farlo.”

[11] Ormerod, corruzione e crescita economica, in Istituto Bruno Leoni, indice delle liberalizzazioni, IBL libri, Milano 2016; riscontra che l’andamento dell’indice di corruzione riflette in modo impressionante nella curva di crescita dei paesi.

[12] Maria Consuelo Brandazzi, Trasparenza amministrativa nuova frontiera anticorruzione – dal 2012 con la legge “Severino” al 2019 con la legge “Spazza corrotti”, 2019, Aracne editrice, parte V, cap. III, La necessità di una rivoluzione culturale.

[13] Ad es. Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; richiama un analisi Istat di cui al rapporto del 2017 in cui si arriva a stimare che nel corso della vita il 7,9% delle famiglie sia stato direttamente coinvolto in eventi corruttivi;

[14] https://www.transparency.it/indice-percezione-corruzione

Il Corruption Perception Index di Transparency International è un indice internazionale che dal 1995 rende pubblici ogni anno una classifica della corruzione “percepita” in tutto il mondo, infatti lo stesso analizza 180 paesi ed assegna ad ognuno una posizione in classifica rendendo anche facilmente individuabili sul mappamondo presente sul proprio sito attraverso una scala cromatica di rossi l’incisività della corruzione in ogni paese.

[18] Piergiorgio Baita (con Serena Uccello), Corruzione; Michele Corradino, È normale... Lo fanno tutti.” Polis (Bologna, Italy) 1 (2017): 166–171. Ove indica che i l pri­mo pas­so, infatti, per cu­ra­re la ma­lat­tia della corruzione è quello di prevenirla. Naturalmente que­sto non ba­sta, ma occor­re tutta una svolta culturale volta a cam­bia­re i no­stri sti­li di vita. Ser­ve un con­trol­lo so­cia­le e per questo bi­so­gna coin­vol­ge­re la co­mu­ni­tà nel­la pre­ven­zio­ne del male.

[19] Ormerod, corruzione e crescita economica, in Istituto Bruno Leoni, indice delle liberalizzazioni, IBL libri, Milano 2016.

[20] Raffaele Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione; prefazione di Ferdinando Pinto, G. Giappichelli Editore, 2020, individua il malgoverno o la maladmistration come situazioni di fatto che, nella quasi totalità dei casi, accompagnano o precedono episodi penalmente rilevanti di corruzione e/o favoriscono il loro verificarsi.

In tal senso, specifica ANAC, con la Determinazione 28 ottobre 2015, n. 12, Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione, ove “si conferma la definizione del fenomeno contenuta nel PNA, non solo più ampia dello specifico reato di corruzione e del complesso dei reati contro la pubblica amministrazione, ma coincidente con la “maladministration”, intesa come assunzione di decisioni (di assetto di interessi a conclusione di procedimenti, di determinazioni di fasi interne a singoli procedimenti, di gestione di risorse pubbliche) devianti dalla cura dell’interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte di interessi particolari. Occorre, cioè, avere riguardo ad atti e comportamenti che, anche se non consistenti in specifici reati, contrastano con la necessaria cura dell’interesse pubblico e pregiudicano l’affidamento dei cittadini nell’imparzialità delle amministrazioni e dei soggetti che svolgono attività di pubblico interesse”.

[21] Cfr. Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; 2021, 36.

[22] Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; p. 42 riporta in particolare l’esempio del campo sanitario dove vi sono ricorrenze di determinate criticità che giustificano particolari attenzioni al settore e alle sue specificità intrinseche che pertanto vanno specificate nel Piano Nazionale Anticorruzione.

In tal senso anche Maria Consuelo Brandazzi, Trasparenza amministrativa nuova frontiera anticorruzione – dal 2012 con la legge “Severino” al 2019 con la legge “Spazza corrotti”, 2019, Aracne editrice, cap. II Antidoti alla corruzione nella sanità, ove indica come vi siano quattro aree maggiormente a rischio corruzione: contratti pubblici (forniture e servizi); incarichi e nomine; gestione entrate e spese; controlli, verifiche, ispezioni, sanzioni; In tali quattro aree l’ANAC nella sua relazione chiede un cambio di passo dato “dal rafforzamento dei livelli di trasparenza”.

[24] Filippo Colapinto, Il sistema della prevenzione della corruzione in italia, in Revista Brasileira de Estudos Políticos, Belo Horizonte, n. 118, pp. 207-244, jan./jun. 2019.

[25] https://leg16.camera.it/561?appro=511#paragrafo2499

La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale il 31 ottobre 2003 e aperta alla firma a Merida dal 9 all’11 dicembre dello stesso anno, è entrata in vigore a livello internazionale il 14 dicembre 2005 con l’acronimo di UNCAC (United Nation Convention Against Corruption).

La Convenzione si articola in un Preambolo e 71 articoli suddivisi in VIII titoli. In particolare, il titolo I espone l'oggetto della Convenzione, definisce i termini impiegati nel corpo del testo, ne enuncia il campo di applicazione e ricorda il principio di protezione della sovranità degli Stati parte.

Agli obblighi posti agli Stati parte per l'adozione di efficaci politiche di prevenzione della corruzione è dedicato l’intero titolo II, che prevede diverse misure miranti al tempo stesso a coinvolgere il settore pubblico e il settore privato. Esse includono meccanismi istituzionali, quali la creazione di uno specifico organo anticorruzione, codici di condotta e politiche favorevoli al buon governo, allo stato di diritto, alla trasparenza e alla responsabilità. Vi è inoltre evidenziato il ruolo importante della società civile, in particolare di organizzazioni non governative e di iniziative a livello locale, e l’invito agli Stati ad incoraggiare attivamente la partecipazione dell'opinione pubblica e la sensibilizzazione di essa al problema della corruzione.

[26] La Convenzione ONU firmata a Merida non è il primo documento internazionale in ordine di tempo che tratta il tema della prevenzione della corruzione, tuttavia in materia è sicuramente quello più significativo. Nel tempo è stato preceduto dalla Convenzione dell’Unione Europea del maggio 1997 (G.U. C. 195 del 25 giugno 1997), dalla Convenzione OCSE del 17 dicembre 1997 firmata a Parigi, da due Convenzioni del 1999 del Consigli d’Europa rispettivamente del 27 gennaio e del 4 novembre

[27] Raffaele Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione; prefazione di Ferdinando Pinto, G. Giappichelli Editore, 2020, 7 ss.

[29] In particolare ci si riferisce al decreto dello stesso anno D.lgs. 31 dicembre 2012 n. 235, e ai due decreti dell’anno successivo al D.lgs. 14 marzo 2013 n. 33 e D.lgs. 8 aprile 2013 n. 39.

[30] Angela Del Vecchio, Paola Severino, Il contrasto alla corruzione nel diritto interno e nel diritto internazionale. Padova: CEDAM, 2014.

[31] Juli Ponce, Preventing corruption through the promotion of the right to good administration pag.64 in Preventing corruption through administrative measures a cura di Enrico Carloni, 2019; https://archive.rai-see.org/wp-content/uploads/2020/02/AnticorruptionHandbookDEF.pdf

[32] Cfr. Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; Milano, Feltrinelli, 2018; 80.

[33] Il decreto legislativo del 08.06.2001 n. 231 ha introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento, la previsione di una responsabilità personale e diretta dell'ente collettivo ma ha previsto pure come antidoto per evitare il coinvolgimento dell’azienda o dell’ente, invocando l’esclusione o la limitazione della propria responsabilità derivante da uno dei reati previsti dalla legge, quello di dotarsi di un adeguato Modello Organizzativo e di affidarsi ad un Organismo di Vigilanza che ne controlli l’attuazione.

[34] Si esporta all’interno della Pubblica Amministrazione il concetto privatistico di risk assessment

[35] Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; Milano, Feltrinelli, 2018, 88;

[37] Cfr. Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; Milano, Feltrinelli, 2018, 88;

[38] Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; Milano, Feltrinelli, 2018, 89.

[39] La disciplina di rango primario in materia di analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR) e di verifica dell'impatto della regolamentazione (VIR) è contenuta principalmente nell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246 (la legge di semplificazione 2005).

L'AIR consiste nella valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative.

Anche le autorità amministrative indipendenti, come l’ANAC, cui la normativa attribuisce funzioni di controllo, di vigilanza o regolatorie, devono dotarsi, nei modi previsti dai rispettivi ordinamenti, di forme o metodi dì analisi dell'impatto della regolamentazione per l'emanazione di atti di competenza e, in particolare, di atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione, e, comunque, di regolazione, e trasmettere le relative relazioni al Parlamento.

La VIR, consiste invece nella valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni. 

Anche nelle autorità indipendenti è prevista l'Air e Vir in relazione alla emanazione di "atti di competenza e, in particolare, atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione e, comunque, di regolazione". Tale previsione - per quando non scevra di aspetti problematici è immediatamente operativa e non condizionata allo svolgimento di alcuna previa sperimentazione, come è stato, invece, per l'introduzione dell'Air sugli atti normativi del Governo. 

Le diverse autorità amministrative indipendenti si sono attivate attraverso la costituzione di gruppi interni di lavoro e attraverso l'attribuzione di consulenze per la definizione delle modalità operative (funzionali e organizzative) di attuazione di questa previsione. 

[40] Cfr. Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; Milano, Feltrinelli, 2018; riporta diverse esemplificazioni del concetto di mappatura del rischio di corruzione.

[41] Cfr. Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; Milano, Feltrinelli, 2018, 94 ss

[42] Il concetto di funzionario modello viene ripreso a più battute da vari autori, nonché dal mondo politico e giornalistico, tuttavia vi è da dire che a tracciare i connotati della definizione del funzionario è in primo luogo la Costituzione con gli artt. 54, 97 e 98.

[44] La figura del funzionario attraversa trasversalmente la Costituzione che ne dipinge la fisionomia dello stesso da un lato con l’art 54 secondo il quale il funzionario adempie i propri doveri con “disciplina e onore”, e dall’altro lato con gli articoli 97 e 98 rispettivamente con le previsioni secondo le quali si accede al ruolo di funzionario tramite criteri di meritevolezza ed imparzialità “mediante concorso” ed al “servizio esclusivo della Nazione” pertanto svolgendo la propria attività con un rapporto pieno ed incompatibile con altre attività private garantendo così nuov7amente il criterio dell’imparzialità congiunto alla funzionalità di risultato che si può ottenere solo tramite la specializzazione su un determinato lavoro e non disperdendo le energie in molteplici tipologie di lavoro.

[45] Ci si riferisce al primo codice di comportamento dei dipendenti pubblici derivante dal d.lgs. 546/1993, poi modificato con il d.lgs. 80/1998 ed a seguire il d.lgs. 165/2001.

[46] Il dettato normativo sul punto dei doveri ricorre ad espressioni come “dovere istituzionale”, “dovere pubblico”, “dovere del pubblico dipendente”, “dovere di buon andamento” o “dovere di buona amministrazione”. Tali doveri sono inquadrati in concreto nel concetto più ampio di dovere giuridico imposto nelle sue varie forme nell’ordinamento, tuttavia il declinare il concetto di dovere al plurale rende possibile specificazioni ulteriori e pragmatiche.

[47] Angela Del Vecchio, Paola Severino, Il contrasto alla corruzione nel diritto interno e nel diritto internazionale. Padova: CEDAM, 2014; Specifica che non si tratta più di promuovere “buone abitudini” ma di orientare in modo specifico le condotte, indicando obblighi e divieti. Inoltre specifica che si intende reagire alla debolezza delle amministrazioni, collegando all’ambito dei codici di comportamento meccanismi disciplinari più rigidi e sistemi di controllo e di accountability.

[48] A dichiararlo come una forma di “insuccesso” è l’ANAC nelle sue Linee guida in materia di Codici di comportamento delle amministrazioni pubbliche approvate con delibera n. 177 del 19 febbraio 2020.

Dalla lettura di tale documento si evince come il riproporre copia del codice, come se fosse il codice che si attanaglia alla singola amministrazione che lo redige, venga da ANAC considerato un insuccesso, verosimilmente per due motivi da un lato perché se un codice linea guida diviene semplicemente codice del singolo ente ha fallito nel suo intento/ratio, e dall’altro poiché si potrebbe dedurre il disinteresse in materia utilizzando furbescamente ed in modo elusivo una linea guida scevra di specificità che possono essere percepite solo nel momento in cui ci si avvicina davvero alla pratica dei singoli enti.

[49] Cfr. la Relazione finale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, gruppo di lavoro sulle linee guida anac in materia di codici di comportamento dei dipendenti pubblici di settembre 2019 che al 4.2.2. individua i rapporti con i cosiddetti “codici etici” (e codici di comportamento).

[50] MERLONI F., PIRNI A., Etica per le istituzioni – un lessico, Donzelli editore, 2021, 248 ss.

[51] Maria Consuelo Brandazzi, Trasparenza amministrativa nuova frontiera anticorruzione – dal 2012 con la legge “Severino” al 2019 con la legge “Spazza corrotti”, 2019, Aracne editrice, 137

[52] Accountability deriva dal termine count, cioè “conto”, “registro” e ha alla sua origine proprio nei libri contabili. Il termine oggi non ci fa più venire in mente libri contabili, ma è usato per indicare la necessità dei governi di rendere conto delle azioni pubbliche nei confronti della cittadinanza. L’accountability pubblica si basa sulla possibilità di tutti i cittadini di monitorare l’operato delle amministrazioni, avviene tramite la diffusione di nuove pratiche manageriali all’interno della pubblica amministrazione che determinano la necessità di accedere all’informazione pubblica per misurare e valutare le performance delle amministrazioni che erogano servizi o utilizzano fondi pubblici.

Il tema di accountability viene ampiamente trattato da: P. Tanda, Controlli amministrativi e modelli di governance della pubblica amministrazione, Giappichelli editore, Torino 2012; E. Fagotto, La valutazione della dirigenza pubblica dopo le Riforme Brunetta, A. Marcantoni, E. Vespa (a cura di), FrancoAngeli, Trento 2010. 

[53] Raffaele Cantone, Enrico Carloni – Corruzione e anticorruzione dieci lezioni; Milano, Feltrinelli, 2018, 96

[54] Mg.C. Brandazzi Trasparenza amministrativa nuova frontiera anticorruzione -  dal 2012 con la legge “Severino” al 2019 con la legge “spazza corrotti”, Aracne editrice, 2019, parte II, cap.1.

[55] Attraverso la “trasparenza”, il legislatore ha voluto assicurare: “l’efficienza dell’amministrazione ed al contempo la garanzia del privato e la legalità dell’ordinamento nel suo insieme”.  Cons. St., IV, 22 marzo 2007, n. 1384

[56] In tal senso: S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, in dir.amm. 2017; Cons. St. Sez. IV, 12 agosto 2016, n. 3631, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R Lazio (Roma), 22 marzo 2017, n. 3769; T.A.R. Puglia (Bari) sez. III, 4 aprile 2017, n. 321.

[57] Patroni Griffi, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in www.federalismi.it, aprile 2013.

[58] Il c.d. Watchdog grazie alla trasparenza amministrativa rende possibile un pervasivo controllo sull’operato della P.A.

[59] Enrico Carloni; L'amministrazione aperta : regole strumenti limiti dell'open government. Maggioli editore, 2014, Cap. 8.

[60] S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, in dir.amm. 2017, 72 ss.

[61] Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del d.lgs. n. 33/2013, Diana Urania Galetta, www.federalismi.it marzo 2016, 4

[62] In realtà i tentativi di far entrare il principio di trasparenza all’interno della Carta costituzionale si sono susseguiti nel tempo. Il primo tentativo di introduzione è stato operato dal onorevole La Rocca in seno all’Assemblea Costituente nella seduta del 24 ottobre 1947, attraverso la proposizione di un comma aggiuntivo nel corpo dell’art. 97: “la legge determina i modi e le forme in cui si esercita il controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni”.

https://www.nascitacostituzione.it/03p2/03t3/s2/097/index.htm?art097-007.htm&2

Ampiamente descritte le manovre dell’Assemblea Costituente del 1947 in Maria Consuelo Brandazzi, Trasparenza amministrativa nuova frontiera anticorruzione – dal 2012 con la legge “Severino” al 2019 con la legge “Spazza corrotti”, 2019, Aracne editrice, cap. I. par. 1.4

Il secondo tentativo fu con il d.d.l. di riforma costituzionale approvato dalla Camera dei Deputati il 12 aprile 2016, non confermato dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che prevedeva l’aggiunta del principio di trasparenza nell’art. 97 e nell’art 118 con riferimento all’esercizio delle funzioni amministrative.

https://www.camera.it/temiap/2016/05/20/OCD177-2110.pdf

[63] Raffaele Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione; prefazione di Ferdinando Pinto, G. Giappichelli Editore, 2020, pag. 205 ove pur richiamando diversi autori – ex plurimis D. Donati, il principio di trasparenza in costituzione, in F. Merloni -G. Arena (a cura di), La trasparenza amministrativa; - puntualizza che la Costituzione si limita a riconoscere l’esistenza di un “interesse costituzionale generale”, non a tutelare il diritto dei cittadini all’informazione.

[64] D.U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della pubblica amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del decreto legislativo n. 33/2013, in www.federalismi.it, n. 5/2016.

[65] Vi è C. COLAPIETRO, La terza generazione della trasparenza amministrativa, cit., p. 41 che ritiene che potrebbe inquadrarsi come un nuovo diritto costituzionale “emergente”.

[66] E. Carloni, il nuovo diritto di accesso generalizzato, 581 ss.

[67] L’accesso civico generalizzato è stato introdotto in Italia con il d. lgs. 25 maggio 2016, n. 97, il cui art. 6 ha modificato l’art. 5 del d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33 introducendo al co. 2 questa disposizione: «Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis».

[68] Art. 11 comma 1 d.lgs. 150/2009 – Trasparenza – La trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell'attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

[69] Così lo definisce il Consiglio di Stato nel parere n. 515/2016.

[70] Il diritto di accesso ai documenti è garantito anche dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali, dove si prevede che “ogni cittadino dell’Unione nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, a prescindere dal loro supporto”.

[71] L’accesso ai documenti nel diritto dell’Unione europea* di Filippo Donati

http://www.astrid-online.it/static/upload/protected/Dona/Donati---Accesso-nell-Unione-_finale__10_12_10.pdf

[72] Antonio Barone e Raffaella Dagostino, La trasparenza e il diritto di accesso, in CITTADINI, IMPRESE E PUBBLICHE FUNZIONI a cura di Antonio Barone, 2018;

[74] Vedi art. 24 comma 3 l.241/90 – Esclusione dal diritto di accesso secondo il quale “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.

[75] Vedi Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2017, n. 4043.

[76] Tuttavia la questione dell’ostensione dei documenti ex l. 241/90 e dei suoi limiti a distanza di oltre 30 anni continua ad essere dibattuta. In chiave evolutiva si nota come questi limiti siano stati sempre più scalfiti nel tempo. Da ultimo il Supremo Consesso con la pronuncia n. 19 del 2020 che seppur interrogata nell’ambito speciale dei rapporti fra la disciplina generale di cui agli artt. 22 e ss. della l. 241/90 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo, con particolare riferimento ai procedimenti in materia di famiglia, offre l'occasione per alcune riflessioni sui confini dell’accesso difensivo.

Infatti, la disamina operata dal Supremo Consesso si conclude sancendo la possibilità di esercitare l’accesso documentale difensivo indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile.

Da tale pronuncia tuttavia si può notare come ancora una volta l’ambito di eccezione all’accesso sia andato affievolendosi rispetto al dettato normativo della l. 241/90.

[77] ex multis, Cons. Stato, sez. III, 16 maggio 2016, n. 1978; sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269; sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4209.

[78] Tar Abruzzo, L’Aquila, 10 ottobre 2013, n.861

[79] TAR Puglia, sez. III, 19 febbraio 2018, n. 231

[80] ANAC - Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013 Art. 5- bis, comma 6, del d.lgs. n. 33 del 14/03/2013 recante «Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni». Delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016.

[81] Gardini - Il paradosso della trasparenza in Italia: dell'arte di rendere oscure le cose semplici; in Federalismi.it; 2017; è critico nei confronti del Foia in quanto affinché il livello generale di trasparenza pubblica possa aumentare, la convivenza tra strumenti diversi dovrebbe arricchire le opportunità di conoscenza, invece egli reputa che la presenza di questi tre diversi tipi di accesso generi promiscuità o confusione.

[82] Attraverso la definizione di Filippo Turati, Bobbio, in La democrazia e il potere invisibile, in “Rivista italiana di scienza politica”, 1980, indica che secondo l’autore è questo il fine a cui lo stato deve tendere. Infatti per l’ideale democratico, lo Stato dovrebbe essere una «casa di vetro», priva di dinamiche politiche occulte: il regno del potere visibile.

[83] In tal senso Cons. Stato, sez. V, 17 marzo 2015 n. 1370, ove si riconosce che il diritto di accesso “è collegato a una riforma di fondo dell’amministrazione, ispirata ai principi di democrazia partecipativa, della pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa desumibili dall’art. 97 Cost., che s’inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e all’attività … amministrativa quale strumento di prevenzione e contrasto sociale ad abusi e illegalità”.

[84] Consiglio di Stato sez. consultiva atti normativi 24 febbraio 2016 n 515 parere del 18 febbraio 2016

[85] Si evoca la definizione di Filippo Turati come una pubblica amministrazione che diventa una “casa di vetro”.

[86] Antonio Barone e Raffaella Dagostino, La trasparenza e il diritto di accesso in CITTADINI, IMPRESE E PUBBLICHE FUNZIONI a cura di Antonio Barone, 2018;

[88] Consiglio di Stato sez. consultiva atti normativi 24 febbraio 2016 n 515 parere del 18 febbraio 2016

[89] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12 marzo 2008, n. 303 analizza le opportunità di differimento e oscuramento parziale dei dati al fine di contemperare al meglio gli interessi contrapposti di privacy e accesso.

[90] Parere 3 marzo 2016 del Garante per la protezione dei dati personali in www.garanteprivacy.it, illustra che in assenza di motivazione nell'istanza di accesso (così come stabilito dall'art. 5, comma 3, del d.lgs. 33 del 2013, cit.), il soggetto pubblico destinatario dell'istanza di accesso sarebbe privo della possibilità di disporre di un parametro necessario al fine di effettuare il bilanciamento tra la protezione dei dati personali (che costituisce un limite relativo, di cui all'art. 5 bis, II comma, lett. a) del d.lgs. 33 del 2013) e l'interesse del richiedente, con il rischio di determinare, alternativamente, o una eccessiva rigidità interpretativa, per cui l'amministrazione medesima potrebbe tendere a rigettare le richieste, «depauperando di ogni utilità lo strumento dell'accesso civico, oppure, al contrario, una dilatazione ingiustificata della nozione di trasparenza », per cui potrebbero essere trasmessi al richiedente dati e documenti senza alcun ragionevole criterio selettivo.

[91] Tar Campania, sez. VI, 9 maggio 2019, n. 2486.

[92] S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, riv. Diritto Amministrativo, fasc. 1, 1 marzo 2017, 65 ss., in banca dati editoriali GFL De Jure.

[93] Gardini, Magri - il foia italiano : vincitori e vinti: un bilancio a tre anni dall’introduzione, 2019.

[94] MERLONI F., PIRNI A., Etica per le istituzioni – un lessico, Donzelli editore, 2021

[95] Si deve evidenziare come rende ancora più snella e open user la previsione che sul profilo delle pubblicazioni sul proprio sito web istituzionale appare particolarmente apprezzabile la previsione inserita nel corpo dell’articolo 9 con il comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 33/2013, in base alla quale, al fine di evitare eventuali duplicazioni, la pubblicazione delle informazioni nei siti istituzionali può essere sostituita da un collegamento ipertestuale alla sezione del sito in cui sono presenti i relativi dati, informazioni o documenti.

[96] Consiglio di Stato - Sezione Consultiva per gli Atti Normativi - Adunanza di Sezione del 18 febbraio 2016, n. 515/2016.

 

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