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Pubbl. Lun, 12 Set 2022

Il procedimento di rettificazione di sesso

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Anna Maria Princiotta



L´equazione sesso anagrafico - sesso biologico enuclea la finalità pubblicistica, che tutt´ora permea il nostro ordinamento giuridico, della piena corrispondenza delle componenti sessuali della persona fisica. La tendenza odierna è quella di discostarsi dall´assolutezza di tale paradigma per valorizzare l´identità personale dell´interessato che, quantunque si senta di appartenere all´altro sesso, si mostri intenzionato a preservare gli attributi fisici genetici.


ENG

The procedure of correction of the attribution of sex

The gender equation biological sex identifies the advertising purpose, which still permeates our legal system, of the full correspondence of the sexual components of the natural person. Today´s trend is to deviate from the absoluteness of this paradigm to enhance the personal identity of the person concerned who, although he feels he belongsto the other sex, is willing to preserve the physical and genetic attributes.

Sommario: 1. Considerazioni di carattere generale; 2. Il concetto di genere sessuale; 3. L’identità della persona e i caratteri sessuali; 4. L’automatismo del divorzio imposto. Revisione della regola e applicazioni giurisprudenziali; 5. La tenuta del vincolo matrimoniale e dell’unione civile nell’ipotesi di rettificazione di sesso di uno dei componenti della coppia.

1.Considerazioni di carattere generale

L’ordinamento giuridico associa alla nascita della persona umana una serie di prerogative, una volta identificata con l’attestazione di avvenuta nascita e le dichiarazioni rese all’ufficiale di stato civile dai genitori o da chiunque altro sia tenuto per legge (art. 30 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396).

L’attestazione enuclea le generalità del nato, incluso il sesso («sesso anagrafico») per come desunto dall’esame morfologico dei suoi organi genitali.

L’equazione sesso anagrafico-sesso biologico - che tutt’ora permea il nostro ordinamento giuridico – si fonda sull’automatismo che il prenome del nato si conformi alle componenti sessuali del titolare, benché, come avremo modo di vedere in seguito, nella realtà tale coincidenza non sempre sussiste.

Accade non di rado, infatti, che le molteplici componenti della sessualità umana (genetica, fenotipica, endocrinica, psicologica, culturale e sociale) entrino in rotta di collisione.

L’emergere nel corso della vita di un individuo di tendenze comportamentali e psichiche, contigue a un sesso divergente da quello genetico, sposta sul giurista il delicato compito di valutare se la fattispecie necessiti di una nuova qualificazione giuridica. Prezioso si rivela, pertanto, il suo contributo nell’indagare la recettività nel diritto di istanze a lungo sottaciute e, di conseguenza, ad interrogarsi sui loro fondamenti e sulla meritevolezza degli interessi di cui si fanno promotrici.

Analoghe problematiche erano state, invero, poste già all’attenzione della Corte costituzionale che, in un noto e risalente precedente[1] aveva negato categoricamente che l’identità sessuale di una persona potesse ricondursi o desumersi dai soli caratteri fisici (e, in specie, dalla conformazione degli organi genitali), dovendosi, piuttosto, evincere anche dai fattori di natura psicologica e sociale.

Mosso probabilmente da tale convincimento, il legislatore si è premurato di garantire il diritto della persona ad assumere la diversa (rispetto a quella documentata nei registri) identità sessuale, sebbene, come preannunciato, il diritto tende a non allontanarsi dal dato biologico.

In questo ordine di idee si è per lungo tempo assestata la giurisprudenza nel privilegiare l’identità biologica, come nel celebre caso vagliato da un giudice inglese[2] che invalidò il matrimonio per il semplice fatto che la moglie percepiva di essere un uomo, quantunque fosse evidente che si trattasse di una “donna” sotto tutti gli aspetti, incluso quello sessuale.

L’evidenza identitaria non può, d’altronde, essere slegata dall’autopercezione sociale del soggetto interessato e dalla costante interazione che si sviluppa con la società «fra cervello, corpo, esperienza», come ha evidenziato recentemente la Corte di cassazione[3].

Da notarsi poi che la nozione di sesso ricavata dall’indagine dei soli caratteri fenotipici[4] è da bandire giacché finisce per «disconoscere l’esistenza di un’intera «galassia» di sessualità diverse e ignorare i fenomeni reali come l’intersessualità (ermafroditismo), il transgenderismo e il transessualismo»[5].

Eppure, simili situazioni potrebbero affiorare già nella fase preadolescenziale come può evincersi dalla prassi lì dove traspare la tendenza degli adolescenti a ricorrere a terapie ormonali, al sostegno psicoterapeutico quando non alla chirurgia estetica.

Sullo sfondo di tali problematiche, viene in gioco il genere più che il sesso anagrafico o biologico, vale a dire la qualità della persona in senso maschile o femminile che può nel corso del tempo assumere varie declinazioni.

2. Il genere sessuale

Tali notazioni confermano che il tema dell’identità personale si intreccia con l’interesse pubblico dello Stato alla certezza dei rapporti giuridici.

La l. 14 aprile 1982 n. 164, pur modificata dal d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, stabilisce che la rettificazione di attribuzione di sesso implica l’intervenuta modificazione dei caratteri sessuali, in forza di sentenza del tribunale passata in cosa giudicata[6].

L’art. 31, comma 4, del decreto del 2011, specifica che «quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medicochirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato».

L’interprete è colto da un’incognita di non poco conto, dovendo risolvere l’interrogativo se il richiamo a mere clausole in bianco “quando risulti necessario” e “caratteri sessuali” assumano contenuto precettivo univoco (i.e. preventiva modifica dei caratteri sessuali primari) o se, al contrario, possa avvalersi di un’opzione alternativa che sia compatibile con i parametri costituzionali e convenzionali che valorizzano l’identità di genere.

Si tenga anche conto che il legislatore si è premurato di riconoscere al soggetto interessato da disforia di genere (c.d. DIG) il diritto di risolvere la cesura esistente tra il sesso anagrafico e quello psicologico richiedendo la modifica dei registri dello stato civile. Ciò si rende necessario in quanto la corrispondenza della persona al suo genere sessuale, in sede di dichiarazione di nascita, è scandita dall’esigenza di rispondenza del prenome al genere sessuale del nato.

Più precisamente, i genitori sono tenuti ad attribuire al nato un nome in funzione del sesso (art. 35 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396), perché altrimenti risulterebbe ridicolo e/o vergognoso[7]. Valga per tutti l’esempio del prenome Andrea molto spesso scelto dai genitori per le loro figlie, già prima dell’intervento risolutivo della Cassazione di circa due lustri fa[8], quantunque fosse pacifico che in Italia il suddetto appellativo identificasse, finanche per la sua radice etimologica, solo i maschi.

3.Identità della persona e caratteri sessuali

La giurisprudenza è stata chiamata in più occasioni a stabilire se il trattamento medico-chirurgico sia necessario per realizzare l’adeguamento del richiedente alla nuova identità sessuale.

Secondo un primo indirizzo, ancorato a una interpretazione letterale e storica delle previsioni normative, il raggiungimento dell’identità sessuale, divergente da quella anagrafica, è realizzabile laddove l’interessato si sottoponga ad un intervento medico chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali al genere desiderato[9].

Alla base della decisione emergerebbe il convincimento che la normativa sul transessualismo esprimerebbe la tutela esclusiva dell’interesse statuale, preordinata a dare certezza sul genere, maschile o femminile, di un soggetto: un interesse preminente che escluderebbe qualsiasi forma di bilanciamento con gli interessi delle persone coinvolte[10].

La soluzione non tiene in adeguata considerazione la stabilità emotiva del richiedente tutela che potrebbe aver raggiunto un’armonia con il proprio corpo verso il sesso desiderato a prescindere dal ricorso al trattamento chirurgico[11].

La scelta di sottoporsi alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari «non può che essere una scelta espressiva dei diritti inviolabili della persona, sacrificabili soltanto se vi siano interessi superiori di carattere collettivo da tutelare espressamente indicati dal legislatore»[12]. Senza tacere poi delle complicanze di natura sanitaria legate all’operazione demolitorio-ricostruttiva degli organi sessuali primari che è un procedimento sofferto ed invasivo[13]. Né potranno ignorarsi le ipotesi nelle quali (es. falloplastica) l’intervento non è opportuno per le crisi di rigetto legate alla costruzione dell’organo genitale maschile, da cui potrebbero conseguire problemi uro-genitali. Queste sono in fondo le ragioni per le quali il dibattito sulla prerogativa o meno della sottoposizione al bisturi non sembra sopito.

Un punto di discontinuità nel formante giurisprudenziale si è avuto a partire da alcune decisioni che hanno tenacemente sostenuto la mera eventualità dell’intervento chirurgico.

Per la Cassazione[14] l’art. 1 della l. n. 164/1982 farebbe generico riferimento ai «caratteri sessuali» (quantunque fosse già nota, al tempo di redazione della disciplina, la distinzione tra caratteri sessuali primari e secondari) mentre il successivo art. 3 lascerebbe supporre che l’intervento chirurgico debba autorizzarsi solo «quando necessario».

La lettura congiunta di tali disposizioni porta ad escludere che le norme siano espressive di un contenuto precettivo univoco. Al contrario, proprio il sintagma “quando risulta necessario” è idoneo a dirimere qualunque equivoco interpretativo a favore dell’“eventualità” dell’intervento[15].

Si pone, al più, il problema di definire la portata di tali modificazioni e le modalità attraverso le quali realizzarle. La Consulta ha chiarito che «la mancanza di un riferimento testuale alle modalità (chirurgiche, ormonali, ovvero conseguenti ad una situazione congenita), attraverso le quali si realizzi la modificazione, porta ad escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali»[16].

L’intervento sanitario non è stato ritenuto indispensabile, ad esempio, nei casi in cui la discrepanza tra il sesso anatomico e la percezione psicologica non abbia cagionato un atteggiamento conflittuale di rifiuto degli organi sessuali[17].

La soluzione dell’indefettibilità dell’intervento chirurgico, ai fini della rettificazione di sesso, comprime invece l’identità personale (di cui l’identità di genere è, sotto il profilo relazionale, suo aspetto costitutivo), specie quando la modificazione chirurgica possa risolversi in un danno alla salute fisica o psicologica del soggetto, costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 32 Cost.

Una possibile «bussola», capace di orientare il giudice nel percorso interpretativo, potrebbe astrattamente individuarsi nella ricerca di indicatori che possano sostenerne il percorso argomentativo, senza ricadere in una contrapposizione manichea tra imposizione o mera eventualità al bisturi. Orientando il focus della disanima dal piano della logica a quello del bilanciamento degli interessi, gli ermellini hanno sottolineato come il tentativo di giungere ad un criterio ragionevole possa trovare un opportuno riferimento nel principio di proporzionalità. In questa maniera, l’interprete verrebbe posto nelle condizioni di stabilire se la compressione di un diritto individuale sia necessaria per il perseguimento di un obiettivo di interesse generale, che, nel caso specifico, è l’interesse alla certa e pubblica demarcazione dell’appartenenza sessuale degli individui.

Una simile soluzione è avvalorata dalla ratio della trama normativa finalizzata a promuovere la garanzia dell’identità della persona, di cui l’identità sessuale è species[18] e del suo benessere mentale e corporale[19]. Rimane così ineludibile, afferma la Consulta, «un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona»[20].

Scartata l’opzione dell’indefettibilità dell’intervento chirurgico, è innegabile che la scelta sulle modalità attraverso le quali realizzare il percorso di transizione – con l’assistenza del medico e di altri specialisti - debba rimettersi all’interessato. Un percorso certamente impervio che va affrontato alla luce degli «aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere»[21].

In questo clima, la giurisprudenza domestica reputa sufficiente per il processo di conversione la cura ormonale del fenotipo al sesso mentale, essendo nella specie idonea a consentire all’interessato di raggiungere stabilità e benessere psicofisico[22]. Questo è, d’altro canto, il significato da attribuire al termine “adeguamento” che, più che risolversi necessariamente in una operazione chirurgica (art. 31 del d.lgs. n. 150/2011), consente di parametrare la scelta di modificare i caratteri sessuali, primari e secondari, a una valutazione basata sul caso concreto[23].

È anche interessante notare che l’ambito di operatività della l. 164/82 differisce da quella sulla «protezione dai trattamenti di conversione» («Gesetz zum Schutz vor Konversionsbehandlungen» – KonvBG) recentemente entrata in vigore in Germania (la legge è consultabile su www.bgbl.de), come giustamente ha fatto notare la dottrina[24]. Una ragione per tutti la si ritrae nel fatto che in Germania il divieto di terapie di conversione introdotto dalla KonvBG si riferisce «a qualunque trattamento condizionante l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona, mentre la l. 164/1982 evoca, in via esclusiva, interventi diretti alla modificazione dei «caratteri sessuali» dell’individuo e si colloca dunque in un momento logico e cronologico successivo a quello nel quale potrebbe astrattamente prospettarsi il ricorso ad una «conversione»[25].

4. La tenuta operativa del vincolo coniugale

Il discorso sin qui condotto rimarrebbe in parte inesplorato se non si tenesse conto dell’annoso problema dello scioglimento del matrimonio a seguito del mutamento di sesso di uno dei coniugi ("la sentenza di rettificazione di sesso provoca lo scioglimento del matrimonio[omissis]") per come sancito dall'art. 4 l. n. 164/1982 (ora art. 31 comma 6, d.lgs. n. 150/2011). La questione, ben nota in dottrina e in giurisprudenza, attiene all’inserimento di tale principio all’interno del sistema.

Nell’architettura della l. 6 marzo 1987, n. 74 il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di sesso è causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Ad avviso della letteratura tale previsione è parsa «sciogliere gli interrogativi suscitati dall’art. 4 l. n. 164/1982 e, ad offrire, una più intensa tutela agli ex coniugi e all’eventuale prole»[26].

La norma lasciava, pur tuttavia, irrisolti alcuni nodi problematici. Basti pensare che il matrimonio, ora come allora, si fonda sul paradigma dell’eterosessualità, quale presupposto essenziale per la sua esistenza. Non aveva fatto breccia in tale granitico convincimento neppure il convincimento che l’automatico scioglimento del vincolo coniugale determinasse una lesione permanente all’esercizio del diritto, da parte delle persone transessuali, all’identità personale (recte identità sessuale). Venendo in gioco diritti fondamentali della persona, occorrerebbe domandarsi se l’esito consequenziale (e cioè lo scioglimento automatico dello status di coniuge) sia giustificato e altresì proporzionato.[27]

Tale circostanza riflette il conflitto esistente tra la realizzazione dell'identità sessuale e il diritto alla stabilità del vincolo matrimoniale, entrambi costituzionalmente garantiti.[28]

L’attuazione dell’uno si ripercuote sull’altro, secondo la logica del “sacrificio imposto”, nell’alternativa tra «l’improvviso sfaldamento del legame familiare o la coartata repressione del proprio essere»[29]. Sulla primaria importanza di entrambe le situazioni giuridiche, si è più volte espressa la Corte costituzionale chiarendo che i diritti fondamentali, incluso il diritto di contrarre matrimonio, «spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», precludendo ogni differenziazione di natura personale, come quelle derivanti dall'identità di genere.[30]

Riconoscere, dunque, il pieno diritto all'identità di genere significa porre sullo stesso piano le persone transessuali, affermando con decisione il loro essere «persone» a tutti gli effetti.

In un simile caotico contesto, la soluzione più coerente con gli interessi in conflitto non può che essere quella adottata recentemente dalla Cassazione. Prendendo spunto dalla sentenza n. 170/2014 della Corte costituzionale – che ha dichiarato l’illegittimità delle norme in tema di rettifica del sesso nella parte in cui non prevedono la possibilità di mantenere in vita il rapporto di coppia con altra forma di convivenza giuridicamente riconosciuta, con modalità da statuire dal legislatore – si potrebbe ritenere costituzionalmente necessario conservare alla coppia il riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti al matrimonio, quantomeno fino a quando il legislatore non intervenga puntualmente sull’argomento.

A dirla tutta, anche la giurisprudenza di merito ha riconosciuto la facoltà ai coniugi, in occasione del procedimento di rettifica dell’identità di genere, di formulare istanza al giudice per essere autorizzati a mantenere in vita la coppia, anche se in forma diversa dal matrimonio;[31] in difetto, seguirà il divorzio imposto a cui può provvedere l’Ufficiale di Stato civile.

6.La tenuta del vincolo matrimoniale e dell’unione civile nell’ipotesi di rettificazione di sesso di uno dei componenti della coppia

Proprio la vicenda dei coniugi Bernaroli che ha interessato la Corte costituzionale nella decisione n. 170/2014[32] consente di ritenere che occorre emanciparsi dalla logica dell’automatismo di cui si è dato conto nel paragrafo precedente. Quel che è certo è che i Bernaroli, pur coinvolti dal sopravvenuto mutamento del sesso di uno dei partner, non intendevano assolutamente svincolarsi dal legame coniugale.

Tale opzione interpretativa finiva per folgorare il vissuto di tali coppie e strideva con il principio di autodeterminazione del singolo in relazione alla libertà di sciogliersi dal vincolo matrimoniale (art. 13 e 29 Cost.).

Tali situazioni rimanevano sguarnite di tutela e, pertanto, si poneva l’esigenza di preservarle una copertura normativa.

Nel recepire tali esigenze il legislatore ha colmato la lacuna preesistente prefigurando nel comma 27, della l. n. 76/2016 , la possibilità per i coniugi di optare (e dunque di conferire una forma diversa al proprio “vissuto” di coppia) per l’unione civile. Ciò a condizione che non venga manifestata una diversa volontà da parte dei coniugi, nel senso «di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili».

La volontà di costituire l’unione civile può essere resa anche dal solo coniuge che ha proposto la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni (art. 7 d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5 in G.U. n. 22 del 27 gennaio 2017, attuativo della disciplina delle unioni civili).

Il legislatore non ha, tuttavia, mutuato una previsione analoga nel caso speculare in cui la rettificazione di sesso investa uno degli uniti civili.

La previsione dell’art. 1, comma 26, l. 20 maggio 2016 n. 76 nel delineare lo scioglimento ex lege dell’unione civile nel caso di rettificazione anagrafica di sesso del partner (salva la possibilità di quei partners di sposarsi successivamente, in quanto divenuti di sesso diverso), mentre il matrimonio può tramutarsi in unione civile, senza soluzione di continuità cela, pertanto, una irragionevole discriminazione fra soggetti coinvolti in situazioni analoghe[33].

Anche per i componenti dell’unione civile dovrebbe prefigurarsi, infatti, la stessa prerogativa accordata ai coniugi, in relazione alla necessità di salvaguardare il vissuto della coppia, individuando nell’autodeterminazione un requisito indispensabile per lo scioglimento del vincolo. Si dà invece il caso che il Legislatore ha adottato soluzioni diverse tra matrimonio ed unione civile, in presenza della rettificazione di sesso di uno dei coniugi o di una delle parti.

Era indubbio che la questione sarebbe stata prima o poi posta all’attenzione della Consulta e una conferma si ritrae in una recente decisione di merito[34], nel qual caso il giudice è stato chiamato ad affrontare una vicenda che ricorda molto da vicino quella dei coniugi Bernaroli con l’unica differenza che, in tal caso, i partners erano legati da un’unione civile.

A differenza dell’art. 1 comma 26 della  l. 20 maggio 2016, n. 76 nella parte in cui dispone che nel caso di unione civile, la rettificazione di sesso di una delle parti determina lo scioglimento dell’unione civile, senza alcuna possibilità di una scelta diversa, l’art. 1, comma 27 del medesimo saggio di legiferazione ha previsto che alla rettificazione di sesso di uno dei coniugi, ove gli stessi abbiano manifestato volontà di mantenere in vita il vincolo di coppia, consegue automaticamente l’instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte cost., 24 maggio 1985, n. 161, in Giur. Cost., 1985, I, p. 1173.

[2]  Si tratta del caso del 1971 esaminato dalla Corte Suprema delle Filippine, 22 ottobre 2007, Silverio v. Philippines, in International Commission of Jurists (ed.), Sexual Orientation, Gender Identity and Justice: A Comparative Law Casebook, Geneva 2011, 183 ss.

[3]  Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15138, in Foro it., 2015, I, c. 3137, con nota di G. Casaburi, La cassazione sulla rettifica di sesso senza intervento chirurgico radicale. Rivive il mito dell’ermafroditismo?; in Nuova giur. Civ. comm., 2015, I, 1068 s., con note di D. Amram, S. Patti, Cade l’obbligo di intervento chirurgico per la rettificazione anagrafica di sesso

[4] Avverte S. Deplano, Dignità delle persona e stati intersessuali, in Annali Sisdic, 2021, 7, p. 220 che sul piano biologico la definizione di sesso «non si presti più ad essere collocata soltanto sul piano di un’indagine dei caratteri fenotipici ma imponga, per contro, un esame ben più composito ed articolato».

[5]  M. Winkler, Cambio di sesso del coniuge e scioglimento del matrimonio: costruzione e implicazioni del diritto fondamentale all’identità di genere, in Giur. Mer.,3, 2012.

[6]  Sull’evoluzione normativa e giurisprudenziale delle tecniche processuali in tema di tutela dell’identità sessuale e relativa riattribuzione di genere, si veda il pregevole contributo di C. Perago, Il procedimento di rettificazione di attribuzione di sesso e la tutela del diritto all'identità di genere, in Foro it., 2020, V, 23, 2 e ss.

[7]  Cass. civ., 20 ottobre 2008, n. 25452, in Dir. Fam. Pers., 2, 2009, con nota di L. Bardaro e, più di recente, L. Bardaro, Persona umana e diritto al nome, Esi, 2020.

[8]  Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2012, n. 20385, in Fam. Dir., 8-9, 2013, con nota di L. Bardaro.

[9]  Trib. Vercelli, sez. I civ., sent. 27 novembre 2014, n. 159, in www.altalex.com, 8 gennaio 2015, con nota di G. Mattiello; App. Bologna sez. I civ.,sent. 22 febbraio 2013, in www.articolo29.it.

[10]  Ne dà atto C. cost., 11 giugno 2014, in Foro it., 2014, I, c. 2680, con nota di R. Romboli, La legittimità costituzionale del “divorzio imposto”: quando la corte dialoga con il legislatore ma dimentica il giudice.

[11]  Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15138, cit.

[12] Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15138, cit.

[13] Trib. Brescia, 15 ottobre 2004, in Fam. Dir., V, 2005, 527 ss., con nota critica di P. Veronesi, Cambiamento di sesso tra (previa) autorizzazione e giudizio di rettifica. Per Trib. Roma, 18 ottobre 1997, in Dir. Fam. Pers., 1998, 1033, con nota di M. C. La Barbera, Transessualismo      e       mancata       volontaria,       seppur       giustificata,       effettuazione dell’intervento medico-chirurgico, se l’operazione è rischiosa per lo stato di salute, la stessa è rinunciabile

[14] Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15138, cit.

[15] Trib. Rovereto, 03 maggio 2013, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2013, I, 1116, con nota di F. Bilotta, Identità di genere e diritti fondamentali della persona; Trib. Roma, 11 marzo 2011 e Trib. Roma, 22 marzo 2011, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, 243 ss., con nota di A. Schuster, Identità di genere: tutela della persona o difesa dell’ordinamento?

[16] C. cost., 5 novembre 2015, n. 221, in giur. Cost., 2015, p. 2041, con nota di L. Ferraro, La Corte costituzionale e la primazia del diritto alla salute e della sfera di autodeterminazione. In senso analogo, più di recente, Trib. La Spezia, sez. I, 27 settembre 2021, n. 510, in De Jure banca dati.

[17]  Trib. Roma, 14 aprile 2011, n. 5896, in Fam. Dir.,2, 2012.

[18] cfr. C.cost. 24 maggio 1985 n. 161.

[19] C. cost., 24 maggio 1985 n. 161, cit.

[20] C. cost., 05 novembre, 2015, n. 221, cit.

[21] C. cost., 5 novembre 2015, n. 221, cit.

[22] Trib. Messina, 4 novembre 2014, in Dir. Civ. cont., 7 marzo 2015.

[23] Il Trib. Messina, 4 novembre 2014, cit., avalla la tesi dell’eventualità del trattamento chirurgico qualora la persona abbia raggiunto già un equilibrio psico-somatico e sia fermamente convinta della propria identità sessuale.

[24] F. Bertelli, La tutela dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere in Germania: la legge «zum Schutz vorKonversionsbehandlungen», in Pers. merc., 2020, I, pp. 263 ss.

[25] Lo si ritrae in A. Venturelli, «Conversione» dell’identità di genere e rettificazione dell’attribuzione di sesso, in Pers. Merc., 2021, 2, 324.

[26] Testualmente G. Bonilini, La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, a norma della l. n. 164/1982, in G. Bonilini- F. Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio,in Il codice civile. Commentario, Milano, 2010, 300

[27]  Cfr. L. Bardaro, La transizione sessuale: stato dell’arte e prospettive evoluzionistiche, in Dir. succ. e fam., 1, 2017.

[28] L. Bardaro, La transizione sessuale: stato dell’arte e prospettive evoluzionistiche, cit.

[29]  M. Winkler, Cambio di sesso del coniuge e scioglimento del matrimonio: costruzione e implicazioni del diritto fondamentale all’identità di genere,cit.

[30] C. cost., 25 luglio 2011, n. 245, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 1239 ss., 1243, con nota di M. Winkler.

[31] cfr. Trib. Milano, 22 aprile 2015, in www.articolo29.it

[32] Sulla peculiarità della vicenda giudiziaria, v. P. Veronesi, Il “caso Bernaroli” alla Corte costituzionale: ancora un bivio sul tema dell’eterosessualità del matrimonio, in Mutamento di sesso e divorzio imposto: il diritto all’identità di genere e al matrimonio, 48 e ss.

[33]  L. Bardaro, La transizione sessuale: stato dell’arte e prospettive evoluzionistiche, cit.

[34] Tribunale di Lucca, 14 gennaio 2022 in www.giusticivile.com, con nota di A. Spangaro, L'influenza della sentenza di rettificazione di sesso sull'unione civile: la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, co. 26, L. 76/2016.