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Pubbl. Lun, 6 Giu 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

I profili di responsabilità penale del medico nei casi di cooperazione multidisciplinare diacronica: il punto della Cassazione

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Federica Coppola
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Salerno



Il presente lavoro analizza i profili di responsabilità del medico nell´ipotesi di cooperazione multidisciplinare diacronica, su cui si è espressa in ultimo la Cass. Sez. III 03.11.2021 (dep.03.01.2022) n.1. Per comprendere la soluzione adottata dai giudici di legittimità, è necessaria una disamina per circoscrivere l´indagine agli aspetti rilevanti nel caso di specie: in particolare, la posizione di garanzia del sanitario, la legittimità dell´affidamento nell´accertamento della colpa e, infine, il rapporto eziologico nel concorso di cause indipendenti.


ENG This paper analyses the liability profile of a physician, who is acting in the case of multidisciplinary diachronical cooperation and, specifically, the jurisprudence approach with the ruling n.1/2022 of the Supreme Court of Cassation Sez. III. In order to understand the solution in the sentence, it is necessary to begin with an analysis to define the most relevant aspects of the case, in particular the evolutionary interpretation about the positions of guarantee, the legitimate expectations in the culpable liability assessments, the aetiological relationship among indipendent causes.

Sommario: 1. Premesse introduttive in tema di responsabilità medica nel caso di prestazione sanitaria plurisoggettiva; 1.1. La cooperazione sincronica e la cooperazione diacronica; 1.2. La multidisciplinarietà o monodisciplinarietà dell’attività soggettivamente complessa; 1.3. La sussistenza del rapporto di gerarchia: la cooperazione in senso verticale e orizzontale; 2. La posizione di garanzia del sanitario nell’attività medico – chirurgica;  3. Il principio di affidamento nel trattamento sanitario plurisoggettivo; 3.1. L’operatività del principio di affidamento quale limite della tipicità colposa; 4. L’accertamento del nesso eziologico in ipotesi di concorso di cause indipendenti;  5. La recente soluzione della Cassazione; 6. Considerazioni conclusive.

1. Premesse introduttive in tema di responsabilità medica nel caso di prestazione sanitaria plurisoggettiva

Alla luce dell’evoluzione della scienza medica e del progresso tecnologico, si è giunti ad una progressiva procedimentalizzazione dell’atto medico in ragione delle peculiari competenze e specializzazioni che ciascun medico possiede per la realizzazione della miglior tutela della salute del paziente. È con riferimento al criterio della divisione del lavoro nelle strutture complesse, e della suddivisione dei contributi dei singoli sanitari nei rispettivi settori di specializzazione, che si discorre di c.d. «parcellizzazione dell’atto medico»[1], secondo un procedimento plurifasico in cui la condotta di ciascun soggetto è limitata al settore di competenza[2].

La valorizzazione della suddivisione dei compiti e dell’organizzazione complessa della struttura ospedaliera, operata nei termini suindicati, ha portato ad un mutamento della fisionomia originaria della prestazione sanitaria, considerata, nella sua modalità di erogazione ordinaria e nel contesto attuale, quale atto soggettivamente complesso[3].

Il presente lavoro si pone, allora, l’obiettivo di focalizzarsi sulla cooperazione multidisciplinare diacronica e sulle relative problematiche concernenti la successione nella posizione di garanzia e l’operatività del principio di affidamento. Le coordinate ermeneutiche delineate nella disamina in oggetto trovano conferma nella sentenza in ultimo esaminata Cass. pen. sez. III n. 1 del 2022[4].

Prima di procedere all’analisi della specifica ipotesi richiamata, è necessario circoscrivere l’ambito di indagine delle questioni giuridiche rilevanti in tema di cooperazione colposa nell’attività medico – chirurgica.

Per cooperazione dei sanitari, in generale, si intende far riferimento ai casi in cui la prestazione medico sanitaria si realizza attraverso il contributo di più soggetti, i quali risultino collegati da un nesso teleologico, ossia la comune finalità della tutela della salute, della vita e dell’integrità psico – fisica del paziente. Si discorre, in tal senso, di erogazione plurisoggettiva della prestazione sanitaria.

Tale forma dell’attività medico chirurgica presenta il notevole pregio di assicurare la migliore realizzazione della tutela del paziente, quindi maggior sicurezza nell’esecuzione di tale attività, in quanto ciascuno dei sanitari si adopera esclusivamente nel compimento della migliore prestazione possibile attinente al proprio profilo specialistico e di competenza[5]. Di contro, non può non tenersi conto, quale profilo concorrente e contrario, del fatto che l’esplicazione plurisoggettiva dell’attività medico – chirurgica presenta altresì fattori di rischio, ulteriori e nuovi rispetto a quelli ordinari afferenti alla realizzazione tipicamente monosoggettiva ed individuale di tale prestazione. In altri termini, dalla cooperazione ed interrelazione di più soggetti nella realizzazione dell’attività medico chirurgica sorgono pericoli aggiuntivi, i quali afferiscono, ad es., al rischio di difetto di coordinazione o di informazione tra più soggetti coinvolti nella vicenda[6].

Da tali considerazioni emerge il carattere colposo che può assumere la cooperazione tra i soggetti coinvolti, nel senso che le leges artis che governano ed orientano la condotta del singolo si arricchiscono di ulteriori regole cautelari che originano dalla correlazione fattuale tra le attività dei sanitari nel trattamento medico plurisoggettivo.

Dal fenomeno della cooperazione nell’attività medico chirurgica, alla luce delle brevi premesse sistematiche suindicate, sorge prima facie un problema di ascrivibilità della responsabilità penale personale a ciascuno dei rispettivi soggetti coinvolti[7]. È necessario identificare, a fronte di un atto medico soggettivamente complesso, i singoli contributi di ciascun sanitario, in ossequio al principio della responsabilità personale colpevole ex art. 27 co. 1 Cost., onde evitare forme occulte di responsabilità oggettiva derivanti dalla mera partecipazione del sanitario all’attività medico – chirurgica.

Per comprendere l’ipotesi precipua della cooperazione colposa diacronicamente plurisoggettiva, oggetto della sentenza in esame, deve procedersi ad un’analisi dei profili discretivi delle varie modalità di estrinsecazione delle ipotesi di cooperazione dei sanitari.

1.1 La cooperazione sincronica e la cooperazione diacronica    

In primis, è necessario distinguere le ipotesi di cooperazione colposa sincronica dalle ipotesi di cooperazione colposa diacronica[8]. Tale prima differenziazione opera sul piano del momento temporale di estrinsecazione del contributo di ciascuno dei medici coinvolti nell’atto medico soggettivamente complesso.

Nel caso di cooperazione colposa sincronica ciascun medico interviene nello stesso lasso temporale, quindi contestualmente: tipico esempio è l’intervento chirurgico in équipe. Con la cooperazione colposa diacronica, invece, si intende far riferimento all’intervento di ciascun medico in un momento temporale differente sullo stesso caso clinico: in altri termini, l’atto medico complessivamente considerato, inteso quale unicum, si dipana in fasi autonome cronologicamente successive.

1.2 La multidisciplinarietà o monodisciplinarietà dell’attività soggettivamente complessa

La distinzione tra multidisciplinarietà e monodisciplinarietà della cooperazione colposa[9] attiene, rispettivamente, alla sussistenza o meno in capo a ciascun sanitario di differenti specializzazioni. In particolare, nel caso della cooperazione multidisciplinare intervengono nell’iter diagnostico - terapeutico una pluralità di sanitari ciascuno titolare di una differente specializzazione, a differenza di quanto avviene nel caso della monodisciplinarietà, ipotesi rispetto alla quale tutti i sanitari sono titolari della stessa specializzazione, di cui esempio paradigmatico è l’ipotesi di cambio turno nello stesso reparto.

1.3. La sussistenza del rapporto di gerarchia: la cooperazione in senso verticale e orizzontale

La distinzione tipica e tradizionale, nonché basata su fondamenti normativi, attiene alla cooperazione medica in senso verticale o orizzontale. Tale differenza attiene precipuamente alla sussistenza o meno tra i sanitari dei rapporti di gerarchia tipici delle organizzazioni complesse. Trattasi di cooperazione in senso verticale nel caso in cui sussistano i tipici rapporti di gerarchia di cui ad esempio con riferimento all’assegnazione dei ruoli di capo equipe ovvero di primario, rispetto ai quali si ricava la sussistenza dei poteri di direzione e controllo (dalla cui inosservanza sorgono le ipotesi di culpa in vigilando ed eligendo) nei confronti dei c.d. medici subordinati (es. aiuti).

A tale ipotesi si contrappone la fattispecie di cooperazione in senso orizzontale, rispetto alla quale sono assenti rapporti di gerarchia e sussistono, invece, posizioni di equi-ordinazione tra ciascuno dei medici che contribuiscono alla prestazione medica complessivamente considerata.

2. La posizione di garanzia del sanitario nell’attività medico – chirurgica

Alla luce di quanto evidenziato, deve procedersi, anzitutto, all’analisi della questione giuridica attinente alla configurazione della posizione di garanzia assunta dal sanitario.

Un primo profilo problematico e dibattuto concerne la necessità di individuare la sussistenza di una posizione di garanzia, stricto sensu intesa, in capo al sanitario, in ragione del fatto che solo la sussistenza di una posizione di garanzia ex art. 40 cpv. c.p. è idonea a configurare “l’obbligo giuridico di impedire l’evento” e quindi, rispettivamente, una responsabilità omissiva impropria colposa.

La problematicità di tale primo profilo di indagine concerne il fatto che spesso si discorre di posizione di garanzia del sanitario nonostante la condotta si concretizzi in termini commissivi, con inevitabili rischi di sovrapposizione di categorie dogmatiche tradizionali quali condotte commissive e omissive improprie, ed è esclusivamente con riferimento a quest’ultime che può discorrersi di “posizione di garanzia” da cui sorge l’obbligo di impedire l’evento.

Le criticità evidenziate sorgono dall’interrelazione delle condotte dei sanitari coinvolti in un atto medico soggettivamente complesso, cui è correlata la questione circa la possibilità che sorgano, per il contesto fattuale di esplicazione della condotta, nuove regole cautelari da cui origina “l’obbligo giuridico di impedire l’evento” ex art. 40 cpv c.p., nei termini di obbligo di impedire l’evento infausto, da declinarsi nel dovere di controllo della correttezza delle altrui condotte. In altri termini, la vexata quaestio concerne i profili di colpa della condotta del sanitario che coopera con altri nell’attuazione del trattamento sanitario, ovvero se gli stessi debbano essere valutati con esclusivo riferimento a quanto afferente a ciascun contributo individuale, ovvero debbano arricchirsi altresì di regole cautelari afferenti al controllo della correttezza del contributo degli altri sanitari.

L’opzione ermeneutica tradizionale ritiene che tutti gli operatori di una struttura sanitaria siano ex lege portatori di una posizione di garanzia[10] il cui fondamento si ravvisa nel principio di solidarietà ex art. 2 Cost. e nella tutela della salute del paziente ex art. 32 Cost. quale fine ultimo che lega le rispettive condotte. In particolare, secondo la classificazione tipica in subiecta materia, trattasi di posizione di protezione. La posizione di protezione ha come scopo quello di proteggere determinati beni giuridici da tutti i pericoli che possono minacciarli: sono determinati i soggetti o le categorie di soggetti/beni da tutelare, mentre sono indeterminate le fonti di pericolo da neutralizzare. Simmetricamente, la posizione di controllo persegue lo scopo di neutralizzare una specifica fonte di pericolo per proteggere la generalità dei soggetti che ne possono risultare minacciati.

Nell’ambito della cooperazione di più sanitari, quindi, è l’unicum dello scopo di tutela, ovvero la protezione della vita e salute del paziente, a far sorgere la posizione di garanzia per tutti i soggetti coinvolti.

Con il concetto di “posizione di garanzia”, invece, si intende la posizione giuridica soggettiva di cui risulta titolare un soggetto rispetto al quale si configurano obblighi giuridici impeditivi dell’evento lesivo ex art. 40 cpv. c.p. È in ragione della sussistenza della posizione di garanzia che può configurarsi la responsabilità c.d. commissiva mediante omissione, sorta in ragione dell’operatività in combinato disposto dell’art. 40 cpv. c.p. (c.d. clausola di equivalenza o di conversione) con la rispettiva norma incriminatrice di parte speciale.

L’art. 40 cpv. c.p. prevede, infatti, una clausola generale che permette la creazione di fattispecie omissive c.d. improprie. Per il tramite della previsione secondo cui «l’obbligo giuridico di impedire l’evento equivale a cagionarlo» si realizza un’estensione della tipicità delle fattispecie incriminatrici di parte speciale che di volta in volta viene in rilievo nel caso di specie.

Per la ricostruzione della fonte dell’obbligo “giuridico” di impedire l’evento, onde evitare un eccessivo ed indiscriminato ampliamento della responsabilità omissiva impropria, si sono confrontate tre diverse teorie. La teoria formale (c.d. teoria del trifoglio) ritiene che la fonte dell’obbligo impeditivo dell’evento possa essere esclusivamente una norma giuridica, da cui il riferimento esclusivo a legge, il contratto, ovvero la precedente attività pericolosa[11], il cui fondamento espresso si rileva all’art. 2043 c.c.[12] Tale teoria ha il pregio di attribuire rilevanza giuridica ai soli obblighi impeditivi dell’evento dotati di riscontro espresso o comunque rinvenibile in un presupposto giuridico. Di contro, tale teoria non risponde ad esigenze di giustizia sostanziale nel momento in cui rifugge dalla valorizzazione delle contingenze concrete, rispetto alle quali può verificarsi che, nonostante l’insussistenza de iure di una fonte dell’obbligo giuridico impeditivo dell’evento, vi siano de facto elementi circostanziali tali da far sorgere l’esigenza di una tutela rafforzata di taluni beni giuridici rispetto ai quali i titolari non abbiano la capacità di tutela autonoma. Tali considerazioni fondano la c.d. teoria sostanzialistico – funzionale[13].

È alla luce della necessità di contemperare le opposte esigenze, poste alla base della valorizzazione delle suddette teorie, che, nell’evoluzione interpretativa in subiecta materia, si è giunti alla prospettazione di una terza teoria c.d. mista[14]. Tale ultima opzione interpretativa valorizza l’operatività del presupposto della necessaria presenza di una fonte formale che preveda l’obbligo impeditivo, cui si aggiunge l’accertamento della sussistenza in concreto dei poteri materiali e giuridici di cui il soggetto investito deve essere titolare per espletare la propria posizione di garanzia. In ragione della sussistenza di tali due presupposti gli obblighi di agire, da intendersi in senso lato, diventano obblighi di garanzia strettamente intesi quali fonti della responsabilità omissiva impropria ex art. 40 cpv. c.p.

Occorre, adesso, analizzare la problematica concernente il caso in cui si succedano temporalmente più sanitari nella cura del paziente: id est la cooperazione diacronica.

In primis è necessario distinguere le ipotesi di successione della posizione di garanzia dalle ipotesi di c.d. mero trasferimento della posizione. Nella successione della posizione di garanzia si realizza una traslazione integrale e definitiva della situazione giuridica soggettiva dal cedente al cessionario, ovvero una sostituzione nella posizione di garante con effetto liberatorio del primo sanitario.

Nell’analisi del fenomeno della successione nella posizione di garanzia emerge chiara la tensione tra il fondamento e la ratio solidaristica della posizione di garanzia, tesa alla tutela rafforzata di particolari beni giuridici, ed il diritto del garante di liberarsi di tale responsabilità, e quindi della tutela della sua libertà individuale[15], soprattutto nell’ipotesi di cooperazione diacronica rispetto al quale ciascun sanitario agisce temporalmente in momenti differenti rispetto agli altri soggetti coinvolti.

In tal senso rileva la distinzione tra successione fisiologica e patologica nella posizione di garanzia. Si definisce successione fisiologica nella posizione di garanzia il trasferimento della titolarità della stessa che avviene secondo requisiti di liceità, ovvero nel rispetto delle prescrizioni previste da apposite norme giuridiche, e di effettività, ovvero conformemente alle circostanze del caso concreto che avvalorino la traslazione oggettiva, e non meramente astratta, dei poteri impeditivi dell’evento dannoso o pericoloso.

Invece, nell’ipotesi della c.d. successione patologica, la quale si configura ogniqualvolta non si realizzino i suddetti requisiti di liceità ed effettività del passaggio dal cedente al cessionario, vige il c.d. principio della continuità nella posizione di garanzia.

In particolare, di successione c.d. patologica nella posizione di garanzia si discorre in ambito medico – chirurgico ogni qualvolta il cedente garante sia stato inosservante ab origine degli obblighi impeditivi dell’evento di cui risultava titolare: a tal proposito, la successione nella posizione di garanzia risulterà invalida, onde evitare il rischio di escludere la responsabilità del garante originario, in colpa per l’inosservanza dell’obbligo di garanzia.

L’attività ceduta, in altri termini, non deve essere ex se viziata dalla violazione di regole cautelari ad opera del garante cedente, altrimenti si discorre della c.d. successione in attività inosservanti. In tali ipotesi il sanitario rimane titolare della posizione di garanzia e si realizza semplicemente un mutamento del contenuto dell’obbligo impeditivo dell’evento. Quest’ultimo, pur verificandosi successivamente, cioè in un momento rispetto al quale opera il sanitario che interviene di seguito, rimane ascrivibile alla responsabilità del primo soggetto che resta titolare dell’obbligo (non direttamente impeditivo dell’evento infausto, poiché ha perso i poteri giuridici e fattuali volti all’attuazione di tale obbligo) di informare il secondo della propria inosservanza, così da rimuovere il rischio creato dalla violazione delle regole cautelari inerenti alla propria personale attività[16].

In altri termini, il cedente l’attività inosservante, rectius violativa delle regole cautelari gravanti sul soggetto, non andrà esente da responsabilità qualora la sua trasgressione risulti determinante causalmente l’evento lesivo verificatosi successivamente con il subentro di altro soggetto nel trattamento medico plurisoggettivo. In questo caso, infatti, il cedente la posizione di garanzia ne rimane de facto titolare, in quanto permane un obbligo indiretto impeditivo dell’evento, nella species l’obbligo di informare il sanitario della propria condotta inosservante le regole cautelari prescritte e potenzialmente causativa dell’evento infausto.

In virtù di tali considerazioni emerge il parallelismo tra il principio della continuità nella posizione di garanzia, di cui si discute, ed il principio di equivalenza delle cause, su cui poi di seguito, ex art. 40 co. 1 c.p.

3. Il principio di affidamento nel trattamento sanitario plurisoggettivo

Il principio di affidamento afferma, per definizione tradizionale, che ciascun soggetto deve riporre fiducia nella correttezza dell’altrui operato, quale aspettativa di giustezza altrui, e la sede naturale di analisi dell’operatività di tale criterio è la prestazione sanitaria plurisoggettiva[17], quale tipica ipotesi di attività rischiosa ma giuridicamente autorizzata dall’ordinamento perché socialmente utile. Nella nota andrebbe indicata anche la fonte dalla quale ricava la nozione.

La funzione e ratio del principio in esame concerne l’attuazione del rispetto del principio della personalità della responsabilità penale colpevole ex art. 27 co. 1 Cost. Ciascun individuo risponde esclusivamente delle proprie azioni in ragione del principio di autodeterminazione consapevole, da cui l’inammissibilità di forme di responsabilità per fatto altrui. In particolare, nell’ipotesi di studio di trattamento sanitario plurisoggettivo, ciascun sanitario risponde esclusivamente delle proprie azioni ed omissioni e si affida al fatto che gli altri sanitari con cui coopera si comportino in maniera corretta, nel rispetto delle leges artis che governano l’esplicazione dei rispettivi contributi.

In questi termini si afferma che il principio di affidamento assurge a limite della responsabilità colposa, nel senso che non è in colpa il soggetto che abbia riposto un legittimo affidamento sulla correttezza dell’altrui condotta[18].

Per quanto concerne il fondamento dogmatico del principio di affidamento deve farsi riferimento al principio di autoresponsabilità e alla teoria del rischio consentito.

L’interpretazione tradizionale in subiecta materia avallava la sussistenza di un principio di “non affidamento”, in un’accezione negativa, nel senso che si riteneva sic et simpliciter inoperante un legittimo affidamento nel contesto del trattamento medico plurisoggettivo alla luce della valorizzazione del bene giuridico di valore primario che emerge nel caso di specie, qual è la vita e l’integrità psico – fisica del paziente[19]. Tale prospettiva comportava una sistematica sfiducia nei confronti dell’operato altrui, con inevitabile aggravio della posizione di ciascun sanitario, in quanto ogni soggetto risultava onerato della responsabilità di controllare l’operato altrui per la vigenza di regole cautelari ulteriori nate dall’interrelazione tra più condotte.

Lo svantaggio del principio di non affidamento risiedeva proprio nell’aggravamento di compiti e mansioni a carico di ciascun soggetto, e tale prospettiva non garantiva la migliore esplicazione della prestazione specialistica di competenza di ciascuno ma, anzi, risultava controproducente[20].

Con l’evoluzione normativa ed interpretativa, invece, si è avallata l’operatività del principio di affidamento nell’ottica di una visione liberale di fiducia[21] nella correttezza degli altri individui, ma con limiti e temperamenti a tale affermazione di principio. Tali condizioni di attuazione del principio di affidamento lo hanno reso de facto inoperante, svuotato di significato, tant’è che risultano ad oggi residuali le ipotesi in cui la giurisprudenza lo ritiene applicabile nei casi concreti.

Rispetto al principio di affidamento si valorizza il fondamento dogmatico nella teoria del rischio consentito[22], secondo cui ciascuno deve rispondere esclusivamente della violazione delle regole cautelari attinenti al proprio settore di competenza[23], cui si aggiunge la responsabilità per i soli eventi che rappresentino la concretizzazione del rischio che le regole cautelari operanti tendono ad evitare, con esclusione degli eventi che non rispondono a tale caratteristica[24].

La responsabilità colposa, di fatti, presuppone l’inosservanza di regole di condotta con finalità preventive dell’evento lesivo o della situazione di pericolo. Tuttavia, non tutte le regole di condotta, la cui inosservanza genera colpa, sono regole cautelari. Tali sono solo per le attività rischiose giuridicamente autorizzate dall’ordinamento perché socialmente utili, di cui tipico esempio è l’attività medico – chirurgica. In tal senso il legislatore, tramite la predisposizione delle regole cautelari in tale settore, definisce l’area del rischio consentito: se l’attività del medico si esplica conformemente alla prescrizione della regola cautelare, e quindi all’interno del perimetro anzidetto, la sua condotta non sarà punibile.

Al principio di affidamento funge da fondamento dogmatico altresì il principio dell’autoresponsabilità[25], nel senso che ciascun soggetto si affida all’altro sul presupposto che ciascuno si comporti correttamente e conformemente alle prescrizioni inerenti all’attuazione della propria condotta.

In definitiva, la dottrina maggioritaria[26] asserisce costantemente l’operatività in materia del principio di affidamento, nonostante appaia, alla luce del costante riscontro dell’operatività dei limiti al suddetto principio, una petitio principii. Non possono considerarsi esistenti, infatti, obblighi cautelari aventi ad oggetto la condotta altrui, tali da configurare una responsabilità per il reato commesso da altri, con il rischio di una latente responsabilità per fatto altrui contraria all’art 27 co. 1 Cost[27].

In altri termini, non possono nascere obblighi cautelari dalle mere circostanze fattuali della plurisoggettività dell’atto medico[28]. È necessario, in ossequio al principio di stretta legalità operante nel diritto penale moderno, che le regole cautelari contenenti obblighi ai fini dell’impedimento del reato altrui siano espressamente previste, e non meramente desumibili dal contesto plurisoggettivo dell’attività medico – chirurgica.  

La giurisprudenza prevalente[29], d’altro canto, riscontra costantemente i limiti di operatività di tale principio, di cui ne residua l’applicazione a casi sporadici ed eccezionali[30]. Da regola, quindi, il principio di affidamento diventa in concreto un’eccezione[31]: si discorre, infatti, di c.d. principio di affidamento temperato[32] o relativo[33].

L’assolutezza del principio di affidamento è esclusa in ragione del fatto che il riconoscimento sic et simpliciter dello stesso nell’esplicazione di qualsiasi attività plurisoggettiva comporterebbe il rischio di un pericoloso ed eccessivo «effetto deresponsabilizzante»[34] rispetto a ciascun soggetto coinvolto.

Per quanto concerne le caratteristiche di operatività di tale principio, ovvero i c.d. limiti di operatività, si suole far riferimento alla c.d. riconoscibilità (id est percepibilità) dell’errore altrui. Quest’ultimo deve palesarsi in termini di evidenza, quale scostamento macroscopico ed oggettivo della condotta altrui rispetto alle leges artis che regolano la corretta esecuzione dell’attività, e non settorialità, nel senso che l’errore non deve essere specifico di un settore specialistico. L’errore deve essere riconoscibile in base alle comuni conoscenze del professionista medio, altrimenti ne sono inficiate le capacità di comprensione[35].

Dalle caratteristiche dell’evidenza e della non settorialità dell’errore altrui sorge l’obbligo di emendare l’errore a carico degli altri sanitari coinvolti nella cooperazione multidisciplinare. In tal senso risulta inoperante la legittimità dell’affidamento.

Con la valorizzazione del limite anzidetto emerge la soluzione di compromesso tra la necessaria operatività del principio di affidamento, e quindi l’esigenza di garantire il riparto delle competenze e delle specializzazioni dei contributi di ciascun sanitario, ed il minimo obbligo di vigilanza che deve sorgere dalla cauta interrelazione dei soggetti coinvolti nella vicenda sanitaria. Non può escludersi l’operatività del legittimo affidamento ogniqualvolta l’errore del sanitario non venga percepito dall’altro medico in quanto attinente alla specifica competenza del primo, di cui il secondo non ha conoscenze proprie[36].

In sintesi, se l’affidamento è illegittimo, poiché opera il limite anzidetto, sorgono i c.d. obblighi relazionali[37] o c.d. obblighi secondari[38], nella species del dovere di emendare o evitare l’errore altrui, i quali sono solo eventuali e sorgono in relazione alle circostanze del caso concreto[39]. Tuttavia, il sorgere di tali obblighi permette sì di correggere ed evitare l’esito infausto del trattamento sanitario plurisoggettivo, ma si rischia altresì un’estensione ingiustificata e illimitata dei doveri cautelari a carico di ciascun sanitario, rispetto ai quali sorgono doveri impeditivi delle altrui condotte pericolose o dannose, con inevitabili frizioni con l’art. 27 co. 1 Cost.

Emerge, in sintesi, il fil rouge che lega quanto detto in tema di principio di continuità della posizione di garanzia e la non invocabilità dell’affidamento per chi è in colpa[40], ovvero per chi non ha rispettato le regole cautelari vigenti per la propria posizione, arricchite dal dovere secondario o c.d. relazionale di emendare l’errore altrui, nell’ottica di impedire l’evento infausto.

Il rischio latente che si palesa è di sovrapporre l’obbligo di garanzia, incombente su ciascun medico ex lege, ma che necessita di espressa previsione secondo la teoria mista suevidenziata, e l’obbligo di diligenza che si crea ex novo, quale profilo di tipicità colposa e non omissiva impropria, in ragione della plurisoggettività dell’atto e della valorizzazione del bene giuridico primario tutelato.

Sul punto rileva la teoria del c.d. momento omissivo della colpa quale ulteriore fondamento dogmatico del principio di affidamento, sul presupposto secondo cui è necessario distinguere obblighi cautelari di impedimento dell’altrui condotta ed obblighi di diligenza.

Gli obblighi cautelari di impedimento dell’altrui condotta attengono all’an nella configurabilità della posizione di garanzia, nei termini suindicati in precedenza; gli obblighi di diligenza, invece, attengono alle modalità di esplicazione della condotta che il soggetto deve porre in essere correttamente onde evitare una responsabilità colposa per inosservanza delle prescrizioni inerenti alla propria posizione di garanzia[41].

Deve evitarsi, orbene, di «dedurre surrettiziamente l’obbligo di agire dal dovere di diligenza»[42].

La valorizzazione del principio di affidamento sul piano dell’obbligo di diligenza, quale profilo colposo della condotta del sanitario, permette di evitare un irragionevole ampliamento delle ipotesi di responsabilità omissiva impropria, per mancato impedimento del fatto altrui, in mancanza di una previsione espressa che sancisca la rispettiva posizione di garanzia; ove si operi diversamente, invece, emergerebbero occulte ipotesi di responsabilità oggettiva. Per il tramite dell’opzione esegetica tendente a mantenere distinti i piani della responsabilità omissiva rispetto alla responsabilità colposa, e quindi dell’obbligo di garanzia dall’obbligo di diligenza, si supera tale rischio[43].

3.1.  L’operatività del principio di affidamento quale limite della tipicità colposa

Alla luce delle coordinate ermeneutiche suevidenziate, si perviene oggi alla valorizzazione del «momento omissivo della colpa»[44] quale fondamento dogmatico del principio di affidamento. Di converso, si ritiene che tale principio assurga, corrispettivamente, a «pietra angolare della tipicità colposa»[45].

L’imputazione soggettiva del reato a titolo di colpa ex art. 43 c.p. si realizza quando l’evento si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Nel contesto attuale, in ossequio alla parabola evolutiva concernente la categoria dogmatica della colpevolezza nel diritto penale moderno, la colpa deve intendersi in senso normativo nella dimensione oggettiva della violazione della regola cautelare[46]. Si supera, infatti, la concezione psicologica della colpa quale atteggiamento psicologico di previsione e non volizione dell’evento, per valorizzarne gli aspetti oggettivi di trasgressione della regola cautelare preventiva dell’evento e della concretizzazione del rischio che tale regola tendeva ad evitare nell’ipotesi specifica.

La violazione della regola cautelare, quindi, deve intendersi quale omissione di cautele, ovvero omessa adozione della misura cautelare prescritta[47].

In aggiunta alle riflessioni precedenti in punto di responsabilità omissiva impropria ex art. 40 cpv. c.p., punctum crucis della disamina concerne la possibilità di delineare regole cautelari che individuino comportamenti aggiuntivi che il soggetto deve tenere nella dimensione plurisoggettiva del trattamento medico, quali ad es. doveri di controllo e vigilanza sull’operato altrui, i quali delineano l’an della tipicità colposa nella dimensione oggettiva della violazione della regola cautelare.

È in questi termini che si afferma che il principio di affidamento opera quale limite della tipicità colposa, nel senso che l’operatività di tale principio preclude la possibilità di configurare regole cautelari la cui violazione configura altrettante ipotesi di responsabilità colposa[48].

Nell’ambito della responsabilità colposa, di fatti, si assiste ad una continua positivizzazione delle regole cautelari, nell’ottica di una maggiore garanzia di tassatività e determinatezza delle fattispecie incriminatrici, e ciò coerentemente con il percorso evolutivo di procedimentalizzazione dell’attività medico chirurgica, cui fa da corrispettivo la previsione di linee guida e protocolli che regolamentano le specifiche attività e mansioni.

Si aggiunga che, nell’accertamento della responsabilità colposa, è necessaria ma non sufficiente l’individuazione della regola cautelare violata, ma si aggiungono ulteriori valutazioni.

In primis occorrerà accertare la c.d. causalità della colpa, ovvero il nesso tra la condotta e l’evento, da cui si può affermare che l’evento è eziologicamente connesso alla violazione della regola cautelare individuata nel caso concreto. Di seguito, dovrà procedersi all’accertamento del c.d. nesso di rischio, ovvero della relazione tra la colpa (nella dimensione oggettiva della violazione della regola cautelare) e l’evento hic et nunc verificatosi, nel senso che quest’ultimo deve rappresentare la concretizzazione del rischio che la regola cautelare violata tendeva a prevenire. In ultimo, dovrà valutarsi l’efficacia salvifica della condotta alternativa doverosa ovvero che, sostituendo la condotta lecita a quella realizzatasi colposamente in concreto, l’evento non si sarebbe verificato, poiché la condotta alternativa era esigibile in quanto l’evento era prevedibile ed evitabile secondo la regola cautelare prescritta.

Per il tramite di tale articolato accertamento, che non si limita all’asserzione apodittica della sussistenza di un obbligo impeditivo dell’evento ex art. 40 cpv. c.p., si consente di «transitare dal piano dell’an dell’intervento (obbligo di garanzia) a quello del quomodo dello stesso (obbligo di diligenza)»[49].

Si aggiunga che regole cautelari nell’ambito della responsabilità colposa possono essere specifiche o generiche a seconda che derivino, rispettivamente, da fonti scritte o non scritte. Dalla violazione delle regole cautelari scritte derivano le ipotesi di c.d. colpa specifica, di cui il riferimento all’art. 43 c.p. rispetto all’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Alle ipotesi di regole cautelari generiche, invece, fa da contraltare la configurazione della colpa generica per quanto concerne le ipotesi di negligenza, imprudenza e imperizia.

Tuttavia, le regole cautelari specifiche che operano nell’ambito dell’attività medico – chirurgica sono generalmente elastiche, nel senso che non vincolano l’interprete all’adozione aprioristica rispetto a qualsiasi caso si prospetti alla sua attenzione, ma lasciano allo stesso la scelta discrezionale di conformarsi o meno, a seconda delle caratteristiche peculiari del caso clinico oggetto della sua attività. È in ragione dell’elasticità e non vincolatività delle regole cautelari che si realizza un’integrazione della colpa specifica, rilevante per la violazione delle regole cautelari scritte, ad opera di forme di colpa generica, derivante dalla inosservanza di regole prasseologiche di diligenza, prudenza, perizia, desumibili dalle circostanze fattuali nel caso concreto.

L’interpretazione maggioritaria in materia ritiene, quindi, che, in ragione della cooperazione tra i contributi di più medici rispetto alla realizzazione del fine unico della tutela della salute del paziente, agli obblighi di diligenza gravanti sul singolo medico rispetto al contributo individualmente realizzato si aggiungano ulteriori obblighi di diligenza, nello specifico di controllo c.d. reciproco, che derivano dall’interazione di più condotte, ai fini della migliore realizzazione della cooperazione stessa[50]. Orbene, l’indagine verte non più sulla sussistenza o meno di obblighi impeditivi diretti dell’evento, ex art. 40 cpv. c.p., ma concerne l’accertamento di poteri indiretti sul decorso causale determinativo dell’evento, per il tramite del controllo delle altrui condotte[51].

È dalle circostanze fattuali di esplicazione della condotta soggettivamente complessa che originano regole cautelari aggiuntive cui corrispondono forme di responsabilità colposa generica, coerentemente con la natura prasseologica delle regole cautelari non scritte di diligenza, prudenza, perizia.

Pur spostando il piano di indagine sulla configurazione di ulteriori obblighi di diligenza, rilevanti ex art. 43 c.p., permangono tuttavia delle criticità rispetto alla tenuta del principio di stretta legalità in materia penale, in quanto sussiste il costante pericolo di un’eccessiva estensione della responsabilità colposa derivante dalle fonti prasseologiche di cui in esame, atteso che le forme di colpa generica sorgono in ragione delle circostanze fattuali concrete[52].

In ragione di tali considerazioni in tema di tipicità colposa, emerge ictu oculi il rischio di sovrapposizione concettuale tra l’accertamento circa la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al sanitario, ai fini della configurabilità nell’an di una responsabilità omissiva impropria ex art. 40 cpv. c.p., e la valutazione della colpa dello stesso nella sua componente oggettiva di violazione della regola cautelare modale. Tale problematicità è acuita, in particolare, dal frequente uso improprio del termine “garante”, con il quale spesse volte la giurisprudenza fa riferimento ad ipotesi di condotte tipicamente commissive dei sanitari[53].

In definitiva, richiamando le riflessioni in precedenza effettuate in punto di successione patologica della posizione di garanzia, e persistenza di obblighi impeditivi indiretti dell’evento infausto, per quanto concerne l’individuazione delle regole cautelari in tema di responsabilità colposa si determina il rischio di una «biasimevole esasperazione dei doveri di diligenza del medico»[54], tale da inficiare de facto il principio della divisione del lavoro in conformità alla specializzazione e competenza di ciascuno dei sanitari coinvolti nel trattamento plurisoggettivo.

4. L’accertamento del nesso eziologico in ipotesi di concorso di cause indipendenti

Altra questione giuridica problematica nell’excursus in oggetto concerne l’accertamento della causalità nelle c.d. condotte ambivalenti tipiche dell’attività colposa medica. Con l’accezione di ambivalente si intende la configurazione di condotte rispetto alle quali l’agente pone in essere un’azione positiva colposa, omettendo contestualmente di adottare quella diligente (c.d. componente omissiva della colpa)[55]. Rispetto a tali condotte risulta problematico scindere il profilo commissivo dal profilo omissivo della condotta, con conseguente difficoltà di sussunzione del fatto concreto nella specifica categoria dogmatica della tipicità commissiva ovvero omissiva, con i riflessi in punto di accertamento della causalità.

È necessario, quindi, evitare di confondere il proprium del reato omissivo rispetto alla componente omissiva immanente alla categoria dogmatica della colpa.

Per superare l’impasse si valorizza l’utilizzo della c.d. concezione del rischio, nel senso che si adotta tale dogmatica per scindere le ipotesi responsabilità commissiva ovvero omissiva nei casi di condotte c.d. ambivalenti. Si riconosce natura commissiva alla condotta del medico che ha introdotto un fattore di rischio nuovo nel quadro clinico del paziente, poi effettivamente concretizzatosi; di contro, si qualifica omissiva la condotta del sanitario che si è limitata a non neutralizzare un rischio già esistente.

Tale concezione permette altresì di rileggere in un’ottica evolutiva la disciplina del rapporto di causalità di cui agli artt. 40 e 41 c.p.

L’art. 40 c.p. stabilisce il c.d. principio di equivalenza delle cause, secondo cui la responsabilità penale si configura solo quando l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, è conseguenza della condotta dell’agente. Per accertare la qualificazione dell’antecedente quale condicio sine qua non dell’evento deve attuarsi un procedimento di eliminazione mentale o c.d. controfattuale. In altri termini la condotta può considerarsi causa dell’evento se, eliminando mentalmente il primo elemento, il secondo viene meno[56].

La teoria condizionalistica adottata nel diritto penale moderno ha subito un’evoluzione dovuta al temperamento realizzato a seguito dell’operatività di altrettante teorie nella disciplina in esame, tra cui la c.d. teoria dell’aumento del rischio, secondo la quale la condotta può ritenersi causa dell’evento solo quando ha aumentato la possibilità di realizzazione dell’evento. L’obiettivo di tali teorie alternative nella spiegazione del nesso causale è proprio quella di temperare gli eccessi della teoria condizionalistica pura, nel suo corollario dell’equivalenza degli antecedenti causali ex co. 1 dell’art. 41 c.p.

Tale norma stabilisce la regola secondo cui il concorso di cause non esclude il rapporto di causalità accertato tra la condotta dell’agente e l’evento; al comma 2 dell’art. cit., tuttavia, è prevista l’eccezione secondo cui le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento.

Tale eccezione ha destato una serie di riflessioni[57] per quanto concerne l’individuazione delle caratteristiche precipue che tali cause sopravvenute indipendenti debbano avere per produrre l’efficacia interruttiva del nesso causale rispetto alla condotta precedente dell’agente.

Le Sezioni unite Franzese[58] hanno affermato che l’accertamento della causalità deve svolgersi attraverso la prova dell’insussistenza di decorsi causali alternativi ed autonomi di per sé soli sufficienti a dare spiegazione esauriente della condotta, nel senso che ove intervengano serie causali autonome, di cui tipico esempio sarebbe proprio il co. 2 dell’art. 41 c.p., l’antecedente risulta ex post non causativo dell’evento. Tale interpretazione, tuttavia, renderebbe l’art. 41 cpv. c.p. superfluo, quale inutile superfetazione tautologica del principio ex art. 40 cpv. c.p.[59].

È in ragione di tale critica che si deve operare una rilettura dell’art. 41 c.p., nel senso che le cause sopravvenute non devono ritenersi quali cause che attivano un nuovo processo eziologico, ma quali circostanze che intervengono nello stesso decorso causale attivato dalla condotta dell’agente, le quali però attuano una deviazione del corso dell’iter in modo anomalo ed imprevedibile.

A tal proposito emerge il riferimento alla teoria del rischio, cui si riporta il concetto di competenza che è connaturale all’attività medico chirurgica soggettivamente complessa. Tale concetto di competenza permette di qualificare le condotte dei medici che possano assurgere a cause sopravvenute interruttive del nesso causale rispetto ad antecedenti di altri sanitari. In questo caso può considerarsi causa interruttiva, ex art. 41 co. 2 c.p., il comportamento eccentrico del sanitario rispetto al rischio generato dalla precedente condotta colposa di altro sanitario, e tale concezione risulta utile tanto sotto il profilo delle condotte commissive quanto delle condotte omissive, così da evitare il rischio di confusione concettuale che concerne, come evidenziato in precedenza, le condotte ambivalenti tipiche di tale materia.

L’interruzione del nesso causale tra la condotta del primo sanitario e l’evento infausto hic et nunc successivamente realizzatosi si verifica a causa dell’intervento di una circostanza causale che introduce «un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto quelli di competenza del garante» originario[60].

La causa sopravvenuta non deve essere valutata in termini di imprevedibilità, altrimenti riemergerebbe il pericolo di sovrapposizione con l’accezione della colpa quale esigibilità di condotta alternativa lecita, ma nell’accezione di circostanza eccezionale, anomala, atipica, quale fattore eterogeneo, diverso da quello generato dalla condotta del primo soggetto[61].

Può affermarsi, quindi, che il concetto di rischio serva a superare la distinzione tra commissivi e omissivi sulla base della tradizionale distinzione comandi e divieti derivante dalla mera formulazione della fattispecie. Una condotta si intende commissiva se introduce un rischio nuovo, altrimenti omissivo se non neutralizza un rischio già esistente. La riflessione in esame risulta coerente a quanto detto in precedenza circa la necessità di superare l’uso improprio del termine garante per condotte tipicamente omissive, per meglio discorrere, mutatis mutandis, di «gestore del rischio»[62], soprattutto nella sede naturale di tale problematicità ovvero la condotta ambivalente dei sanitari[63].

In definitiva, l’accezione del rapporto di causalità secondo la concezione del rischio, con la rilettura delle cause interruttive del nesso eziologico di cui al co. 2 art. 41 c.p., rappresenta ulteriore baluardo per evitare forme di responsabilità oggettiva occulte nelle attività mediche plurisoggettive, una volta superate le criticità in punto di posizione di garanzia e profili di tipicità colpose.

Nella prospettiva di un quadro di sintesi può dirsi, in primis, che una successione fisiologica della posizione di garanzia permette di escludere la responsabilità del primo garante, secondo i crismi suevidenziati. Di seguito, con la valorizzazione dei profili di colpa relazionali, utili per la valutazione della responsabilità colposa commissiva, è possibile escludere addebiti penali a carico del soggetto che si sia conformato al dovere di controllo dell’operato altrui, in ossequio alle prescrizioni di colpa generica che integrano le regole cautelari specifiche dell’attività del singolo individuo. In ultimo, può altresì escludersi la responsabilità del singolo sanitario ogniqualvolta intervenga successivamente alla propria condotta una causa sopravvenuta abnorme dotata di efficacia interruttiva del nesso causale.

5. La recente soluzione della Cassazione

Con la sentenza della Cass. sez. III 03.11.2021 (dep. 03.01.2022) n.1 i giudici di legittimità confermano l’approccio ermeneutico sviluppatosi in tema di responsabilità colposa del medico coinvolto nella prestazione sanitaria plurisoggettiva, così come declinato in precedenza per quanto concerne l’operatività del principio di affidamento e l’accertamento del rapporto di causalità nei casi di concorso di cause indipendenti.

Dal dictum in esame si ricava il principio di diritto secondo cui «in tema di colpa professionale, laddove ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario (compreso il personale paramedico) è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune e unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte di colui che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, fatta salva l’affermazione dell’efficacia salvifica della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità»[64].

Dalla lettura della pronuncia in oggetto emerge ictu oculi il riferimento alle questioni giuridiche tipiche in tema di cooperazione colposa multidisciplinare tra sanitari, ovvero l’asserita necessaria sussistenza di obblighi di diligenza ulteriori rispetto a quelli connessi alla mansione individualmente svolta dal sanitario, nonché l’operatività del principio di affidamento e, in ultimo, l’accertamento del nesso di causalità nell’ipotesi di concorso di cause indipendenti.

In particolare, nel caso di specie si esclude l’operatività del principio di affidamento poiché il soggetto è ab origine in colpa in quanto ha posto in essere un’attività inosservante le regole di condotta individualmente imposte per l’esplicazione del singolo contributo. All’insussistenza del principio di affidamento fa da pendant il richiamo al principio di equivalenza delle cause, dato che la successiva condotta colposa di altro medico non presenta i connotati di cui all’art. 41 cpv. c.p. tali da interrompere il nesso causale tra la prima condotta e l’evento hic et nunc verificatosi.

È necessario analizzare i punti precipui di tale sentenza per vagliarne la compatibilità rispetto agli approdi esegetici degli interpreti, alla luce della parabola evolutiva delineata in subiecta materia.

Con la sentenza in esame la Cassazione si è espressa sul ricorso avanzato dall’imputata, infermiera di un reparto di terapia intensiva, avverso la condanna ex art. 589 c.p. per aver, in cooperazione colposa con altri, cagionato per colpa generica, id est negligenza, imprudenza, imperizia, la morte di un paziente ricoverato in quella sede. Fra le cause della morte del paziente vi era la circostanza che l’imputata aveva disattivato, o comunque non si era opposta alla disattivazione, del meccanismo di allarme sonoro e visivo utile alla rilevazione dell’esistenza di eventuali malesseri cardiaci, istallato sul letto del paziente deceduto. Si aggiunga che l’imputata non aveva provveduto né alla riattivazione dell’allarme al termine del proprio turno di lavoro, né ad informare gli infermieri successivamente intervenuti nella cura del paziente, di talché la crisi cardiaca che aveva colpito il paziente non era stata rilevata nell’immediatezza, con aggravio delle sue condizioni cliniche.

Nello specifico, con il primo motivo si è contestata l’erronea applicazione della legge penale in ordine alla rilevazione del nesso di causalità tra la condotta dell’imputata e l’evento morte. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che la condotta del medico chirurgo, successivamente intervenuto nell’iter causativo dell’evento infausto, non costituisse un autonomo e sufficiente elemento di rischio, ex art. 41 cpv. c.p., atto ad interrompere il nesso causale tra l’evento e la condotta precedente dell’imputata, laddove invece elementi istruttori depongono verso l’irritualità dell’intervento del secondo medico. Quest’ultimo, secondo la prospettazione della difesa, assurge a fattore di novità rispetto alla precedente serie causale instaurata dalla condotta dell’imputata ricorrente, poiché si evidenzia l’irritualità della procedura di espianto del defibrillatore automatico rispetto al momento di effettuazione dell’intervento chirurgico.

Per quanto concerne il secondo motivo di ricorso, la difesa contesta la valutazione circa l’efficacia salvifica della condotta alternativa lecita, necessaria ai fini della imputazione soggettiva del fatto colposo all’imputata nel caso di specie, rilevandone un accertamento operato in termini “del tutto apodittici e senza procedere ad un autonomo e concreto esame delle risultanze probatorie”. Si contesta, in altri termini, la contraddittorietà o illogicità della motivazione della sentenza impugnata in quanto la Corte territoriale avrebbe in termini apodittici rilevato che, ove l’impianto di allarme sonoro disattivato dall’imputata fosse stato in funzione, sarebbe stato possibile intervenire tempestivamente a favore del paziente.

I giudici di legittimità ritengono manifestamente infondati entrambi i motivi e dichiarano inammissibile il ricorso.

Nello specifico, l’imputata aveva provveduto a silenziare i campanelli dell’interfono che consentivano ai pazienti di collegarsi con gli infermieri di guardia, nonché il sistema di allarme acustico e visivo (cd. “allarme rosso”), volto a segnalare e immediatamente allertare il personale sanitario della presenza di fenomeni patologici in corso, tra cui l’aritmia cardiaca dei singoli soggetti occupanti le posizioni di pronto soccorso. Tale sistema di allarme non era stato riattivato dall’imputata al momento della cessazione del suo servizio e «l’anomala disattivazione» (per motivi irrituali di un asserito “inquinamento acustico”, secondo l’imputata) non era stata portata a conoscenza dei colleghi del turno successivo.

Secondo i giudici di legittimità è corretto attribuire rilevanza causale alla condotta dell’imputata nel determinismo dell’evento morte, nel senso che la disattivazione dell’impianto di allarme acustico e visivo ha comportato un ritardo nell’assistenza prestata al paziente in occasione della crisi cardiaca per lui fatale, indipendentemente dal fatto che successivamente il cardiologo che avrebbe dovuto operare il paziente aveva provveduto, quale atto necessario in vista del programmato intervento, a disattivare il defibrillatore cardiaco impiantabile portato dal paziente. In particolare, non sussiste alcuna regola cautelare specifica che indichi la tempistica standard in merito al momento in cui procedervi in vista del successivo intervento chirurgico.

Tale condotta del medico chirurgo è stata correttamente ritenuta doverosa, e quindi non eccezionale e tale da introdurre un fattore di rischio nuovo ed autonomo, ex art. 41 cpv. c.p., idoneo cioè ad interrompere il nesso causale tra la precedente condotta colposa dell’imputata e l’evento successivamente realizzatosi[65].

La condotta successiva del chirurgo, nel caso di specie, non risulta idonea ad integrare una serie causale di pericolo del tutto autonoma posto che, laddove non fossero stati disattivati i meccanismi di allarme, si sarebbe potuta ragionevolmente garantire una adeguata prestazione medica.

Si palesa altresì corretto l’accertamento circa l’efficacia salvifica della condotta alternativa lecita dell’imputata poiché, ove la stessa si fosse conformata alle leges artis del caso di specie, astenendosi dalla disattivazione dei meccanismi di allarme anzidetti, l’evento non si sarebbe verificato secondo una logica di ragionevolezza e prevedibilità. In altri termini, se l’impianto di allarme acustico fosse stato attivo si sarebbe segnalata la presenza di diversi episodi di aritmia cardiaca del paziente, di cui sarebbe stato a conoscenza il personale sanitario.

Trattasi nel caso di specie di una pluralità di cause che, originando da una cooperazione colposa di plurime condotte[66], hanno determinato l’evento infausto hic et nunc verificatosi.

Nella sentenza in esame, si legge, «non vi era stata alcuna interruzione del nesso di causalità tra la improvvida condotta dell’imputata e l’evento da cui dipende l’esistenza del reato a lei ascritto» in quanto, in caso di pluralità di fattori causali, vige il principio di equivalenza delle cause, in applicazione del quale «l’azione od omissione dell’agente è considerata causa dell’evento nel quale il reato si concretizza, anche se altre circostanze, di qualsiasi genere – a quello estranee, preesistenti, concomitanti o successive, laddove esse non siano state tali da determinare in maniera autonoma e del tutto indipendente dalle precedenti l’evento – concorrono alla sua produzione perché il comportamento dell’agente ha pur sempre costituito una delle condizioni dell’evento»[67].

Quanto al secondo motivo, i giudici di legittimità evidenziano come alla luce delle risultanze probatorie e dell’analisi delle caratteristiche proprie del reparto ospedaliero, istituzionalmente avvezzo a praticare cure d’urgenza, qual è quella di rianimazione cardiologica, si possa ragionevolmente affermare che, ove fosse stato attivo l’allarme acustico e visivo, si sarebbe consentita con elevatissima probabilità la sopravvivenza dell’imputato; nello specifico, ove l’apparato di costante monitoraggio della condizione del paziente fosse stato correttamente collegato al sistema di allarme acustico e visivo, questo, adempiendo la sua specifica funzione, avrebbe allertato il personale ospedaliero.

6. Considerazioni conclusive

Dalla lettura della sentenza in oggetto si rileva un approccio interpretativo che conferma la disamina in precedenza effettuata circa i profili di responsabilità del personale sanitario nell’iter di cooperazione diacronica multidisciplinare nella cura del paziente.

L’imputata riveste una posizione di garanzia, da intendersi in senso lato, poiché impropriamente riferita alla posizione di protezione assunta dalla stessa rispetto alla cura del paziente, pur configurandosi la sua condotta in termini oggettivamente commissivi ex art. 589 c.p. Si intende una posizione di garanzia rispetto alla quale sorge l’obbligo della stessa di osservare le leges artis che governano l’esplicazione della sua attività, nella species l’obbligo di non disattivare l’allarme acustico e visivo idoneo ad evitare l’evento infausto. Alla violazione di tale obbligo si aggiunge l’inosservanza del dovere di informare il successivo garante dell’attività colposamente effettuata, da cui si rileva l’aumento del rischio di verificazione dell’evento imputabile alla stessa.

In questo senso emerge la conformità di tale soluzione rispetto all’opzione ermeneutica che valorizza la sussistenza di poteri impeditivi indiretti dell’evento, non ex art. 40 cpv. c.p., data l’insussistenza di una posizione di garanzia per responsabilità omissiva impropria, ma nella species di obblighi ulteriori ex art. 43 c.p., rectius di informazione della propria condotta c.d. inosservante.

La responsabilità colposa sussiste, quindi, per l’inosservanza delle regole cautelari scritte, quale violazione dell’obbligo di non disattivazione dell’allarme, e generiche, id est violazione dell’obbligo di informazione al successivo garante intervenuto nel trattamento sanitario. In definitiva, non opera il legittimo affidamento quale limite alla tipicità colposa per la configurazione della responsabilità dell’imputata.

A tali considerazioni si aggiunga che non opera nel caso di specie il principio di affidamento poiché precondizione per l’operatività del principio in subiecta materia è l’osservanza, ad opera del singolo medico che lo invoca, delle regole di condotta vigenti per l’espletazione della propria individuale attività: nel caso di specie l’imputata è ab origine in colpa per aver posto in essere una condotta non conforme alle leges artis.

In definitiva, la giurisprudenza in esame rileva correttamente la sussistenza di profili di colpa generica e del rapporto di causalità di una fattispecie propriamente commissiva in quanto l’imputata ha creato un rischio precedentemente inesistente rispetto alla sua condotta. Risulta operante il principio di equivalenza delle cause concorrenti e, di conseguenza, si esclude l’efficacia interruttiva della condotta del medico subentrante nel decorso causale, il quale non ha creato un rischio abnorme, inatteso, eccezionale rispetto a quello originato dalla condotta causale antecedente, ma si inserisce nell’iter di verificazione ordinario dell’evento hic et nunc realizzatosi.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cfr. V. FINESCHI, Res ipsa loquitur: un principio in divenire nella definizione della responsabilità medica, in Riv. it. med. leg., 1989, 419 e ss.; A. R. DI LANDRO, Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro d’equipe, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2005, 225.

[2] Cfr. L. RISICATO, Linee guida e colpa “non lieve” del medico. Il caso delle attività di equipe, in Giur. it., 2014, 2068, secondo cui «il concetto di attività medico – chirurgica in equipe ricomprende tutte le ipotesi di cooperazione tra sanitari (…) che risultano enormemente accresciute per la burocratizzazione delle prassi medico – chirurgiche e, soprattutto, per i progressi della scienza medica. L’evoluzione dell’arte medica ha comportato una proliferazione delle specializzazioni e una crescente (…) tendenza alla settorializzazione delle competenze scientifiche».

[3] Esemplificativa la riflessione di E. DEMURTAS, Il trattamento medico – chirurgico diacronicamente plurisoggettivo: profili penalistici, in Diritto e salute, n. 10/2020, 40, secondo cui «l’originario modello di tutela della salute, concepito in una dimensione tipicamente individuale (…) è stato sostituito da un approccio plurisoggettivo ed interdisciplinare, coincidente con l’espandersi inarrestabile di procedure che prevedono l’intervento di una pluralità di sanitari in rapporti di cooperazione reciproca, ciascuno portatore di competenze specifiche». Cfr. in tema L. MATTHEUDAKIS, Prospettive e limiti del principio di affidamento nella “stagione delle riforme” della responsabilità penale colposa del sanitario, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 1120 e ss.

[4] V. Cass. pen. Sez. III 03.11.2021 (dep. 03.01.2022).

[5] Cfr. G. MARINUCCI – G. MARRUBINI, Profili penalistici del lavoro medico chirurgico in equipe, in Temi, 1968, 221 e ss., secondo cui la divisione del lavoro consente a ciascun medico di «dedicarsi ai compiti specifici del trattamento curativo con la dovuta esclusività e concentrazione».

[6] Cfr. L. RISICATO, Linee guida e colpa “non lieve” del medico, il caso delle attività di equipe, op. cit., 2069, secondo cui «la cooperazione fra sanitari fa sorgere, in particolare, rischi nuovi e diversi, essenzialmente derivanti d difetti di coordinamento e di informazione, da errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una visione d’insieme». V. altresì E. DE MURTAS, Il trattamento medico chirurgico diacronicamente plurisoggettivo: profili penalistici, op. cit., 45, secondo cui «l’attività medica plurisoggettiva ha carattere ambivalente, in quanto ne derivano pericoli non solo moltiplicati, essendo le condotte molteplici, ma anche nuovi e diversi rispetto a quelli tipici dell’attività monosoggettiva».

[7] Cfr. R. BARTOLI, Paradigmi giurisprudenziali della responsabilità medica. Punti fermi e tendenze evolutive in tema di causalità e colpa, in ID. (a cura di), Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche e d’impresa (un dialogo con la giurisprudenza), Firenze, 2010, 76 e ss., che con riferimento alle criticità nell’individuazione delle singole responsabilità menziona il rischio di «spersonalizzazione» dell’atto medico. V. altresì E. DE MURTAS, Il trattamento medico chirurgico diacronicamente plurisoggettivo, op. cit., 45, secondo cui «l’esito infausto è in genere la risultante di una molteplicità di prestazioni professionali interdipendenti, per cui l’attività curativa svolta in regime di plurisoggettività pone il problema di essere scomposta al fine di individuarne i vari atti ascrivibili a soggetti diversi».

[8] V. in tema D. CASTRONUOVO – L. RAMPONI, Dolo e colpa nel trattamento medico – sanitario, in S. RODOTA’ – P. ZATTI (diretto da), Trattato di biodiritto, La responsabilità in medicina, Milano, 2011, 991 e ss.; D. GUIDI, L’attività medica in equipe alla luce della recente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, in S. CANESTRARI – F. GIUNTA – R. GUERRINI – T. PADOVANI (a cura di), Medicina e diritto penale, Pisa, 2009, 213 e ss. Sul tema specifico della cooperazione diacronica v. L. CORNACCHIA, La cooperazione colposa come fattispecie di colpa per inosservanza di cautele relazionali, in Studi in onore di Mario Romano, II, Napoli, 2011, 821 e ss.; A. VALLINI, Cooperazione e concause in ipotesi di trattamento sanitario “diacronicamente plurisoggettivo”, Dir. pen. e proc., 2001, 477; A. GARGANI, Ubi culpa ibi omissio, La successione di garanti in attività inosservanti, in Ind. Pen., 2000, 581 e ss.; Id., Sulla successione nella posizione di garanzia, in Studium iuris, 2004, 909 e ss.; A. PALMA, La divisione del lavoro in ambito sanitario tra principio di affidamento e dovere di controllo, in Criminalia, 2009, 593.

[9] Cfr. D. GUIDI, L’attività medica in equipe alla luce della recente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, op. cit., 215; A. R. DI LANDRO, Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro medico d’equipe, in op. cit., 218; F. AMBROSETTI – M. PICCINELLI – R. PICCINELLI, La responsabilità nel lavoro medico d’equipe, Profili penali e civili, Torino, 2003, 101 e ss.

[10] In giurisprudenza ex multis Cass. pen. Sez. IV 2 marzo 2000 n. 9638, in Cass. pen., 2002, 574, secondo cui «gli operatori, medici e paramedici, di una struttura sanitaria sono tutti “ex lege” portatori di una posizione di garanzia – espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex art. 3 e 32 Cost.., nei confronti dei pazienti affidati, a diversi livelli, alle loro cure o attenzioni, e, in particolare, sono portatori della posizione di garanzia che va sotto il nome di posizione di protezione, la quale, com è noto, è contrassegnata dal dovere giuridico incombente al soggetto di provvedere alla tutela di un certo bene giuridico contro qualsivoglia pericolo atto a minacciarne l’integrità».

[11] In tema di valorizzazione della precedente attività pericolosa quale fonte dell’obbligo giuridico impeditivo dell’evento ex art. 40 cpv. c.p. v. A. GARGANI, Ubi culpa ibi omissio, op. cit., 625; G. BETTIOL – L. PETTOELLO – MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1986, 322.

[12] Sulla teoria del trifoglio v. G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale parte generale, Bologna, 2009, p597; G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979, 23 e ss.

[13] In tema di teoria sostanzialistico – funzionale v. F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova, 1975, 118 e ss.; G. GRASSO, Il reato omissivo improprio: la struttura obiettiva della fattispecie, Milano, 1983, 192 e ss.; F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Dir. pen. proc., 5/1999, 623 e ss.

[14] Cfr. G. GRASSO, ibidem, 242 e ss.; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, vol. 1, art. 1 – 84, Milano, 1995, 339.; G. MARINUCCI – F. DOLCINI, Diritto penale, Milano, 2018, 255 e ss.; T. PADOVANI, Diritto penale, Milano, 2019, 145 – 146; D. PULITANO’, Diritto penale, Torino, 2019, 193 e ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2015, 157 – 158.

[15] Sul punto v. A. GARGANI, Ubi culpa ibi omissio, op. cit., 597; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, 34 e ss.;

[16] Sulla problematica di sovrapporre obbligo giuridico ex art. 40 cpv. c.p. e obbligo di diligenza v. A. PALMA, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva: tra principio di affidamento e dovere di controllo, Jovene editore, 2016, 39, secondo cui «se è pur vero che il garante originario all’atto della cessione si spoglia della posizione di garanzia che ha quale contenuto l’obbligo di impedimento dell’evento, egli rimane comunque destinatario di un obbligo che muta il proprio contenuto: di rimozione dei fattori di rischio innestati dalla propria attività. Rimozione che, tuttavia, in assenza di poteri impeditivi diretti, deve avvenire in via mediata attraverso la compiuta rappresentazione al successore della situazione di pericolo (…) nonché delle caratteristiche e dei risultati della propria gestione».

[17] cfr. A. MASSARO, Principio di affidamento e “obbligo di vigilanza” sull’operato altrui: riflessioni in materia di attività medico chirurgica in equipe, in Cass. pen., n.11/2011, 3855 e ss., secondo cui «ogni premessa in materia di responsabilità penale dei membri di un’equipe medica è legata a doppio filo alla ricostruzione dell’ambito di operatività del c.d. principio di affidamento».

[18] Cfr. A. VALLINI, Cooperazione e concause in ipotesi di trattamento sanitario “diacronicamente plurisoggettivo”, op. cit., 477 e ss.; A. PALMA, La divisione del lavoro in ambito sanitario tra principio di affidamento e dovere di controllo, op. cit., 593.

[19] Prospettiva «fortemente antisolidaristica» secondo M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Milano, 1997, 42; F. AMBROSETTI – M. PICCINELLI – R. PICCINELLI, La responsabilità nel lavoro medico d’equipe, Profili penali e civili, Torino, 2003, 157.

[20] Cfr. A. VALLINI, Cooperazione e concause in ipotesi di trattamento sanitario “diacronicamente plurisoggettivo”, in op. cit., 2001, 480, secondo cui «la separazione specialistica di compiti consente, sul piano teorico, un’attività complessiva ben più spedita e funzionale rispetto alla bontà dell’esito, che non una farraginosa procedura ove tutti i partecipanti si intromettano nelle scelte altrui»; l’A. discorre altresì di «dovere di affidarsi al comportamento competente altrui, laddove questo “affidamento” risulti necessario ad ottimizzare i risultati organizzativi». Sul punto v. altresì A. PALMA, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva: tra principio di affidamento e dovere di controllo, op. cit., 55, la quale discorre di «dovere di affidarsi» nel senso che «l’affidamento è necessario, allo scopo di ottimizzare i risultati organizzativi, per cui, colui che partecipa ad un’attività svolta con divisione del lavoro, ha il dovere di affidarsi ai propri colleghi per poter esercitare al meglio le proprie mansioni».

[21] In tal senso v. L. RISICATO, L’attività medica di equipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco, l’obbligo di vigilare come regola cautelare, Giappichelli, Torino, 2013, 41.

[22] Sulla teoria del rischio consentito v. ex multis C. BRUSCO, Rischio e pericolo, rischio consentito e principio di precauzione, la c.d. flessibilizzazione delle categorie del reato, in Criminalia, 2012, 383 e ss.; C. PERINI, La legislazione penale tra “diritto penale dell’evento” e “diritto penale del rischio”, in Leg. pen., 2012, 117. Sul fondamento dogmatico del principio di affidamento v. M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., 68 e ss.; ID., Alcune puntualizzazioni sul principio di affidamento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 1054; F. MANTOVANI, Il principio di affidamento nel diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 538.

[23] Sulla relazione tra teoria del rischio consentito e ripartizione delle competenze v. S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale parte generale, Bologna, 2007, 729, secondo cui «il c.d. principio di affidamento vige come regola intersoggettiva primaria, ossia come principio criteriologico: ciascuno può e anzi deve far affidamento sul corretto comportamento altrui perché e nella misura in cui le sfere di competenza sono ab origine diverse». V. altresì L. CORNACCHIA, Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio, Torino, 2004, 489.

[24] Sul concetto di concretizzazione del rischio v. M. GALLO, Colpa penale (dir.vig.), Enc. Giur., VII, Milano, 1960, 642; G. MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, Milano, 1965, 272.

[25] Cfr. M. GRIMALDI, L’attività medico chirurgica in equipe: profili di rilievo penale, in Diritto e formazione, n.2/2006, 232 e ss., secondo cui il principio di affidamento si fonda sul principio di autoresponsabilità e «persegue la duplice finalità di conciliare il principio della responsabilità personale con la specializzazione e la divisione dei compiti, nonché di consentire il migliore adempimento, liberi dalla preoccupazione di controllare l’altrui operato, delle proprie mansioni, nell’interesse degli stessi destinatari dell’attività». Sul principio di autoresponsabilità cfr. F. ALBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, Milano, 1984, 154 e ss.; F. MANTOVANI, Il principio di affidamento nel diritto penale, op. cit., 543.

[26] Cfr. A. MASSARO, Principio di affidamento e “obbligo di vigilanza” sull’operato altrui: riflessioni in materia di attività medico chirurgica in equipe, op. cit., 3855 e ss.; M. GRIMALDI, L’attività medico chirurgica in equipe: profili di rilievo penale, op. cit., 232 e ss.; L. RISICATO, L’attività medica di equipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco, l’obbligo di vigilare come regola cautelare, op. cit., 41 e ss.; L. GIZZI, Orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità medica d’equipe, in Dir. pen. e proc., n.6/2006, 753 e ss.; M. MIGLIO – F. FERRI, Trattamento medico plurisoggettivo diacronico e profili di relazionalità dell’elemento colposo, in Riv. pen., n.5/2015, 48 e ss.

[27] In dottrina cfr. F. ALBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, op. cit., 150 e ss., secondo cui «una responsabilità per comportamenti illeciti di terze persone deve considerarsi eccezionale e, pertanto, quando la norma cautelare non vi faccia esplicito riferimento, deve essere esclusa, tale regola, oltre che nel principio generalissimo del “favor rei”, trova il suo specifico fondamento nella circostanza che, in un ordinamento come il nostro, basato sulla natura personale della responsabilità penale, quando la produzione di un evento lesivo costituisce il risultato delle condotte di più soggetti, ciascuno dei quali è capace di autodeterminarsi in maniera responsabile (…) si può individuare una corrispondente delimitazione delle rispettive sfere di responsabilità».

[28] Sul punto F. LOMBARDI, Il principio di affidamento nel trattamento sanitario d’equipe, in Giur. pen., 7/8, 2018, nota a Cass. sez. IV 18.5.2018 (ud. 23.01.2018) n. 22007, 2 e ss., afferma che la configurabilità di una responsabilità per fatto altrui rischia di divenire una responsabilità da posizione per la sola partecipazione al team d’equipe.

[29] V. ex multis Cass. sez. IV 06.02.2015 n. 30991 in Riv. it. med. leg. 4/2015 n.1592; Cass. sez. IV 30.06.2021 n.24895 in https://onelegale.wolterskluwer.it/; Cass. sez. IV 16.07.2015 n.30991, ibidem; Cass. sez. IV 03.02.2021 n.5806, ibidem; Cass. sez. IV 11.12.2020 n.4063 ibidem; Cass. sez. IV 18.12.2020 n.33230 ibidem; Cass. sez. IV 12.10.2020 n.28316, ibidem.  

[30] cfr. A. MASSARO, Colpa penale e attività plurisoggettive nella più recente giurisprudenza: principio di affidamento, cooperazione colposa e concorso colposo nel delitto doloso, in La legislazione penale eu, n.5/2020, 5, «se l’effettiva portata di un principio può misurarsi solo tenendo conto del numero e dell’ampiezza delle eccezioni che rispetto allo stesso si ritenga di dover ammettere, l’impressione era quella per cui, lungi dal rappresentare le proverbiali eccezioni che confermano la regola, i limiti (…) all’operatività del legittimo affidamento finissero per fagocitare (e paralizzare) il preteso principio». Cfr. altresì P. F. POLI, Attività medica in equipe: c’è spazio per il principio di affidamento?, nota a Cass. pen. sez. IV n.28316 del 12.10.2020 (ud. 29 settembre 2020), in Giurisprudenza italiana, maggio 2021, 1206, secondo cui la giurisprudenza adotta un approccio da cui si enuclea un «principio di diffidenza o di c.d. sfiducia» sulla correttezza dell’operato altrui.

[31] cfr. G. A. DE FRANCESCO, L’imputazione della responsabilità penale in campo medico – chirurgico: un breve sguardo d’insieme, in Riv. it. med. leg., 2012, 953 e ss.

[32] Espressione utilizzata da G. MARINUCCI – G. MARRUBINI, Profili penalistici del lavoro medico chirurgico in equipe, op. cit., 217 e ss.; F. MANTOVANI, La responsabilità del medico, in Riv. it.med. leg., 1980, 21;

[33] Sul principio di affidamento c.d. temperato o relativo cfr. A. PALMA, La divisione del lavoro in ambito sanitario tra principio di affidamento e dovere di controllo, op. cit., 592 e ss.

[34] Esemplificativa l’espressione di M. MIGLIO – F. FERRI, Trattamento medico plurisoggettivo diacronico e profili di relazionalità dell’elemento colposo, op. cit., 48 e ss. V. altresì A. MASSARO, Colpa penale e attività plurisoggettive nella più recente giurisprudenza: principio di affidamento, cooperazione colposa e concorso colposo nel delitto doloso, op. cit., 3, secondo cui, sul principio di affidamento, «il riconoscimento del principio come regola di carattere generale nelle attività pericolose cui prende parte una pluralità di soggetti, in effetti, è stato accompagnato fin da subito dall’individuazione di eccezioni rispetto a quella regola, volte ad impedire che la stessa divenisse lo strumento per veicolare poco auspicabili effetti deresponsabilizzanti».

[35] Sulla valorizzazione del limite della riconoscibilità dell’altrui inosservanza, quale limite all’assolutezza del principio di affidamento, v. M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., 14.

[36] In questi termini v. L. GIZZI, Orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità medica d’equipe, op. cit., 753 e ss., secondo cui il principio di affidamento, letto alla luce del limite della riconoscibilità dell’errore altrui evidente e non settoriale, concilia «il principio della personalità della responsabilità penale con il fenomeno, tipico in ambito medico, della crescente specializzazione e divisione del lavoro». Sull’obbligo di emendare all’errore altrui in giurisprudenza ex multis Cass. pen. sez. IV del 23.01.2018 n.22007 secondo cui «il principio secondo cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori, che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi d’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti».

[37] Sul concetto di obblighi relazionali cfr. C. CANTAGALLI, Brevi cenni sul dovere secondario di controllo e sul rilievo dello scioglimento anticipato dell’equipe in tema di responsabilità medica, in Cass. pen., 2006, 2841. Sul punto v. altresì L. CORNACCHIA, Responsabilità penale da attività sanitaria in equipe, in Riv. it. med. leg., n.3/2013, 1219 e ss., il quale discorre del «carattere relazionale della colpa in contesti plurisoggettivi, in cui l’esito infausto del trattamento dipende non tanto da errori individuali m da errori di gruppo derivanti d difetto di coordinamento e di comunicazione tra sanitari».

[38] Sulla distinzione tra obbligo primario e obbligo secondario in capo al sanitario cfr. L. RISICATO, L’attività medica in equipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco, L’obbligo di vigilare come regola cautelare, Giappichelli, Torino, 2013, 41 e ss., secondo cui «il primo si identificherebbe, ma si esaurirebbe, nel puntuale e corretto assolvimento dei compiti del singolo; il secondo avrebbe invece ad oggetto la sorveglianza dell’altrui operato e sarebbe solo eventuale, dovendo semmai sorgere nelle circostanze in cui sia ragionevole supporre – in rapporto alle caratteristiche del caso concreto – il venir meno della fiducia nell’altrui operato»; cfr. altresì P. PIRAS – G. P. LUBINU, L’attività medica plurisoggettiva tra affidamento e controllo reciproco, in Aa. Vv., Medicina e diritto penale, di S. CANESTRARI – F. GIUNTA – R. GUERRINI – T. PADOVANI (a cura di), ETS, Pisa, 2009, 308.

[39] Cfr. R. ORLANDI, Concorso nel reato e tipicità soggettiva eterogenea, il concorso colposo nel reato doloso, in Arch. pen., 2/2020, 15, secondo cui «quando il comportamento del terzo appare non affidabile perché costui non può o non vuole rispettare le regole di diligenza, è necessario un surplus di cautela (…) in questo caso, la regola prudenziale si espande, facendo sorgere un nuovo obbligo cautelare, che ha l’obiettivo di prevenire il comportamento scorretto del terzo».

[40] Cfr. A. MASSARO, Responsabilità penale del medico – colpa e causalità nella responsabilità penale del medico di base, nota a Cass. pen. sez. IV 14.12.2017 n.3869, in Giur. it., n.7, 01.7,2018, 1695 e ss. secondo cui «il principio di affidamento può essere invocato solo da chi si sia conformato alle regole cautelari di cui è diretto destinatario e non già da chi abbia tenuto una condotta negligente».

[41] Sulla distinzione in esame v. F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, I, La fattispecie, Padova, 1993, 96, secondo cui «la posizione di garanzia indica il dovere di agire e il bene nei cui confronti l’azione deve svolgere la propria funzione di tutela; il dovere di diligenza (come specificato dalla regola prudenziale che lo completa) indica le modalità del comportamento imposto dalla posizione di garanzia».

[42] Esemplificativa l’espressione di L. COZZOLINO, La posizione di garanzia del medico e l’imputazione dell’evento estraneo alla sua sfera di competenza professionale, tra particolarismi ed esigenze sistematiche, in Dir. pen. cont., 10/2017, 110, nota a Cass. pen. sez. IV 7.01.2016 (dep. 18.01.2016) n. 1846, secondo cui, sul punto, «si tratta di un’inversione metodologica molto diffusa – come sembrerebbe mostrare il frequente impiego del sintagma ‘colpa omissiva’ – che scaturisce dalla comune base ‘normativa’ dell’omissione e della colpa».

[43] Sul punto A. MASSARO, Colpa penale e attività plurisoggettiva nella più recente giurisprudenza, op. cit., 12, ritiene che «il rischio di una responsabilità oggettiva (…) occulta nel caso di “interferenza” tra più condotte (…) può essere evitato (…) insistendo nella distinzione tra obbligo di garanzia e obbligo di diligenza oppure valorizzando la funzione di filtro che già la posizione di garanzia sarebbe in grado di assolvere (con particolare riguardo alle organizzazioni complesse».

[44] Cfr. M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., 139, secondo cui «punto di partenza (…) deve essere l’assunto (…) che al fatto realizzato colposamente sia essenziale una componente omissiva (…) ciò che viene omesso è (…) l’impiego della diligenza richiesta onde evitare lesioni dei beni giuridici di volta in volta protetti».

[45] Espressione di G. FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, Milano, 1990, 282. Sui rapporti tra principio di affidamento e responsabilità colposa cfr. A. MASSARO, Colpa penale e attività plurisoggettive nella più recente giurisprudenza: principio di affidamento, cooperazione colposa e concorso colposo nel delitto doloso, op. cit., 13, secondo cui «il principio di affidamento rappresenta il confine oltre il quale sussiste la compartecipazione criminosa nel fatto colposo o, se si preferisce, la cooperazione colposa costituisce una deviazione rispetto al principio di affidamento e di autoresponsabilità».

[46] Cfr. A. PALMA, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva, op. cit., 40, la quale evidenzia come «alla sostanzialmente unanime adesione dottrinale e giurisprudenziale alla concezione normativa della colpa non ha fatto da pendant un compiuto approfondimento dei criteri di individuazione delle regole cautelari»; v. altresì D. CASTRONUOVO, La colpa penale, Milano, 2009, 28 e ss.; F. GIUNTA, La normatività della colpa penale, lineamenti di una teorica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 86 e ss.

[47] Cfr. F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, op. cit., 92 e ss.; M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., 138 e ss.; M. DONINI, La causalità omissiva e l’imputazione “per aumento del rischio”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 32 e ss.

[48] Cfr. A. PALMA, La divisione del lavoro in ambito sanitario tra principio di affidamento e dovere di controllo, op. cit., 599, secondo cui «la funzione del principio di affidamento è proprio quella di “modellare” la tipicità del fatto colposo nelle situazioni plurisoggettive, escludendo, come regole, la configurabilità di obblighi diretti al comportamento di terzi»; R. ORLANDI, Concorso nel reato e tipicità soggettiva eterogenea, il concorso colposo nel reato doloso, in Arch. pen., 2/2020, 15, secondo cui «tale principio, non codificato, ma elaborato nell’ambito del reato colposo (…) serve come parametro di diligenza e di cautela».

[49] In questi termini A. MASSARO, Colpa penale e attività plurisoggettive nella più recente giurisprudenza: principio di affidamento, cooperazione colposa e concorso colposo nel delitto doloso, op. cit., 10.

[50] In giurisprudenza ex multis Cass. pen. sez. IV, 06.02.2015 n.30991, in Riv. it. med. leg., n.4/2015, 1592. Sul punto V. AMENDOLAGINE, La responsabilità professionale dell’equipe sanitaria derivante da medical malpractice, in Danno e resp., n.4/2021, 517, discorre di un vero e proprio «principio del c.d. controllo reciproco».

[51] Cfr. S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, parte generale, II ed., Bologna, 2017, 808, secondo cui «gli obblighi relazionali esprimono l’idea normativa di accessorietà: la responsabilità colposa dipende infatti dalla violazione di cautele che non stanno in connessione immediata con l’evento lesivo, ma che sono dirette al controllo di attività di altri e di meccanismi eziologici da queste attivati».

[52] Cfr. M. DI FLORIO, La cooperazione nel delitto colposo: una fattispecie con una (problematica) funzione incriminatrice, in Arch. pen., n.1/2021, 30, secondo cui «la giurisprudenza con un’interpretazione “creativa” prevede che in ipotesi di cooperazione multidisciplinare (sia essa “sincronica” o “diacronica”), i sanitari siano gravati da obblighi di controllo reciproco (rectius: di sorveglianza) sull’altrui operato, sebbene siffatti obblighi siano privi di poteri impeditivi dell’evento, a differenza degli obblighi di garanzia, con l’ulteriore conseguenza di assumere una valenza onnicomprensiva, non sempre rispettosa dei principi di stretta legalità e di personalità della responsabilità penale».

[53] Sul punto v. l’analisi esemplificativa di A. PALMA, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva: tra principio di affidamento e dovere di controllo, op. cit., 14, secondo cui «frutto, probabilmente, della ricorrente confusione concettuale tra il c.d. momento omissivo della colpa e la causalità omissiva, l’uso “improprio” del termine garante ha finito per entrare nel lessico comune, identificando, quindi, anche ipotesi in cui vengono in gioco condotte omissive, riconducibili alla causalità attiva». Sul punto v. altresì L. CORNACCHIA, Competenze ripartite: il contributo dei criteri normativi all’individuazione dei soggetti penalmente responsabili, in Ind. Pen., 2013, 249 e ss., secondo cui per superare tale confusione terminologica sarebbe necessario una rilettura della definizione del termine “garante” sulla base del concetto di “rischio”, rectius da “garante” a “competente”.

[54] Emblematica l’espressione di E. BELFIORE, Profili penali dell’attività medico chirurgica in equipe, in Arch. pen., 1986, 270. V. altresì sul punto A. VALLINI, Colpa medica, concause sopravvenute e competenza per il rischio: qualcosa di nuovo, forse d’antico, in Dir. pen. proc., 12, 1.12.2015, 1545 e ss., secondo cui trattasi di un «perverso meccanismo» in quanto nel settore medico «le posizioni di garanzia sono potenzialmente indeterminate e soggette a pressioni espansive, in quanto riferite a beni finali di primario rilievo e di amplissimo spettro (la salute del paziente), senza alcuna precisazione di dettaglio (tutela della salute da quali rischi?), né modali (con quali condotte?), e sono dunque votate a ricevere passivamente sostanza da regole precauzionali prevalentemente di colpa generica, a loro volta le più variabili e adattabili in ragione dell’evento».

[55] Cfr. G. DE FRANCESCO, Brevi riflessioni sulle posizioni di garanzia e sulla cooperazione colposa nel contesto delle organizzazioni complesse, in La Leg. pen. eu, 2/2020, 5, secondo cui «il difettoso assolvimento di compiti inerenti ad un siffatto ruolo di garanzia tende a partecipare di una logica analoga a quella omissiva, sia nel caso di una carenza di intervento tout court, sia in quello di attività difformi da quella riconducibile alle incombenze richieste (…) le azioni non in linea con quanto richiesto dalle qualifiche funzionali in cui dette posizioni si inscrivono finiscono anch’esse col denotare la mancata osservanza, per l’appunto, dei poteri – doveri inerenti al ruolo proprio del relativo ‘garante’, in un rapporto sistematicamente del tutto affine e complementare rispetto ai momenti ‘omissivi’ degli adempimenti richiesti».

[56] In giurisprudenza ex multis Cass. pen. sez. IV 03.02.2021 n.5806; Cass. pen. sez. IV 11 12 2020 n. 4063; Cass. pen. sez. IV 18.11.2020 n.33230;

[57] cfr. A. MALINVERNI, Il rapporto di causalità e il caso, in Riv. it. dir. proc. pen. 1959, 71 e ss.; G. DE FRANCESCO, Diritto penale, I fondamenti, Torino, 2011, 232 e ss.; F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Torino, rist., 1960, 178 e ss.; A. MASSARO, Responsabilità penale del medico – colpa e causalità nella responsabilità penale del medico di base, op. cit., 1695 e ss.

[58] Cass. pen. SS. UU., 10 luglio 2002 (dep.11 settembre 2002) n.30328, Franzese, in CED, rv. 222138.

[59] Per quanto concerne gli spunti ermeneutici dell’art. 41 c.p. v. la distinzione tra causalità autonoma e causalità sorpassante A. MALINVERNI, Il rapporto di causalità e il caso, op. cit., p. 71, secondo cui l’accertamento della causalità in concreto deve muovere dalla prova negativa di decorsi causali alternativi ed autonomi, che di per sé soli possono fornire una spiegazione esauriente della condotta.

[60] Cfr. A. VALLINI, Colpa medica, concause sopravvenute e competenza per il rischio: qualcosa di nuovo, anzi d’antico, in Dir. pen. e proc., n.12, 01.12.2015, 1537, nota a Cass. pen. sez. IV n.33329 del 05.05.2015, il quale richiama «l’estensione funzionale» dell’istituto della posizione di garanzia, elaborato per la responsabilità omissiva ma valido anche per la responsabilità commissiva; A. MASSARO, Responsabilità penale del medico – colpa e causalità nella responsabilità penale del medico di base, op. cit., 1695 e ss., afferma che il settore della responsabilità medica testimonia «una progressiva riscrittura sistematica della fattispecie oggettiva dei reati colposi di evento proprio attraverso la lente del rischio».

[61] Cfr. A. MASSARO, Responsabilità penale del medico – colpa e causalità nella responsabilità penale del medico di base, op. cit., 1695 e ss., secondo cui «di indubbio interesse appare la metamorfosi che sembra stia interessando la causa sopravvenuta di cui al capoverso dell’art. 41 co.2 c.p. Il fattore eccezionale, in effetti, non è solo definito, in maniera insidiosamente tautologica, come “quella di rarissima verificazione”, secondo una formula che, lambendo i confini della prevedibilità/imprevedibilità, si presta a veicolare possibili sovrapposizioni con il piano della colpa: sempre più spesso la giurisprudenza precisa che deve trattarsi di una causa sopravvenuta che inneschi un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto a quello attivato dalla prima condotta, o, comunque, estranea alla sfera di rischio gestita dal garante»; A. VALLINI, Colpa medica, concause sopravvenute e competenze per il rischio: qualcosa di nuovo, forse d’antico, in Dir. pen. proc., 12, 1.12.2015, 1542, secondo cui «la teoria dei nessi di rischio ambisce ad arginare le pressioni espansive di una responsabilità che, in certi settori – come il diritto penale del lavoro o, appunto, della medicina – tende a tracimare e a invadere gli spazi di tutto ciò che astrattamente e potenzialmente si poteva “prevedere” (…) se non altro astenendosi da quel comportamento o inibendo comportamenti altrui»; F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, op. cit., 209 e ss. In giurisprudenza v. Cass. Sez. IV 6.6.2017 n.33770, in Guida dir., 44/2017, 82; Cass. pen. sez IV 16.5.2017 n.28010, in Guida dir., 38/2017, 68; Cass. pen. Sez IV 5.5.2015 n.33329, in Guida dir., 40/2015, 73.

[62] Sul punto la riflessione di A. MASSARO, Responsabilità penale del medico – colpa e causalità nella responsabilità penale del medico di base, op. cit., 1695 e ss., secondo cui il garante, non importa se anche omittente, deve identificarsi con il gestore del rischio.

[63] Cfr. A. MASSARO, Responsabilità penale del medico - colpa e causalità nella responsabilità penale del medico di base, op. cit., 1695 e ss.

[64] V. sul punto l’analisi di A. SCARCELLA, Infermiere disattiva l’allarme delle crisi cardiache e il paziente muore: condannata, nota a Cass. sez. III sent. 03.01.2022 n.1, in Quot. Giur., 14.02.2022. In giurisprudenza ex multis v. Cass. pen. Sez. IV 30.06.2021 n.24895; Cass. pen. Sez. IV 16.07.2015 n.30991 in https://onelegale.wolterskluwer.it/.

[65] In giurisprudenza ex multis v. Cass. 15 novembre 2013 n. 1194 in Dir. e giust. 15.1.2014 con nota di GALASSO, secondo cui per escludere la continuità nelle posizioni di garanzia, la condotta sopravvenuta deve aver inciso in modo tale sul decorso causale da rendere la situazione di pericolo (id est rischio) non più riconducibile al precedente garante, innovando la situazione di rischio.

[66] I giudici di legittimità richiamano espressamente l’interpretazione consolidatasi in materia di colpa professionale Cass. pen. sez. IV 30 giugno 2021 n. 24895; Cass. pen. sez. IV 16 luglio 2015 n. 30991, in https://onelegale.wolterskluwer.it/.

[67] V. precedente conforme Cass. sez. IV n. 2764 del 26.03. 1983 in https://onelegale.wolterskluwer.it/.

 

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