Pubbl. Sab, 31 Ott 2015
Il ruolo della saggezza pratica Aristotelica nel dibattito classico sul fondamento della legge.
Modifica paginaLa legge e il suo fondamento secondo il pensiero aristotelico
Nel mondo greco ed in particolare nelle tesi della riflessione etica aristotelica, esiste una forma di pensiero specificamente rivolta alla prassi, che si distingue dal pensiero teorico e dalla tecnica non solo per i risultati cui da origine (azioni, e non già giudizi teorici o oggetti artificiali), ma anche per i metodi che impiega e per i criteri di validità che applica.
Tale idea viene a porsi a mezza via tra la saggezza del filosofo, la prudenza e l’accortezza dell’uomo politico, ed il “saper vivere” dell’uomo ben educato.
Questo sapere pratico, che denominiamo “Phronesis” in assenza di un termine adatto all’interno del nostro vocabolario, consisteva nelle elaborazioni di Platone ed Aristotele in quella tipologia di sapere adatto al cittadino che agisce moralmente all’interno della città.
L’inevitabile punto di contatto tra questo modello di pensiero ed il dibattito giuridico secolare attorno alla validità delle leggi, è rappresentato in prima battuta dalle dissertazioni di tale Isocrate, maestro di retorica Ateniese e profondo oppositore delle posizioni sofiste, accademiche e presocratiche. Secondo il retore, la variabilità delle cose umane rende impossibile un agire del tutto lineare e sicuro, basato su di una regola totalmente razionale, cioè passiva e valida per ogni singolo caso.
o stesso Platone afferma che una regola simile risulta essere piuttosto difficile da raggiungere, anche se non del tutto impossibile. Caratteristica tipica della morale dell’epoca è infatti l’idea che i problemi della vita pratica debbano essere risolti in maniera buona ed efficace attraverso l’uso di una forma di pensiero particolare, specificamente legata alla prassi.
Tale idea non condiziona ed indirizza gli sforzi dei soli filosofi, ma viene in rilievo anche in relazione alla figura del legislatore, al momento della predisposizione delle leggi “migliori”. A ben vedere, dunque, non è lo stesso ricercare la soluzione di problemi etici e pratici nella determinazione di una norma, o di una massima universale ed assoluta, nell’indicazione di una serie di contenuti, giudizi ed imperativi buoni, oppure nell’individuazione di una forma di pensiero particolarmente e spiccatamente rivolta alla prassi.
Partendo quindi dal dato innegabile della condizionatezza dell’uomo sulla terra, questa consapevolezza portò inevitabilmente nel mondo antico all’indagine su quale potesse essere, in queste condizioni immodificabili, un criterio del buon agire umano, cioè di un agire moralmente lodevole e che avesse alte probabilità di successo.
Inoltre, come corollario a questo tipo di ricerca prettamente dialettica, si poneva il problema di se e come tale agire potesse essere positivizzato (per usare un termine moderno) in vere e proprie leggi emanate da un legislatore.
Il problema della difficoltà di compiere scelte singole viene preso in considerazione da Platone nel “Politico”, in relazione al problema della legge ed in connessione con una idea di scienza politica esatta e rigorosa.
Nell’opera, lo straniero di Elea a colloquio con il filosofo, sostiene -generando in Platone grande stupore - che chi possiede la vera “phronesis” governa bene la città, sia secondo le leggi che senza le leggi. Egli spiega come le leggi, in quanto proposizioni universali, non possano essere soggette ad applicazione nei casi singoli: “in un certo modo è chiaro che la legislazione è parte dell’arte regia, ma la cosa migliore è che abbiano forza non tanto e non solo le leggi, ma l’uomo regale dotato di saggezza; la legge non potrebbe mai ordinare con esattezza la cosa migliore comprendendo in se ciò che è più buono o più giusto per tutti, infatti le differenze degli uomini e delle azioni, il fatto che mai nessuna delle cose umane resta in immobile riposo, non permettono che si enunci una norma semplice e valida in ogni caso ed in ogni tempo.”
Per queste ragioni le leggi, cioè norme generali ed astratte per definizione, non hanno lo stesso valore dell’arte regia. Esse al massimo risultano utili come ripiego, e quando vengono accettate devono essere concepite nel modo più dettagliato possibile, spettando poi ai giudici di applicarle ai casi particolari. Il giudice, in questa versione, deve venire a soccorso del legislatore, il quale come un pittore deve dare uno schizzo delle opere che rientrano nelle norme scritte.
Le leggi, sono per Platone quello che le regole pratiche sono per Isocrate: valide solo in via generale e nella maggioranza dei casi. Ma a differenza di Isocrate, al di la di esse c’è una pratica rigorosa basata sulla conoscenza della struttura metafisica della realtà.
Nell’elaborazione aristotelica di questo concetto, e più in generale della specifica forma di conoscenza rappresentata dalla saggezza pratica o comunque dalla prassi, la phronesis viene a configurarsi come vera e propria virtù, al pari di molte altre. “Per quanto riguarda la virtù, la cosa più importante non è conoscerla, ma sapere da cosa deriva. In effetti, non vogliamo sapere cosa è il coraggio, ma essere coraggiosi, ne cos’è la giustizia, ma essere giusti, proprio come vogliamo essere sani senza necessariamente sapere cosa sia essere sani”.
In quest’ottica, il pensiero giuridico di Aristotele risuona ancora la sua eco contemporanea, fino a rappresentare senza dubbio un interessante punto di partenza per moderni dibattiti circa l’oggetto e la validità dell proposizioni legislative.
Le leggi della città, secondo l’impostazione del filosofo, danno prescrizioni valide solo in astratto, con una chiara ripresa dei termini platonici. Le leggi sono infatti tutte universali, eppure riguardano cose delle quali non è lecito parlare in universale, dato che la prassi non può che riguardare azioni singole. Quindi esse colgono solo la maggior parte dei casi, contrariamente alla pretesa di abbracciarli al loro interno tutti, senza distinzioni.
L’obiettivo di Aristotele è quello di costruire una forma di sapere filosofico ed anche giuridico rivolto alla prassi, che si distingua dal ragionamento pratico dell’uomo che agisce e non cerchi di porsi come una riflessione scientifica o sociologica sull’azione umana.
In definitiva, sul piano delle leggi, ciò che si realizza in questo pensiero è una inversione del modello di determinazione di una norma vincolante: non più un procedimento di astrazione dal generale al particolare, ma bensì un meccanismo induttivo che dalla prassi giunga a contemplare delle regole in grado di adattarsi praticamente alla situazione stessa dalla quale si originano.