Osservatorio di Giurisprudenza amministrativa - Gennaio-Marzo 2022
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Luana Leo
Osservatorio trimestrale relativo alle principali sentenze emesse dalla Corte costituzionale, dai Tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato in tema di Giurisprudenza amministrativa. Periodo Gennaio-Marzo 2022.
Indice: 1) Appalti pubblici - Norme della Regione Piemonte - Disposizioni applicabili sino al termine dell'emergenza sanitaria [Covid-19] e, comunque, fino al 31 dicembre 2020; 2) Contratti della Pubblica amministrazione – Soccorso istruttorio; 3) Amministrazione pubblica - Norme della Regione Siciliana - Norme in materia di enti locali - Conferimento di incarichi di collaborazione a estranei all'amministrazione; Altre pronunce in Rassegna.
SENTENZE IN PRIMO PIANO
1) Appalti pubblici - Norme della Regione Piemonte - Disposizioni applicabili sino al termine dell'emergenza sanitaria [Covid-19] e, comunque, fino al 31 dicembre 2020.
Corte cost., 24 novembre 2022, dep. 14 gennaio 2022, n. 4 – Pres. Coraggio – Rel. De Petris – (rif. art. 75 della legge della Regione Piemonte 09 luglio 2020, n. 15).
(omissis)
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso notificato il 25-28 agosto 2020, depositato il 28 agosto 2020 e iscritto al n. 71 del registro ricorsi 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 75 della legge della Regione Piemonte 9 luglio 2020, n. 15 (Misure urgenti di adeguamento della legislazione regionale - Collegato). La disposizione regionale violerebbe pertanto l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione ai citati parametri interposti.
Sarebbe violato anche l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., per invasione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza. L’impugnato art. 75 introdurrebbe, infatti, criteri premiali di valutazione delle offerte in contrasto con l’art. 30 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), secondo cui nell’affidamento degli appalti e delle concessioni le stazioni appaltanti devono rispettare i principi di libera concorrenza e non discriminazione e non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici.
L’illegittimità costituzionale non si potrebbe escludere invocando l’art. 1, comma 1, lettera d), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), che aveva previsto la «valorizzazione delle esigenze sociali e di sostenibilità ambientale, mediante introduzione di criteri e modalità premiali di valutazione delle offerte nei confronti delle imprese che, in caso di aggiudicazione, si impegnino, per l’esecuzione dell’appalto, a utilizzare anche in parte manodopera o personale a livello locale».
La Regione Piemonte si è costituita in giudizio con memoria depositata il 28 settembre 2020, concludendo per la non fondatezza delle questioni.
La stessa Regione ha poi depositato il 29 ottobre 2021 una memoria illustrativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’istanza della Regione non può essere accolta. Né la cessazione di efficacia della disposizione per lo spirare del termine, né la sua asserita non applicazione medio tempore – peraltro non dimostrata, in quanto il documento prodotto dalla Regione si limita ad attestare il risultato negativo di un mero controllo a campione dei bandi di gara – determinano il sopravvenuto difetto dell’interesse al ricorso.
La questione riferita all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. è fondata.
L’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020 – attribuendo ai «soggetti aggiudicatori della Regione» il potere di prevedere criteri premiali di valutazione delle offerte a favore degli operatori economici che si impegnino a utilizzare in misura prevalente manodopera o personale a livello regionale – è idoneo a produrre effetti diretti sull’esito delle gare e, indirettamente, sulla scelta degli operatori economici in ordine alla partecipazione alle stesse, incidendo in questo modo sulla concorrenzialità nel mercato. Dall’introduzione dei detti criteri premiali, infatti, possono derivare conseguenze sulla minore o maggiore possibilità di accesso delle imprese al mercato regionale dei contratti pubblici. La disposizione regionale impugnata si pone inoltre in contrasto con l’esigenza di assicurare procedure di evidenza pubblica uniformi su tutto il territorio nazionale, in modo che siano rispettati i principi di libera concorrenza e di non discriminazione ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in avanti: codice dei contratti pubblici). Quest’ultima disposizione – assunta dal ricorrente a norma interposta – prevede infatti che, «[n]ell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano […] i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità» (comma 1) e «non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici» (comma 2).
La possibilità di introdurre, anche in via transitoria, criteri premiali di valutazione delle offerte per far fronte alle ineludibili esigenze sorte dall’emergenza sanitaria è dunque riservata allo Stato, cui spetta in generale, nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza, definire il punto di equilibrio tra essa e la tutela di altri interessi pubblici con esso interferenti (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2020 e n. 30 del 2016, con riferimento al libero esercizio dell’attività di trasporto), come quelli sottesi al raggiungimento di «obiettivi di politica sociale […], di tutela dei lavoratori, di sostegno al reddito e alle imprese», che l’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020 dichiara di perseguire.
L’art. 1, comma 1, lettera d), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), include, tra i princìpi e i criteri direttivi dettati al Governo per l’adozione del nuovo codice dei contratti pubblici, la «valorizzazione delle esigenze sociali e di sostenibilità ambientale, mediante introduzione di criteri e modalità premiali di valutazione delle offerte nei confronti delle imprese che, in caso di aggiudicazione, si impegnino, per l’esecuzione dell’appalto, a utilizzare anche in parte manodopera o personale a livello locale ovvero in via prioritaria gli addetti già impiegati nel medesimo appalto, in ottemperanza ai princìpi di economicità dell’appalto, promozione della continuità dei livelli occupazionali, semplificazione ed implementazione dell’accesso delle micro, piccole e medie imprese, tenendo anche in considerazione gli aspetti della territorialità e della filiera corta e attribuendo un peso specifico anche alle ricadute occupazionali sottese alle procedure di accesso al mercato degli appalti pubblici, comunque nel rispetto del diritto dell’Unione europea».
Inoltre, il già citato art. 30 del codice dei contratti pubblici, dopo avere affermato che «[l]’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, […] si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza» (comma 1, primo periodo), precisa che «[i]l principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico» (comma 1, terzo periodo).
Né dall’una, né dall’altra delle richiamate disposizioni è tuttavia possibile trarre argomenti a sostegno della non illegittimità costituzionale dell’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020, assumendo, come prospetta la Regione, che il suo contenuto si porrebbe in linea, nella sostanza, con gli obiettivi sociali perseguiti dal legislatore statale.
P.Q.M.
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 75 della legge della Regione Piemonte 9 luglio 2020, n. 15 (Misure urgenti di adeguamento della legislazione regionale - Collegato).
Il principio di diritto: la possibilità di introdurre, anche in via transitoria, criteri premiali di valutazione delle offerte per risolvere le ineludibili esigenze sorte dall’emergenza sanitaria è riservata allo Stato, cui spetta in generale, nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza, tracciare il punto di equilibrio tra essa e la tutela di altri interessi pubblici con esso interferenti.
Il caso ed il processo: con un ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 75 della legge della Regione Piemonte 9 luglio 2020, n. 15. In particolare, l’art. 75 della legge reg. Piemonte n. 15 del 2020 contrasterebbe con i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza affermati agli artt. 3, 49 e seguenti, 101, 102 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130.
La soluzione resa dalla Corte: il Giudice delle Leggi ha accolto il ricorso e dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale in commento, dal momento che “si pone in contrasto con l’esigenza di assicurare procedure di evidenza pubblica uniformi su tutto il territorio nazionale, in modo che siano rispettati i principi di libera concorrenza e di non discriminazione ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016 (codice dei contratti pubblici)”. Quest’ultima disposizione, infatti, prevede che, “nell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano […] i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità” (comma 1); pertanto, “non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici” (comma 2).
Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: in ordine al giudizio promosso in via principale, la giurisprudenza costituzionale ha ammesso che il predetto è giustificato dalla mera pubblicazione di una legge che si ritenga lesiva della ripartizione di competenze, a prescindere dagli effetti che essa abbia o non abbia prodotto consistendo l’interesse attuale e concreto del ricorrente esclusivamente nella “tutela delle competenze legislative nel rispetto del riparto delineato dalla Costituzione” (Corte cost., n. 156 del 2021; Corte cost., n. 166 del 2019; Corte cost., n. 195 del 2017; Corte cost., n. 262 del 2016).
In relazione alla nozione di concorrenza, la Consulta è costante nel sostenere che essa debba riflettere quella operante in ambito europeo (Corte cost., n. 83 del 2018; Corte cost., nn. 291 e 200 del 2012; Corte cost., n. 45 del 2010).
Sulla tema della tutela della concorrenza, si veda L. Buffoni, La “tutela della concorrenza” dopo la riforma del Titolo V: il fondamento costituzionale ed il riparto di competenze legislative, in Istituzioni del federalismo: rivista di studi giuridici e politici, n. 2, 2003; M. Libertini, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, in Riv. it. degli economisti, n. 1, 2015; A. Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri profili di diritto amministrativo nella disciplina antitrust, Torino, 2017. Per una disamina delle pronunce più rilevanti, si veda C. Pinelli, La tutela della concorrenza come principio e come materia. La giurisprudenza costituzionale 2004-2013, in Rivista AIC, n. 1, 2013.
2) Contratti della Pubblica amministrazione – Soccorso istruttorio
Cons. St., sez. VI, 3 febbraio 2022, dep. 24 febbraio 2022, n. 1308 – Pres. Simonetti – Est. Simeoli – (rif. art. 89, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016)
(omissis)
RITENUTO IN FATTO
In data 4 luglio 2019, l’Università indiceva una procedura aperta per l’affidamento del “Servizio di Conduzione e Manutenzione presso Edifici in sei lotti”, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
La Società partecipava alla suddetta procedura in relazione al lotto n. 3, relativo al “Servizio di Conduzione e Manutenzione degli impianti e delle strutture di competenza dell’Ufficio Tecnico Area Centro 3”, della durata di 6 anni e l’importo a base d’asta di € 7.209.674,58.
Con provvedimento del 26 settembre 2019, la Stazione appaltante disponeva l’esclusione dalla gara della società, in quanto ritenuta carente del requisito di capacità economico finanziaria di cui al paragrafo 7.2.c), del disciplinare, relativo al fatturato globale minimo annuo, requisito non integrato dal contratto di avvalimento stipulato con la Research Consorzio Stabile a r.l., avente ad oggetto esclusivamente il requisito di capacità tecnica e professionale (previsto al punto 7.3, lettera g.1), relativo all’esecuzione servizi analoghi.
Con istanza di autotutela del 30 settembre 2019, la SICI deduceva di possedere in proprio il requisito di capacità economico finanziaria di cui al paragrafo 7.2.c), senza necessità dell’avvalimento.
Con provvedimento prot. 0104112 del 17 ottobre 2019, la Stazione appaltante, in accoglimento della predetta istanza, annullava in autotutela il provvedimento di esclusione, disponendone la riammissione.
All’esito della valutazione delle offerte, la società risultava al primo posto della graduatoria di gara, avendo formulato l’offerta economicamente più vantaggiosa, con un punteggio pari a punti 91,279, e conseguentemente, con provvedimento dirigenziale del 16 marzo 2020, la Stazione appaltante disponeva in suo favore l’aggiudicazione definitiva.
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la cooperativa, posizionatasi al secondo posto della graduatoria con punteggio pari a 86,794, impugnava l’esito della procedura di gara.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 1528 dell’8 marzo 2021: i) respingeva il ricorso incidentale proposto dalla società volto ad ottenere l’esclusione dalla gara della società ricorrente; ii) respingeva l’eccezione di irricevibilità dei motivi aggiunti per tardività; iii) in accoglimento del primo motivo di ricorso e del primo motivo aggiunto, annullava l’aggiudicazione, dichiarando l’inefficacia del contratto ai sensi dell’art. 122 del c.p.a..
Avverso la sentenza di primo grado la cooperativa ha proposto appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Vanno esaminati congiuntamente l’appello principale e incidentale.
Secondo il giudice di primo grado, non sarebbe consentito modificare i contenuti della domanda di partecipazione e delle connesse dichiarazioni in un tempo successivo rispetto alla scadenza del termine di presentazione delle offerte, addirittura integrando la relativa documentazione probatoria, trattandosi di una vera e propria “novazione della domanda”, in violazione della perentorietà del termine di presentazione delle offerte. L’argomentazione della commissione di gara ‒ che ha ritenuto di “far prevalere la sostanza sulla forma”, assegnando decisiva rilevanza all’effettivo possesso del requisito ‒ sarebbe dunque illegittima.
Ritiene il Collegio che tale statuizione del Tribunale Amministrativo regionale è erronea.
L’istituto è volto a garantire la massima collaborazione possibile tra privato ed amministrazione pubblica e, nel contempo, il soddisfacimento della comune esigenza alla definizione del relativo procedimento, con il risultato che l’esclusione da una procedura amministrativa per motivi di carattere squisitamente formale è giustificata soltanto se necessario per la tutela di contrapposti valori giuridici. Se tale necessità non ricorre, è lo stesso principio di proporzionalità a rendere irragionevole l’adozione di un provvedimento negativo basato sulla mera incompletezza o erroneità dell’istanza.
Mentre nei procedimenti non comparativi il soccorso istruttorio dispiega la sua massima portata applicativa, nelle procedure selettive si impone un delicato bilanciamento tra i contrapposti interessi ‒ segnatamente: la massima partecipazione e la par condicio tra i concorrenti ‒ che la giurisprudenza ha in passato ritenuto di effettuare, distinguendo tra ‘regolarizzazione’, generalmente ammessa, ed ‘integrazione’ documentale, viceversa esclusa in quanto comportante un vulnus del principio di parità di trattamento tra i concorrenti.
Lo scopo della gara è quello di selezionare il concorrente che, in possesso dei requisiti richiesti dalla legge di gara, risulti il più idoneo all’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’affidamento. Il diritto pubblico ha lo scopo di premiare il ‘merito’ degli operatori privati, stimolandone efficienza e innovazione, e non di minare e rallentare le missioni degli apparati pubblici. Gli errori, le omissioni dichiarative e documentali che non intaccano le predette garanzie sostanziali, in quanto non alterano in alcun modo il leale confronto competitivo, non avvantaggiano cioè nessun concorrente a discapito degli altri, non possono quindi avere portata espulsiva. Nel solco della stessa direttrice valoriale si colloca, in tema di avvalimento, anche l’art. 89, comma 3, del codice dei contratti pubblici, secondo cui la stazione appaltante impone “all’operatore economico di sostituire i soggetti che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione”.
Su queste basi, è evidente come, nel caso di specie, non sia ravvisabile un uso distorto del soccorso istruttorio.
l’Amministrazione ha fatto buon governo della legge e dello stesso disciplinare che, all’art. 14, nel delineare i presupposti e le modalità del soccorso istruttorio prevedeva che “la successiva correzione o integrazione documentale è ammessa laddove consenta di attestare l’esistenza di circostanze preesistenti, vale a dire requisiti previsti per la partecipazione e documenti/elementi a corredo dell’offerta”
I motivi riproposti dalla cooperativa, rimasti assorbiti in primo grado, sono infondati.
La norma è evocata in modo erroneo. Il requisito del pregresso svolgimento di servizi analoghi non ricade infatti nello spettro applicativo della disposizione sopra richiamata, la quale costituisce una eccezione rispetto alla regola generale di cui all’art. 89, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, secondo cui “il contratto è in ogni caso eseguito dall’impresa che partecipa alla gara, alla quale è rilasciato il certificato di esecuzione, e l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati”.
P.Q.M.
accoglie gli appelli principale e incidentale; respinge i motivi riproposti dalla cooperativa ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a.; per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge integralmente il ricorso e i motivi aggiunti di primo grado; condanna la cooperativa al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore degli appellanti principale e incidentale, che si liquidano in € 4.000,00, in favore di ciascuno di essi, oltre accessori di legge se dovuti.
Il principio di diritto: All’esito di un complicato iter normativo, è ora possibile avvalersi del soccorso istruttorio in sede di gara pubblica non soltanto per “regolarizzare”, ma anche per “integrare” la documentazione mancante.
Il caso ed il processo: nel contesto di una procedura di aggiudicazione per l’affidamento del servizio di conduzione e manutenzione presso edifici universitari, il TAR aveva annullato il provvedimento di aggiudicazione, accogliendo così il ricorso avanzato dell’impresa risultata seconda classificata, la quale aveva censurato l’illegittimo ricorso da parte della Stazione appaltante all’istituto del soccorso istruttorio. La Stazione appaltante, in un primo momento, aveva escluso l’impresa, poi risultata aggiudicataria, dalla procedura per poi riammetterla in accoglimento dell’istanza di autotutela, nella quale ammetteva di possedere in proprio, senza necessità di ricorrere all’avvalimento, il requisito di cui l’Amministrazione aveva asserito la carenza.
La soluzione resa dal Consiglio di Stato: il giudice di appello accoglie gli appelli principale e incidentale, respingendo i motivi riproposti dalla cooperativa. Nell’ottica di quest’ultimo, l’attuale art. 83, comma 9, del codice dei contratti pubblici è chiaro nell’estendere l’ambito applicativo del soccorso istruttorio a tutte “le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda” e, in particolare, ai casi di “mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo”. Le fattispecie sottratte all’operatività dell’istituto sono oggi costituite solo dalle carenze e irregolarità che attengono “all’offerta economica e all’offerta tecnica”, e dalla “carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa”.
Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: per quanto riguarda la funzione del contratto di avvalimento, la giurisprudenza amministrativa ha escluso che escluso che l’aver espletato servizi pregressi per un dato importo, anche ove prescritto fra i requisiti di natura tecnico-professionale, costituisca una “esperienza professionale pertinente” ai sensi dell’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, con conseguente prestazione diretta dell’attività da parte dell’ausiliaria (Corte d’App., Sez. IV, 17 dicembre 2020, n. 8111; Corte d’App., Sez. V, 26 aprile 2021, n. 3374).
Sul tema toccato da tale pronuncia, si veda P. Cerbo, Il soccorso istruttorio fra “mere” irregolarità, irregolarità sanabili ed errori irrimediabili, in Urbanistica e Appalti, 2014, 1-10; P. Provenzano, Il soccorso istruttorio nel nuovo Codice degli appalti: pre e post D.Lgs. n. 56 del 2017, in Il diritto dell’economia, n. 3, 2017, 817-837; S. Gallo, A. Castrogiovanni, G. Squillace, Il soccorso istruttorio. Disciplina giuristica e casistica alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, Santarcangelo di Romagna (RN), 2018; F. Gaspari, Il soccorso istruttorio. Evoluzione dell’istituto e principali problematiche ancora aperte, in Amministrativamente, n. 3, 2019.
3) Amministrazione pubblica - Norme della Regione Siciliana - Norme in materia di enti locali - Conferimento di incarichi di collaborazione a estranei all'amministrazione
Corte cost., 25 gennaio 2022, dep. 15 marzo 2022, n. 70 – Pres. Amato – Red. Buscema – Nome impugnate (rif. art. 9, c. 1°, della legge della Regione Siciliana 17/02/2021, n. 5)
(omissis)
RITENUTO IN FATTO
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 9 (recte: art. 9, comma 1) della legge della Regione Siciliana 17 febbraio 2021, n. 5 (Norme in materia di enti locali), in riferimento agli artt. 14, comma unico, lettere o) e p), e 15 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), e agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione agli artt. 7, commi 6, 6-bis, 6-ter e 6-quater, e 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nonché all’art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135.
Ad avviso del ricorrente, tutte le disposizioni legislative evocate costituirebbero esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., regolando tali contratti di collaborazione temporanea. Ciò a dimostrazione della violazione del citato parametro. Inoltre, esse costituirebbero norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (si cita la sentenza di questa Corte n. 172 del 2018), quindi un limite alla competenza regionale di cui all’art. 14 dello statuto reg. Sicilia; attuerebbero, inoltre, i principi di efficienza, trasparenza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost. Di conseguenza, disponendo in difformità con quanto da esse previsto, la normativa impugnata contrasterebbe anche con tali parametri. In ultimo, l’art. 9, comma 1, della legge reg. Sicilia n. 5 del 2021, ammettendo che l’incarico possa riguardare financo l’espletamento di compiti gestionali, sottratti alla competenza funzionale degli organi politici dell’ente, violerebbe l’art. 97 Cost., che imporrebbe la separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni amministrative (si cita la sentenza di questa Corte n. 81 del 2013).
Si è costituita in giudizio la Regione Siciliana, deducendo l’inammissibilità o, comunque, la non fondatezza delle questioni proposte. Ad avviso della resistente, il Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe adeguatamente indicato i motivi per cui alle fattispecie disciplinate dalla normativa regionale impugnata, che escludono la costituzione di un rapporto di pubblico impiego, debba essere applicato l’art. 7 t.u. pubblico impiego. Viceversa, si tratterebbe di incarichi diversi da quelli conferibili in generale dall’amministrazione comunale, contemplati dall’art. 13 della legge reg. Sicilia n. 7 del 1992, a cui si riferirebbe la disposizione statale. Quella regionale attribuirebbe al Sindaco una prerogativa del tutto particolare, coerente con il ruolo assegnatogli dall’ordinamento siciliano e frutto di una precisa volontà del legislatore nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative» e di «ordinamento […] degli enti locali», di cui, rispettivamente, agli artt. 14, comma unico, lettera o), e 15 dello statuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Regione eccepisce che il Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe adeguatamente indicato i motivi per cui alle fattispecie disciplinate dalla normativa regionale impugnata, che esclude la costituzione di un rapporto di pubblico impiego, debba essere applicato l’art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001, trattandosi, viceversa, di incarichi espressione di una prerogativa particolare del Sindaco, coerente con il ruolo assegnatogli dall’ordinamento regionale, attribuita dal legislatore regionale nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative» e di «ordinamento […] degli enti locali», di cui, rispettivamente, agli artt. 14, comma unico, lettera o), e 15 dello statuto.
L’eccezione non è fondata.
Dal punto di vista contenutistico, la disposizione regola presupposti e modalità di conferimento degli incarichi, incide in modo diretto sul comportamento dell’amministrazione nell’organizzazione delle risorse umane e riguarda la fase anteriore all’instaurazione del rapporto. Alla luce di tali considerazioni, la normativa in esame non va ricondotta alla materia dell’ordinamento civile bensì alla competenza esclusiva regionale, segnatamente a quella in materia di «regime degli enti locali» di cui all’art. 14, comma unico, lettera o), dello statuto. Non sussiste il dedotto vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, alla stregua delle considerazioni che precedono, la normativa impugnata deve ricondursi alla competenza esclusiva del legislatore regionale.
È anzitutto fondata la questione di legittimità costituzionale promossa dal ricorrente, nella parte in cui censura la rinnovabilità degli incarichi. Tale possibilità è espressamente preclusa dall’art. 7, comma 6, lettera c), t.u. pubblico impiego, laddove esplicitamente prescrive l’inammissibilità del rinnovo. Sul punto è pertanto evidente il contrasto della normativa regionale con quella statale.
Le restanti censure formulate in riferimento agli ulteriori parametri sono assorbite.
L’art. 9, comma 1, della legge reg. Sicilia n. 5 del 2021 è costituzionalmente illegittimo limitatamente alla locuzione secondo cui, con riferimento agli incarichi di “esperto del Sindaco”, prevede: «e possono anche riferirsi ad attività di supporto agli uffici in materie di particolare complessità, per le quali l’ente abbia documentabili carenze delle specifiche professionalità». L’accoglimento della questione con riguardo alla possibilità di conferire l’incarico di esperto del Sindaco a supporto degli uffici amministrativi assorbe l’impugnativa volta a far valere la mancata previsione che esso si correli necessariamente a un progetto specifico e determinato, così come disposto dall’art. 7, comma 6, lettera a), t.u. pubblico impiego.
Il ricorrente lamenta altresì che la disposizione regionale impugnata consenta all’incarico di essere definito solo per oggetto e finalità e non anche per durata e compenso della collaborazione, così come stabilito dall’art. 7, comma 6, t.u. pubblico impiego. La questione non è fondata. L’art. 14 della legge reg. Sicilia n. 7 del 1992 – nel testo frutto della sostituzione – si limita a prevedere che il conferimento sia «a tempo determinato» e che all’incaricato non possa essere corrisposto un compenso mensile superiore al limite indicato, salva l’accettazione della gratuità. Viceversa, l’art. 7, comma 6, lettera d), t.u. pubblico impiego dispone espressamente che «devono essere preventivamente determinati durata […] e compenso della collaborazione».
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la disposizione regionale anche perché consentirebbe il conferimento dell’incarico a soggetto sprovvisto di laurea – mentre l’art. 7, comma 6, t.u. pubblico impiego ammetterebbe una deroga a tale requisito solo nei casi espressamente indicati, che costituirebbero un numerus clausus – e non prevederebbe l’espletamento di procedure selettive volte ad appurare la competenza dei soggetti da incaricare. Da un lato, la mancata applicazione della procedura di comparazione selettiva si giustifica «nella prospettiva di garantire il necessario grado di fiduciarietà del personale di diretta collaborazione», confinata al solo supporto del Sindaco, a seguito dell’accoglimento della questione di legittimità costituzionale relativa alla possibilità di incarico anche a beneficio degli uffici amministrativi; dall’altro, la qualificazione del personale è adeguatamente assicurata dal requisito della laurea, ordinariamente prevista, e dalla documentata professionalità richiesta perché possa essere «ampiamente motivato» il conferimento dell’incarico al soggetto che ne sia eventualmente privo, secondo l’interpretazione dell’art. 14 della legge reg. Sicilia n. 7 del 1992 – sul punto rimasto invariato a seguito della sostituzione operata dalla disposizione censurata – seguita peraltro dalla giurisprudenza contabile.
Infine, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 53 t.u. pubblico impiego e dell’art. 5, comma 9, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, norme fondamentali di riforma economico-sociale al contempo espressive dei canoni di cui all’art. 97 Cost., alle quali la disposizione regionale non rinvierebbe espressamente. Il legislatore ha voluto evitare che il conferimento di alcuni tipi di incarico – nel cui novero potrebbero rientrare anche quelli di “esperto del Sindaco” che ne rivestano i requisiti oggettivi – sia utilizzato dalle amministrazioni pubbliche per continuare ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza, attribuendo loro rilevanti responsabilità nelle amministrazioni stesse, così aggirando di fatto lo stesso collocamento a riposo; al contempo, ha inteso agevolare il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni, pur ammettendo l’incarico in via temporanea o, comunque, gratuito, onde assicurare il trasferimento delle competenze e delle esperienze; infine, la ratio della disposizione si collega anche al «carattere limitato delle risorse pubbliche», che «giustifica la necessità di una predeterminazione complessiva – e modellata su un parametro prevedibile e certo – delle risorse che l’amministrazione può corrispondere a titolo di retribuzioni e pensioni».
Alla luce di quanto precede, con riguardo al mancato rinvio alle citate disposizioni statali, nel silenzio serbato dalla normativa regionale impugnata, essa deve essere interpretata in senso rispettoso delle stesse, ciò che consente di superare le censure illegittimità costituzionale formulate. Pertanto, le predette ultime questioni non sono fondate.
P.Q.M.
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge della Regione Siciliana 17 febbraio 2021, n. 5 (Norme in materia di enti locali), limitatamente alla parte in cui consente il rinnovo dell’incarico oltre il periodo del mandato del Sindaco che l’ha originariamente conferito; dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 5 del 2021, limitatamente alle parole: «e possono anche riferirsi ad attività di supporto agli uffici in materie di particolare complessità, per le quali l’ente abbia documentabili carenze delle specifiche professionalità»; dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzione dell’art. 9, comma 1, della legge reg. Sicilia n. 5 del 2021 promossa, in riferimento all’art. 14, comma unico, lettera p), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), con il ricorso indicato in epigrafe; dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge reg. Sicilia n. 5 del 2021, nella parte in cui consente il conferimento dell’incarico a soggetto sprovvisto di laurea e non prevede l’espletamento di procedure selettive, promosse, in riferimento agli artt. 14, comma unico, lettera o), e 15 dello statuto reg. Sicilia, agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché in relazione all’art. 7, commi 6, 6-bis, 6-ter e 6-quater, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), con il ricorso indicato in epigrafe; dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le residue questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge reg. Sicilia n. 5 del 2021, promosse, in riferimento all’art. 14, comma unico, lettera o), e 15 dello statuto reg. Sicilia, agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché in relazione agli artt. 7, comma 6, e 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 e all’art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, con il ricorso indicato in epigrafe.
Il principio di diritto: la possibilità di conferimento dell’incarico di esperto del Sindaco, in ragione di un legame fiduciario con lo stesso, a supporto della attività gestionale, non rispetta il principio di separazione tra politica e amministrazione e non risulta ragionevole con specifico riferimento al difetto di selezione comparativa nell’identificazione dell’incaricato.
Il caso ed il processo: il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 9 della legge della Regione Siciliana 17 febbraio 2021, n. 5 (Norme in materia di enti locali), che sostituisce l'art. 14 della legge della Regione Siciliana 26 agosto 1992, n. 7 (Norme per l'elezione con suffragio popolare del Sindaco. Nuove norme per l'elezione dei consigli comunali, per la composizione degli organi collegiali dei comuni, per il funzionamento degli organi provinciali e comunali e per l'introduzione della preferenza unica). La disposizione regionale prevede che gli incarichi conferibili a soggetti estranei all'amministrazione siano «rinnovabili», mentre ciò sarebbe impedito dall'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 (t.u. pubblico impiego). La disposizione regionale secondo cui «l’oggetto e la finalità dell'incarico devono essere definiti all'atto del conferimento e possono anche riferirsi ad attività di supporto agli uffici in materie di particolare complessità» contrasterebbe con la medesima disposizione statale.
La disposizione regionale non prevederebbe l’espletamento di procedure selettive volte ad appurare la competenza dei soggetti da incaricare, in contrasto con quanto disposto dall'art. 7, comma 6-bis, t.u. pubblico impiego. Infine, il legislatore regionale avrebbe omesso di rinviare alle disposizioni normative statali che disciplinano i limiti e i divieti di conferimento degli incarichi ai dipendenti pubblici (art. 53 t.u. pubblico impiego) o ai lavoratori collocati in quiescenza (art. 5, comma 9, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito).
Nell’ottica della Regione, le censure non sarebbero fondate, in virtù degli stringenti limiti apposti al potere di conferimento dell'incarico.
La soluzione resa dal Consiglio di Stato: il giudice di legittimità ritiene che la predetta normativa non debba essere ricondotta alla materia dell’ordinamento civile, quanto invece alla competenza esclusiva regionale, specificamente a quella in materia di «regime degli enti locali». La considerazione della rilevanza dell’incarico, in conseguenza del rapporto fiduciario con l’organo consente di ammettere il rinnovo a opera del Sindaco nel corso del cui mandato l’incarico è stato originariamente conferito, per una durata che non lo ecceda. Con riguardo alla seconda questione, la scelta normativa regionale si pone oltre la linea di demarcazione a salvaguardia del principio d’imparzialità, la quale deve essere tracciata tra l’attività svolta dal Sindaco con il supporto degli esperti, da un lato, e quella esercitata dagli organi burocratici, cui spetta la funzione di amministrazione attiva, dall’altro. La necessità della previsione di un termine e il fatto che sia dettata una disciplina del compenso possono essere intesi nel senso che le determinazioni avvengano al momento dell’incarico, al fine di delineare ex ante il perimetro dei principali diritti e obblighi dei contraenti. Il Giudice delle Leggi, poi, ricorda che «le Regioni possono dettare, in deroga ai criteri di selezione dettati dall’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 dei propri, autonomi, criteri selettivi, che tengano conto della peculiarità dell’incarico in conseguenza del necessario rapporto fiduciario con l’organo politico», a condizione che prevedano, in alternativa a quelli più rigorosi, di natura statale, «altri criteri di valutazione, ugualmente idonei a garantire la competenza e la professionalità dei soggetti […] e ad assicurare che la scelta dei collaboratori esterni avvenga secondo i canoni della buona amministrazione, onde evitare che sia consentito l’accesso a tali uffici di personale esterno del tutto privo di qualificazione». Infine, si ammette che l’intento del legislatore è quello di evitare che il conferimento di alcuni tipi di incarico sia impiegato dalle amministrazioni pubbliche per continuare ad avvalersi di dipendenti posti in quiescenza, attribuendo ad essi responsabilità nelle amministrazioni stesse, in modo tale da aggirare lo stesso collocamento a riposo; contemporaneamente, egli ha inteso agevolare il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni.
Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: circa l’omessa indicazione dei motivi, la giurisprudenza costituzionale ha sostenuto che il ricorrente «non è tenuto a fornire ulteriore motivazione circa l’omessa indicazione di parametri a cui sarebbe riconducibile il titolo di competenza in virtù del quale è stata posta in essere la disposizione censurata» (Corte cost., n. 199/2014). Con riguardo alla collocazione della materia, assumono spessore talune pronunce della giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Siciliana, deliberazione 5 marzo 2019, n. 55/2019/PAR) ed amministrativa (Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza 11 marzo 2013, n. 325). In ordine all’attribuzione di compiti di supporto all’attività degli uffici agli esperti del Sindaco, la Corte costituzionale ha statuito che «la separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione amministrativa costituisce […] un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell’art. 97 Cost.» (Corte cost., n. 108/2015).
Sui diversi temi toccati dalla predetta decisione, si veda G. Falcon, Riforma della Pubblica Amministrazione e responsabilità della dirigenza, in Le Regioni, n. 5, 1998, 1203-1218; M. Grana, Regole giuridiche e strutture organizzative nei rapporti tra politica e amministrazione, in Riv. trim. di scienza dell’amministrazione, n. 1, 2003, 1-15; G. Armao, La nomina dei consulenti e degli esperti da parte del Sindaco e gli abusi in atti d'ufficio, in Nuove Autonomie, n. 2, 2014, 367-385; U. Poli, Conferimento di incarichi di collaborazione a esperti estranei all'amministrazione, Roma, 2022.
ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA
TAR Catania, Sez. IV, 2 dicembre 2021, dep. 7 gennaio 2022, n. 33 – Pres. Cabrini – Rel. Francola – (rif. art. 5, co.1, lett. b) l. 25 agosto 1991, n. 287; art. 11, co. 5 ter, l. 23 dicembre 1992, n. 498; art. 51 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)
L’art. 11, comma 5 ter, l. n. 498 del 1992 – che in tema di affidamento dei servizi di distribuzione carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative nelle aree di servizio delle reti autostradali deroga a quanto previsto dal comma 5 lett c), ed ossia alle disposizioni di cui agli artt. 142, comma 4, e 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006 – deve ritenersi implicitamente abrogato con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016.
Consiglio di Stato, Sez. V, 25 novembre 2021, dep. 14 gennaio 2022, n. 268 – Pres. Barra Caracciolo – Rel. Urso – (rif. art. 12 d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160; artt. 21, 25 e 26 Testo unico sulla dirigenza giudiziaria; art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241)
È illegittima la nomina del Presidente della Corte di cassazione per carenza di motivazione, particolarmente necessaria a fronte, rispetto all’altro candidato, di una minore anzianità all’interno della Cassazione (venticinque anni contro i cinque di Curzio) e di un numero minore di sentenze depositate, ferma restando l’ulteriore attività valutativa del Csm, tenendo conto degli specifici motivi che hanno determinato l’annullamento, restando pertanto piena (ed esclusiva) la discrezionalità delle valutazioni di merito sulla prevalenza di un candidato rispetto agli altri.
TAR Catania, Sez. IV, 13 gennaio 2022, dep. 17 gennaio 2022, n. 159 – Pres. Cabrini – Rel. Buonomo – (rif. art. 103 d.l. 19 maggio 2020, n. 34 conv. l. 17 luglio 2020, n. 77)
In tema di procedura per l’emersione del lavoro irregolare nel settore dell’agricoltura, ex art. 103, d.l. n. 34 del 2020, convertito in l. n. 77 del 2020, l’art. 9, d.m. 27 maggio 2020, da un lato, è chiaro nel fissare (in ogni caso) la soglia minima di 30.000,00 euro di fatturato riferendola al bilancio di esercizio dell’anno precedente a quello della presentazione dell’istanza (è pertanto inconferente il richiamo ad un successivo bilancio di esercizio), ma, dall’altro lato, non prevede che detta soglia minima debba essere automaticamente moltiplicata per il numero dei lavoratori da regolarizzare (affidando all’Ispettorato territoriale del lavoro, il giudizio sulla “congruità della capacità economica del datore di lavoro in rapporto al numero delle richieste presentate”); qualora il reddito del datore di lavoro non consenta la “capienza” di tutte le istanze presentate, è infine razionale il criterio fissato dal predetto decreto, secondo cui si segue l’ordine cronologico di presentazione delle istanze stesse.
TAR Napoli, Sez. I, 3 novembre 2021, dep. 21 gennaio 2022, n. 429 – Pres. Veneziano – Rel. De Falco – (rif. art. 36 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. l. 15 luglio 2011, n. 111; l’art. 11, co. 5, d.l. 29 dicembre 2011, n. 216, conv. l. 24 febbraio 2012, n. 14)
La disciplina dei rapporti economici conseguenti alla prosecuzione degli effetti della concessione autostradale per il periodo successivo alla sua scadenza e sino al subentro del nuovo affidatario deve trovare, in assenza di criteri rinvenibili nelle pregresse condizioni contrattuali, determinazione all’interno di un nuovo Piano Economico Finanziario che le parti sono tenute a concordare in quanto avvinte da un reciproco obbligo di collaborazione, fondato sulla buona fede, per individuare la disciplina concretamente applicabile in tale periodo ai sensi del comma 2 dell’art. 178 del Codice dei contratti pubblici, secondo cui “i reciproci obblighi, per il periodo necessario al perfezionamento della procedura di cui al comma 1, sono regolati, sulla base delle condizioni contrattuali vigenti”.
Consiglio di Stato, Sez. V, 25 novembre 2021, dep. 25 gennaio 2022, n. 491 – Pres. Barra Caracciolo – Rel. Fantini – (rif. artt. 38, co. 1, e co. 3-ter d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163)
Il rigetto di una istanza di riesame non equivale alla mancata apertura del procedimento di riesame, concernendo non già il profilo dell’iniziativa procedimentale, ma quello dell’epilogo decisorio, presupponente una nuova ponderazione degli interessi, condotta sulla base degli ulteriori elementi assunti a sostegno della decisione.
Qualora su di una determinata domanda vi sia stata statuizione del giudice e detta statuizione sia passata in giudicato, non è possibile che la stessa domanda venga riproposta, in quanto ciò comporterebbe la violazione del principio del ne bis in idem; ma perché ciò si verifichi, occorre che il precedente giudizio coinvolga le stesse parti in causa e prospetti gli stessi elementi identificativi dell’azione proposta, e quindi che nei giudizi sia chiesto l’annullamento degli stessi provvedimenti, od al più di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità, in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione.
Il potere esercitato dall’Anac con l’annotazione nel casellario informatico, ai sensi del predetto art. 38, comma 1-ter, d.lgs. n. 163 del 2006 ha natura sanzionatoria ed afflittiva, con carattere dunque tassativo e di stretta interpretazione (al pari, del resto, delle altre cause di esclusione); ne consegue che l’art. 38, comma 1-ter, d.lgs. n. 163 del 2006 non si applica al di fuori dei casi considerati di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 novembre 2021, dep. 26 gennaio 2022, n. 530 – Pres. De Felice – Rel. Lopilato – (rif. l. 2 maggio 2017, n. 55)
L’interesse diffuso è una situazione giuridica autonoma azionata in giudizio da un ente collettivo che fa valere un “interesse proprio” e che viene individuata mediante una tipizzazione legislativa espressa ovvero una disposizione legislativa implicita risultante da una tipizzazione giurisprudenziale effettuata attraverso la previsione della necessità del possesso da parte dell’ente di determinati requisiti.
Consiglio di Stato, Sez. III, 20 gennaio 2022, dep. 26 gennaio 2022, n. 540 – Pres. Corradino – Rel. Ferrari – (rif. art. 13, co. 1, lett. b) d.l. 28 aprile 2009, n. 39, conv. l. 24 giugno 2009, n. 77)
Per i farmaci biosimilari, il prezzo ex factory delle confezioni, e cioè la quota di spettanza delle aziende farmaceutiche produttrici è pari al 66,65%, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1, comma 40, l. 23 dicembre 1996, n. 662; nel caso di farmaco biosimilare manca uno dei due presupposti previsti dall’art. 13, comma 1, lett. b), d.l. n. 39 del 2009, e cioè l’essere il farmaco “equivalente” (ai sensi dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 347 del 2001) all’originator e dunque l’essere il farmacista obbligato a consegnare all’assistito l’equivalente in luogo dell’originator, salva diversa espressa prescrizione del medico (comma 3 dell’art. 7, d.l. n. 347 del 2001); il farmacista non può, infatti, sostituire automaticamente il farmaco biosimilare a quello biologico di riferimento (art. 15, comma 11-quater, d.l. n. 95 del 2012), con la conseguenza che alcun incentivo può essere previsto per invogliare il farmacista a fare ciò che per legge non potrebbe fare.
Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 dicembre 2021, dep. 9 febbraio 2022, n. 945 – Pres. Maruotti – Rel. Conforti – (rif. art. 14 l. Reg. Veneto 23 aprile 2004, n. 11)
Sono rimesse all’Adunanza plenaria le questioni: a) se - per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., quando la domanda di annullamento sia diventata improcedibile - sia sufficiente formulare un’istanza generica ed espressiva dell’interesse a un accertamento strumentale alla pretesa risarcitoria anche futura (e, in caso di risposta affermativa, se occorrano particolari modalità e se vi siano termini per la sua proposizione) oppure se occorra l’allegazione dei presupposti per la sua successiva proposizione (e, in caso di risposta affermativa, quali siano le modalità ed i termini per tale allegazione) oppure se sia necessaria la proposizione della domanda di risarcimento del danno, nell’ambito del medesimo giudizio nel quale si prospetta la possibile improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse della domanda di annullamento o, in alternativa, in un autonomo giudizio (e, in caso di risposta affermativa, secondo quali modalità deve avvenire la formulazione di tale domanda); qualora si ritenga che, ai fini dell’accertamento di illegittimità ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., sia sufficiente la sola allegazione degli elementi costitutivi della domanda risarcitoria, se il giudice investito di questa domanda di accertamento possa comunque pronunciarsi su una questione ‘assorbente’ e dunque su ogni profilo costitutivo della fattispecie risarcitoria, in quanto – anche in assenza della formulazione della domanda risarcitoria – comunque la riscontrata infondatezza di uno degli elementi costitutivi dell’illecito è correlata alla concreta insussistenza dell’interesse espressamente richiesto per la declaratoria di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a.
Consiglio di Stato, Sez. III, 3 febbraio 2022, dep. 9 febbraio 2022, n. 946 – Pres. Corradino – Rel. Noccelli – (rif. art. 3, co. 2, d.l. 17 febbraio 1998, n. 23, conv. l. 8 aprile 1998, n. 94; artt. 47-bis, co. 2, 47-ter, co. 1, lett. a), d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300; art. 48, co. 3, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. l. 24 novembre 2003, n. 326)
Le Linee guida dell’Aifa per la gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Covid-19 e la circolare del Ministero della Salute “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2”, aggiornata al 26 aprile 2021, contengono mere raccomandazioni e non prescrizioni cogenti e si collocano, sul piano giuridico, a livello di semplici indicazioni orientative, per i medici di medicina generale, in quanto parametri di riferimento circa le esperienze in atto nei metodi terapeutici a livello internazionale.
TAR Sardegna, Sez. I, 7 dicembre 2021, dep. 14 febbraio 2022, n. 99 – Pres. D’Alessio – Rel. Piemonte – (rif. art. 31, co. 4, l. Reg. Sardegna 20 ottobre 2016, n. 24)
La violazione dei doveri che incombono sulla Pubblica amministrazione di adottare i comportamenti necessari per consentire al cittadino le comunicazioni tramite posta elettronica certificata, onde evitare che risulti piena, non può comportare, almeno in assenza di una espressa previsione di legge, una presunzione di conoscenza del contenuto di documenti che non erano pervenuti all’Amministrazione.
TAR Catania, Sez. IV, 4 novembre 2022, dep. 14 febbraio 2022, n. 462 – Pres. Cabrini – Rel. Bruno – (rif. art. 133 c.p.a.)
Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. la controversia avente ad oggetto l’irrogazione di penali contrattuali al concessionario del servizio pubblico di trasporto navale verso le isole minori poiché la penale contrattuale non è qualificabile come canone, né come corrispettivo, ma costituisce una forma di liquidazione anticipata del danno; in aggiunta, essa è frutto anche dell’esercizio di attività di vigilanza e controllo sullo svolgimento del servizio di trasporto marittimo da parte dell’ente concedente.
L’adeguatezza dei natanti rispetto alle esigenze di trasporto delle persone con Mobilità Ridotta va valutata non solo rispetto ai parametri e requisiti previsti in generale dalle disposizioni ministeriali, ma anche con riferimento agli specifici obblighi negoziali assunti al momento della stipula del contratto.
L’entità della penali contrattuali al concessionario del servizio pubblico di trasporto navale verso le isole minori – in assenza di specifiche disposizioni di legge applicabili ratione temporis – ove risulti eccessivamente gravosa, può essere riportata dal giudice ad equità ai sensi dell’art. 1384 c.c., in modo che non superi la percentuale del 10% del valore del contratto, individuata facendo applicazione analogica dell’art. 113 bis, d.lgs. n. 50 del 2016.
Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 dicembre 2021, dep. 14 febbraio 2022, n. 1040 – Pres. Poli – Rel. Martino – (rif. d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)
A mente del combinato disposto degli artt. 3, 5 e 6, d.P.C.S. n. 167 del 2016, il superamento dei limiti dimensionali può essere autorizzato eccezionalmente ex post dal giudice che procede solo prima della deliberazione della sentenza, in presenza di una espressa istanza di parte e a condizione che sussistano gravi e giustificati motivi.
L’intervento diretto in appello è disciplinato dalla specifica norma sancita dall’art. 97 c.p.a. che lo ammette, da parte di chiunque abbia interesse nella contestazione, anche ove titolare di un interesse di mero fatto.
Nel processo amministrativo il rinvio della trattazione della causa ai sensi dell’art. 73, comma 1 bis, c.p.a. è evenienza eccezionale al pari della sospensione del processo; la sospensione del processo per pregiudizialità, ex art. 295 c.p.c. presuppone la pendenza delle due cause (pregiudicante e pregiudicata) in primo grado poiché la ragione fondante di tale previsione è quella di evitare il rischio di conflitti di giudicati.
All’ausiliario del giudice amministrativo si applicano le medesime cause e procedure di astensione e ricusazione previste dalla legge per l’attività del giudice; conseguentemente anche nel processo amministrativo, la violazione del dovere di astensione obbligatoria deve essere fatto valere dalla parte interessata esclusivamente con lo speciale procedimento della ricusazione, non costituendo ex se causa di nullità della sentenza o dell’accertamento tecnico.
Consiglio di Stato, Sez. III, 3 febbraio 2022, dep. 15 febbraio 2022, n. 1120 – Pres. Corradino – Rel. Maiello – (rif. art 80 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)
E’ illegittima l’aggiudicazione della gara nel caso in cui il possesso in capo all’aggiudicataria del requisito di capacità professionale richiesto dal disciplinare, sia stato considerato riparametrando con riferimento al periodo di effettiva attività della stessa in ossequio al principio del “favor partecipationis” per le imprese di nuova costituzione, criterio non previsto dalla lex specialis di gara.
TAR Sardegna, Sez. I, 2 febbraio 2022, dep. 24 febbraio 2022, n. 133 – Pres. D’Alessio – Rel. Aru – (rif. art. 16, par. 12, Regolamento (CE) n. 1008/2008)
Spetta alla stazione appaltante, nella predisposizione della legge di gara e in relazione all’oggetto della prestazione richiesta, conciliare, nell’individuare i requisiti di partecipazione, le contrapposte esigenze: da un lato evitare inutili aggravi di spesa a carico degli operatori economici concorrenti per procurarsi già al momento dell’offerta la disponibilità di beni e mezzi, senza avere la certezza dell’aggiudicazione e con effetti discriminatori ed anti-concorrenziali perché di favore per gli operatori già presenti sul mercato ed in possesso delle dotazioni strumentali, nonché con violazione del principio di proporzionalità; dall’altro garantire la serietà e l’effettività dell’impegno assunto dal concorrente di disporre dei mezzi necessari all’espletamento del servizio.
TAR Palermo, Sez. I, 22-28 febbraio 2022, dep. 3 marzo 2022, n. 714 – Pres. Cappellano – Rel. Cappellano – (rif. artt. 35, 39, 79, 80, 85 e 87, co. 2, lett. e), c.p.a.)
Il termine per la prosecuzione e la riassunzione del processo interrotto è quello di novanta giorni, di cui all'art. 80, comma 3, c.p.a., in quanto l'art. 80 detta una disciplina autonoma e unitaria individuando un unico termine per entrambe le ipotesi, con la conseguenza che a tali istituti non sono applicabili le disposizioni del codice di procedura civile.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2022, dep. 14 marzo 2022, n. 1768 – Pres. Montedoro – Rel. Pascuzzi – (rif. art. 31 l. 28 febbraio 1985, n. 47; art. 39 l. 23 dicembre 1994, n. 724; art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42)
Non può ritenersi legittimato ad impugnare il provvedimento con il quale un Comune ha annullato in autotutela un piano di lottizzazione, il promissario acquirente del terreno interessato dal medesimo piano di lottizzazione, ove questi, nonostante la stipula del contratto preliminare di compravendita dell'area, non abbia acquisito la effettiva e materiale disponibilità del terreno stesso, che si potrebbe configurare in caso di preliminare cd. ad effetti anticipati, con il quale quantomeno si anticipa l’effetto della consegna dell'immobile.
Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 settembre 2021, dep. 15 marzo 2022, n. 1827 – Pres. Greco – Rel. Forlenza – (rif. art. 19 l. 7 agosto 1990, n. 241)
Ai sensi dell’art. 11, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.
L’onere di verifica del Comune sulla legittimazione a richiedere il permesso di costruire, di cui all’art. 11, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, assume connotati differenti a seconda che la detta legittimazione si fondi sulla titolarità di un diritto reale, ovvero attenga ad una disponibilità del bene a titolo diverso. In tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di locazione), l’Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire.
TAR Catania, Sez. III, 23 febbraio 2022, dep. 16 marzo 2022, n. 764 – Pres. Burzichelli – Rel. Bruno – (rif. d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)
Dalla illustrata normativa si deduce che: a) il comma 4 stabilisce un termine massimo di 180 per la vincolatività dell’offerta, per il cui computo viene menzionato solo il dies a quo (scadenza del termine per la presentazione delle offerte); b) non è precisato se il predetto termine venga interrotto con il provvedimento di aggiudicazione, o con la stipulazione del contratto; c) la giurisprudenza è univoca nell’affermare che il decorso del predetto termine non impedisce alla stazione appaltante di decretare l’aggiudicazione, ma consente solo all’aggiudicataria di ritirare l’offerta prima che intervenga l’aggiudicazione.
TAR Catania, Sez. IV, 10 marzo 2022, dep. 16 marzo 2022, n. 766 – Pres. Leggio – Rel. Buonomo – (rif. artt. 67, 84 e 91 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159)
Lo svilupparsi di comportamenti caratterizzati dalla forza di intimidazione e dalla conseguente condizione di assoggettamento e di omertà nel tempo è essenziale non soltanto per la configurabilità della fattispecie penalmente rilevante ma anche per valutare il dato fattuale ai fini delle successive determinazioni da assumere nella dimensione della prevenzione antimafia.
Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 febbraio 2022, dep. 23 marzo 2022, n. 2110 – Pres. Poli – Rel. Martino – (rif. art. 11, co. 1, lett. a), 12 e 21 l. 8 maggio 2008, n. 42; d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23; art. 1, co. 639, l. 27 dicembre 2013, n. 147)
Due comuni, nel quadro di un più vasto accordo di programma plurilivello ex art. 34 t.u.e.l., possono concludere una convenzione, ex art. 15, l. n. 241 del 1990, avente ad oggetto il riparto del gettito fiscale di IMU e TASI proveniente da una grande infrastruttura commerciale insediata sul territorio di entrambi gli enti.
TAR Lazio, Sez. III, 12 gennaio 2022, dep. 26 marzo 2022, n. 3425 – Pres. Graziano – Rel. Graziano – (rif. art. 21-bis l. 7 agosto 1990, n. 241)
Ai sensi dell’art. 21-bis, l. n. 241 del 1990 i provvedimenti applicativi di sanzioni, pecuniarie o reali, non possono essere portati ad esecuzione prima che siano comunicati al destinatario e non possono, quindi, recare una clausola di immediata esecuzione.