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Pubbl. Gio, 14 Apr 2022

Sanatoria, il potere della P.A. di provvedere non cessa al decorso dei 60 giorni

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Tullio Facciolini



Con sentenza sentenza numero 5251 del 2021, il Consiglio di Stato ha stabilito il principio secondo cui il silenzio serbato dal Comune sull´istanza di accertamento di conformità urbanistica non ha valore di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto, con la conseguenza che, una volta decorso il relativo termine, non sussiste un obbligo di provvedere; ciò comporta, altresì, il permanere della facoltà di provvedere espressamente anche a fronte del supplemento istruttorio svolto dall’amministrazione.


ENG With sentence number 5251 of 2021, the Council of State, the Council of State established the principle according to which the silence maintained by the Municipality on the application for assessment of town planning compliance does not have the value of silence-non-fulfillment, but of silence-rejection, with the consequence that, once the relative term, there is no obligation to provide; this also entails the continued right to provide expressly even in the face of the preliminary investigation carried out by the administration.

Sommario: 1. La sanatoria ordinaria e la sanatoria straordinaria: i presupposti e le finalità; 2. La fiscalizzazione degli abusi edilizi; 3. La sentenza numero 5251 del 2021 del Consiglio di Stato.

1. La sanatoria ordinaria e la sanatoria straordinaria: i presupposti e le finalità

Il termine sanatoria sottende due istituti tra loro diversi per presupposti e finalità, il cui unico tratto comune è dato dalla circostanza che entrambi si risolvono nella legittimazione di un intervento edilizio successivo alla sua realizzazione.

L’accertamento di conformità, o sanatoria ordinaria (di cui all’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001) consiste nella regolarizzazione di abusi formali, in quanto l’opera è stata sì effettuata senza il preventivo titolo o in difformità dallo stesso, ma senza violare la disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione che a quello di presentazione della domanda (c.d. doppia conformità).

La genesi dell’istituto risale alla Legge 28 febbraio 1985, n. 47 (art. 13), che ha ripreso, ampliandone la portata, la limitata previsione già contenuta nella L. 28 gennaio 1977, n. 10.

Sotto la vigenza dell’art. 13 Legge n. 47 del 1985 la giurisprudenza si era attestata nel senso che la presentazione della domanda di accertamento di conformità non solo impedisse l’esecuzione dell’ingiunzione, imponendo al Comune il previo esame della domanda di sanatoria, ma implicasse anche la necessità, in caso di rigetto, dell’adozione di una nuova misura demolitoria (Cons. stato sez. VI, 12 novembre 2008, n. 5646; Cons. stato sez. IV, 12 maggio 2010, n. 2844).

Oggi, mutando il suo orientamento, la giurisprudenza vuole distinte le conseguenze giuridiche della presentazione delle relative domande in caso di condono, da un lato, e in caso di accertamento di conformità, dall’altro (Cons. stato sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 1432).

Regola generale per la definizione del procedimento di sanatoria è quella della sua conclusione in 60 giorni.

L’art. 36, comma 3, fissa in tale termine quello entro il quale il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale deve pronunciarsi con adeguata motivazione, decorsi il quale la richiesta si intende rifiutata.

La parola condono, seppure entrata nell’uso comune, non figura in alcun testo legislativo, complice una certa ritrosia linguistica ad utilizzare un termine evidentemente evocativo della portata sanante di situazioni sostanzialmente illecite, previo pagamento di una sanzione pecuniaria che produce l’effetto di estinguere anche la fattispecie penale identificabile nella relativa costruzione.

In particolare, si sono succedute tre leggi di condono: la prima è contenuta nei capi IV e V Legge n. 47/1985; le successive sono quella di cui all’art. 39 Legge 23 dicembre 1994, n. 724 (c.d. secondo condono) - la cui disciplina procedimentale è stata completata con la L. n. 662 del 1996 - nonché quella di cui all’art. 32 L. 24 novembre 2003, n. 326, di conversione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269.

La domanda di condono edilizio sospende il procedimento sanzionatorio e, laddove sia accolta, determina la definitiva inapplicabilità delle sanzioni.

Il tempo necessario alla definizione della pratica, che implica una effettiva valutazione dell’abuso sotto il profilo della rispondenza ai parametri, anche temporali, imposti dalla legge, rende necessario reiterare l’ingiunzione a demolire, che trova il proprio fondamento non più nella abusività originaria dell’opera, quanto piuttosto nella sua non condonabilità.

Questa soluzione è pacifica per la sanatoria straordinaria, anche perché le leggi di condono sono chiare in tal senso.

Ciò si riverbera sull’eventuale provvedimento acquisitivo, il quale, se assunto prima della definizione dell’istanza di condono, è illegittimo e suscettibile di annullamento.

Si riverbera, altresì, sul regime processuale, determinando la inammissibilità ovvero la improcedibilità del ricorso avverso l’ordinanza demolitoria eventualmente già adottata, in quanto di fatto caducata dall’avvenuta presentazione della istanza di condono.

Diversamente accade per la sanatoria ordinaria.

La presentazione di una istanza di accertamento di conformità non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso; non vi è pertanto alcuna automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione.

Essa determina soltanto un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, che opera in termini di mera sospensione dello stesso.

In caso di rigetto dell’istanza, che peraltro sopravviene in caso di inerzia del Comune dopo soli 60 giorni, l’ordine di demolizione riacquista la sua piena efficacia (Cons. stato sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5669).

2. La fiscalizzazione degli abusi edilizi

La fiscalizzazione è un istituto disciplinato dall’articolo 34 comma 2 del D.P.R. numero 380 del 2001, (Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire): il primo comma stabilisce che gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio.

Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso. Il secondo comma precisa che quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.

Presupposti della fiscalizzazione sono: 1) la realizzazione di opere in parziale difformità dal permesso di costruire. Il Consiglio di Stato, con la sentenza numero 1484 del 2017, ha stabilito che si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera; 2) il pregiudizio alla staticità strutturale dell’intero edificio che la demolizione potrebbe arrecare.

Spetta al privato raggiunto dall’ordine di demolizione fornire la dimostrazione del pregiudizio sulla struttura e sull’utilizzazione del bene residuo, non potendo porsi a carico della Pubblica Amministrazione l’onere di compiere la verifica tecnica.

Ricorrendo entrambi i presupposti, su richiesta dell’interessato, al posto della demolizione può essere applicata una sanzione pari al doppio del costo di produzione della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale.

Per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale è pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio.

3. La sentenza numero 5251 del 2021 del Consiglio di Stato

Con la sua decisione il Consiglio di Stato, adito per la riforma della sentenza del Tar Piemonte, sez. II, n. 470/2016, interviene in tema di permesso di costruire in sanatoria (ex art. D.P.R. n. 380/2001, T.U. Edilizia) permettendo così alcune riflessioni su questo istituto che è, oggi, di particolare rilievo visto il ricorso ad esso da parte di numerosi proprietari.

L’istituto dell’accertamento di conformità edilizia, disciplinato dall’art. 36, è funzionale a sanare le opere che sono solo formalmente abusive, e cioè edificate in assenza del titolo edilizio e, tuttavia, conformi alla disciplina urbanistica di riferimento vigente come al tempo della realizzazione, così al momento della presentazione dell’istanza (cd. doppia conformità)[1].

Il formalismo sotteso all’art. 36 comporta di non poter accogliere nel nostro ordinamento l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata peraltro da tempo esclusa dalla giurisprudenza[2].

Combinando la lettura degli articoli 31, 36, 44 e 45 del D.P.R. n. 380/2001, esiste un’unica ipotesi di estinzione dei reati contravvenzionali alle norme urbanistiche. Ciò può avvenire soltanto col rilascio in sanatoria del permesso di costruire[3]. Va, invece, esclusa la possibilità che tali effetti estintivi penali possano essere attribuiti alla cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica[4].

Da parte sua la giurisprudenza penale insegna come, essendo illegittimi i provvedimenti di sanatoria “atipica” (che prescindano cioè dal requisito della doppia conformità” il giudice penale non può attribuire ad essi alcun effetto, non soltanto con riguardo all'estinzione del reato urbanistico, ma pure rispetto alla non irrogazione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva (previsto dall’art. 31, comma 9, D.P.R. n. 380/2001), ovvero alla revoca dello stesso qualora il provvedimento amministrativo contra legem sia eventualmente stato emanato successivamente al passaggio in giudicato della sentenza[5].

Lo scrutinio sulla doppia conformità, fulcro su cui si regge l’istituto in esame, non può che essere complessivo: e cioè a dire, qualora venga chiesto il rilascio di un permesso di costruire riferito soltanto a talune delle opere realizzate e l'Amministrazione riscontri l'esistenza di altre opere abusive, non scomponibili in progetti scindibili, ma funzionalmente connesse al perseguimento di uno scopo unitario, l'ente procedente non può accogliere una domanda riguardante singole opere, dovendo aversi riguardo al complessivo intervento all'uopo realizzato.

Da un punto di vista procedurale la regola generale per la definizione del procedimento di sanatoria è la sua conclusione in 60 giorni.

L’art. 36, infatti, fissa in tale termine quello entro il quale il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale deve pronunciarsi con adeguata motivazione, decorsi il quale la richiesta si intende rifiutata. Il silenzio dell’Amministrazione su una tale istanza ha un valore legale tipico di rigetto, e cioè costituisce una ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego[6].

Altro profilo di particolare importanza è quello per il quale la presentazione della domanda di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali, né determina alcuna inefficacia sopravvenuta o invalidità di sorta dell'ingiunzione di demolizione (già adottata), per cui in pendenza del termine di decisione della domanda di sanatoria, l'esecuzione della sanzione è solo temporaneamente sospesa, sicché, in mancanza di tempestiva impugnazione del diniego tacito, maturato per decorso del termine di 60 giorni dalla presentazione dell'istanza, l'ingiunzione di demolizione è eseguibile e non occorre l'emanazione di ulteriori atti sanzionatori[7].

Se da un lato, poi, la norma ex art. 36 non prevede il rilascio del permesso di costruire in sanatoria oltre il termine di 60 giorni, dall’altro lato “non dispone espressamente che il decorso del termine ivi indicato rappresenti, sul piano procedimentale, la chiusura del procedimento e specularmente determini, sul piano sostanziale, la definitiva consumazione del potere, con conseguente cristallizzazione della natura abusiva delle opere”[8].

In mancanza, cioè, di un’esplicita prescrizione di decadenza, la decorrenza del termine di sessanta giorni non consuma il potere della P.A. di provvedere sull’istanza. Infatti, la previsione in subiecta materia di un’ipotesi di silenzio significativo è stata dettata nell’interesse precipuo del privato, cui è stata in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale. Il successivo, eventuale atto espresso di diniego, impugnabile con motivi aggiunti, non è inutiliter datum, posto che il relativo corredo motivazionale individua le ragioni della decisione amministrativa e consente di meglio calibrare le difese dell’istante che ritenga frustrato il proprio interesse alla regolarizzazione ex post di quanto ex ante realizzato sì sine titulo, ma comunque nel rispetto della disciplina urbanistica.

Ancora, un cenno deve riservarsi al fatto che, in maniera non casuale, in materia di sanatoria edilizia la normativa di riferimento ammetta la proposizione dell’istanza da parte non solo del proprietario, ma anche del “responsabile dell’abuso”, tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale, ovvero chi abbia la disponibilità del bene, al momento dell’emissione della misura repressiva (ivi compresi, evidentemente, concessionari o conduttori dell’area interessata, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi – oltre che dei proprietari – nei confronti degli esecutori materiali delle opere, sulla base dei rapporti interni intercorsi).

La maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria, rispetto al preventivo permesso di costruire, trova giustificazione nella possibilità da accordare al predetto responsabile – ove coincidente con l’esecutore materiale delle opere abusive – di evitare le conseguenze penali dell’illecito commesso (ferma restando la salvezza dei diritti di terzi).

Se dunque tutti coloro che sono considerati responsabili dell'abuso possono richiedere la sanatoria dello stesso allo stesso tempo sono legittimati passivi dell'esercizio del potere repressivo sanzionatorio di competenza comunale[9].

L’attuale dato normativo, infine, non pone il principio secondo cui, prima di disporre la demolizione, l’amministrazione sia tenuta a valutare la conformità sostanziale dell’immobile al regime urbanistico dell’area: tanto si evince dagli artt. 27 e 31 D.P.R. n. 380/2001 che impongono al Comune di reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36, che rimette all’esclusiva iniziativa del privato l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Il Consiglio di Stato spiega che il requisito della doppia conformità deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 24 ottobre 2018, n. 6048; Cons. stato sez. VI, 5 marzo 2018, n. 1389; Cons. stato sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2714; Cons. stato sez. VI, 5 giugno 2015, n. 2784; Cons. stato sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306).

[2] Ex multis Corte Cost. 29 maggio 2013, n. 101; Corte Cost. 31 marzo 1998, n. 370; Corte Cost. 13 maggio 1993, n. 231. La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 101 del 29 maggio 2013, ha stabilito che gli artt. 5, commi 1, 2 e 3, e 6 e 7 della L.R. 31 gennaio 2012, n. 4, Toscana (Modifiche alla L.R. 3 gennaio 2005, n. 1, Toscana “Norme per il governo del territorio” e della L.R. 16 ottobre 2009, n. 58, Toscana “Norme in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico”) sono illegittimi in quanto, dettando specifiche disposizioni ai fini del conseguimento dell’accertamento di conformità nei casi di interventi edilizi realizzati nelle zone sismiche e nelle zone a bassa sismicità, o in corso di realizzazione in tali zone, non rispettano il principio di doppia conformità di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia).

[3] Ai sensi dell’articolo 45 comma 3 D.P.R. 380/2001, il rilascio in sanatoria del permesso di costruire estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti. Ex comma 1 dell’articolo 45, l’azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria di cui all’articolo 36.

[4] Ex multis Cass. Pen., Sez. III, Sentenza, 16/09/2020, n. 31961: Integra una nullità di ordine generale, ex art. 178, lett. b), cod. proc. peb., che può essere fatta valere con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’illegittima restituzione, da parte del giudice per le indagini preliminari, dei beni sottoposti a sequestro probatorio in violazione dell’art. 262, comma 1, cod. proc. pen., atteso che tale provvedimento, privando il pubblico ministero della possibilità di compiere gli accertamenti indispensabili per sostenere validamente l’accusa in giudizio, incide sulla stessa iniziativa della pubblica accusa nell’esercizio dell’azione penale e sulla sua partecipazione al procedimento. (Fattispecie di dissequestro, disposto dal giudice per le indagini preliminari ex art. 263, comma 5, cod. proc. pen., di opere edilizie ritenute abusive, sottoposte a vincolo probatorio al fine di verificare la sussistenza dei reati urbanistici e paesaggistici denunciati e la legittimità dei provvedimenti di sanatoria successivamente adottati).

[5] Ex multis Cass. Pen., Sez. III, Sentenza, 19/09/2019, n. 45845: In tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo D.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica.

[6] Ex multis, Cons. stato sez. IV, 1 febbraio 2017, n. 410; Cons. stato sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2691. Il Consiglio di Stato, con la sentenza numero 410 del 1 febbraio 2017, ha stabilito che il silenzio dell’Amministrazione sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria e sulla istanza di accertamento di conformità di cui all’art. 36 D. P. R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia) ha un valore legale tipico di rigetto e cioè costituisce una ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego.

[7] Ex multis, Cons. stato sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3417: Il testo dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 – per il quale “sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata” – deve intendersi nel senso che il decorso del termine di sessanta giorni equivale alla emanazione di un provvedimento di rigetto dell’istanza, tenuto conto del tenore letterale dell’originario art. 13 della legge n. 47 del 1985 e dei lavori preparatori del testo unico sull'edilizia n. 380 del 2001. L’espressione “la richiesta si intende rifiutata” si deve intendere in modo non dissimile da quella originariamente prevista dal medesimo art. 13.

[8] Ex multis, Cons. stato sez. IV, 2 ottobre 2017, n. 4574: La disposizione dell’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 attribuisce sì significato provvedimentale di rigetto al silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di accertamento di conformità, ma non dispone espressamente che il decorso del termine ivi indicato rappresenti, sul piano procedimentale, la chiusura del procedimento e specularmente determini, sul piano sostanziale, la definitiva consumazione del potere, con conseguente cristallizzazione della natura abusiva delle opere. La previsione in subiecta materia di un’ipotesi di silenzio significativo è dettata nell’interesse precipuo del privato cui è stata in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale.

[9] Ex multis, Cons. stato sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2122: La relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria, rispetto al preventivo permesso di costruire, trova giustificazione nella possibilità di accordare al responsabile – ove coincidente con l’esecutore materiale delle opere abusive ovvero detentore o utilizzatore delle stesse – uno strumento giudiziario utile al fine di evitare le conseguenze penali dell’illecito commesso, ferma restando la salvezza dei diritti di terzi.