Pubbl. Lun, 14 Mar 2022
Secondo il TAR Lazio sussiste la giurisdizione del G.O. in caso di responsabilità precontrattuale per mancato affidamento di fornitura
Modifica paginaIl presente articolo, dopo una breve introduzione sulla configurabilità della responsabilità precontrattuale nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione, affronta il tema del riparto di giurisdizione nella materia, oggetto del recente pronunciamento del TAR Lazio sezione III, udienza del 20/09/2021 sent. n. 9846/2021
Sommario: 1. Introduzione. La responsabilità precontrattuale e sua natura; 2. Responsabilità precontrattuale e agere pubblicistico; 3. Buona fede e correttezza quali obblighi della pubblica amministrazione: l’Adunanza Plenaria n. 5/2018; 4. Il riparto di giurisdizione nell’evoluzione delle Sezioni Unite Civili; 5. La sentenza n. 9846/2021 del TAR Lazio: il fatto; 6. Ipotesi di giurisdizione ordinaria: le ragioni della decisione del TAR Lazio.
1. Introduzione. La responsabilità precontrattuale e sua natura
Per “responsabilità precontrattuale” va intesa una particolare forma di responsabilità, aggiunta a quella contrattuale, (disciplinata dall’art. 1218 cod.civ.), e quella extracontrattuale, o da fatto illecito, (ex art. 2043 cod.civ.), la cui struttura è ricavabile dal combinato disposto degli articoli 1337 e 1338 del Codice civile[1].
In base agli stessi, infatti le parti coinvolte in una trattativa volta alla stipulazione di un contratto sono tenute al rispetto di determinati obblighi comportamentali, che possono consistere sia in condotte “positive” che “negative”[2], il cui obiettivo è volto a preservare il reciproco affidamento nella positiva conclusione del contratto, nonché nella sua validità. L’esistenza di tali obblighi, che precedono la stipulazione di un vero e proprio contratto tra le parti, va sussunta entro i canoni della buona fede[3] e diligenza vigenti già all’atto delle trattative contrattuali, la cui lesione comporta il dovere di risarcire alla parte non-inadempiente sia le spese sopportate per la contrattazione (danno emergente); sia la perdita di altre occasioni contrattuale (lucro cessante).
Quanto alla natura di tale responsabilità, essa è stata tradizionalmente collocata nell’ambito extracontrattuale, tesi argomentata sulla base dell’assenza di vincoli giuridicamente rilevanti non ancora formatisi tra le parti coinvolte in trattative[4].
Tuttavia, a tale interpretazione si è contrapposta in dottrina la tesi della sua natura contrattuale[5], ciò sulla base del “contatto sociale qualificato” che si individua dall’inizio di una trattativa tra le parti, in base al quale, anche in assenza di un vincolo formale, queste sono tenute al rispetto degli obblighi di buona fede reciproca come se tale vincolo fosse già esistente. L’adesione a quest’ultima tesi, emersa altresì in giurisprudenza[6], non è poi questione meramente teorica: notevoli saranno le conseguenze in punto di prescrizione del diritto al risarcimento[7]; dell’onere probatorio[8]; dell’entità del danno risarcibile nonché del calcolo della rivalutazione e degli interessi[9].
2. Responsabilità precontrattuale e agere pubblicistico
Una volta appurate le coordinate civilistiche su cui basare il discorso inerente l’applicazione della responsabilità precontrattuale alla Pubblica Amministrazione, è bene introdurre innanzitutto un distinguo fondamentale tra l’attività amministrativa “classica”, ossia quella regolata da norme procedimentali che ne disciplinano le condizioni, i tempi e le modalità di esercizio, in quanto tesa all’adozione di atti di natura autoritativa; e l’attività compiuta iure privatorum, ai sensi dell’art. 1 comma 1-bis l. 241/1990. Riguardo a quest’ultima, non sussistono particolari ostacoli circa l’applicazione delle regole civilistiche inerenti allo svolgimento di attività contrattuale da parte della pubblica amministrazione, che si vede così subordinata obblighi di natura precontrattuale derivanti dagli artt. 1337 e 1338 cod. civ.[10]
Diversamente, invece, nella prima ipotesi considerata, si è dovuto affrontare la questione dell’applicabilità della buona fede contrattuale anche ai rapporti tra soggetto pubblico e privato caratterizzati dalla posizione autoritativa assunta dalla pubblica amministrazione e dall’assenza (almeno fino a poco tempo fa), di una norma che espressamente assoggettasse quest’ultima al rispetto dei doveri di correttezza e buona fede[11].
Proprio in virtù di questa assenza, la responsabilità precontrattuale non poteva configurarsi in capo al soggetto pubblico, in primo luogo per l’espressa finalità pubblicistica degli atti da questo esercitati, da considerare prevalente rispetto all’affidamento riposto nei privati cittadini. Inoltre, anche a voler riconoscere specifica tutela alla fiducia del privato, non sarebbe stato possibile attribuirgli il diritto ad impugnare l’atto lesivo della propria posizione, vista l’impossibilità di considerarlo come “illegittimo” per mancanza della violazione di legge. Infine, quantunque si volesse ammettere il ricorso del soggetto privato all’azione ex art. 1337- 1338 cod.civ., facendo valere la violazione dell’affidamento come “comportamento” della pubblica amministrazione, il giudice ordinario chiamato a decidere sulla questione risarcitoria non avrebbe potuto esercitare alcun sindacato su scelte di carattere discrezionali, come appaiono quelle di interrompere delle trattative in atto ovvero del ritiro di un atto autoritativo[12].
3. Buona fede e correttezza quali obblighi della pubblica amministrazione: l’Adunanza Plenaria n. 5/2018
Tuttavia, alla luce della distinzione tracciata dalla giurisprudenza civile tra regole di validità e regole di responsabilità[13], e dall’affermazione dell’obbligo per la pubblica amministrazione di risarcire le posizioni da interesse legittimo[14], le predette resistenze avverso il riconoscimento della responsabilità precontrattuale sono venute a cadere.
Fondamentale a tale riguardo il contributo dell’Adunanza Plenaria, la quale, nella pronuncia n. 5/2018, risolvendo la relativa questione di diritto in maniera difforme da come era stata formulata nell’ ordinanza di rimessione, ha sancito l’applicazione della responsabilità precontrattuale in capo alla pubblica amministrazione, la quale nello svolgimento di attività autoritativa abbia, leda il diritto all’autodeterminazione negoziale del privato partecipante alla procedura.
Quanto alla natura della responsabilità in questione, la medesima Adunanza non prende posizione in merito al dibattito sulla sua qualifica extracontrattuale (dunque derivante dall’art. 2043 cod.civ.), ovvero contrattuale, e più propriamente da contatto sociale qualificato (ex art. 1173 cod.civ.), ma tale questione appare potersi risolvere sulla base dell’affermazione per cui gli stessi obblighi di correttezza e buona fede gravano sulla pubblica amministrazione «a maggior ragione»[15] che sui privati consociati, poiché dalla prima il cittadino può e deve attendersi «uno sforzo maggiore»[16] in termini di affidamento.
L’estensione degli obblighi civilistici nascenti dalla relazione instaurata con i soggetti che operano attraverso atti iure imperii passa dunque attraverso l’enucleazione della situazione giuridica protetta, il c.d. “affidamento incolpevole”, riconosciuto in capo al privato destinatario dell’attività pubblica. Tale situazione giuridica soggettiva, la cui natura è pur sempre quella di un diritto e non già di un interesse legittimo, viene a comporsi in capo al privato in attesa di un provvedimento positivo da parte della pubblica amministrazione in base ad alcuni elementi indizianti.
Questi, sono stati delineati dalla giurisprudenza amministrativa[17] in: un elemento oggettivo (chiarezza, certezza e univocità del vantaggio del privato); un elemento soggettivo (dato dal plausibile convincimento del privato di avere titolo all’utilità); nonché un elemento di tipo “cronologico” (passaggio di un certo lasso temporale che rafforza la convinzione della spettanza del bene giuridico). Da ciò ne deriva che l’indagine volta ad accertare la sussistenza di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione dovrà avere ad oggetto soltanto tali elementi e non riguarderà invece la spettanza al bene della vita cui il privato aspirava ad ottenere mediante in provvedimento amministrativo[18].
4. Il riparto di giurisdizione nell’evoluzione delle Sezioni Unite Civili
Una volta affermata la generale possibilità che la pubblica amministrazione possa essere chiamata a rispondere dei danni derivanti dalla lesione dell’affidamento procedimentale, la giurisprudenza si è soffermata sulla questione del riparto di giurisdizione.
Una iniziale posizione è stata espressa dalla Suprema Corte di Cassazione in due ordinanze c.d. “gemelle”[19], nelle quali si riconosceva l’assegnazione della relativa competenza esclusivamente al giudice ordinario.
Quanto alle argomentazioni svolte a sostegno di tale tesi, si sottolineava la natura di detta responsabilità come derivante dalla violazione di regole meramente comportamentali, formando i comportamenti illeciti della pubblica amministrazione l’oggetto di una fattispecie complessa, in cui veniva sottolineata l’assenza di un provvedimento illegittimo da impugnare ovvero dell’esercizio di un potere autoritativo. Da ciò ne derivava, a parere delle suddette ordinanze, la piena competenza del giudice ordinario, essendo la lesione prodotta dal soggetto pubblico equiparabile a quella provocata dai comportamenti contro la buona fede e/o non diligenti tra parti private.
D’altro canto, la causa petendi in questione non appariva rientrare nell’ambito dell’art. 133 cod. proc. amm., il quale, disciplinando le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, estende questa alle controversie aventi ad oggetto altresì i comportamenti della pubblica amministrazione, purché però derivanti dall’esercizio di poteri pubblici. Nell’ipotesi di illecita lesione dell’affidamento c.d. procedimentale, non ricorre invece alcuna condotta che possa definirsi, secondo il canone fornito dalla Corte costituzionale espressione anche “mediata” di poteri autoritativi[20], essendo essa piuttosto valutata direttamente alla luce del generale principio di solidarietà che regola nel nostro ordinamento i rapporti tra consociati.
Occorre poi considerare la distinzione tra il presente affidamento c.d. “procedimentale”, equiparato ai casi di affidamento civilistico, e i veri e propri casi di affidamento “legittimo” invece contemplati dalla l. 241/1990: trattasi delle fattispecie di cui all’art. 21-nonies, (annullamento d’ufficio del provvedimento); 21-quinques (revoca del provvedimento) e 2-bis (provvedimento tardivo) della medesima legge. Solo per questi ultimi, infatti, la lesione alla sfera soggettiva del privato deriverebbe direttamente dall’esercizio scorretto di un potere discrezionale della pubblica amministrazione, in ordine al quale sussisteranno in capo al privato sia l’azione demolitoria che quella risarcitoria, entrambe da esperire dinanzi al giudice amministrativo.
Per contro, le stesse Sezioni Unite della Cassazione[21] sono tuttavia tornate successivamente sulla questione, rilevando una diversa soluzione in base alla quale è stata valutata la possibilità di riconoscere la competenza del giudice amministrativo, sebbene limitatamente alla sua giurisdizione esclusiva. Posto infatti che la condotta “precontrattuale” del soggetto pubblico lamentata dal privato si inserisce nell’alveo dei comportamenti anti-doverosi, la possibilità di ricollegare un atto lesivo ma legittimo alla violazione di doveri direttamente connessi allo svolgimento di attività autoritativa, consente di rinvenire quei presupposti sufficienti stabiliti dal combinato degli artt. 7 e 133 cod. proc. amm. Solo rispetto alle materie ivi elencate infatti il giudice amministrativo è chiamato a pronunciarsi su tutte le questioni risarcitorie inerenti a diritti soggettivi, poiché vi si ravvisa una caratteristica interferenza con gli interessi legittimi, quali situazioni soggettive tipicamente legate all’esercizio del potere pubblico[22].
Ciò comporta che nell’ambito dell’attività contrattuale svolta dalla pubblica amministrazione tramite l’adozione della procedura ad evidenza pubblica, la cognizione delle controversie che riguardano la lesione dell’affidamento che i partecipanti ripongono nella stipula del contratto finale, sarà da attribuire al giudice amministrativo ovvero a quello ordinario a seconda che la condotta lamentata sia dovuta ad un atto tipico della procedura di gara pubblica oppure sia da questa del tutto svincolata.
5. La sentenza n. 9846/2021 del TAR Lazio: il fatto
La questione oggetto della pronuncia del TAR Lazio trae origine dal ricorso di una s.r.l. la quale agiva per ottenere l’accertamento e la condanna al risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale di una S.p.A., quest’ultima agente nella qualità di stazione appaltante.
Di fatto, tra la ricorrente e la società appaltante vi erano stati, tra il 2008 e il 2010, una serie di contatti volti alla stesura di un progetto contrattuale, avente ad oggetto lo sviluppo e la fornitura “di uno specifico ed esclusivo prodotto, consistente in un apparato radio portatile di alto profilo tecnologico”. Nella fattispecie, le fasi in cui la trattativa si era snodata avevano portato al raggiungimento di:
- un’intesa circa la proporzionata acquisizione degli apparati speciali da parte della S.p.A. “ente aggiudicatore”;
- il consenso dell’ente aggiudicatore all’istituzione con la ricorrente di un “rapporto diretto, specialistico e fiduciario” per il relativo protocollo di sperimentazione, con la stipula di un primo contratto di fornitura per alcune unità campione del prodotto finale;
- la protrazione di tali rapporti precontrattuali sino al 2018.
Per contro, la ricorrente aveva intanto avviato contatti con i propri fornitori, accettando quale condizione contrattuale temporanea, in vista della chiusura dell’accordo, la fornitura senza profitto di unità di prodotto alla società aggiudicatrice.
Quest’ultima, tuttavia, senza un congruo preavviso nel 2018, comunicava alla controparte la sopravvenuta mancanza di esigenza dell’acquisto dei suddetti prodotti, senz’altro aggiungere in ordine a tale brusco cambio di programma.
Orbene, la ricorrente società lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi di buona fede oggettiva, correttezza e diligenza da parte della società, così come disciplinati agli artt. 1175 e 1176 cod.civ., richiamando la giurisprudenza che applica la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione anche nello svolgimento di attività autoritativa. La S.p.A. aveva dato luogo in effetti alle reciproche intese, che si erano protratte per un tempo apprezzabile, sì da ingenerare nella ricorrente una “fondata aspettativa” nella conclusione del contratto finale.
Quanto alle argomentazioni svolte circa l’elezione del giudice amministrativo quale giudice competente, la ricorrente giustificava tale sua scelta nella sussistenza per il caso di specie di tutti i presupposti (oggettivi e soggettivi) stabiliti ai sensi dell’art. 133 lettera e) n. 1) cod. proc. amm. In particolare, la s.r.l. individuava tali presupposti nella la qualifica di “ente aggiudicatore” rivestita dal soggetto danneggiante come inclusa nell’elenco di soggetti obbligati all’applicazione delle norme sull’evidenza pubblica (art. 210 d.lgs. N. 163/2006, vigente all’epoca dei fatti); nonché la qualifica di procedimento di gara pubblica assunta dalla relazione di fatto intercorsa tra le due parti.
6. Ipotesi di giurisdizione ordinaria: le ragioni della decisione del TAR Lazio
Venendo all’oggetto della decisione in commento, questa appare valorizzare l’assunto della ricorrente in merito all’astratta configurabilità della responsabilità precontrattuale in capo alla pubblica amministrazione (cui un “ente aggiudicatore” può essere equiparato), in particolare evidenziando come nelle trattative con i terzi questa è sempre tenuta al rispetto dei principi di buona fede, lealtà e correttezza, avendo tali obblighi lo scopo di tutelare l’affidamento del privato circa il perfezionamento del contratto.
Riguardo invece al riparto di giurisdizione da considerare per la relativa azione risarcitoria, ebbene il presente Collegio sostiene che in una materia come l’evidenza pubblica, comprendente tutti i procedimenti di affidamento di pubblici lavori e forniture (comprese le concessioni) vige la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in forza del richiamato art. 133 comma 1, lett. e) n. 1), purché però le trattative antecedenti la stipula del contratto si siano svolte mediante una “pubblica gara”, con l’applicazione dei principi nazionali ed eurounitari (ossia di pubblicità, trasparenza, parità di trattamento, tutela della concorrenza). Dunque, anche se la lesione di cui si tratta riguarda un diritto soggettivo del privato, e derivi non già da un provvedimento autoritativo, ma dal «complesso degli atti e dal contegno» della pubblica amministrazione appaltante, il giudice competente ad accertare e condannare al risarcimento è individuato sempre nel giudice amministrativo.
Sono invece fuori dal campo applicativo dell’art. 133 cod.proc.amm. tutte le restanti ipotesi in cui la pubblica amministrazione, pur agendo nella veste di soggetto abilitato all’applicazione delle norme sull’evidenza pubblica, abbia intrattenuto le trattive volte alla stipula del contratto con l’operatore economico in via del tutto avulsa dalla procedura di gara pubblica. Ciò si rende possibile allorché manchino i presupposti per l’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica, in particolare qualora in forza dell’assenza di concorrenza tra operatori economici, vengono meno sia la necessità di preservare la parità di trattamento, sia di conseguenza l’obbligo di procedere all’aggiudicazione tramite una pubblica gara.
Il caso in questione, secondo il Collegio decidente, rientrerebbe in quest’ultima ipotesi, proprio alla luce della significativa qualifica assunta dal rapporto tra le parti, avente le caratteristiche di “rapporto diretto, fiduciario ed esclusivo”, possibile in virtù della realizzata condizione di assenza sul mercato di altri operatori economici che realizzassero un tale tipo di prodotto. La relazione intercorsa tra le due parti ha dunque assunto la natura di trattativa privata, in cui la parte pubblica ha agito in forza dell’art. 1 comma 1-bis della legge n. 241/1990, non esercitando alcun potere autoritativo, bensì agendo secondo le norme del Codice civile.
Posta la sussistenza di un rapporto “a trattativa diretta” tra le parti, le argomentazioni sostenute dalla ricorrente intorno alla identità del petitum con quanto disposto dall’art. 133 cod. proc. amm. vengono così fatte cadere dal TAR, il quale da una parte non ravvisa la presenza dell’elemento oggettivo (l’esercizio di attività autoritativa, anche in forma mediata), dall’altra valuta come insufficiente la sola presenza dell’elemento soggettivo (ossia la qualifica di “ente aggiudicatore” vigente in capo alla S.p.A.).
In conclusione, una volta emerso il rapporto di natura “paritetica” intercorso tra amministrazione e privato, la lesione prodotta dal comportamento del soggetto pubblico al diritto di autodeterminarsi secondo le proprie scelte negoziali sussistente in capo al privato va rimessa alla giurisdizione ordinaria.
[1] In base al primo, rubricato “Trattative e responsabilità precontrattuale”: «Le parti, nello svolgimento delle trattive e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede»; mentre l’art. 1338 c.c., riguarda la “Conoscenza delle cause d’invalidità”, così dispone: «La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte, e tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto». Secondo autorevole dottrina, la prima riguarderebbe l’ipotesi di “Ingiustificata rottura delle trattative”, la seconda norma invece è riferita alla “Mancata comunicazione delle cause di invalidità”, entrambi riferibili al dovere di “trattare lealmente” in capo ai contraenti, v. F. Bocchini, E. Quadri, Diritto Privato, G. Giappichelli Editore, Torino, 2011, 725 ss.
[2] Le prime, identificabili nei doveri di informazione, collaborazione e protezione reciproca; le seconde consistenti nel dovere di astenersi da comportamenti inficianti la libertà di autodeterminazione negoziale dell’altra parte, tra cui, ad esempio, è ricompreso il recesso ingiustificato dalle trattive. (sul punto, ex multis, Cassazione Civile, sez. II, 26 aprile 2012, n. 6526; Cassazione civile sez. II 15 aprile 2016, n. 7545).
[3] Qui da intendere quale buona fede in senso “oggettivo”, relativa cioè al concreto affidamento che la parte ripone nella correttezza del comportamento della controparte, e non già nel senso “soggettivo”, come ad esempio desumibile dall’art. 1147 cod.civ. in tema di possesso, intesa quale ignoranza di ledere un altrui diritto. Più in particolare, la buona fede è definita “generica” in riferimento al disposto dell’art. 1337 cod. civ., mentre essa è “specifica” in riferimento al disposto dell’art. 1338 cod.civ., in quanto attinente alla conoscenza delle cause di invalidità del contratto da stipulare.
[4] In giurisprudenza, v. Cass. civile., 20 agosto 1995, n. 9157,; Cass. civile, 18 giugno 1987, n. 5371.
[5] Tra i sostenitori di tale tesi, L. Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, 362; e più di recente, Palmieri, Trattative, contatto sociale qualificato e culpa in contrahendo: verso una tesi contrattualistica, FI , 2016, I, 2695.
[6] Così, la Cass. civile sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188; conforme, Cass. civile, sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27648; mentre, ancora a sostegno della tesi opposta circa la natura extracontrattuale, si è pronunziata la Cass., Sezioni Unite Civili, 16 luglio 2001, n. 9645, Giust. Civ. Mass. 2001, 1404.
[7] In merito al termine di prescrizione, questi è stabilito nella durata di cinque anni per la responsabilità extracontrattuale (art. 2947 cod.civ.), e decorre dal giorno in cui il fatto si è verificato; mentre il termine è di dieci anni per quella contrattuale, (art. 2946 cod.civ.).
[8] Nell’ipotesi extracontrattuale, è il danneggiato a dover provare il fatto ingiusto, il danno ed il nesso eziologico; mentre nella responsabilità contrattuale l’onere ricade in capo al debitore, che deve provare l’assenza di colpa e la non-imputabilità dell’inadempimento.
[9] Quanto al calcolo del danno risarcibile, gli artt. 1223- 1227 risultano in parte applicabili ad entrambe le ipotesi di responsabilità, con l’eccezione dell’art. 1225 cod.civ, che limita la risarcibilità ai soli danni “prevedibili” per quella contrattuale; e dell’art. 1224 comma 2, in merito all’ulteriore danno da rivalutazione, che nella responsabilità contrattuale dovrà essere oggetto di prova del creditore.
[10] Tra le ultime pronunce che affermano la sussumibilità dell’agire privatistico della pubblica amministrazione entro la fattispecie di cui all’art. 1337, v. TAR Campania, Napoli, Sez. I , 5 gennaio 2021, n. 69
[11] L’inserimento di tali doveri nella legge sul procedimento amministrativo è avvenuto con l’aggiunta del comma 2-bis all’art. 1, con la l. n. 120/2020, di conversione del d.l. n. 76/2020, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali”.
[12] In dottrina, v. Giannini, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in Raccolta di scritti in onore di A.C. Jemolo, vol. III, Milano, 1963, 265 ss; Racca, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione tra autonomia e correttezza, Napoli, 2000.
[13] Si afferma infatti in ambito civile che la violazione di regole di condotta precontrattuale, in quanto “regole di responsabilità”, non vale ad inficiare la validità del contratto eventualmente stipulato, (v. ex multis, Cass- civ. Sez.Un. 19 dicembre 2007, n. 26742). L’argomento ha condotto il giudice amministrativo ad affermare che anche in diritto pubblico la violazione di norme di comportamento non presupponga la violazione di regole di validità, non necessitando dunque l’affermazione della responsabilità precontrattuale della illegittimità del provvedimento amministrativo, in Cons. Stato, Sez. IV, 115 settembre 2014, n. 4674.
[14] Principio affermato per la prima volta dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 500/1999.
[15] Consiglio di Stato, sez. Ad.Plen., 4 maggio 2018, sent. n. 5/2018, §24
[16] Ibidem, §24
[17] Cons. Stato., Sez. V, 23 agosto 2016, sent. n. 3674
[18] Come da ultimo chiarito dal Consiglio di Stato, nell’ordinanza n. 2753 del 6 aprile 2021.
[19] Cassazione Civile, Sez. Un., 23 marzo 2011, n. 6594 e Cassazione Civile, Sez. Un., 23 marzo 2011, n. 6595
[20] Espressione utilizzata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 204/2004, in cui, dichiarando la parziale incostituzionalità degli artt.33 e 34 del D.lgs. n. 80/1998, individuava il discrimen tra comportamenti lesivi espressione di potere autoritativo pubblico e comportamenti invece afferenti a poteri di mero fatto, in relazione ai quali l’attribuzione alla giurisdizione amministrativa non si riteneva giustificata in base all’assenza del predetto presupposto.
[21] Cassazione Civile, Sez. Un. 29 maggio 2017 n. 13454; e Cassazione Civile, Sez. Un., 22 giugno 2017, n. 15640.
[22] Vedi, in particolare, Cassazione Civile, Sez. Un., 29 maggio 2017, n. 13454