Pubbl. Mer, 13 Apr 2022
La rettifica e la correzione di errori materiali nelle procedure ad evidenza pubblica
Modifica paginaL´errore materiale o l´omissione commessa nella lex specialis richiede un apposita rettifica del bando e del disciplinare da parte della stazione appaltante fatta nelle stesse forme e con le medesime modalità di pubblicità di detti atti, pertanto non è emendabile con i chiarimenti che invece non possono modificare gli atti di gara non potendo costituire, per giurisprudenza consolidata, integrazione o rettifica della lex specialis di gara. (Consiglio di Stato, sez. III, 7 gennaio 2022, n. 64).
Sommario: 1. Il caso vagliato dal Consiglio di Stato n. 64/2022; 2. Inquadramento generale del potere di rettifica; 3. Le precisazioni della giurisprudenza: i presupposti del provvedimento di rettifica; 3.1. La nozione di errore materiale; 3.2. Il principio del contrarius actus; 3.3. Il soccorso istruttorio (brevi cenni); 4. L’applicazione dell’istituto della correzione di errori materiali nelle procedure di evidenza pubblica; 5. La decisione del Consiglio di Stato; 6. Conclusioni.
1. Il caso vagliato dal Consiglio di Stato n. 64/2022
Con la sentenza n. 64/2022 il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla possibilità per le stazioni appaltanti di correggere eventuali errori riscontrati nel bando di gara. Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici amministrativi una stazione appaltante ha attivato una procedura per l’affidamento della concessione di un servizio. Alla procedura hanno preso parte una S.p.A. e una s.r.l. La stazione appaltante ha disposto l’aggiudicazione nei confronti della s.r.l.
La S.p.A. ha impugnato l’aggiudicazione in favore della controinteressata, eccependo, tra l’altro, che la stazione appaltante avrebbe cambiato in corso di gara i criteri di valutazione facendo ricorso ai chiarimenti, senza provvedere alla rettifica del disciplinare e del capitolato e senza pubblicare la modifica sulla Gazzetta Ufficiale.
Il Tar ha accolto il motivo di impugnazione relativo alla modifica dei criteri di valutazione delle offerte e conseguentemente ha annullato sia il disciplinare di gara che il provvedimento di aggiudicazione. Avverso tale sentenza la società aggiudicataria ha proposto appello ed anche la stazione appaltante si è costituita in giudizio chiedendo l’accoglimento dell’appello.
Il Supremo Consesso amministrativo, nel rigettare il motivo di appello relativo al capo della sentenza di primo grado con cui è stato accertato che i chiarimenti hanno illegittimamente modificato la lex specialis senza rispettare le forme di pubblicità prescritte, ha chiarito che l’errore materiale riscontrato nella lex specialis non è emendabile con lo strumento dei chiarimenti ma richiede una apposita rettifica del bando e del disciplinare fatta con le stesse forme di questi ultimi atti.
2. Inquadramento generale del potere di rettifica
La questione affrontata dal Consiglio di Stato riguarda la possibilità per la stazione appaltante di procedere alla correzione di errori materiali e le modalità in cui la stessa può procedere in via autonoma. Più in generale, la questione si inquadra nella tematica dell’errore emendabile dalla PA in sede di autotutela mediante l’emissione di un provvedimento di rettifica.
La rettifica è una forma di autotutela amministrativa. L’autotutela amministrativa non ha bisogno di una disposizione legislativa ad hoc per poter essere esercitata, essa si fonda sull’articolo 97, primo comma, Cost., secondo cui la Pubblica Amministrazione deve agire nel rispetto del principio di legalità, ovvero secondo imparzialità e buon andamento; inoltre, ai sensi dell’art. 1, primo comma, della legge n. 241 del 1990, essa deve conformarsi a criteri di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza oltre che ai principi dell’ordinamento comunitario.
La L. n. 15/05, ha inciso sulla L. n. 241/90 fornendo al potere di autotutela ulteriore base normativa. In particolare, il Legislatore del 2005 ha espressamente disciplinato alcune forme di autotutela: ed infatti, all’art. 21 nonies L. n. 241/90 sono previste l’annullamento d’ufficio e la convalida, all’art. 21 quinquies la revoca, all’art. 21 quater la sospensione del provvedimento.
Oltre all’autotutela spontanea, che fa riferimento agli atti con cui la Pubblica Amministrazione interviene d’ufficio sui propri provvedimenti, la L. n. 241/90 si occupa anche dell’autotutela esecutiva, ossia del potere della P.A. di dare esecuzione ai propri provvedimenti, mediante il disposto di cui all’art. 21 ter in materia di esecutorietà del provvedimento; nonché dell’autotutela contenziosa, che coincide con la potestà della P.A. di decidere sui ricorsi amministrativi, e dell’autotutela necessaria, in cui rientrano i controlli amministrativi.
L’autotutela amministrativa, pertanto, è uno strumento proprio dell’attività amministrativa, con il quale si interviene al fine di correggere la portata dell’azione amministrativa fino a quel momento posta in essere, onde consentire il migliore perseguimento dell’interesse pubblico, così come declinato dal principio di legalità, inteso in senso ampio. L’autotutela amministrativa assume una portata generale, a differenza di quella privata, proprio sulla base della considerazione del fatto che essa, quale manifestazione di attività amministrativa, attiva di secondo grado, è deputata al soddisfacimento dell’interesse pubblico.
Facendo applicazione di questo potere generale di riesame la Pubblica Amministrazione può ottenere diversi effetti:
- un effetto demolitorio, perseguito mediante l’annullamento d’ufficio o la revoca che provocano la rimozione del provvedimento di primo grado;
- un effetto confermativo, conseguito tramite la conferma volta a ribadire la correttezza e la legittimità del provvedimento di primo grado;
- un effetto conservativo, realizzato attraverso gli istituti della convalida, ratifica, sanatoria, conversione, riforma, rinnovazione, proroga e della rettifica, avente lo scopo di conservare il provvedimento di primo grado eliminando i relativi vizi.
La dottrina è pacifica nel ritenere che il riesame con esito conservativo costituisce espressione del principio di conservazione degli atti giuridici. L’Amministrazione, prima di rimuovere un provvedimento viziato, deve preliminarmente verificare la possibilità di adottare una misura conservativa, con la conseguenza che la rimozione dell’atto si palesa sempre come una misura sussidiaria rispetto alla conservazione[1].
Orbene, la rettifica rientra proprio negli strumenti di autotutela conservativa, i quali si ispirano al principio di conservazione degli atti giuridici. Il fine del principio generale citato è quello di evitare che un atto sia improduttivo di effetti giuridici per cui riveste particolare rilievo la norma dell’art. 1367 c.c., secondo cui «nel dubbio i negozi giuridici debbono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno».
Il principio di conservazione di cui all’art. 1367 c.c. opera anche in sede di interpretazione dell’atto amministrativo: la Pubblica Amministrazione prima di eliminare dal mondo giuridico un provvedimento viziato deve verificare la possibilità di interpretarlo nel senso di renderlo produttivo di effetti giuridici adottando una misura conservativa. Inoltre, il principio in commento trova applicazione anche in ambito comunitario.
Nella nota sentenza Algera[2] la Corte di Giustizia ha fatto uso del principio utile per inutile vitiatur pronunciandosi sulla possibilità di revoca degli atti amministrativi comunitari in tutti gli ordinamenti degli Stati membri. Dunque, le regole di ermeneutica dettate in materia civile per i contratti si applicano pure all’interpretazione dell’atto amministrativo ma, nel caso di interpretazione di provvedimenti adottati dalla P.A., deve essere valutata anche l’esigenza di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa e del divieto di aggravamento del procedimento, nonché la funzione tipica degli atti amministrativi vincolati al perseguimento degli interessi pubblici e non liberi nel fine, diversamente dai contratti che invece costituiscono manifestazione dell’autonomia negoziale.
Il principio di conservazione opera solo con riferimento agli atti annullabili e non anche agli atti nulli: in presenza di atti amministrativi illegittimi o inopportuni la PA può scegliere di adottare un atto che elimini l’atto viziato oppure un atto che lo sani. Nel caso in cui la Pubblica Amministrazione scelga di avvalersi di un atto che elimini il vizio inficiante il provvedimento può utilizzare la rettifica che consiste proprio in un procedimento mediante il quale il provvedimento valido, affetto da una semplice irregolarità non invalidante, è corretto con la conseguente eliminazione degli errori.
3. Le precisazioni della giurisprudenza: i presupposti del provvedimento di rettifica
La giurisprudenza amministrativa ha precisato nel tempo quali sono i limiti e le condizioni di ammissibilità per l’emissione da parte della P.A. di un provvedimento di rettifica. In particolare, il Consiglio di Stato[3] a proposito dell’istituto della rettifica ha sancito quanto segue: «l’istituto della rettifica consiste nella eliminazione di errori ostativi o di errori materiali in cui l’amministrazione sia incappata, di natura non invalidante ma che diano luogo a mere irregolarità».
La rettifica, dunque, costituisce il provvedimento mediante il quale viene eliminato l’errore materiale in cui è incorsa l’autorità emanante nella determinazione del contenuto del provvedimento[4]. Inoltre, la giurisprudenza amministrativa ha individuato gli elementi che differenziano la rettifica dall’annullamento: la prima, concernendo un errore materiale, non richiede una motivazione rigorosa come la seconda[5] e non può ritenersi sottoposta alle condizioni prescritte dall’art. 21 nonies, comma 1, della legge generale sul procedimento amministrativo per l'annullamento d'ufficio.
Peraltro, diversamente dal potere di annullamento, il potere di correzione dell’errore materiale non richiede neppure di valutare comparativamente l'interesse pubblico e l’interesse privato coinvolti, essendo finalizzato a rendere il contenuto del provvedimento conforme alla reale volontà di chi lo ha adottato[6], senza dunque esprimere alcuna effettiva potestà discrezionale.
In definitiva, la rettifica mediante cui viene eliminato l’errore in cui è incorsa l’Autorità emanante nella determinazione del contenuto del provvedimento si distingue dall’annullamento d’ufficio e dalla revoca, poiché non ha natura di vero e proprio provvedimento di riesame e non è assoggettato alla disciplina di cui all’art. 21 nonies della Legge n. 241/1990, in quanto non riguarda atti affetti da vizi di merito o di legittimità e non presuppone alcuna valutazione, più o meno discrezionale, in ordine alla modifica del precedente operato della P.A., inoltre non coinvolge la valutazione dell’interesse pubblico sotteso all’emanazione del provvedimento di primo grado, non comporta nessuna valutazione tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato, non richiede una motivazione rigorosa, e si distingue, altresì, dalla regolarizzazione che, normalmente, comporta l’integrazione dell’atto[7].
La differenza tra i suddetti istituti è pacificamente affermata in giurisprudenza[8] che evidenzia come il discrimen tra l’errore materiale, che consente una mera rettifica, e l’errore vizio, che comporta l'annullabilità dell’atto, consiste nell'indagare se è stata viziata o meno la volontà della P. A.: l'errore materiale, com'è noto, non opera sul processo formativo della volizione, ma provoca soltanto una divergenza tra la volontà, correttamente formata nell’adozione del provvedimento, e la dichiarazione di quest’ultimo.
Il provvedimento che contiene un’innovazione nel contenuto di un precedente atto ed introduce in esso elementi in qualche modo diversi da quelli originari costituisce atto di riforma e non di rettifica del primitivo provvedimento.
La giurisprudenza amministrativa, quindi, ha confermato che la rettifica è il provvedimento mediante cui, di regola, viene eliminato l’errore materiale in cui è incorsa l’Autorità emanante nella determinazione del contenuto del provvedimento[9], e, quale provvedimento di secondo grado volto alla semplice correzione di errori materiali o di semplici irregolarità involontarie[10], si distingue profondamente dall’annullamento d’ufficio e dalla revoca, non avendo natura di vero e proprio provvedimento di riesame e non essendo assoggettato alla disciplina di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, in quanto: non riguarda atti affetti da vizi di merito o di legittimità e non presuppone alcuna valutazione, più o meno discrezionale, in ordine alla modifica del precedente operato della P.A.[11], anzi secondo parte della giurisprudenza, ha natura doverosa, in luogo della discrezionalità insita nel potere di annullamento d’ufficio[12]; non coinvolge la valutazione dell’interesse pubblico sotteso all’emanazione del provvedimento di primo grado[13]; non comporta nessuna valutazione tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato[14]; non richiede una motivazione rigorosa[15].
Infine la giurisprudenza amministrativa ha precisato che ai fini dell’inquadramento di un atto amministrativo non assume rilievo dirimente l’autoqualificazione datane dall’Amministrazione emanante, dovendosi invece aver riguardo al suo contenuto sostanziale ed alla funzione da esso perseguita, ed ha altresì chiarito che si può ricorrere alla rettifica solo entro un congruo limite temporale poiché non è possibile pregiudicare la certezza dei rapporti, soprattutto nel caso di incidenza pregiudizievole sulla situazione giuridica del destinatario dell’atto.
3.1. La nozione di errore materiale
Il procedimento di rettifica, dunque, può essere avviato in presenza di un atto viziato da errori materiali. La giurisprudenza e la dottrina hanno precisato che affinché ricorra un’ipotesi di errore materiale in senso tecnico-giuridico, occorre che esso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità, senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo[16], valendo il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto.
L’errore meramente materiale viene qualificato dalla dottrina civilistica[17] come quell’errore che appartiene «al genere degli errori accidentali (altrimenti detti inessenziali), di quegli errori che cioè, pur integrando un vizio reale del negozio, non ne provocano l’annullabilità»; l’errore materiale, infatti, «non penetra nel processo di formazione della volontà, non determina gli esiti del processo volitivo della parte. Si applica il principio ‘falsa demonstratio non nocet’, il quale si riferisce a quei casi di erronea indicazione di una cosa o di una persona, che possono essere rettificati grazie al contenuto complessivo della stessa dichiarazione di volontà, oppure grazie al ricorso ad altri elementi estrinseci»[18].
La correzione dell’errore materiale non ammette, infatti, a livello ontologico, alcuna operazione cognitiva, consentendo a colui che ha confezionato l’errore materiale di produrre gli elementi idonei a consentirne la dimostrazione e correzione, al fine di salvaguardare la «conservazione del contratto emendato, tutte le volte in cui, all’esito dell’interpretazione, si sia ricostruita l’effettiva comune volontà delle parti»[19].
Perché l’istanza di rettifica di un errore materiale contenuto in un atto amministrativo comporti l’insorgere di un obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi, deve trattarsi di una domanda contenente effettivamente la prospettazione di un errore consistente, secondo i principi suddetti, in una inesattezza o svista accidentale rilevando una discrepanza tra la volontà della Autorità emanante e la sua rappresentazione, chiaramente riconoscibile da chiunque e che è rilevabile dal contesto stesso dell’atto. In ambito amministrativo l’errore materiale consiste in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione dell’atto che deve emergere ictu oculi.
In definitiva, l’errore materiale non esige alcuna attività correttiva del giudizio, che deve restare invariato, dovendosi semplicemente modificare il testo in una sua parte, per consentire di riallineare in toto l’esposizione del giudizio alla sua manifestazione[20].
3.2. Il principio del contrarius actus
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario ritiene che il provvedimento di rettifica sia espressione di una funzione amministrativa di contenuto identico, seppure di segno opposto, a quella esplicata in precedenza. Tale funzione deve, dunque, articolarsi secondo gli stessi moduli già adottati, senza i quali rischia di risultare monca o, comunque, difettosa rispetto all’identica causa del potere, sicché l’amministrazione è tenuta a porre in essere un procedimento omologo, anche per quel che concerne le formalità pubblicitarie, di quello a suo tempo seguito per l’adozione dell’atto modificato, richiedendosi una speculare, quanto pedissequa, identità dello svolgimento procedimentale[21].
In base al principio del contrarius actus il potere di provvedere su determinati affari comprende necessariamente e coerentemente anche quello di procedere al relativo ritiro, che deve essere adottato con le stesse forme e modalità procedimentali previste per l’atto da ritirare[22]. Dunque, per il principio del contrarius actus, che è un corollario della riserva di competenza, per l’emanazione di un provvedimento di ritiro, o di secondo grado in genere, devono essere usate le stesse forme e la medesima procedura seguite nell'adottare l'atto da annullare o da revocare.
Ne deriva, applicando i principi appena esposti che le modifiche del bando di gara non abbiano effetto nei confronti delle imprese partecipanti alla gara se non sono portate a conoscenza delle stesse nelle medesime forme attraverso le quali è stata data pubblicità al bando ovvero mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Tale regola (che impone l'identità delle forme di pubblicità) si desume proprio dal più generale principio del contrarius actus, come detto applicabile all’autotutela provvedimentale, in forza del quale la modifica, o il ritiro, di un atto deve avvenire nelle stesse forme anche pubblicitarie e seguendo le stesse procedure dell'atto modificato o ritirato.
Tuttavia, secondo un diverso orientamento giurisprudenziale più recente il provvedimento di rettifica non è soggetto al principio del contrarius actus: i provvedimenti di annullamento o di ritiro in via di autotutela sono espressione di una volontà discrezionale della P.A. con conseguente necessità di seguire la stessa procedura e con le stesse modalità dell’atto annullato o ritirato; mentre, mancando questa discrezionalità nell’atto di rettifica di errori materiali e subentrando la doverosità della loro correzione, sarebbe contrario alla logica il dover porre in essere il medesimo procedimento e con le stesse modalità adottate nell’adozione dell’atto rettificato[23].
Più precisamente, l’orientamento in esame sostiene che un provvedimento di rettifica non è soggetto al principio del contrarius actus poiché i provvedimenti di annullamento o di ritiro in via di autotutela sono espressione di una volontà discrezionale della P.A. e da qui discende la necessità di seguire la stessa procedura e con le stesse modalità dell’atto annullato o ritirato; mentre, mancando questa discrezionalità nell’atto di rettifica di errori materiali e subentrando la doverosità della loro correzione, sarebbe contrario alla logica il dover porre in essere il medesimo procedimento e con le stesse modalità adottate nell’adozione dell’atto rettificato.
3.3. Il soccorso istruttorio (brevi cenni)
Alla stregua dei principi generali che regolano il procedimento amministrativo, le istanze dei privati rivolte alla P.A. devono essere da questa esaminate per ciò che queste ultime sono nella loro sostanza, al di là di ogni rigorismo formale, tutte le volte in cui l’errore materiale eventualmente commesso sia agevolmente riconoscibile e sanabile dall’interessato attraverso una richiesta istruttoria di regolarizzazione.
Ciò vale in particolare nei procedimenti amministrativi di tipo non concorsuale, ove il principio evocato non soffre le limitazioni discendenti dall'esigenza di tutela della “par condicio” dei concorrenti. Infatti, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. b), della L. n. 241 del 1990 è previsto, tra l’altro, che il responsabile del procedimento adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria e in particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete.
Dunque, venendo in rilievo una mera irregolarità formale, l’Autorità amministrativa può attivare l'istituto del c.d. soccorso istruttorio, facendo precedere la determinazione rimessa alle sue cure dall’invito rivolto alla richiedente di fornire chiarimenti ovvero di regolarizzare la domanda[24].
Il soccorso istruttorio è un istituto applicabile in qualunque procedimento amministrativo in virtù dell’art. 6, 1° comma, lett. b), L. n. 241/1990, il quale sancisce il potere del RUP di adottare tale strumento al fine di colmare lacune documentali, rettificare dichiarazioni o correggere errori emergenti in fase istruttoria, ciò nell’ottica di leale collaborazione tra privato cittadino e pubblica amministrazione, quale corollario del principio di buon andamento dell’azione amministrativa e quindi del perseguimento del pubblico interesse.
Nella contrattualistica pubblica il soccorso istruttorio costituisce il rimedio ad omissioni, incompletezze e irregolarità di informazioni e documenti utili ai fini della partecipazione dell’operatore economico alla gara mediante l’integrazione, in caso di omissione od incompletezza della documentazione, o la regolarizzazione di documenti già presentati ma affetti da irregolarità o errori materiali .La ratio dell’istituto in questione corrisponde, dunque, all’esigenza di limitare le ipotesi di esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara ai soli casi di carenze gravi e sostanziali dei requisiti di partecipazione alla gara, ampliandone specularmente le possibilità di concorrere all’aggiudicazione del contratto pubblico, in ossequio al principio del favor partecipationis (Artt. 101 e segg. T.U.E.).
Il problema applicativo consiste nel delimitare il raggio d’azione della stazione appaltante, in modo da definire la portata dell’istituto avendo riguardo non solo al favor partecipationis, ma anche al principio di tipicità delle cause di esclusione, art. 83, 8° comma, D.lgs. n. 50/2016 ed al principio della par condicio dei concorrenti. Ed invero, il c.d. “soccorso istruttorio” non può essere utilizzato nelle gare di appalto per supplire a carenze dell’offerta, sicché non può essere consentita al concorrente la possibilità di completare l’offerta successivamente al termine finale stabilito dal bando, salva la rettifica di errori materiali o refusi.
Non è neppure possibile utilizzare il c.d. soccorso istruttorio nel caso in cui si tratti non già di un mero errore materiale o di un refuso, ma si voglia operare una vera e propria – inammissibile – eterointegrazione delle condizioni del bando di gara. La giurisprudenza ha da tempo chiarito come, pure in materia di concorsi pubblici, la P.A. ha sempre un ragionevole obbligo, nei limiti di razionale proporzionalità, di verificare la correttezza delle domande di partecipazione alle procedure concorsuali e di attivarsi mercé il soccorso istruttorio ex art. 6 della l. 7 agosto 1990 n. 241, ove siano riscontrati meri errori materiali, agevolmente desumibili dai documenti versati in atti o segnalati dal candidato[25].
L’attivazione del c.d. soccorso istruttorio, difatti, è tanto più necessaria per le finalità proprie di dette procedure che, in quanto dirette al fine pubblico della selezione dei migliori candidati a posti pubblici, non possono essere alterate nei loro esiti da meri errori formali, come accadrebbe se un candidato meritevole non risultasse vincitore per una mancanza facilmente emendabile con la collaborazione dell’Amministrazione.
Pacifico è peraltro che, in tali evenienze, rimane comunque fermo il necessario rispetto del principio della par condicio competitorum, per cui l’intervento dell’Amministrazione diretto a consentire al concorrente di regolarizzare o integrare la documentazione presentata non può produrre un effetto vantaggioso a danno degli altri candidati. Non si è tra l’altro mancato di ribadire che, se l’errore è riconoscibile secondo le condizioni poste dalle disposizioni del Codice civile per gli atti negoziali, può richiedersi addirittura all’Amministrazione lo sforzo diligente di emendarlo autonomamente[26].
4. L’applicazione dell’istituto della correzione di errori materiali nelle procedure di evidenza pubblica
Precisati i presupposti e i limiti per l’esercizio del potere di rettifica e la conseguente possibilità di emanare un provvedimento volto a correggere gli errori materiali la giurisprudenza amministrativa ha stabilito che tale potere può essere esercitato dalla P.A. anche nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica. L’Amministrazione, per perseguire fini pubblici, può avvalersi degli strumenti propri del diritto privato. La L. n. 241/90 riconosce espressamente l’autonomia negoziale della P.A.
L’attività contrattuale della Pubblica Amministrazione può concretizzarsi nella stipula di contratti di diritto comune, disciplinati dal Codice civile, nonché di contratti speciali di diritto privato, regolati da norme civilistiche di specie, e di contratti ad oggetto pubblico, originati dall’unione fra contratto e provvedimento amministrativo in settori a rilevanza pubblicistica. Il procedimento amministrativo che porta alla stipula dei contratti della P.A. è definito di evidenza pubblica ed è caratterizzato dalla coesistenza di due moduli: uno relativo alla fase di formazione della volontà, che segue le norme di diritto comune; l’altro volto ad esplicitare l’interesse pubblico alla stipula del contratto, che segue le norme procedurali amministrative.
La procedura di evidenza pubblica è contrassegnata quindi da profili di specialità che rispondono all’esigenza di assicurare, anche nell’ambito dell’azione amministrativa di diritto privato, il perseguimento dei fini pubblici e la par condicio fra tutti i possibili contraenti. Tutte le procedure di gara, salvo ipotesi eccezionali, sono indette mediante apposito bando di gara con cui la P.A. rende nota la volontà di stipulare un contratto, che costituisce la lex specialis della procedura. Il bando e tutti gli altri atti di lex specialis contengono le regole del procedimento di selezione del contraente e contengono disposizioni vincolanti sia per i concorrenti che per la stazione appaltante.
Secondo la concezione privatistico – negoziale il bando si configura come un’offerta al pubblico ovvero come un invito ad offrire. Secondo la concezione pubblicistica, invece, il bando è un tipico atto amministrativo, volto a dare inizio e a regolare la fase procedimentale diretta alla stipula di un contratto. Pertanto, nonostante la procedura di evidenza pubblica sia espressione dell’attività di diritto privato della P.A. e sia contraddistinta da profili di specialità, il bando di gara costituisce un atto amministrativo con cui la P.A. individua le regole a cui decide di autovincolarsi nell’ambito della procedura.
Atteso che il bando di gara costituisce lex specialis della procedura ad evidenza pubblica le prescrizioni del bando di gara non vincolano solo i concorrenti ma anche l’Amministrazione, la quale non dispone, quindi, di margini di discrezionalità nella loro concreta attuazione. Ciò posto, la rettifica ha conosciuto una peculiare applicazione in tema di bando di gara, laddove si è affermato il principio generale, secondo il quale la correzione di un errore materiale nel bando di gara è ammessa quando tale errore si palesa come evidente ed inequivoco, senza che sia necessario ricostruire la volontà dell’amministrazione. Quando l’errore non è, ictu oculi, palese, è necessario un atto di ritiro del provvedimento errato, con l’esplicitazione delle motivazioni pubblicistiche e l'adozione di un nuovo provvedimento corretto.
A tal proposito la giurisprudenza amministrativa ha confermato che «nelle procedure per l’affidamento di appalti pubblici, la portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara esige che alle stesse sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura, senza che in capo all’organo amministrativo cui compete l’attuazione delle regole stabilite nel bando residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento; pertanto, qualora il bando commini espressamente l’esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, la p.a. è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione, anche nel caso che con tale “lex specialis” la p.a. si sia illegittimamente autovincolata, mediante esplicito rinvio ad una fonte normativa (erroneamente richiamata), attesa la sua non disapplicabilità» [27].
Il Consiglio di Stato ha altresì precisato che le prescrizioni del bando di gara non possono neppure essere disapplicate dalla PA, ancorché ritenute genericamente “inopportune”; esse, infatti, «costituiscono la lex specialis della gara stessa, la quale vincola non solo i concorrenti ma anche la stessa amministrazione, la quale non dispone di alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione né può disapplicarle neppure nel caso in cui talune di esse risultino inopportune, salva la possibilità di far luogo, nell’esercizio del potere di autotutela, all’annullamento d’ufficio del bando»[28].
La commistione tra il modello privato e quello pubblico ha consentito quindi l’affermarsi dell’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente che consente alla P.A. di attivare il potere di autotutela ed in particolare quello di rettifica anche nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica. Facendo applicazione dei richiamati principi in materia di rettifica e di correzione di errore materiale la giurisprudenza amministrativa ha recentemente consentito la rettifica dei verbali di giudizi relativi alle offerte presentate in una gara pubblica: «nelle gare pubbliche, nel caso in cui il verbale dei giudizi relativi alle offerte sia inficiato da errori materiali, è possibile la sua rettifica: l'errore materiale, infatti, consiste in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione che deve emergere ictu oculi»[29].
Pertanto, in materia di offerte nelle gare pubbliche la rettifica di eventuali errori è considerata ammissibile a condizione che si tratti di correzione di errore materiale, necessariamente riconoscibile, e che «non si sostanzi in operazioni manipolative e di adattamento dell’offerta, risultando altrimenti violati la par condicio, l’affidamento nelle regole di gara e le esigenze di trasparenza e certezza, con conseguente necessità di prevenire possibili controversie sull'effettiva volontà dell'offerente»[30].
Nelle gare pubbliche è onere della stazione appaltante, in presenza di errore materiale nella formulazione dell’offerta, di ricercare l’effettiva volontà del concorrente, come nel caso in cui, mediante il ricorso ad una mera operazione matematica, effettuata sulla base degli altri elementi contenuti nell’offerta economica, si possa procedere alla correzione dell’errore materiale stesso; ciò tanto più quando la correzione dell’errore materiale, rilevabile immediatamente senza necessità di particolari verifiche o interpretazioni del relativo dato, non sia in grado di comportare alcuna modifica dell’offerta globalmente intesa.
Deriva da quanto rilevato che non è ragionevolmente ravvisabile alcuna incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta economica, assoggettabile ad una mera operazione di rettifica del dato numerico non corretto[31]. Tale attività interpretativa può, quindi, anche consistere nell’individuazione e nella rettifica di eventuali errori di scritturazione o di calcolo, a condizione, però, che alla rettifica si possa pervenire con ragionevole certezza e, comunque, senza attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta o a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerente[32].
Infine, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che la possibilità della rettifica di errori materiali va sempre riconosciuta a condizione che si tratti di un errore materiale riconoscibile maturato in un contesto nel quale sia possibile ricostruire in modo inequivoco quale fosse la volontà effettiva del concorrente in modo da elidere la possibilità che la correzione dell’errore divenga uno strumento per modificare o integrare l’offerta[33].
In definitiva, per la rettifica del bando di gara, è necessario che la stessa autorità amministrativa che adottato il primo bando emani un nuovo provvedimento che rettifichi il contenuto del precedente bando, dando una motivazione, circa la natura dell’errore meramente materiale o di trascrizione, inoltre occorre che il nuovo provvedimento sia pubblicato mediante le medesime forme nelle quali era stato pubblicato il primo bando e che si preveda la proroga del termine per la presentazione delle offerte, in modo che sia lo stesso previsto dal primo bando con decorrenza dal giorno di pubblicazione del provvedimento di rettifica.
5. La decisione del Consiglio di Stato
Facendo applicazione delle norme, dei principi e della giurisprudenza citata, il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ha rigettato il motivo di appello relativo al capo della sentenza di primo grado con cui è stato accertato che i chiarimenti hanno illegittimamente modificato la lex specialis senza rispettare le forme di pubblicità prescritte.
In particolare, sia il giudice di primo grado che il giudice d’appello hanno ricordato che per giurisprudenza consolidata, la stazione appaltante non può, in sede di chiarimenti, modificare le previsioni della legge di gara; le uniche fonti della procedura di gara sono costituite dal bando, dal capitolato e dal disciplinare, unitamente agli eventuali allegati, sicché i chiarimenti autointerpretativi della Stazione appaltante non possono né modificarle, né integrarle e quindi non possono essere vincolanti per la Commissione aggiudicatrice; la circostanza che la gara sia diretta all’aggiudicazione di una concessione non consente di derogare ai principi suindicati, atteso che l’art. 164 del D.lgs. n. 50 del 2016 prevede l’applicazione alle concessioni non solo dei principi generali, ma anche della disciplina sulle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi del resto non sussistono limiti di compatibilità tra la disciplina richiamata e le caratteristiche tipiche della concessione da affidare, anche considerando che si tratta di principi posti a presidio della trasparenza e della par condicio tra tutti gli operatori del settore.
Nel caso di specie i chiarimenti hanno modificato sia i criteri di valutazione, sia la ripartizione dei punteggi, sicché essi hanno determinato un’illegittima modificazione ex post della disciplina di gara, non accompagnata da forme di pubblicazione coerenti con la disciplina degli artt. 72 e 73 del D.lgs. n. 50 del 2016, atteso che i chiarimenti risultano pubblicati solo sul sito dell’amministrazione. Con i chiarimenti la stazione appaltante ha quindi modificato sostanzialmente i parametri di valutazione, riducendoli, con soppressione di uno dei criteri stabiliti dalla lex specialis e definendo ex novo i punteggi attribuibili a ciascuno dei tre criteri residui.
Pertanto, non vi è stata una semplice correzione di errore materiale, ma un mutamento dei criteri di valutazione. Secondo il TAR i chiarimenti hanno illegittimamente modificato la lex specialis ed in particolare sia i criteri di valutazione, sia i punteggi ad essi assegnabili, senza rispettare le forme di pubblicità prescritte, fermo restando che la Commissione ha concretamente applicato i parametri stabiliti dai chiarimenti e non quelli previsti ab origine dal capitolato e dal disciplinare.
Anche il Consiglio di Stato evidenzia che la stazione appaltante con il chiarimento a seguito di apposito quesito formulato da una concorrente, ha ridotto da quattro a tre i criteri di valutazione correlativamente l'Amministrazione ha ridistribuito i 70 punti per l'offerta tecnica, originariamente suddivisi in quattro categorie, sui tre elementi indicati nel chiarimento ed in questo modo la stazione appaltante ha sostanzialmente modificato la lex specialis, senza provvedere ad eseguire la rettifica degli atti di gara secondo le metodiche necessarie, e cioè mediante la ripubblicazione della lex specialis.
Nel rigettare l’appello, quindi, il Consiglio di Stato ricorda che i chiarimenti resi dalla stazione appaltante nel corso di una gara d’appalto non hanno alcun contenuto provvedimentale, non potendo costituire, per giurisprudenza consolidata, integrazione o rettifica della lex specialis di gara[34]. I chiarimenti della stazione appaltante, infatti, sono ammissibili solo se contribuiscono, con un’operazione di interpretazione del testo, a renderne chiaro e comprensibile il significato, ma non quando, proprio mediante l’attività interpretativa, si giunga ad attribuire ad una disposizione della lex specialis, un significato ed una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal testo stesso, in tal caso violandosi il rigoroso principio formale della lex specialis, posto a garanzia dei principi di cui all’art. 97 Cost.[35].
In ogni caso, nella pronuncia in esame, il Consiglio di Stato ha ribadito che l’errore materiale non è emendabile con lo strumento dei chiarimenti, in quanto, secondo la giurisprudenza[36], «l'errore materiale o l'omissione commessa nella lex specialis richiede una apposita rettifica del bando e del disciplinare da parte della stazione appaltante fatta con le stesse forme di detti atti e non già con un semplice chiarimento del responsabile unico del procedimento».
È infatti pacifico in giurisprudenza che i chiarimenti non possono modificare gli atti di gara, pena l'illegittima disapplicazione della lex specialis. Alla luce di ciò il Consiglio di Stato conclude che l’errore materiale avrebbe richiesto un’apposita rettifica del bando e del disciplinare di gara da parte della stazione appaltante, fatta con le stesse forme di detti atti, e non già un semplice chiarimento, come invece avvenuto in concreto; in difetto di ciò non è consentito nemmeno all’amministrazione aggiudicatrice di disapplicare il regolamento imperativo della procedura di affidamento da essa stessa predisposto, ed al quale la stessa deve comunque sottostare. Il motivo d’appello è stato quindi rigettato e la conferma del capo di sentenza relativo al mutamento dei criteri di valutazione in corso di gara ha comportato l’annullamento degli atti di gara.
6. Conclusioni
In conclusione, alla luce delle norme e dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario la Pubblica Amministrazione, nella veste di stazione appaltante, può emanare provvedimenti di rettifica e di correzione di errori materiali anche degli atti della procedura di evidenza pubblica nella stessa forma e con le stesse modalità di pubblicità dell’atto rettificato, non anche mediante il diverso istituto dei chiarimenti.
[1] F. GARINGELLA, Compendio maior di diritto amministrativo, Dike, 2018, 519.
[2] Corte di giustizia, 12 luglio 1957, cause riunite 7/56 e 3-7/57, EU:C:1957:7.
[3] Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 5 marzo 2014, n.1036.
[4] Tra le tante, T.A.R. Umbria Perugia Sez. I Sent., 05 luglio 2010, n. 401; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 9 maggio 2005, n. 729; In dottrina si vedano le voci di Ghetti, voce «Correzione, rettifica e regolarizzazione dell'atto amministrativo», in Digesto Pubbl., IV, Torino, 1989, 198; Piraino, voce «Modifica, riforma e rettifica dell'atto amministrativo», in App. Noviss. Dig. It., Torino, 1987.
[5] T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, Sez. I, 16 luglio 2009, n. 271.
[6] Cons. Stato, Sez. VI, 17 luglio 2008, n. 3597.
[7] T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, 21/06/2018, n. 1407.
[8] T.A.R. Piemonte, Sez. I, 11 giugno 1996, n. 212, in Trib. Amm. Reg., 1996, I, 2753.
[9] Cfr., ex multis, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 8 ottobre 2012, n. 1973.
[10] T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 13 luglio 2012, n. 1548.
[11] T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1548/2012.
[12] T.A.R. Calabria, Catanzaro, 7 luglio 1988, n. 297.
[13] T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1973/2012.
[14] T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, Sez. I, 19 luglio 2009, n. 271.
[15] T.A.R. Lazio Latina, Sez. I, Sentenza 17 luglio 2013, n. 644.
[16] Cons. Stato, Sez. II, 05/10/2020, n. 5818.
[17] QUADRI, La rettifica del contratto, Milano, 1973.
[18] VOMERO, Errore materiale ed ermeneutica contrattuale, in Nuova giur. civ. comm.; MESSINEO, Il contratto in genere, in Trattato Cicu-Messineo, XXI, II, Milano, 1972., 347 ss.; PIETROBON, Errore, I, Diritto civile, in Enc. giur., XII, Enc. it., 1990, 3.
[19] ROSSELLO, Errore nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, VII, Milano, 1994, 519
[20] Cons. Stato, Sez. V, sentenza 23 marzo 2017 n. 1320.
[21] Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 11 maggio 2007, n. 2306.
[22] P.G. SCARABINO, L'annullamento dell'atto in sede di autotutela, in Amm. It., 1998, 1714.
[23] T.A.R. Lazio, sez. II quater, sent. 3 febbraio 2020, n. 1362.
[24] T.A.R. Campania Napoli Sez. I, 23/05/2018, n. 3382.
[25] cfr., T.A.R. Lazio, Roma sez. II quater, 30 settembre 2021, n. 10068; Cons. stato sez. VI, 15 marzo 2021, n. 2226.
[26] Cons. Stato sez. V, 20 giugno 2019, n. 4198.
[27] Cons. Stato, Sez. IV, 12 gennaio 2005, n. 43.
[28] Cons. Stato, Sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 263.
[29] Cons. Stato Sez. V, 26/01/2021, n. 796.
[30] Cons. Stato Sez. III, 20/03/2020, n. 1998.
[31] T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, 05/07/2020, n. 444.
[32] T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, 08/05/2020, n. 429.
[33] T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, 28/05/2019, n. 6690.
[34] Cons. giust. amm. Sicilia, seentenza 8 ottobre 2021 n. 841.