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Pubbl. Ven, 16 Ott 2015

Eccesso colposo nell´uso legittimo delle armi: il caso Aldrovandi

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Ilaria Ferrara


A dieci anni dalla morte di Federico Aldrovandi, riflessioni sul processo e sulla condanna.


Il caso di Federico Aldrovandi, deceduto il 25 settembre 2005, riguarda una vicenda giudiziaria e di cronaca, in cui il giovane perdeva la vita, tecnicamente, a seguito di eccesso colposo della scriminante dell'uso legittimo delle armi, da parte di agenti delle forze dell'ordine.

L'uso legittimo delle armi è una scriminante, o causa di giustificazione, prevista dal Codice Penale all'art. 53. Dalla clausola di riserva, inserita all'inizio dell'articolo, si desume il carattere sussidiario ed autonomo della scriminante, operante solo qualora difettino i presupposti della legittima difesa e dell'adempimento del dovere. Il fondamento della non punibilità dell'uso legittimo delle armi è da rinvenirsi per alcuni nell'autorità dello Stato ma non è mancato chi ha concepito tale potere di coazione come espressione del più ampio principio di esecutorietà degli atti amministrativi, inquadrato nell'ambito dell'autotuela esecutiva della P.A.. I presupposti in base ai quali l'uso della coazione è consentito sono l'adempimento di un dovere d'ufficio, la necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'autorità e il criterio di proporzione tra uso della coazione e inevitabilità altrimenti del fatto ostativo con mezzi meno offensivi di quelli utilizzati in concreto. 

L'eccesso colposo nelle cause di giustificazione è contemplato dall'art. 55 c.p., che dispone che "Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53, 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo", dunque, richiede per la sua integrazione la presenza di tutti i presupposti delle scriminanti, cui, però, segue il superamento dei limiti che le connotano. Nell'eccesso colposo, l'involontarietà, tuttavia, non riguarda l'evento (che di regola è voluto dall'agente) ma interessa il travalicamento dei confini dell'esimente, dovuto a difetto inescusabile di conoscenza della situazione concreta da parte dell'agente o ad altre forme di inosservanza di regole di condotta relativo all'uso dei mezzi di realizzazione del comportamento.

Nella notte del 25 settembre 2005, Federico Aldrovandi, all'uscita da un locale notturno, sulla via del ritorno a casa, aveva una colluttazione con quattro uomini delle Forze dell'Ordine, i quali, in seguito, descrivevano il giovane come un "invasato violento in evidente stato di agitazione". Lo scontro tra i poliziotti e il giovane diveniva molto violento (durante la colluttazione si spezzano due manganelli) e terminava con la morte di Aldrovandi, dovuta ad asfissia polmonare.

Il 10 gennaio 2007 vengono formalmente rinviati a giudizio per omicidio colposo i quattro agenti di polizia, per aver ecceduto i limiti di un adempimento di un dovere, per aver prolungato la violenza anche dopo aver vinto la resistenza del giovane e per aver ritardato l'intervento dell'ambulanza per il soccorso. Nel 2009, in primo grado, il Tribunale di Ferrara pronunciava sentenza di condanna per omicidio colposo a tre anni e sei mesi per i quattro poliziotti, riconoscendo l'eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi. La stessa sentenza veniva confermata dalla Corte d'Appello di Bologna, nel 2011. Infine, nel 2012 la Corte di Cassazione rendeva definitiva la condanna a tre anni e sei mesi di reclusione "per eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi", ai quattro agenti delle Forze dell'Ordine.

Sembra, a conclusione della vicenda e soprattutto del processo, che giustizia, in un certo senso "sia stata fatta". Il codice prevede norme, i giudici applicano le leggi e, questa volta, i colpevoli, benché dall'opinione pubblica considerati dei privilegiati, sono stati condannati. Il caso Aldrovandi, dunque, diventa il simbolo del rafforzamento della fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni. Tuttavia, il sistema penale, processual penale e penitenziario, seppure di stampo garantista, continua a minare questo legame di fiducia, perché se nella vicenda del giovane di Ferrara tutto sembra essersi concluso nel più auspcabile dei modi, così non è stato nel caso di Stefano Cucchi, morto in circostanze "anomale" quattro anni dopo, e nel caso di Gabriele Sandri, tifoso della Lazio, ucciso da un colpo di pistola sparato dall'agente di polizia Luigi Spaccarotella (ndr. in questo ultimo caso Spaccarotella fu condannato a 9 anni e 4 mesi, per omicidio volontario, ma l'opinione pubblica non la accolse con favore e considerò questa pena troppo lieve, e tale leggerezza conseguenza della carica istituzionale rivestita dall'agente). In definitiva l'esigenza di certezza e garanzia dei cittadini nei confronti del sistema penale italiano, necessita rispetto, non solo quando lo Stato deve punire un comune cittadino, ma soprattutto quando colpevole è lo Stato stesso, per mezzo delle sue istituzioni; e ciò è possibile grazie ad uno Stato che abbia un atteggiamento rigoroso e scupoloso nell'individuazione della legge e nella sua applicazione, per colpire gli errori di quelli che ricoprono il ruolo di "tutori della legge", qualora sia necessario.