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Pubbl. Gio, 15 Ott 2015

Un´indagine sui nuovi poveri: quali provvedimenti adottare per salvare la classe degli avvocati?

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Emmanuel Luciano


Quanti avvocati ci sono in Italia ed in quale Regione si trovano dislocati in maggior numero? Quali sono i provvedimenti che le Istituzioni stanno assumendo al fine di evitare il decadimento, sempre più attuale purtroppo, della classe forense?


Chiunque intraprenda un’attività (che sia di libera professione o relativa ad altri interessi) dovrebbe svolgere quella che i tecnici del settore chiamano “indagine di mercato”: vale a dire verificare, attraverso società a ciò preposte, se, in relazione a un determinato luogo e tempo, vi sia effettiva necessità di un determinato servizio o di una determinata prestazione e quanti siano i competitors già presenti in quella data area. 

Un’analisi di questo tipo dovrebbe essere effettuata anche in relazione alle professioni, sempre più inflazionate. Infatti, è vero che le partite IVA sono ormai diventate un rifugio dalla sicura disoccupazione, ma è anche vero che bisognerebbe chiedersi se, davvero, in Italia, vi sia così tanto bisogno di figure professionali; e ciò ancor prima di intraprendere un lungo periodo di tirocinio che, per quanto riguarda gli avvocati, consta di 18 mesi e di almeno 60 udienze (oltre che la successiva gavetta) evitando di scoprirsi, alla soglia dei 30 anni, con le spalle al muro e senza la necessaria stabilità economica. Per comprendere l'attualità della questione, basta dare uno sguardo ad un recente articolo del Sole24Ore, che non più tardi di qualche mese fa, titolava “I nuovi poveri? Architetti e avvocati”

Dopo l’iscrizione “obbligatoria” degli oltre 43mila avvocati “a basso reddito” – vale a dire coloro che non essendo in regola con il pagamento dei contributi previdenziali, sono stati messi in mora dalla Cassa Forense, pena la cancellazione dall’albo – è cambiata, ed anche in modo sostanziale, la geografia dei legali nel nostro Paese. Ad oggi gli iscritti all'albo sono oltre 223.000 unità. Di conseguenza, si è anche abbassata la media del reddito che, negli ultimi 5 anni, è sceso di oltre il 20% in termini nominali e del 27% in termini reali, con punte di oltre il 30% in Calabria e Basilica: oggi, un avvocato guadagna, in media, circa 38.627 euro, a fronte dei 51,314 euro del 2007.

Quanto alla dislocazione demografica degli avvocati, è singolare notare come proprio nelle regioni più povere ve ne sia maggiore concentrazione, a dimostrazione che la professione viene vista spesso come un “parcheggio” in attesa di migliore occupazione. La distribuzione è tutt’altro che uniforme sul territorio. Il rapporto “numero avvocati ogni mille abitanti” vede al primo posto la Calabria con una punta di 6,8 avvocati ogni mille abitanti (dati aggiornati al 2014); segue la Campania con 5,7 legali ed, a ruota, Puglia Molise.

Quanto al sesso, il 47% sono donne mentre il 53% sono uomini.

Tutto ciò premesso, ci si chiede: cosa possono fare le Istituzioni per ridurre il numero degli avvocati?

Il pensiero va subito ai diecimila avvocati a rischio cancellazione dall’albo perché sprovvisti di Pec. La titolarità di un indirizzo di posta elettronica certificata, infatti, oltre a essere obbligo di legge, ai sensi dell'art. 16, d.l. 185/2008, rientra anche nei sei requisiti necessari a verificare che la professione forense sia esercitata in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, definiti dal regolamento ministeriale approdato in Parlamento il 10 settembre del corrente anno per i relativi pareri di Camera e Senato (atto Senato n. 203). Dall’analisi di impatto della regolamentazione emerge che, secondo quanto reso noto da Cassa forense, su 235 mila iscritti all’albo degli avvocati, in numero che oscilla dai sette ai dieci mila circa sono attualmente sprovvisti di un indirizzo di posta elettronica certificata.

Sulla base dei pareri espressi dalla Cassa Forense, la novità più importante riguarda l’esclusione, tra i requisiti per la permanenza nell’albo, di aver corrisposto i contributi annuali dovuti al consiglio dell’ordine e alla Cassa di previdenza forense, come richiesto dal Cnf (Consiglio Nazionale Forense). Il ministero nella relazione illustrativa spiega che "in entrambi i casi sono collegati sia pur indirettamente all’entità del reddito professionale che viene espressamente escluso quale requisito essenziale per stabilire la continuità dell’attività professionale, a norma dell’art. 21, comma 1 della legge forense"

Nel dettaglio, i requisiti necessari ai fini della verifica che la professione forense sia esercitata in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente sono:

  • La titolarità di una partita Iva attiva o comunque l'appartenenza dell'avvocato ad una società od associazione professionale che sia titolare di partita Iva attiva (possibilità, quest'ultima, aggiunta dal ministero in aderenza alle osservazioni del Cnf).
  • L’avvocato deve disporre dell’uso di locali adibiti a studio professionale e di almeno un'utenza telefonica. Sempre stando al parere del Cnf, viene precisato nel decreto che tale requisito può essere integrato anche quando l’avvocato dispone di locali utilizzati da un altro avvocato o condivisi con altri legali.
  • La permanenza nell’albo è legata alla trattazione di almeno cinque affari l’anno, laddove per affari sono da intendersi non solo gli incarichi di natura giudiziale ma anche quelli stragiudiziali.

Il momento storico che viviamo ci mette di fronte a delle scelte davvero difficili ed è giusto essere consapevoli delle difficoltà che possono incontrarsi lungo la strada. Ciononostante, mi sento di chiudere con un messaggio ottimistico: tutti abbiamo diritto a rincorrere il nostro sogno e, pertanto, non lasciamoci spaventare dai numeri o dai pareri negativi di chi ci sta intorno, perchè chi vale riuscirà a dimostrarlo. Sempre.