La clausola di irresolubilità del contratto: lex mercatoria e diritto interno, rimedi contrattuali e autonomia privata
Modifica paginaIl presente articolo, muovendo dall´analisi dei rimedi previsti dall´ordinamento per l´inadempimento del contratto, indaga la problematica sottesa alla rinuncia preventiva all´azione di risoluzione del contratto. Il diritto internazionale dei contratti ammette clausole c.d. di exclusive remedy con cui le parti rinunciano preventivamente a tutti rimedi contrattuali disponibili ad eccezione dell´azione di risarcimento del danno. Muovendo dall´analisi delle prassi commerciali diffuse in ambito internazionale, si rimedita l´idea, diffusa presso la dottrina tradizionale, secondo cui l´autonomia privata non potrebbe foggiare clausole di irresolubilità.
Sommario: 1. Introduzione al tema dell’esclusione convenzionale dei rimedi contrattuali. – 2. I limiti normativi entro cui l’autonomia privata può disporre dei rimedi risolutori: la diffida a adempiere, la clausola risolutiva espressa e il termine essenziale. Segue: possono le parti escludere convenzionalmente, nel silenzio normativo, il rimedio risolutorio? – 3. Gli argomenti della dottrina classica: inammissibilità di clausole che limitino o escludano convenzionalmente i rimedi risolutori previsti dalla legge. – 4. La lex mercatoria conosce e tollera le clausole di irresolubilità: le exclusive remedies clauses e il contratto alieno nell’esperienza del commercio internazionale. – 5. L’inadempimento efficiente e l’esigenza di conservazione del contratto come argomento a favore delle clausole di irresolubilità. – 6. Il rimedio risolutorio come extrema ratio e conseguente rinunciabilità preventiva ad esso in presenza di rimedi parimenti efficienti. 7. Conclusioni: è ammissibile una clausola di irresolubilità del contratto in ragione della tendenziale libertà delle parti di disporre del rischio sotteso all’operazione economica divisata.
1. Introduzione al tema dell’esclusione convenzionale dei rimedi contrattuali
Secondo una fortunata definizione, per rimedi contrattuali si intendono
«i mezzi offerti dalla legge per far emergere il difetto o disturbo che affligge il contratto, e quindi determinare la cancellazione o revisione degli effetti contrattuali[1]».
Le norme che accordano ai contraenti rimedi contrattuali sono il frutto di un giudizio politico di bilanciamento di interessi dirimenti: il vincolo contrattuale, com’è noto, in ragione del principio pacta sunt servanda, ha forza di legge tra le parti e può essere sciolto solo per mutuo consenso. Senonché il contratto può presentare dei difetti tali da allentare il rigore della regola pacta sunt servanda. Di fronte alla lesione potenziale o attuale degli interessi meritevoli di tutela, che sarebbero vulnerati dalla normale produzione degli effetti del contratto difettoso, la legge, derogando alla regola pacta sunt servanda, offre strumenti per prevenire o rimuovere la lesione.
Al di là dei rilievi di teoria generale, la stessa nozione di rimedio contrattuale è fortemente dibattuta dalla dottrina che ne ha offerto diverse sistematiche[2]. Le varie impostazioni possono essere ricondotte a due macrotendenze: una prima alla restrizione dei rimedi e, segnatamente, all’indurimento della regola pacta sunt servanda, la quale altro non sarebbe che una manifestazione particolare del più generale principio di tutela degli affidamenti; di talché i rimedi contrattuali sono quelli e solo quelli sanciti dalla legge. Per contro, c’è una seconda tendenza all’estensione dei rimedi, favorevole ad allentare il vincolo contrattuale.
L’imporsi del principio di buona fede contrattuale e l’importanza delle politiche di protezione dei contraenti deboli orientano il sistema verso un’ipertrofia dei rimedi contrattuali attraverso la proliferazione delle tutele: si pensi alle nullità di protezione[3] ovvero alle clausole vessatorie nella disciplina consumeristica.
Tanto che si acceda alla prima quanto alla seconda impostazione, è indubbio che i rimedi contrattuali corrispondano ad un giudizio di bilanciamento tra il principio della conservazione del contratto e l’obbligatorietà degli effetti dello stesso. Altro è chiedersi se l’autonomia privata, nella costruzione del regolamento negoziale, al fine di mitigare o di prevenire il rischio dell’inadempimento, possa escludere convenzionalmente taluni rimedi contrattuali e se la preventiva esclusione dei rimedi contrattuali possa costituire essa stessa un rimedio[4].
In particolare, ci si domanda se l’autonomia privata possa escludere, in assenza di una disposizione di legge ad hoc, la risolubilità del contratto per inadempimento. La clausola di irresolubilità, conosciuta da tempo nei contratti di diritto internazionale, si atteggia in guisa di una preventiva rinuncia all’azione di risoluzione, tale da ridurre il ventaglio dei rimedi esperibili dalle parti in caso di malfunzionamento del contratto.
2. I limiti normativi entro cui l’autonomia privata può disporre dei rimedi risolutori: la diffida a adempiere, la clausola risolutiva espressa e il termine essenziale. Segue: possono le parti escludere convenzionalmente, nel silenzio normativo, il rimedio risolutorio?
Non v’è dubbio che l’autonomia privata possa disporre in positivo della risoluzione del contratto ovvero possa ricollegare a certi eventi l’effetto risolutivo del rapporto contrattuale. In tal senso depone il diritto positivo. Gli artt. 1454, 1456 e 1457 cod. civ., che disciplinano rispettivamente la diffida a adempiere, la clausola risolutiva espressa e il termine essenziale per una delle due parti, riconoscono all’autonomia privata il potere di risolvere il contratto senza bisogno di pronuncia giudiziale al verificarsi dei presupposti di legge. Trattasi di forme di autotutela negoziale idonee a reagire all’inesatta o mancata esecuzione della prestazione; di talché, costituendo una deroga al generale principio di cui agli artt. 2907 cod. civ. e 392 c.p.[5], secondo cui alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria, gli strumenti di reazione negoziale alla crisi di cooperazione dei contraenti hanno natura eccezionale siccome escludono il sindacato del giudice sull’inadempimento del contratto. Va da sé che l’eventuale pronuncia del giudice sull’inadempimento non ha natura costitutiva bensì di accertamento della già prodotta risoluzione.
In particolare, la clausola risolutiva espressa esclude il sindacato del giudice sull’importanza dell’inadempimento perché la relativa valutazione è già stata effettuata a monte dalle parti che, divisando la clausola, hanno ricollegato ad un certo comportamento non cooperativo l’effetto della risoluzione. L’inadempimento previsto dalla clausola risolve il contratto solo se esso è ingiustificato, non occorre invece che abbia l’entità – recte: la non scarsa importanza – richiesta in generale dall’art. 1455 cod. civ. Con la clausola risolutiva espressa le parti dispongono dell’importanza dell’inadempimento che, in via generale, è sindacato di merito rimesso alla valutazione del giudice.
Dall’analisi dei rimedi negoziale in autotutela contro l’inadempimento può cogliersi un dato di sintesi: il rimedio della risoluzione del contratto, diversamente da altri rimedi, quale, ad esempio, l’azione di nullità, non è assolutamente indisponibile dalle parti. Altro è chiedersi se, nel silenzio della legge, le parti, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, possano spingersi fino ad escludere del tutto l’esperibilità del rimedio risolutivo attraverso l’inserzione nel regolamento negoziale di apposite clausole di irresolubilità.
Il Codice civile offre addentellati normativi nel senso della facilitazione della risoluzione del contratto. Non abbiamo, invece, addentellati normativi nella direzione opposta ovvero a favore della irresolubilità del contratto nonostante l’inadempimento.
3. Gli argomenti della dottrina classica: inammissibilità di clausole che limitino o escludano convenzionalmente i rimedi risolutori previsti dalla legge.
Secondo la dottrina tradizionale, avallata dalla giurisprudenza maggioritaria, l’autonomia privata non può spingersi fino ad escludere del tutto il rimedio risolutorio[6]. Il problema non si pone tanto per la rinuncia al rimedio risolutorio successiva all’inadempimento quanto, invece, per le rinunce o esclusioni preventive. Nel primo caso, il presupposto per l’azione di risoluzione per inadempimento si è già verificato; di talché, il diritto alla risoluzione è entrato, come posta attiva, nella sfera giuridico-patrimoniale del creditore, il quale ben può rinunziarvi.
Come detto, il problema si pone per le rinunce o esclusioni preventive racchiuse in quelle clausole con cui le parti dispongono che il creditore in nessun caso possa chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento del debitore o per impossibilità sopravvenuta, quandanche il presupposto della risoluzione non si sia ancora verificato.
Vari argomenti, tratti dal diritto positivo, ostano all’ammissibilità di una siffatta clausola di irresolubilità del contratto. Dalle norme che disciplinano la possibilità di escludere convenzionalmente le garanzie nella vendita (artt. 1487, comma 2°, e 1490, comma 2°, cod. civ.) si deduce che la rinuncia al rimedio risolutorio è ammissibile nei soli limiti in cui il fatto idoneo ad attivarlo non sia imputabile alla controparte, nel cui interesse opera la rinuncia. Pertanto, la clausola di irresolubilità è nulla nella misura in cui scusa l’inadempimento colpevole della controparte. A ragionare diversamente si rischia di tollerare, attraverso l’esclusione di strumenti di reazione, una deroga al generale principio di sfavore per le decisioni altrui meramente potestative di cui all’art. 1355 cod. civ.[7]
Ancora, la natura abdicativa della clausola di irresolubilità permette una parziale sovrapposizione con il negozio di convalida ex artt. 1444 cod. civ. Invero, la legge esclude la convalida preventiva: il legittimato all’azione di annullamento può rinunciare all’azione a condizione che conoscesse il motivo di annullabilità del contratto, come sancito dall’art. 1444, comma 2°, cod. civ. Pertanto, non è ammessa una convalida preventiva del contratto annullabile. Del pari, in ragione dell’affinità di struttura tra il negozio di convalida e la clausola atipica con cui si rinuncia all’azione di risoluzione, facendo applicazione del metodo c.d. dell’analogia[8], non è ammissibile una rinuncia preventiva all’azione di risoluzione, la quale è sanzionata con la nullità della clausola.
Rimanendo sempre in tema di clausola di irresolubilità che scusa l’inadempimento colpevole, l’art. 1229 cod. civ. sanziona con la nullità tutti patti idonei ad esonerare o a limitare la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave. L’esclusione del rimedio risolutorio, in termini di analisi economica del diritto, è una forma di deresponsabilizzazione del debitore, il quale, in ragione della conservazione del contratto nonostante il proprio inadempimento, è paradossalmente incentivato a non adempiere. Pertanto, tale clausola non può che incontrare la sanzione della nullità per violazione della norma imperativa di cui all’art. 1229 cod. civ.
Quanto, invece, ai fattori di risoluzione non imputabili alla controparte un altro ordine di argomenti milita nel senso dell’inammissibilità delle clausole di irresolubilità. La rinuncia preventiva al rimedio risolutorio, laddove sopravvenga l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, opera a favore della conservazione del contratto: la parte non inadempiente, nonostante l’inadempimento di controparte, è comunque tenuta ad eseguire la propria prestazione anche se non riceverà quella altresì promessa.
L’obbligazione di prestare senza ricevere alcunché a titolo di controprestazione crea qualche inconveniente sul piano causale: il contratto, verificatosi l’inadempimento non sanzionabile, rimarrebbe privo di causa siccome la prestazione da eseguire non sarebbe giustificata da alcuno spostamento di ricchezza ad essa corrispettivo[9].
Alla tesi (estrema) della nullità del contratto per difetto di causa fa da contraltare la tesi secondo cui il contratto gravato da una clausola di irresolubilità unilaterale andrebbe cifrato in termini di contratto convenzionalmente aleatorio. Quando l’alea dipende dalla volontà delle parti ricorre un’ipotesi di riallocazione convenzionale del rischio giuridico-economico sotteso all’operazione negoziale divisata. La clausola di irresolubilità deroga al riparto dell’onere della prova sancito dall’art. 1218 cod. civ., allocando il rischio dell’inadempimento in capo al creditore. Tuttavia, il legislatore quando ha voluto escludere il rimedio risolutorio per alcune categorie di contratti aleatori l’ha fatto espressamente: l’art. 1877 cod. civ., dettato a proposito della rendita vitalizia, contratto tipicamente aleatorio, esclude che il creditore della rendita possa chiedere la risoluzione del contratto se il promittente offre idonea garanzia; ancora l’art. 1879, comma 2°, cod. civ., dettato sempre in materia di rendita vitalizia, esclude che il debitore possa chiedere la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta; l’art. 1897 cod. civ., invece, sancisce che, in caso di diminuzione del rischio assicurato, l’assicuratore non può che esigere il minor premio. Di talché, lex ubi voluit dixit ubi noluit tacuit: per i contratti aleatori il rimedio della risoluzione può essere escluso solo dalla legge sì da evitare che la riallocazione del rischio possa tornare eccessivamente a danno del creditore.
Nell’ipotesi in cui, invece, la rinuncia alla risoluzione per fatti non imputabili alla controparte sia bilaterale, cioè fatta reciprocamente da entrambe le parti, tale pattuizione rischia di transcodificare il contratto, sciogliendo il nesso di sinallagmaticità che lega le prestazioni: anziché aversi un’obbligazione promessa e un’obbligazione sinallagmaticamente contropromessa nell’ambito del medesimo contratto, si hanno due promesse indipendenti tra loro, siccome la sorte dell’una non influisce sull’altra.
Più precisamente, la clausola di irresolubilità per impossibilità sopravvenuto stabilita a favore di entrambe le parti del contratto transcodifica il contratto in due promesse unilaterali. Di qui il contrasto con l’art. 1987 cod. civ. che sancisce, per ragioni di ordine pubblico, il principio di tipicità delle promesse unilaterali[10], a salvaguardia dei principi di razionalità ed efficienza nella circolazione della ricchezza.
Alla luce delle argomentazioni sovra esposte, la dottrina tradizionale conclude nel senso dell’immeritevolezza della clausola che dispone la non risolubilità del contratto, sia in caso di inadempimento che in caso di impossibilità sopravvenuta. Si ritiene, invece, comunemente ammissibile la clausola con cui le parti tipizzano l’inadempimento «di non scarsa importanza» ovvero circoscrivono l’inadempimento a solo alcune delle prestazioni dedotte in contratto, con esclusione delle altre.
4. La lex mercatoria conosce e tollera le clausole di irresolubilità: le exclusive remedies clauses e il contratto alieno nell’esperienza del commercio internazionale
I sostenitori dell’ammissibilità delle clausole di irresolubilità muovono da constatazioni di ordine pratico: i contratti di impresa sono esposti ad un rischio economico superiore rispetto ai contratti di diritto comune. Il ritardo nell’adempimento o l’inadempimento di singole prestazioni produce perdite di efficienza assai rilevanti. Le parti, attraverso lo strumento del contratto, cercano di prevenire le perdite di efficienza sia con clausole di gestione dei rischi, sia di restrizione del potere di azione e di impugnazione del contratto al fine di circoscriverlo e limitarlo, finanche ad escluderlo.
Tali clausole sono, per lo più, inserite in contratti redatti in lingua inglese e mutuati dall’esperienza forense anglosassone o nord-americana, benché una delle due parti contraenti sia di nazionalità italiana. Pertanto, nonostante il modello contrattuale predisposto appartenga alla cultura giuridica di common law, tuttavia esso è espressamente assoggettato al diritto italiano.
Le parti suggellano un contratto ibrido o, secondo una nota formula, “alieno[11]”: le clausole contrattuali sono mutuate dall’esperienza di common law ma sono sottoposte alla legge italiana.
Il contratto alieno aspira all’autosufficienza[12]. Le parti, mediante la preventiva e minuziosa regolazione di tutte le possibili situazioni nascenti dal contratto e dalla sua esecuzione vogliono evitare che su quel contratto si pronunci il giudice. È stato notato che il contratto alieno contiene deliberatamente clausole che ignorano le norme imperative del diritto italiano[13]. Ad esempio, nei contratti del commercio internazionale troviamo clausole che limitano la responsabilità di una parte ad una percentuale del corrispettivo convenuto; invece, secondo il diritto italiano, le clausole limitative della responsabilità incontrano il limite del dolo e della colpa grave ex art. 1229 cod. civ. Talora il contratto alieno presenta delle clausole che, al posto di formare oggetto di interpretazione ai sensi degli artt. 1362 ss. cod. civ., circoscrivono il significato che bisogna attribuire a certe espressioni utilizzate nel regolamento contrattuale, come le Entire Agreement Clauses o Merger Clauses[14].
Altre volte il contratto alieno esclude la proponibilità di eccezioni o di talune azioni.
È il caso della clausola exclusive remedy la quale immunizza il contratto da talune patologie interne circoscrivendo gli strumenti di tutela che le parti possono attivare. La clausola, nella sua generica formulazione, ha il seguente tenore:
«the rights and the remedies provided in this article shall be exclusive and in lieu of any other right, action, defence, claim or remedy of the Buyer, provided by applicable Law or otherwise, however arising in connection with, or by virtue of, any breach of representations, warranties, undertakings and covenants of the Seller contained in this Agreement. In particular, but without limitation, the Buyer shall not have any right to terminate, annul or rescind this Agreement or to refuse to affect the Closing or to start the action set forth in the articles 1492, 1494 of the Italian Civil Code».
La più comune tra le exclusive remedies clauses è quella che esclude il potere delle parti di azionare, giudizialmente o stragiudizialmente, il rimedio della risoluzione del contratto, ammettendo, allorquando il contratto non presenti vizi di struttura o della volontà, il solo rimedio risarcitorio.
L’esclusione di tutti rimedi azionabili, salvo uno, od alcuni tassativamente individuati, diviene così un rimedio contrattuale inteso ad assicurare la conservazione del contratto nonostante l’inadempimento.
Non potendo le exclusive remedies clauses avere ad oggetto l’azione di nullità, in ragione dell’indisponibilità degli interessi ad essa sottesa, né la rinuncia preventiva alle azioni di annullabilità o rescindibilità del contratto, come sancito dagli artt. 1444, comma 2°, e 1451 cod. civ., le parti, al fine di governare l’esigenza di autosufficienza contrattuale, circoscrivono al massimo la possibilità di risolvere il contratto, eliminandone gli effetti. Nella prassi, la rinuncia preventiva all’azione di risoluzione viene compensata da clausole di garanzia o di manleva che costituiscono l’unico rimedio esperibile dalla parte, la quale lamenti l’inadempimento ad opera della controparte.
Le clausole di unico rimedio, al fine di dare certezza e stabilità all’assetto di interessi divisato dai paciscenti, sono una tecnica di amministrazione del rischio contrattuale.
5. L’inadempimento efficiente e l’esigenza di conservazione del contratto come argomento a favore delle clausole di irresolubilità
Non v’è dubbio che la clausola di irresolubilità rientri nel novero delle possibili exclusive remedies clauses. Senonché la circostanza che certe clausole siano praticate nel commercio internazionale non vale da sola ad ammettere che l’autonomia privata, secondo la legge italiana, possa escludere o limitare preventivamente i rimedi giudiziali posti nell’interesse esclusivo della parte.
Una parte della dottrina sostiene che la libertà delle parti incontra un limite nella regola di buona fede. Di talché, ove la clausola di exclusive remedy abbia ad oggetto la sola azione di risoluzione, con esclusione dell’azione di esatto adempimento o di risarcimento del danno, che permettono alla parte di assicurarsi tanto l’utilità dedotta in contratto quanto un suo equivalente pecuniario, non v’è motivo di denunciare la nullità del patto di irresolubilità[15]. L’opinione da ultimo riportata fa leva sull’art. 1462 cod. civ., a mente del quale le parti non possono escludere o rinunciare alle eccezioni di annullabilità, rescissione o nullità del contratto. La norma, letta a contrario, sottintende che le solo le eccezioni noverate non sono rinunciabili siccome i rimedi ed esse sottesi non sono nella piena disponibilità della parte, nel senso che sovraintendono ad interessi generali. Pertanto, l’eccezione di inadempimento, non menzionata dall’art. 1462 cod. civ., sarebbe sempre rinunciabile siccome la correlata azione è accordata dal legislatore nel solo ed esclusivo interesse della parte[16].
In termini di analisi economica del diritto, vale la pena notare che l’effetto demolitorio conseguente alla risoluzione del contratto potrebbe non corrispondere all’interesse delle parti. Ciò si verifica quando i costi di istruttoria o i costi relativi alla scelta del contraente siano talmente elevati da comportare una perdita di efficienza per entrambi i contraenti. Ancora, il rimedio demolitorio potrebbe non corrispondere all’interesse di entrambe le parti allorquando l’utilità che forma oggetto del contratto possa essere ottenuta solo da un determinato contraente ovvero quando il contratto abbia ad oggetto un bene del tutto infungibile nella disponibilità di un solo operatore economico, come nel caso delle partecipazioni sociali di controllo.
In particolare, la teorica dell’«efficient breach» ha posto in rilievo che la stessa logica dell’esecuzione può, in determinate ipotesi, cedere il passo a una valutazione di maggior convenienza dell’inadempimento, sanzionato esclusivamente sul piano risarcitorio[17].
Si può ragionevolmente ipotizzare che la clausola di irresolubilità sia efficiente ogni qual volta l’interesse primario dei contraenti sia alla stabilità del vincolo.
È primario l’interesse alla conservazione del contratto in tutti quei rapporti nei quali gli effetti reali mirano a un’investitura nella titolarità strumentale all’esecuzione di un programma gestorio, come nel caso di affidamento fiduciario ovvero di acquisto di partecipazioni sociali di controllo. Ne dà testimonianza, in tempi recenti, l’art. 9 del disegno di legge in materia di affidamento fiduciario[18], nel quale si legge che «non è ammessa l’azione di risoluzione del contratto di affidamento fiduciario per inadempimento dell’affidatario», e che trova enunciata la sua ratio nella relazione illustrativa, in cui si precisa che «il rapporto contrattuale deve giungere comunque a compimento».
Oltre che in una prospettiva de iure condendo, l’inadempimento efficiente, presidiato da una clausola di irresolubilità, trova conforto in alcuni dati offerti dal diritto positivo, dalla soft law internazionale ed europea nonché dalla prassi del commercio internazionale, come si cercherà di dimostrare nel prossimo paragrafo.
6. Il rimedio risolutorio come extrema ratio e conseguente rinunciabilità preventiva ad esso in presenza di rimedi parimenti efficienti.
In aperto e consapevole contrasto con la dottrina tradizionale, la rinunciabilità in via preventiva al rimedio risolutorio può inferirsi da argomenti offerti dal diritto positivo. In particolare, lo stesso legislatore concepisce il rimedio risolutorio come extrema ratio contro il malfunzionamento del contratto in sede di esecuzione. L’art. 1464 cod. civ., dettato in tema di impossibilità parziale della prestazione, prevede che quando la prestazione di una parte sia divenuta solo parzialmente impossibile, la controparte ha diritto di richiedere una riduzione della prestazione dovuta[19] ma non può agire per la risoluzione del contratto.
La stessa discrezionalità che le parti hanno di attivare l’uno o l’altro degli strumenti di tutela riconosciuti dalla legge in caso di inadempimento del contratto conferma la tesi secondo cui i contraenti possono anche rinunciarvi preventivamente, purché tale rinuncia sia circoscritta ad alcuni rimedi senza privare del tutto la parte del potere di azione, senza perciò alterare il nesso di corrispettività del contratto[20].
La rinuncia ad uno dei rimedi accordati dalla legge alla parte che ha subito l’inadempimento non sta a significare che essa rinuncia alla giustiziabilità dell’inadempimento di controparte. Tale argomento trova avallo nell’orientamento giurisprudenziale in tema di mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione, ai sensi dell’art. 1453, comma 2°. È stato affermato[21] che la legge ammette il mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione perché il sistema di tutele offerto contro l’inadempimento, nei contratti a prestazioni corrispettive, è caratterizzato da una pluralità di azioni complementari a tutela del medesimo interesse.
Volgendo, invece, alla disciplina dettata per i singoli contratti, invece, l’art. 1668, comma 1°, cod. civ. prevede che se l’opera realizzata dall’appaltatore presenti vizi o difformità, il committente possa chiederne la rimozione a spese dell’appaltatore oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il diritto al risarcimento del danno. Il secondo comma dell’art. 1668 cod. civ., invece, prevede che il rimedio risolutorio possa essere azionato solo se le difformità o vizi rendano del tutto inadatta l’opera alla sua destinazione, confermando l’intenzione del legislatore di foggiare il rimedio risolutorio come extrema ratio.
Anche la disciplina consumeristica offre un addentellato normativo a favore dell’ammissibilità delle clausole di irresolubilità. L’art. 130, comma 7°, del Codice del Consumo, dettato in materia di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo, prevede un rapporto di sussidiarietà tra l’azione di riduzione del prezzo (i.e. rimedio manutentivo) e l’azione di risoluzione del contratto (i.e. rimedio caducatorio): il rimedio generale è la riduzione del prezzo, mentre la risoluzione può essere richiesta solo ove la riparazione o la sostituzione del bene sia impossibile o troppo onerosa, il venditore non ha provveduto alla riparazione entro un termine congruo, la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuate hanno arrecato notevoli inconvenienti al consumatore. Anche il diritto dei consumatori conferma che il rimedio risolutorio è un’extrema ratio.
Non diversamente, la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale del 1985, che ha recepito le prassi della lex mercatoria, esprime, agli artt. 45 ss., un favor per il rimedio della riduzione del prezzo, nel caso in cui i beni consegnati non siano conformi a quelli richiesti, e per l’esecuzione in forma specifica e per la sostituzione del bene non conforme con altro del tipo promesso, nonché per il risarcimento del danno per equivalente. Il rimedio risolutorio è accordato dalla Convenzione solo nel caso in cui il venditore commetta a fundamental breach of contract oppure in caso di mancata consegna the seller does not deliver the goods within the additional period of time fixed by the buyer o nel caso in cui il venditore dichiari espressamente di non voler adempiere (art. 49). Ancora, la Convenzione sancisce che il compratore, nel caso in cui il venditore abbia consegnato i beni, perde il potere di esperire il rimedio caducatorio se non lo esercita in a reasonable time after he has become awere that delivery has been made. In altri termini, anche la Convenzione di Vienna privilegia i rimedi manutentivi, che assicurano la conservazione del contratto, rispetto ai rimedi caducatori.
Nel solco tracciato dalla Convenzione di Vienna si innestano i Principi Unidroit[22].
L’art. 7.1.6. sancisce che
«Non ci si può avvalere di una clausola che limita o esclude la responsabilità di una parte per inadempimento o che permette ad una delle parti di eseguire una prestazione sostanzialmente differente da quella che l’altra parte ragionevolmente si aspetta se, avuto riguardo alle finalità del contratto, sarebbe manifestamente ingiusto farlo».
La disposizione in questione, per un verso, riproduce una norma di contenuto affine al divieto di cui all’art. 1229 cod. civ., dall’altro, invece, tollera clausole di irresolubilità avuto riguardo alla finalità cui tende il contratto. Ove l’interesse delle parti sia nel senso della conservazione del contratto nonostante l’inadempimento, la clausola di irresolubilità è perfettamente valida.
Peraltro, la prassi del commercio internazionale insegna che le clausole di irresolubilità sono funzionali a soddisfare interessi di terze parti contrattuali, le quali sarebbero pregiudicate dagli effetti della risoluzione del contratto. Ad esempio, nei progetti di finanza, le banche finanziatrici hanno interesse a che il contratto sia conservato anche nell’ipotesi di inadempimento del contratto da parte del finanziato[23].
La stessa soft law europea offre un utile avamposto interpretativo contro la tradizionale inammissibilità delle clausole di irresolubilità: i Principi di diritto europeo dei contratti, all’art. 8:109, sotto la rubrica “Clausole di esclusione o di limitazione delle tutele” introducono la regola secondo la quale le tutele per l’inadempimento possono essere escluse o limitate, a meno che tali limitazioni o esclusioni risultino contrarie ai principi di buona fede e di correttezza[24].
7. Conclusioni: è ammissibile una clausola di irresolubilità del contratto in ragione della tendenziale libertà delle parti di disporre del rischio sotteso all’operazione economica divisata
La derogabilità e disponibilità dei rimedi sinallagmatici rinviene, sul piano teorico, una propria giustificazione anche sotto un altro e differente punto di vista che fa capo all’analisi della struttura del contratto e in particolare all’analisi della ripartizione del rischio dell’inadempimento.
Come detto sovra[25], l’art. 1229 cod. civ. sanziona con la nullità tutte le clausole che limitano o escludono la responsabilità del debitore inadempiente per colpa grave o dolo, il presupposto di fatto perché possa operare la sanzione della nullità è che tali clausole alterino il nesso di corrispettività del contratto, privandolo della propria causa ovvero incidendo oltre i limiti di elasticità del tipo negoziale divisato dalle parti.
Tuttavia, l’introduzione di clausole di irresolubilità o di exclusive remedy non altera per sé solo il nesso di corrispettività del contratto:
«nei contratti a prestazione corrispettive, infatti, la funzione di scambio è parametrata sulla base dell’intento delle parti di realizzare l’assetto di interessi attraverso lo scambio tra le prestazioni, che trovano così ciascuna di loro la propria ragion d’essere nell’altra[26]».
Le parti sono libere di gestire e amministrare il rischio contrattuale: la determinazione del punto di equilibrio dello scambio è rimessa all’autonomia privata, con il solo limite delle norme imperative. La preventiva rinuncia alle azioni contrattuali sovente è controbilanciata, sul piano dell’equilibrio del sinallagma, dalla previsione di un indennizzo, corrisposto da un terzo in manleva, a favore della parte che subisce le conseguenze dell’inadempimento.
La natura dispositiva dei rimedi sinallagmatici può inferirsi solo avendo riguardo alla complessità dell’operazione economica divisata. Le clausole di rinuncia ai rimedi sinallagmatici sono sanzionate con la nullità qualora siano frutto di un abuso del diritto o di una situazione di dipendenza economica. Pertanto, devono ritenersi nulle tutte quelle clausole che privano la parte della complessità dei rimedi per far fronte all’inadempimento di controparte, con conseguente salvezza delle clausole di exclusive remedy laddove l’interesse principale delle parti sia alla conservazione del contratto nonostante l’inadempimento.
[1] In tal senso, cfr. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato (a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti), II ed., Milano, 2012, 678.
[2] Non è questa la sede per discorrere della maggior o minor valenza descrittiva dell’una o dell’altra tassonomia. Per un’analisi dei criteri di catalogazione dei rimedi contrattuali si rimanda a Roppo, Il contratto, cit., 679 ss.; Mazzamuto-Plaia, I rimedi nel diritto privato europeo, Torino 2012.
[3] Sulla nullità di protezione v. Roppo, Il contratto, cit., 707; Bianca, Il contratto, III, Milano, 2019, 578 ss.; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2015, 1002; parla, invece, di nullità speciali Passagnoli, Nullità speciali, Milano, 1995, secondo cui le leggi speciali di settore, attraverso la proliferazione delle ipotesi di nullità testuale, intendono tutelare il contraente debole; più di recente, Valitutti, I contratti di intermediazione finanziaria privi di forma scritta. Profili processuali e sostanziali della c.d. nullità selettiva, in Riv. dir. proc., I, 2021, 203 ss., spec. 221, secondo cui «Il baricentro di tale forma di tutela contrappone, dunque, alla disparità strutturale che connota la predisposizione conformativa del contratto, operata dal professionista o dall’intermediario, una disparità normativa di segno contrario, misurata su una condizione soggettivamente categoriale (consumatore o investitore). La figura – che presenta profili tali da mettere in crisi il collaudato schema codicistico della libertà contrattuale – si palesa, pertanto, strutturata, non più come un indice dell’anomalia della fattispecie, bensì come un rimedio di «regolamento», ossia come uno strumento «conformativo», finalizzato ad un risultato di equità o di giustizia sostanziale».
[4] V. Gabrielli, Autonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali (brevi spunti sulla clausola di esclusive remedy), in Riv. dir. comm., II, 2018, 209 ss.
[5] Sul rapporto tra l’art. 2907 cod. civ. e l’autotutela cfr. Bonsignori, Tutela giurisdizionale dei diritti, in Commentario Scialoja-Branca sub artt. 2907-2909 cod. civ., Bologna, 1999.
[6] Così Roppo, Il contratto, cit., 882; in passato già si espresse, in senso sfavorevole, Sacco, Il contratto, in Tratt. di dir. civ. diretto da Vassalli, Torino, 1975, 936.
[7] Secondo Bianca, Il contratto, cit., 500, è meramente potestativa quella condizione che «fa dipendere l’efficacia o la risoluzione del contratto dalla semplice manifestazione di volontà della parte». Secondo il Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Napoli, 2002, 534, la differenza tra condizione potestativa (ammissibile) e condizione meramente potestativa (inammissibile) sta nel fatto che la seconda consiste in «fatti volontari, il cui compimento o la cui omissione non dipenda da seri e apprezzabili, ma sia normalmente indifferente, in quanto non sogliono importare, per chi li compie o per chi li omette, nessun sacrificio». A ben vedere, la clausola meramente potestativa risolutiva altro non è che una forma di recesso, e deve ritenersi validamente apposta nei limiti in cui è ammissibile accordare ad una parte tale potere. Al contrario, la condizione sospensiva meramente potestativa è sintomo di mancanza di serietà nella prestazione del consenso e, più in generale, manifesta la mancanza di volontà contrattuale. Pertanto, la sanzione non può che essere la nullità dell’intero contratto.
[8] Cfr. Bianca, Il contratto, cit., 433, secondo cui i contratti innominati sono regolati dalla disciplina del contratto in generale, salvo essere integrati dall’applicazione della specifica regolamentazione di determinati tipi legali che presentano affinità con l’operazione atipica divisata dalle parti.
[9] V. Roppo, Il contratto, cit., 883.
[10] Per questo argomento v. ancora Roppo, Il contratto, cit., 883.
[11] Espressione del De Nova, Il contratto alieno, II ed., Torino, 2010; e prima, Id, The Law which governs this Agreement is the Law of the Republic of Italy: il contratto alieno, in Riv. Dir. Priv., 2007, 7 ss.; Id, voce Contratto alieno, in Digesto Disc. Priv. Sez. Civ., Torino, 2009, 10 ss.
[12] O come sottolineato da De Nova, Il contratto alieno, cit, 60, il contratto alieno «è sfacciato, contiene clausole che neppure prendono in considerazione le norme imperative del diritto italiano, e così troviamo clausole che si scontrano direttamente con norme imperative».
[13] V. ancora De Nova, Il contratto alieno, cit., 60.
[14] Evidenza De Nova, Il contratto alieno, cit., 91 ss., che i contratti alieni dicono applicabile il diritto italiano ma, attraverso l’inserzione di una Entire Agreement clause o Merger Clause, vogliono che ad essi il diritto italiano si applichi il meno possibile. E ciò perché le parti non accettano l’intervento di un giudice che sovrapponga al contratto le proprie concezioni. La prassi ha elaborato una serie di clausole intese a proteggere il testo del contratto dall’interpretazione. Troviamo clausole del seguente tenore: «this agreement signed by both parties and so initialed by both parties in the margin opposite this paragraph constitutes a final written expression of all the terms of this agreement and is a complete and exclusive statement of those terms». L’A. esprime forti riserve sulla compatibilità di siffatte clausole con il diritto italiano siccome le parti non possono dettare direttive vincolanti per il giudice: «le parti non possono vincolare il giudice con un’interpretazione comune allegata in giudizio» e ciò perché, com’è noto, ai sensi dell’art. 101 Cost. il giudice è soggetto solo alla legge. Al contrario, se chiamato a decidere la controversia avente ad oggetto un contratto alieno autosufficiente è un arbitro, siccome l’arbitrato è fondato sull’autonomia delle parti e l’arbitro trae la propria potestas iudicandi dalla clausola compromissoria, la Entire Agreement clause o Merger Clause dovrà trovare applicazione.
[15] Così De Nova, Il contratto ha forza di legge, Milano, 1993, 27.
[16] Cfr. De Nova, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2011, 217.
[17] Su cui v. Cosentino, Efficienza economica dell’inadempimento e diritto delle obbligazioni: una verifica delle norme sull’inadempimento, in Quadrimestre, 1988, 480 ss.
[18] Disegno di legge è il n. 1452, comunicato alla Presidenza del Senato il 5 agosto 2019, e intitolato Disposizioni di legge sull’affidamento fiduciario.
[19] Cfr. Fratini, Le obbligazioni, Roma, 2021, 447.
[20] Gabrielli, Autonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali (brevi spunti sulla clausola di esclusive remedy), cit., 221.
[21] Cfr. Cass., sez. un., 11 aprile 2014, n. 8510,
[22] Sull’importanza dei principi Unidroit v. M.J. Bonell, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, in Diritto privato comparato a cura di Alpa, Bonell, Corapi, Moccia, Zeno-Zencovich, Zoppini, 2012, 25 ss., secondo cui «nonostante la loro natura di soft law i principi Unidroit – salutati come una codificazione di alta qualità ed omogeneità contenutistica che, per molti aspetti, persino sorpassa la qualità dei tradizionali diritti nazionali […] – riescono a dare un importante contributo allo sviluppo di un diritto autenticamente internazionale o globale dei contratti».
[23] Sovente nei contratti di project financing ci si imbatte in clausole di exclusive remedy dal seguente tenore: «each of the Parties waives any rights which it may have pursuant to articles 1460,1467 or 2236 of the Italian Civil Code or otherwise to apply to have this Contract revised or set aside as an onerous contract; and each of the Owner and Contractor hereby irrevocably and unconditionally waives, to the extent permitted by applicable law, any and all rights which it may now have or which may at any time hereafter be conferred upon it, by applicable law or otherwise, to terminate (risoluzione and rescissione), cancel (annullamento), quit or surrender this Contract, except in accordance with the express terms hereof or as otherwise agreed in writing between Owner and Contractor».
[24] Per tale argomento v. Gabrielli, Autonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali (brevi spunti sulla clausola di esclusive remedy), cit., 221.
[25] V. sovra § 2.
[26] Così Gabrielli, Autonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali (brevi spunti sulla clausola di esclusive remedy), cit., 222.
Bibliografia:
Sacco, Il contratto, in Tratt. di dir. civ. diretto da Vassalli, Torino, 1975; Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato(a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti), II ed., Milano, 2012; Bianca, Il contratto, III, Milano, 2019; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2015; Passagnoli, Nullità speciali, Milano, 1995; Valitutti, I contratti di intermediazione finanziaria privi di forma scritta. Profili processuali e sostanziali della c.d. nullità selettiva, in Riv. dir. proc., I, 2021, 203 ss.; Gabrielli, Autonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali (brevi spunti sulla clausola di esclusive remedy), in Riv. dir. comm., II, 2018, 209 ss.; De Nova, Il contratto alieno, II ed., Torino, 2010; De Nova, The Law which governs this Agreement is the Law of the Republic of Italy: il contratto alieno, in Riv. Dir. Priv., 2007, 7 ss.; De Nova, voce Contratto alieno, in Digesto Disc. Priv. Sez. Civ., Torino, 2009; De Nova, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2011; Cosentino, Efficienza economica dell’inadempimento e diritto delle obbligazioni: una verifica delle norme sull’inadempimento, in Quadrimestre, 1988, 480 ss.; Fratini, Le obbligazioni, Roma, 2021, 447; Bonell, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, in Diritto privato comparato a cura di Alpa, Bonell, Corapi, Moccia, Zeno-Zencovich, Zoppini, 2012,