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Pubbl. Gio, 16 Set 2021

Le condizioni per l’esercizio dello ius variandi nei contratti di credito al consumo: il giustificato motivo

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Giorgia Dini



Il presente contributo si propone di fornire un´analisi delle diverse ricostruzioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza della vaga formula del «giustificato motivo», riconosciuta dall´art. 118 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385), quale condizione necessaria per l´esercizio dello ius variandi da parte degli intermediari bancari e finanziari.


ENG The main purpose of this article is to examine the different doctrinal and jurisprudential interpretations of the vague condition ”justified reason” contained in the art. 118 of the Consolidated Law on Banking (Legislative Decree no. 385 of 1st September 1993).

Sommario: 1. Premessa; 2. Il quadro normativo vigente; 2.1 (Segue) Lo ius variandi nelle prestazioni di servizi di pagamento (art. 126-sexies T.U.B.); 3. La definizione di «giustificato motivo» elaborata dal Ministero dello Sviluppo Economico ; 4. Considerazioni finali.

1. Premessa

Con l’espressione ius variandi bancario ci si riferisce al diritto potestativo riconosciuto in capo agli istituti bancari (o altri intermediari finanziari) di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali e di conseguenza il contenuto del rapporto obbligatorio con il cliente. L’esigenza di protezione del consumatore e di garanzia dell’equilibrio contrattuale ha spinto il legislatore (prima comunitario, poi nazionale) ad intervenire subordinando tale potere al ricorrere di specifiche condizioni di ammissibilità.

Procedendo per gradi, il potere di modificare unilateralmente il rapporto negoziale si pone in deroga al principio della vincolatività del contratto sancito dall’art. 1372 del Codice civile, in base al quale ha forza di legge quanto le parti hanno convenzionalmente stabilito e formalizzato attraverso uno specifico vincolo contrattuale, che non può essere sciolto «se non per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge».

Nell’ambito della disciplina civilistica, dunque, l’istituto opera in ossequio alla clausola di salvezza contenuta nell’art. 1372 co. 1 del Codice civile (‘cause ammesse dalla legge’): si tratta di quei casi nei quali è lo stesso legislatore ad attribuire espressamente il potere di modifica unilaterale (ad esempio l’art. 1661 c.c., per le variazioni ordinate dal committente nei contratti d’appalto) ovvero ad ammettere l’introduzione di simili clausole all’interno del contratto, come previsto dall’art. 118 del Testo Unico Bancario, per i contratti stipulati tra finanziatore e cliente-consumatore.

Sotto questo aspetto, ancor prima dell’entrata in vigore del Testo Unico Bancario, la legge n. 154 del 17 febbraio 1992[1] (c.d. legge sulla trasparenza bancaria) riconosceva espressamente lo ius variandi in capo al finanziatore, inteso come la facoltà di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso d’interesse ed ogni altro prezzo e condizione contrattuale, a patto che tale diritto fosse stato espressamente indicato nel contratto (in una clausola approvata in modo specifico dal cliente) e fosse data immediata comunicazione scritta all’interessato di ogni variazione applicata (art. 6).

Al cliente, tuttavia (in ragione delle modifiche apportate dall'istituto bancario) veniva attribuito il diritto di recedere dal contratto entro e non oltre quindici giorni dalla comunicazione di modifica delle condizioni, senza penalità e conservando il diritto di applicare – in sede di liquidazione del rapporto – le condizioni fissate in precedenza (art. 6 co. 5).

Com’è evidente, la ratio normativa già allora si rinveniva nella necessità di garantire un equilibrio nei rapporti tra istituti di credito e clienti-consumatori.

2. Il quadro normativo vigente

Venendo ora ad esaminare l’attuale disciplina, l’articolo 118 del T.U.B. riconosce il diritto potestativo in capo al finanziatore di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali (si pensi al tasso d’interesse, al TAEG o alle spese accessorie sostenute dal cliente per il compimento di determinate operazioni) purché tale diritto sia espressamente previsto nel contratto e la rispettiva clausola sia specificamente approvata per iscritto dal cliente.

Tuttavia, il legislatore, a differenza di quanto stabilito in precedenza, ha provveduto a regolamentare in modo differenziato l’istituto dello ius variandi a seconda della diversa tipologia contrattuale: nei contratti a tempo indeterminato la portata applicativa dell’istituto risulta ben più ampia[2], infatti, non essendo previste specifiche limitazioni, la modifica potrà riguardare anche le clausole che impongono oneri economici al cliente: tassi di interesse, prezzi ed ulteriori condizioni previste dal contratto. Diversamente, per i contratti a tempo determinato il potere di modifica unilaterale a favore del finanziatore risulta circoscritto - per espressa previsione normativa- alle sole clausole diverse da quelle relative al tasso di interesse[3].

Per quel che riguarda invece le modalità di esercizio dello ius variandi, l’articolo 118, co. 2 del T.U.B. subordina l’efficacia delle modifiche unilaterali sfavorevoli al cliente all’adempimento dell’obbligo di comunicazione scritta (o su altro supporto durevole) chiara ed espressa, resa evidente mediante l’utilizzo della formula “proposta di modifica unilaterale del contratto” e all’osservanza di un periodo di preavviso minimo di due mesi (periodo esteso a seguito del d.lgs. n. 141 del 13 agosto 2010)[4]. Occorre inoltre considerare che tali proposte di modifica unilaterale del contratto hanno natura di atto recettizio e pertanto producono il loro effetto dal momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario (ex art. 1335 c.c.)[5].

Il cliente dal canto suo, nel termine di sessanta giorni dall’avvenuta comunicazione, ha diritto di recedere dal contratto e la variazione contrattuale si intenderà approvata solo in caso di mancato recesso entro la scadenza del predetto termine (configurando in questo modo una forma di approvazione tacita)[6]. Certamente, quello dello ius variandi bancario rappresenta un diritto potestativo che riguarda le sole clausole previste dal contratto e pertanto le variazioni di specie potranno riguardare esclusivamente le clausole già presenti e non l’adozione di nuove.

Infine, per scongiurare l’uso improprio di tale potere riconosciuto in capo agli istituti di credito, un ulteriore presupposto individuato dal legislatore è quello della necessaria esistenza di un «giustificato motivo»[7].Si tratta di una condizione a prima vista incerta, oggetto di significativo interesse da parte della dottrina, che pertanto merita una specifica trattazione nel prosieguo del lavoro.

2.1 (Segue) Lo ius variandi nelle prestazioni di servizi di pagamento (art. 126-sexies T.U.B.)

Per completare l’analisi del quadro normativo vigente in materia di ius variandi bancario, occorre esaminare l’articolo 126-sexies del T.U.B. (introdotto dal d. lgs. n. 11 del 2010, in attuazione della Dir. 2007/64 CE) in tema di modifiche unilaterali dei contratti-quadro relativi a servizi di pagamento.[8]

Ai sensi del primo comma dell’articolo in esame, il prestatore di servizi di pagamento ha il potere di modificare unilateralmente le condizioni del contratto-quadro a condizione che: tale diritto sia espressamente indicato nel contratto sottoscritto dal cliente (senza necessità di specifica approvazione) e che quest’ultimo venga informato, mediante apposita comunicazione resa con modalità stabilite dalla Banca d’Italia, con un periodo minimo di preavviso di due mesi. A tal proposito, fanno eccezione le modifiche in peius riguardanti i tassi di interesse o di cambio che risultano conseguenza della variazione dei tassi di riferimento sul mercato, per queste infatti si riconosce un’efficacia immediata senza necessità di preavviso, anche se tale evenienza, specifica l’art. 126- sexies, co. 3, deve comunque essere specificata all’interno del contratto.

Altro profilo di rilievo riguarda la possibilità, per il prestatore, di stabilire espressamente nel contratto-quadro un’accettazione tacita (da parte del cliente) delle modifiche apportate, come si evince dalla lettura del comma 2, art. 126-sexies: “Il contratto quadro può prevedere che la modifica delle condizioni contrattuali si ritiene accettata dall’utilizzatore a meno che questi non comunichi al prestatore dei servizi di pagamento, prima della data indicata nella proposta per l’applicazione della modifica, che non intende accettarla”.

Infine, rispetto alla disciplina sopraesposta, dettata dall’art. 118 T.U.B. per i contratti bancari in generale, tale normativa si differenzia in quanto derogabile (in tutto o in parte) dal cliente che non risulti essere consumatore o microimpresa (art. 126-bis, comma 3).

Ai fini della presente analisi è utile compiere un raffronto tra la disciplina speciale di cui all’art. 126-sexies T.U.B. in tema di servizi di pagamento e quella contenuta nell’art. 118 T.U.B., in materia di ius variandi nei contratti bancari.

Da un raffronto del tenore letterale delle due disposizioni, emerge come l’art. 126-sexies, co. 2 del T.U.B. richiami in modo espresso ad un’accettazione da parte dell’utilizzatore dei servizi che lascia intendere “una condivisione tra le parti del nuovo regime normativo[9]. Inoltre, a differenza di quanto previsto dall’art. 118 T.U.B., la modifica delle condizioni del contratto-quadro sembrerebbe esercitabile ad libitum da parte del prestatore, “non essendo prevista la necessità di supportarla con un giustificato motivo”, pur restando in ogni caso soggetta al rispetto dei criteri di correttezza e buona fede contrattuale (ex artt. 1175 e 1375 c.c.).

Da ultimo, come sottolineato da diversi autori, attraverso le modifiche del contratto-quadro il prestatore di servizi di pagamento ha la possibilità di compiere anche «un’espansione del contenuto» del contratto mediante «l’introduzione di condizioni negoziali nuove in precedenza non contemplate»[10]. In questo senso, il potere di intervento per i prestatori di servizi di pagamento sarebbe più ampio rispetto a quello riconosciuto dall’art. 118 T.U.B. nei contratti bancari[11].

3. La definizione di «giustificato motivo» elaborata dal Ministero dello Sviluppo Economico

Come anticipato, l’articolo 118 del Testo Unico Bancario subordina l’efficacia delle variazioni contrattuali applicate dalla banca, alla necessaria esistenza di un «giustificato motivo».

Ebbene, considerato il carattere vago ed incerto della formula utilizzata dal legislatore, una delle questioni maggiormente discusse in dottrina in tema di ius variandi bancario riguarda l’esatta portata applicativa dell'espressione. Ciò che risulta chiaro da una prima lettura della disposizione è che, affinché la banca possa esercitare tale potere di modifica unilaterale del rapporto contrattuale è necessario che si verifichino delle situazioni, degli eventi, che legittimino in concreto la variazione applicata.

Parte della dottrina ritiene che l’espressione si riferisca (esclusivamente) a dei fatti estranei al rapporto giuridico ma capaci di interferire su di esso in modo tale da rendere «economicamente non sopportabile per la banca il peso negativo degli stessi, se reiterati per un numero indefinito di rapporti»[12], altri autori, contrariamente a questa visione, ritengono più corretto ricomprendere nell’espressione non solo quelle circostanze esterne al rapporto contrattuale ma anche quelle interne legate alla situazione dello stesso finanziatore, in questo modo l’espressione sarebbe ricompresa nel «concetto di giusta causa»[13].

Infine, vi è chi più genericamente ritiene che si tratti di qualsiasi fatto «potenzialmente idoneo a modificare l’originario sinallagma contrattuale»[14].

Sul punto, il Ministero dello Sviluppo Economico[15], con circolare n. 5574 del 21 febbraio 2007, si è espresso in ordine al contenuto minimo della nozione di “giustificato motivo”, stabilendo che l’espressione debba essere interpretata facendo riferimento a quegli eventi di «comprovabile effetto sul rapporto bancario», comprendendo sia quelli concernenti la sfera del cliente (come ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che, in termini economici, determinano variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (come ad esempio l’aumento dei tassi di interesse, gli effetti dell’inflazione etc..).

In questo senso, la formula sembrerebbe porsi in stretta connessione con il concetto di sopravvenienza, è necessario che si realizzi un fatto imprevedibile al momento della stipulazione del contratto che sia in grado di incidere sull’assetto di interessi delineato dalle parti all’interno di esso[16].

Non solo, al fine di garantire maggior protezione nei confronti del cliente, (rendendolo in grado di capire le motivazioni che sono alla base dell’esercizio del diritto in questione da parte della banca), la circolare prescrive in capo al finanziatore l’obbligo di fornire un’adeguata informazione “circa il giustificato motivo alla base della modifica unilaterale, in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base”.

La definizione elaborata dal Ministero dello Sviluppo Economico è stata utilizzata dal Collegio dell’Arbitro Bancario Finanziario per la risoluzione di diverse controversie e così, anche il Tribunale di Rimini (con l’Ordinanza del 22 agosto 2011[17]), basandosi sulla medesima ricostruzione, ha affermato che il giustificato motivo debba consistere in un “mutamento di certe condizioni (relative al sistema bancario, al cliente etc.) che vanno ad incidere sulla concessione del credito, mutando quelle condizioni esistenti al momento in cui il contratto è stato concluso”.

4. Considerazioni finali

A ben vedere, il tema dello ius variandi risulta fortemente connesso con quello della trasparenza bancaria: l’istituto di credito è tenuto a fornire un’adeguata informazione dell’esistenza del diritto di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali prima della conclusione del contratto, ma soprattutto deve fornire comunicazione scritta delle variazioni applicate. Nelle stesse, il finanziatore dovrà indicare adeguatamente il “giustificato motivo” previsto dall’art. 118 T.U.B. posto che, l’adempimento di tali obblighi informativi costituisce criterio di valutazione per l’accertamento della condizione giustificativa necessaria.

L’istituto di credito non potrà perciò limitarsi ad indicare in modo generico la sussistenza di un “giustificato motivo"[18], ma dovrà fornire al cliente un’apposita documentazione scritta nella quale vengono indicati gli eventi che legittimano la controparte ad applicare una variazione delle condizioni contrattuali, poiché il cliente deve essere in grado di «valutare se le ragioni addotte dalla banca siano non solo serie, ma anche di carattere generale o particolare, posto che nel primo caso risulta probabilmente inutile cercare sul mercato offerte alternative, mentre nel secondo caso è più probabile l’opposto»[19].

In considerazione del rilievo che assume l’individuazione dell’esatta portata applicativa della formula in esame e dei problemi interpretativi legati all’eccessiva genericità della formula utilizzata dal legislatore, il Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), sottolineando l’importanza di un’adeguata comunicazione delle modifiche unilaterali, ha affermato che il semplice richiamo al «calo dei tassi di interesse di riferimento» o «all’andamento del mercato dei tassi»[20] non costituisce giustificato motivo ai sensi dell’art. 118 T.U.B. e riconosciuto di conseguenza l’inefficacia di tali comunicazioni.

Al riguardo occorre precisare che non risulta necessario fornire una comunicazione analitica o estremamente dettagliata, ma è sufficiente una comunicazione succinta «che, seppur sintetica, sia in ogni caso idonea a consentire al cliente una verifica in termini di congruità»[21], in questo senso si pone l’orientamento maggioritario dell’Arbitro Bancario Finanziario.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Ancor prima dell’entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria, l’istituto era regolato dalle Norme Bancarie Uniformi (NBU), nello specifico l’art. 16 delle N.U.B., riferito ai conti correnti di corrispondenza, prevedeva il diritto di modificare in qualsiasi momento le condizioni contrattuali e le disposizioni disciplinanti tali rapporti negoziali. Simili regole erano previste anche per altre tipologie di rapporti ed erano fortemente criticate da parte della dottrina, in quanto si riconosceva nelle stesse una forma di dominio discrezionale degli istituti bancari nei confronti dei propri utenti. Così, NIVARRA L., Jus variandi del finanziatore e strumenti civilistici di controllo, in Riv. dir. civ., II, 2000, p 465.

[2] Nella relazione illustrativa del decreto si legge che, in ogni caso con la locuzione «ulteriori condizioni» si è voluto precisare che l'esercizio dello ius variandi non può mai tradursi nell’introduzione ex novo di clausole originariamente non previste nel regolamento contrattuale. Così, MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, p. 560.

[3] Si tratta di una distinzione normativa introdotta a seguito della modifica dell’art.118 T.U.B., in forza e per effetto dell’art. 4, d.lgs. n. 141/2010. Tuttavia, «se il cliente non è un consumatore né una microimpresa (..) nei contratti di durata diversi da quelli a tempo indeterminato di cui al comma 1 del presente articolo possono essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto». Così l’art. 118, comma 2-bis del Testo Unico Bancario (inserito dall’ art. 8, comma 5, lett. f), D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106).

[4]Il disposto dell’art. 118 T.U.B., nella versione anteriore alla novella, prevedeva un preavviso minimo di trenta giorni.

[5] In base alla giurisprudenza dell’ABF (Arbitro Bancario Finanziario), nell’eventualità in cui il cliente neghi di aver ricevuto tale comunicazione obbligatoria da parte della banca, è onere di quest’ultima provare di avere correttamente adempiuto il proprio obbligo di comunicazione. In difetto, le modifiche applicate non si considerano efficaci nei confronti del cliente e le somme addebitate devono essere ripetute.

[6] Così, SANTONI G., Lo jus variandi delle banche nella disciplina della l. n. 248 del 2006, in Riv. Banca, borsa e titoli di credito, 2007, p. 253.

[7] Condizione introdotta a seguito della legge n. 248 del 4 agosto 2006, che ha modificato la disciplina sullo ius variandi contenuta nell’art. 118 T.U.B.

[8] Ai sensi dell’articolo 114-sexies del T.U.B.: «La prestazione di servizi di pagamento è riservata alle banche, agli istituti di moneta elettronica e agli istituti di pagamento. Possono prestare servizi di pagamento, nel rispetto delle disposizioni ad essi applicabili, la Banca centrale europea, le banche centrali comunitarie, lo Stato italiano e gli altri Stati comunitari, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali, nonché Poste Italiane».

[9] PROFETA V. Sub art. 126-sexies T.u.b., in MANCINI M., RISPOLI FARINA M., SANTORO V., SCIARRONE ALIBRANDI A. e TROIANO O. (a cura di), La nuova disciplina dei servizi di pagamento, Torino, 2011, p. 557. L’autore rileva come “lo ius variandi concernente i contratti quadro di servizi di pagamento [si differenzi da quello disciplinato dall’art. 118 T.U.B. in tema di contratti bancari], sia per la diversa formulazione testuale adottata dal legislatore nell’art. 126-sexies sia per la differente regolamentazione sostanziale dell’istituto”.

[10] PROFETA V., op. cit., p. 558.

[11] Così, PROFETA V., op. cit., p. 557, il quale sottolinea come «nel caso di contratti quadro di servizi di pagamento (..), la modifica può consistere anche nell’offerta di nuovi servizi oltre che nella variazione delle condizioni normative ed economiche già pattuite».

[12] FERRO-LUZZI F., Modifica allo ius variandi nei contratti bancari e disciplina transitoria, in Due pareri sull'art. 8 comma 5°, lett. f) e g), d. l. n. 70/2011, in Banca, borsa, e titoli di credito, fasc. 4, 2001, p. 490.

[13] BUSSOLETTI M., La disciplina del jus variandi nei contratti finanziari secondo la novella codicistica sulle clausole vessatorie, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2005, p. 21.

[14] Così, sul regime della commissione di massimo scoperto a seguito della l. n. 2/2009, MORERA U., Il prezzo dell’utilizzo nell’apertura di credito (noterella sulla nuova commissione di massimo scoperto), in www.associazionepreite.it, p. 5, sulla stessa linea di pensiero: IORIO G., Le clausole attributive dello ius variandi, vol. 38, Milano, 2008, p. 86, l’autore ritiene che l’espressione si riferisca a qualsiasi «circostanza sopravvenuta alla stipula del contratto (..) non imputabile alla banca ed in grado di alterare l’equilibrio contrattuale, nelle proporzioni risultanti al momento iniziale della prestazione del consenso».

[15] Prima dell’adozione dell’intervento in materia da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, la questione relativa all’esatta interpretazione della formula “giustificato motivo” aveva generato un dibattito tra l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) culminato con l’adozione da parte di quest’ultima di un provvedimento di sospensione della circolare chiarificatrice adottata dall’ABI. Nella stessa si considerava “giustificato motivo” qualsiasi circostanza verificatasi successivamente alla conclusione del contratto, con riferimento sia alle variazioni soggettive dell’istituto di credito o del cliente sia a quelle di carattere oggettivo (SCARPELLO A., La modifica unilaterale del contratto, Padova, 2010, p. 269). L’AGCM, discordando con quanto sostenuto dall’ABI nella circolare del 6 agosto 2006, con la decisione di sospensione del 14 settembre 2006, definitivamente confermata con il provvedimento del 10 luglio 2007, osservava che «l’ampiezza attribuita alla nozione di giustificato motivo delineata dalla circolare svuota tale nozione di qualsiasi utilità nella prospettiva di assicurare stabilità alle condizioni economiche applicate al cliente al momento della conclusione del contratto».

[16] Questo non include tuttavia la sopravvenienza normativa, infatti, secondo il principio di diritto fissato dal Collegio di coordinamento dell’ABF (decisione n. 26498/2018), “la sopravvenienza normativa non è di per sé un giustificato motivo ai sensi dell’art. 118 TUB, ma, in alcuni casi, può assumere rilevanza a tal fine; ad esempio, quando la stessa normativa preveda la possibilità di modifiche unilaterali (ai sensi dell’art. 118 TUB) ovvero qualora incida sul costo delle attività o dei servizi interessati dalla modifica unilaterale”.

[17] Ordinanza pronunciata dal Tribunale di Rimini, consultabile su: Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6557 - pubb. 28/09/2011.

[18] Al riguardo, il più occasioni il Collegio di Roma (decisione nn. 2202/2013 e 1837/2011) ha ritenuto inidoneo ad integrare la condizione del “giustificato motivo” il richiamo all’ «andamento del mercato dei tassi» per carenza di specificità della motivazione addotta dalla banca, in quanto "comunicare al cliente che si sono verificati «cambiamenti di mercato» e non comunicare nulla sono due atti comunicazionalmente equivalenti, essendo ovvio che il mercato è in continuo cambiamento". Sulla stessa linea il Collegio di Milano (decisione n. 2434/2014) per il richiamo alla “variazione delle condizioni di mercato” (Collegio di Milano, decisione n. 2434/2014) ovvero al “peggioramento del contesto di mercato che aveva interessato l’economia italiana con conseguente aumento dei costi per la gestione del rischio di liquidità” (Decisione n. 5972/2014).

[19] Arbitro Bancario Finanziario (ABF) Milano 16 aprile 2014, n. 2434. Nella stessa decisione viene sottolineato che: «il riferimento al requisito dei giustificati motivi non può essere limitato alla loro effettiva sussistenza, ma deve estendersi anche alla loro comunicazione».

[20] Così, l’ABF di Roma (13 settembre 2011, n. 1837) e nella sopra citata ordinanza adottata dal Tribunale di Rimini (22 agosto 2011) per cui il riferimento «all’andamento del rapporto creditizio» non è idoneo ad integrare la nozione di giustificato motivo ai sensi dell’art. 118 T.U.B.

[21] Arbitro Bancario Finanziario, decisione n. 1889 del 26 febbraio 2016.