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Pubbl. Mer, 9 Dic 2015

Il caso Crimea: spunti giuridici e risvolti politici alla luce del diritto internazionale

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Roberto Saglimbeni


La contesa tra Ucraina e Russia per il territorio della Repubblica Autonoma di Crimea costituisce, al di là delle opinioni personali, fonte di innumerevoli spunti per gli operatori del diritto. Cerchiamo di analizzarne gli elementi essenziali e di dare risposte al quesito principale: l´annessione trova fondamento nel diritto internazionale?


Premessa

La presente trattazione costituisce un tentativo di fornire un quadro sintetico, benché completo, della controversia tra Russia e Ucraina sulla Crimea nei suoi risvolti giuridico-internazionalistici. La situazione della Crimea, il complicato quadro geo-politico dell'area e le posizioni dei contendenti sono ormai acquisizioni d'attualità ben consolidate, stante l'ampia copertura mediatica ricevuta dalla vicenda e l'importante intreccio di interessi economici ad essa sottostante: per un riepilogo si rimanda dunque all'ottima pubblicazione di Alessandra Parrilli su questa stessa rivista. Dando dunque per presupposta la conoscenza dei fatti, la nostra analisi verterà su tre questioni, dalle cui risposte dipenderà la valutazione giuridica della controversia sulla Crimea: 

  1. L'annessione russa trova fondamento nel diritto internazionale?
  2. Sussiste a carico della Russia un obbligo di restituzione del territorio?
  3. Quali strumenti internazionali sono utilizzabili per pervenire ad una soluzione giuridica della controversia?

Appare dunque palese come le tre domande che ci si pone siano in realtà tre aspetti di un unico nucleo concettuale, che ruota intorno ad un quesito fondamentale formulabile in termini di "legittimità" o meno dell'intervento russo a supporto della secessione nonché della secessione stessa, almeno con riguardo ai suoi riflessi internazionalistici. 

1. L'annessione russa trova fondamento nel diritto internazionale?

Prima di dar corpo all'articolata risposta al quesito sovrastante è di certo utile analizzare il perché la vicenda della Crimea sia da sussumere sotto la fattispecie del distacco di parti di territorio e non sotto quella della "secessione". Il referendum sull'indipendenza, svoltosi il 14 marzo 20141, è stato preceduto da due atti che testimoniano la volontà primaria dei parlamentari della Crimea di annettere la regione alla Federazione Russa:

  1. La dichiarazione del 4 Marzo, con la quale il Parlamento richiedeva ufficialmente l'annessione alla Russia in caso di indipendenza;
  2. La dichiarazione dell'11 Marzo con la quale il Parlamento sanciva la secessione dall'Ucraina.2

Se a ciò si aggiungono l'istituzione del russo come lingua ufficiale a Sebastopoli il 10 Marzo e la decisione della Duma di discutere un ddl sulle modalità di annessione della Crimea è immediato realizzare come non si sia assistito a una secessione della Crimea e ad una sua costituzione come Stato indipendente (dotato dunque di effettività e indipendenza) ma ad una manovra politica, neanche troppo velata, di distacco del territorio: mutuando una locuzione in uso nel diritto dei trattati si può dunque definire tale situazione come mobilità delle frontiere. Nel senso dell'annessione alla Russia sono peraltro inequivocabili la formulazione del referendum (Sei a favore del ricongiungimento della Crimea con la Russia come soggetto federale della Federazione Russa?), gli avvertimenti del premier ucraino ad interim Turchinov sulle manovre dei militari filorussi3, i proclami del presidente Putin e l'opinione di numerosi esperti internazionali4 5

Chiarito questo necessario passaggio preliminare, è giunta l'ora di affrontare il quesito primario: esiste un fondamento giuridico-internazionalistico dell'annessione russa? Trovare prima facie gli esatti confini della risposta è arduo e dunque sembra qui utile richiamare le dichiarazioni del presidente Putin6,, sicché sia agevole determinare il punto di vista russo per bocca del suo apicale rappresentante: "In Crimea c'è stato un referendum nel pieno rispetto delle procedure democratiche e delle normative giuridiche internazionali [...] dichiarando la propria indipendenza, indicendo il referendum, il Consiglio Superiore della Crimea ha fatto riferimento allo Statuto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, il quale parla di diritto all'autodeterminazione dei popoli [...] inoltre i crimeani hanno fatto riferimento al famoso parere sul Kosovo [...] forse che la nostra libertà vale meno della loro? [...]

Da parte russa la vicenda della Crimea è dunque da inquadrare nell'ambito del principio di autodeterminazione dei popoli,  regola di diritto internazionale consuetudinario, peraltro di jus cogens, positivizzata nella Carta Onu (art. 1 par. 2) e in molte Dichiarazioni dell'Assemblea delle Nazioni Unite, nonché in alcuni pareri della CIG (tra cui il già citato parere sul Kosovo del 22 luglio 2010). Il principio di autodeterminazione dei popoli ha come suo nucleo giuridico il diritto di un popolo soggetto a dominazione straniera di rendersi indipendente (c.d. autodeterminazione esterna) ed è soggetto ad una fondamentale condizione: per essere applicabile è necessario che la condizione di soggezione, territori coloniali a parte, non risalga oltre la fine della seconda guerra mondiale, epoca in cui il principio si è affermato. 

Prima di verificare se, prassi alla mano, il principio di autodeterminazione dei popoli sia applicabile alla Crimea, dobbiamo preventivamente escludere dalla nostra analisi due figure limitrofe, prive di fondamento giuridico: la c.d. autodeterminazione interna e la remedial secession. Per autodeterminazione interna si intende l'utopica aspirazione ad una comunità internazionale in cui i rappresentanti degli Stati siano tutti espressione di sistemi democratici e liberi: appare evidente come quest'idea non solo non risponda alla realtà, dato l'ampio numero di Stati (alcuni dei quali fondamentali dal punto di vista economico e geopolitico) a carattere dispotico, ma anche come ne sia impossibile l'attuazione. La stessa democrazia, per quanto idealmente giusta, è un modello nato in un dato contesto storico e non astrattamente applicabile in ogni tempo e luogo, se non a costo di forzature (e, d'altronde, le conseguenze delle guerre in Afghanistan e Iraq, pur senza entrare nel merito delle vicende, sono sotto gli occhi di tutti). Non è in ultima analisi un caso che, più che nell'imporre sistemi prestabiliti, l'operato della comunità internazionale si sintetizzi nella coadiuvazione della burocrazia statale di alcuni paesi per garantire lo svolgimento di libere elezioni, soprattutto a seguito di gravi crisi politiche e militari.7

Con la locuzione "remedial secession" si è invece soliti riferirsi a un presunto diritto delle minoranze ad autodeterminarsi laddove siano sottoposte a discriminazioni intollerabili (Conforti). Del tema si è occupata un'autorevole dottrina (Tancredi), che tende ad escludere la rilevanza giuridica di una simile figura:"[...] vale ancora la pena di osservare come proprio il caso della Crimea finisca col mostrare quanto si è già avuto occasione di dire in passato, e cioè che la secessione-rimedio si presta ad una facile eterogenesi dei fini: nata come rimedio estremo contro gravi violazioni dell’autodeterminazione interna e dei diritti umani fondamentali in danno di gruppi di identità infrastatuali, essa finisce col veicolare un’idea di purezza etnica comebase della statualità nel XXI secolo.  [...] la Russia ha provato ad imbastire un’argomentazione tendente a dimostrare che gli estremi della secessione-rimedio (ricordiamoli, una persistente negazione dell’autodeterminazione interna, cui si aggiungono gravi violazioni dei diritti umani) sarebbero ricorsi nel caso della Crimea [...] Ora, nell’intervento del rappresentante russo in Consiglio di sicurezza del 15 marzo 2014, pare mancare un efficace tentativo di dimostrare la ricorrenza di una ‘severe oppression’ a danno della popolazione della Crimea. [...]

In sintesi, e con ciò tornando sulla nostra main track giuridica, a mancare non è solo la validità generale della "remedial secession" ma anche (e soprattutto) la prova che, nel caso specifico, l'oppressione a carico dei russofoni di Crimea avesse raggiunto livelli tali da rendersi necessario il ricorso al principio di autodeterminazione. E, infatti, se anche, come è ben possibile credere, in virtù delle convulsioni politiche ucraine post-2013 la popolazione russa della Crimea avesse temuto o addirittura iniziato a sentire sulla propria pelle un peggioramento delle sue condizioni quale minoranza giuridicamente tutelata, i passaggi per garantire la cessazione di tale situazione si sarebbero dovuti svolgere a) nel rispetto della Costituzione Ucraina; b) senza ingerenze esterne, per di più armate come quelle russe. Sembra quindi da escludersi la possibilità di invocare il principio di autodeterminazione, al quale sono peraltro invise le modalità di svolgimento del referendum di marzo 2014. Se, infatti, la consultazione referendaria non è priva di effetti in ambito internazionale qualora si svolga nel rispetto delle procedure previste dai singoli ordinamenti nazionali8, è da considerare come il referendum in Crimea sia stato svolto in presenza dell'esercito russo, ad occupazione già avvenuta: tale circostanza delegittima la pur schiacciante maggioranza espressasi a favore del "rincongiungimento" con la madrepatria.

 Passando al piano del diritto pattizio è da rilevarsi come la Russia abbia violato (almeno) tre trattati: il trattato bilaterale di amicizia con l'Ucraina (1990), che sanciva il rispetto delle frontiere, il sistema di accordi istitutivi della CSI (Accordi di Minsk e Alma Ata nel 1991) e da ultimo il trattato di cooperazione con l'Ucraina del 1997. Come già segnalato a più riprese il modus operandi russo si è spinto fin da subito verso l'intervento armato, senza tentare la strada della conciliazione né interna a questi accordi né tantomeno esterna, per via diplomatica: un ulteriore indice di come l'azione russa sia da collocare radicalmente extra ordinem e non sia dunque giustificabile dal punto di vista del diritto internazionale.

2. Sussiste a carico della Russia un obbligo di restituzione del territorio?

3. Quali strumenti internazionali sono utilizzabili per pervenire ad una soluzione giuridica della controversia?

In ordine ai quesiti rimanenti è da rilevare come sia, in astratto, configurabile un obbligo di restituzione gravante sulla Russia ma, al di là di ciò, che la sua coercibilità sia pressoché nulla. Non è di certo una scoperta che l'assenza di un'entità sovranazionale in grado di imporre la propria volontà ai singoli Stati (non lo è l'ONU) comporti la generale applicazione della regola dei rapporti di forza in tutte quelle situazioni in cui la diplomazia non abbia trovato soluzioni adeguate. La regola dei rapporti di forza, per quanto brutale, è una spada di Damocle che pende costantemente sul diritto internazionale e sulla sua credibilità ed alla quale non si può porre rimedio se non in una prospettiva di governo universale oggi ben distante dalla realizzazione. 

Allo stato attuale delle cose è inoltre da non sottovalutare il peso politico del contendente forte, la Russia: in quanto membro del Consiglio di Sicurezza, gode di quel potere di veto che ben può paralizzare l'operato dell'organo. Tale situazione si è già verificata nel marzo 2014, laddove la Russia si è opposta all'adozione di una risoluzione del Consiglio avente ad oggetto l'illegittimità dell'annessione della Crimea. In seno alle Nazioni Unite è stata dunque l'Assemblea ad approvare una mozione non vincolante in materia, rimanendo tuttavia all'interno dei ristretti margini operativi (e senza possibilità coercitive) delle proprie competenze. Ad oggi, stante la complessa situazione internazionale e il crescente peso  della Federazione Russa nel quadro geo-politico, l'unica via che sembra aprirsi è quella di una mediazione ad alto livello, patrocinata da personaggi super partes sulla falsariga del negoziato USA-Cuba dei mesi scorsi. Al di là di tale strada, impervia, senza garanzie di successo e non ancora intrapresa, iniziative unilaterali come il ricorso ucraino alla CIG rischiano di condurre a condanne dall'alto valore morale e giuridico ma impossibili da tradurre in fatti rilevanti. 

 


Note

1 L'articolo del NY Times è paradigmatico: i toni estremamente critici del quotidiano statunitense preludono ai contrasti tra Obama e Putin sulla vicenda. Più in generale è evidente come la percezione dell'opinione pubblica americana sia di stare assistendo a una procedura extralegale e non esente da forzature da parte dei filo-russi.

2 Corriere della Sera, 11 Marzo 2014

3 Huffington Post, 27 Febbraio 2014

4 Dario Quintavalle su Limes del 6 Marzo 2014

Edward Luttwak su Huffington Post del 2 Marzo 2014. L'opinione di Luttwak è comunque da relativizzare, stante la sua collaborazione con il governo USA in materia di strategia militare. 

6 Riportate da Corriere della Sera, 18 Marzo 2014 (https://www.youtube.com/watch?v=ZT3Jh3jDY6w)

Un ruolo importante in questo settore è svolto dall'OSCE (http://www.osce.org/what/elections)

8 L'esempio più recente e significativo è il referendum che ha portato all'indipendenza del Montenegro dalla Serbia nel 2006.

9 Abbiamo a più riprese parlato di ricongiungimento del territorio e non di mera annessione: sembra dunque il caso di fare un breve excursus che chiarisca tale affermazione da un punto di vista storico. La Crimea, conquistata dall'impero russo nel 1783, ha seguito le vicende di Mosca fino al 1954, quando l'allora segretario del PCUS Chruscev la donò all'Ucraina. Il sentimento filorusso della maggioranza della popolazione non si è tuttavia mai sopito, così come le aspirazioni indipendentiste: già nel 1991, infatti, al disfacimento del blocco sovietico seguì una dichiarazione di autonomia, presto riassorbita dall'Ucraina in cambio della concessione di numerose libertà speciali alla penisola.