Pubbl. Mar, 27 Lug 2021
La responsabilità medica in caso di successione nella posizione di garanzia
Modifica paginaCon la recente pronuncia del 2 febbraio 2021, n. 3922, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità medica, interrogandosi su come debba essere distribuita la responsabilità penale tra più sanitari - tutti titolari di una posizione di garanzia - che si siano succeduti nel percorso clinico-assistenziale dello stesso paziente. In particolare, la Corte ha riconosciuto la sussistenza del nesso di causalità tra l´errore del garante primario - sub specie errore di omissione - e l´evento verificatosi durante il turno del subentrante, alla stregua del giudizio controfattuale di alta probabilità logica.
Sommario: 1. La quaestio iuris sottoposta al vaglio della Suprema Corte; 2. Essenza e struttura delle fattispecie omissive; 3. Le posizioni di garanzia; 4. Compiti e doveri del medico: la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti del paziente; 4.1. Errata diagnosi o ritardo nella stessa: profili di responsabilità; 4.2. La gestione del rischio clinico; 5. La responsabilità medica secondo la legge “Gelli-Bianco”; 5.1. L’accertamento del nesso di causalità nei reati omissivi impropri; 6. Cooperazione medica multidisciplinare di tipo diacronico: la successione nella posizione di garanzia; 6.1. La successione nelle attività inosservanti; 7. Osservazioni conclusive.
1. La quaestio iuris sottoposta al vaglio della Suprema Corte
Con la recentissima pronuncia del 2 febbraio 2021, n. 3922[1], la Corte di Cassazione, interrogandosi su come debba essere compiuto l’accertamento del nesso di causalità tra l’errore del garante primario e l’evento verificatosi durante il turno del subentrante, ha riconosciuto la responsabilità colposa di tipo omissivo in capo al medico di servizio (garante originario) per aver commesso il reato di omicidio colposo ai danni del paziente ricoverato per un intervento di artoprotesi dell’anca sinistra, esitato nel decesso di quest’ultimo per shock emorragico da lesione iatrogena venosa in sede di impianto della protesi.
In particolare, la Suprema Corte ha ravvisato un profilo di colpa in capo al medico-chirurgo perché il medesimo ha omesso di sottoporre il paziente, in presenza di una grave anemia indicativa di una importante perdita ematica (poi esitata in shock ipovolemico), a revisione della ferita chirurgica, procedura che avrebbe palesato l’esistenza della lesione vascolare dei vasi e imposto l’esecuzione di un intervento di sutura, in luogo della somministrazione di ben diciassette sacche ematiche.
Nel merito, i giudici di legittimità hanno addebitato l’errore - sub specie errore di omissione[2] - al garante primario, autore dell’intervento, perché quest’ultimo - in “conseguenza di un’errata valutazione delle condizioni del paziente e di una sostanziale superficialità e approssimazione”[3] - non ha ricollegato l’anemia crescente alle complicanze post operatorie del tutto prevedibili, omettendo di intervenire prontamente per evitare un aggravamento della malattia in atto e di informare i medici subentranti circa la sensibile diminuzione del valore dell’emoglobina, avvenuta subito dopo l’intervento e protrattasi nelle ore e nei giorni successivi.
Sul punto, la mancata segnalazione delle precarie condizioni di salute del paziente ha costituito la causa del comportamento negligente dei garanti secondari i quali, ignorando il quadro ematico, non sono intervenuti per impedire l’evento.
Nel giudizio di responsabilità penale, la Suprema Corte ha riconosciuto la sussistenza del nesso di causalità tra l’errore di omissione del garante primario e l’esito infausto, alla stregua di un giudizio controfattuale di alta probabilità logica, appurato che - sulla scorta di quanto accertato dal consulente del pubblico ministero - il paziente, ove sottoposto a un attento controllo post operatorio e ad un tempestivo intervento di revisione della ferita (c.d. comportamento alternativo lecito), sarebbe sopravvissuto con un quoziente di probabilità prossimo alla certezza, trattandosi peraltro di paziente senza problemi di tipo emodinamico.
La Corte, richiamando i principi già espressi in tema di “colpa medica”[4], ha affermato che nell'ipotesi in cui più soggetti abbiano l'obbligo di impedire l'evento collegato ad una situazione di pericolo e siano obbligati ad intervenire in tempi differenti, il giudizio di responsabilità non potrà avere carattere unitario e «l’accertamento del nesso causale rispetto all’evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascun titolare della posizione di garanzia, stabilendo cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta da ciascuno dei garanti fosse stata tenuta, anche verificando se la situazione di pericolo non si fosse modificata per effetto del tempo trascorso o di un comportamento dei successivi garanti»[5].
Detto altrimenti, ai fini del riparto della responsabilità medica tra più sanitari titolari di una posizione di garanzia che si siano alternati nel percorso clinico-assistenziale dello stesso degente, occorre verificare: il comportamento alternativo lecito (previsto dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali) che avrebbe scongiurato l'evento lesivo; le conseguenze che sarebbero derivate dall’attuazione della condotta doverosa; la sussistenza del legame eziologico tra la condotta colposa posta in essere da ciascuno dei garanti e l'evento stesso; un'eventuale variazione della situazione di pericolo per effetto del tempo trascorso o di un comportamento "del tutto eccezionale" del subentrante.
Nell’iter logico-argomentativo della pronuncia in esame, i giudici di legittimità hanno richiamato il principio già espresso in tema di colpa medica e sicurezza sul lavoro, secondo cui “il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto parimenti obbligato”[6], con la logica conseguenza che se il garante primario abbia innescato un fattore di rischio per il bene giuridico protetto dall’ordinamento, omettendo di segnalare ai subentranti le condizioni di salute del paziente, egli stesso sarebbe perseguibile penalmente (e non gli altri), ammesso che la successiva condotta negligente (dei garanti secondari) trovi causa proprio nell’inadempimento del dovere di informazione gravante sul medico intervenuto per primo.
L’errore medico è definito come “un’omissione di intervento, o un intervento inappropriato, a cui consegue un evento avverso clinicamente significativo”[7], pertanto, prima di esaminare il riparto della responsabilità medica in caso di successione nella posizione di garanzia, occorre brevemente accennare all’essenza, nonché alla struttura delle fattispecie omissive.
2. Essenza e struttura delle fattispecie omissive
Il ricorso alle fattispecie omissive nel codice penale vigente è espressione del principio solidaristico consacrato dall’art. 2 della Costituzione, secondo cui allo Stato spetta il compito di promuovere l’uguaglianza sostanziale e rendere effettiva la dignità individuale, a sostegno dei soggetti più deboli dell’ordinamento[8], e risponde ad un’esigenza imposta dal progresso socio-economico e tecnologico della società, che determina l’emanazione di regole cautelari la cui violazione presuppone un’omissione[9].
Secondo autorevole dottrina, le fattispecie omissive costituiscono uno “strumento che concorre alla realizzazione del modello e degli scopi di promozione sociale prefigurati dalla Costituzione”[10], atteso che lo Stato, attraverso la predisposizione di un sistema di incentivi al comportamento individuale, quindi di regole cautelari efficienti, mira a prevenire i fatti socialmente pericolosi e a raggiungere il benessere collettivo al minor costo sociale possibile, inteso come insieme di costi umani ed economici.
Quanto all’essenza delle fattispecie omissive, le correnti più accreditate della dottrina attribuiscono all’omissione un’essenza normativa, ravvisandone il proprium nel non facere quod debetur, cioè nel “mancato compimento dell’azione possibile che il soggetto ha il dovere giuridico, non anche solo morale o sociale, di compiere”[11]. Sicché, la configurabilità del reato omissivo deve necessariamente presupporre l’esistenza dell’obbligo giuridico di agire in capo al singolo e la possibilità concreta di adempierlo, che viene logicamente meno quando manchino le attitudini psico-fisiche del soggetto interessato o i fattori esterni necessari per compiere l’azione doverosa.
La macrocategoria dei reati omissivi si suddivide nelle sottocategorie dei reati omissivi propri (delicta omissiva) e reati omissivi impropri (delicta commissiva per omissionem). I reati omissivi propri sono reati di mera condotta che vengono integrati dal solo mancato compimento di un’azione comandata dalla legge, senza che rilevi il verificarsi dell’evento naturalistico: trattasi di fattispecie espressamente e specificatamente previste espressamente dalle norme di parte speciale che descrivono in modo puntuale gli elementi costitutivi del reato. In questa sottocategoria rientrano, ad esempio, l’ipotesi di omissione di soccorso prevista e punita dall’art. 593 c.p. e il reato di omissione di referto ex art. 365 Codice penale.
I reati omissivi impropri sono reati di evento, nei quali “la legge incrimina il mancato compimento di un’azione giuridicamente doverosa imposta per impedire il verificarsi di un evento, che assurgerà a elemento costitutivo del fatto"[12]. Tale sottocategoria trova il proprio fondamento positivo nella norma di cui all’art. 40, co. 2, c.p., a tenore del quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, con la conseguenza che il soggetto obbligato ad intervenire, qualificandosi come garante del bene da proteggere, risponderà delle conseguenze derivanti dal suo mancato attivarsi.
La disposizione di parte generale del codice penale (che presuppone l’esistenza di una posizione di garanzia), in sostanza, si affianca ad ogni fattispecie commissiva di parte speciale (reato di evento a forma libera), ragion per cui la violazione del combinato disposto della clausola di equivalenza ex art. 40, cpv, c.p. e della norma di parte speciale crea una nuova fattispecie incriminatrice con i seguenti elementi strutturali: la condotta, consistente nella violazione di un obbligo giuridico di impedire l’evento; l’evento tipico (descritto dalla disposizione di parte speciale); il nesso di causalità tra l’omissione e l’evento stesso.
Posto che il caso di cui trattasi attiene ad un’ipotesi di reato omissivo improprio data dal combinato disposto degli artt. 40, co. 2, e 590 sexies c.p. - che ammette un precedente logico a proprio fondamento (l’esistenza di una posizione di garanzia) -, giova preliminarmente illustrare i criteri generali di identificazione delle posizioni di garanzia e poi la titolarità della posizione di garanzia appartenente ai sanitari.
3. Le posizioni di garanzia
La posizione di garanzia è un istituto dogmatico particolarmente complesso. La c.d. teoria formale dell’obbligo, elaborata dalla dottrina italiana, ritiene che un obbligo di attivarsi rilevante ex art. 40, cpv, c.p. possa nascere dalla legge penale o extra-penale (ad es., l’art. 3 l. 363/2003 riconosce una posizione di garanzia in capo al gestore di un’attività sportiva pericolosa) ovvero, ancora, dal contratto.
Secondo questa concezione, in ossequio al principio di legalità-riserva di legge, le norme che descrivono situazioni alle quali si ricollega il sorgere dell’obbligo di impedimento dell’evento devono avere inevitabilmente fonte legislativa, con l’effetto che fonti sub-legislative quali regolamenti, atti amministrativi o consuetudine non possono costituire posizioni di garanzia in capo ad un soggetto[13], “potendo solo specificare taluni elementi di una situazione tipica di obbligo derivante da una norma di legge”[14].
Una costruzione c.d. funzionale delle posizioni di garanzia su base “fattuale” offre, invece, rilievo alla sussistenza di una sostanziale posizione di garanzia, cioè ad una situazione di fatto configurabile nell’ipotesi in cui il soggetto garante vanti “un potere di signoria su alcune condizioni essenziali del verificarsi dell’evento tipico”[15].
La prevalente tesi mista, tentando un raccordo tra le suddette impostazioni, utilizza cinque criteri di carattere funzionale per identificare gli obblighi che assumono il significato di un obbligo di garanzia, ossia: la giuridicità dell’obbligo di attivarsi; la specificità dell’obbligo di garanzia, con la coerente esclusione degli obblighi a contenuto generico ed indeterminato; la particolarità dei soggetti beneficiari dell’altrui obbligo di garanzia (i soggetti più deboli dell’ordinamento, incapaci di adeguata autotutela); la specificità dei soggetti destinatari dell’obbligo di garanzia (cioè i soggetti che si trovino in un particolare rapporto giuridico con il bene da proteggere); l’esistenza di poteri di vigilanza sull’insorgenza di situazioni di pericolo e poteri di intervento, che presuppongano la possibilità materiale del garante di compiere l’azione idonea a scongiurare l’evento dannoso.
Sulla base di un criterio funzionale che guarda allo scopo della posizione di garante, la dottrina classifica le posizioni di garanzia in posizioni di controllo e posizioni di protezione: le prime trovano la propria ragion d’essere nella sussistenza in capo al garante di una situazione di dominio fisico sullo svolgimento di un’attività pericolosa, connotata da un potenziale rischio grave per gli altrui diritti; le seconde, invece, hanno ad oggetto la protezione di determinati interessi che postulano l’esistenza di un particolare legame giuridico intercorrente tra il garante e il titolare del bene da proteggere, in ragione del quale al soggetto che riveste la posizione di garanzia è affidato il compito di tutelare il bene stesso, essendo presunta l’incapacità del “soggetto più debole” di provvedere da sé.
4. Compiti e doveri del medico: la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti del paziente
Il personale medico, nonché i liberi professionisti che operano all’interno delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale sono generalmente titolari di una posizione di protezione nei confronti del paziente, che si presume essere uno dei soggetti più vulnerabili dell’ordinamento.
Tutti gli operatori di una struttura sanitaria, sia pubblica che privata, sono “portatori ex lege di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità”[16] e tale “situazione di garanzia” perdura per tutta la durata del turno di lavoro.
Gli obblighi di protezione gravanti sul personale sanitario e socio-sanitario trovano il proprio fondamento positivo nel diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione e nel principio solidaristico ex art. 2 Cost., che ne tutela la componente più intima della dignità umana, oltre che nella legge 8 marzo 2017, n. 24 recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” e nelle norme del codice di deontologia medica[17] (che si qualificano come “norme giuridiche vincolanti”)[18].
Con particolare riguardo alla figura del medico in posizione apicale, giova evidenziare che gli obblighi di protezione e di controllo del dirigente medico (ex primario) su tutte le attività esercitate all’interno del suo reparto trovano la loro fonte direttamente nell’art. 13, d.lgs. 229/1999[19], che ha modificato l’art.15, d.lgs. 502/1992.
Il codice di deontologia medica individua le regole che disciplinando l'esercizio della professione medica, assolvendo così alla funzione di produzione normativa all’interno della categoria. In particolare, l’art. 3 rubricato “Doveri generali e competenze del medico” stabilisce il dovere del medico di "tutelare la vita e la salute psico-fisica del paziente, attraverso il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà personale e della dignità umana, senza discriminazione alcuna".
L’art. 13 del codice di deontologia medica, rubricato “Prescrizione a fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione” affida al medico, in modo esclusivo e non delegabile, il compito di procedere alla prescrizione a fini preventivi, diagnostici, terapeutici e riabilitativi a seguito di una diagnosi circostanziata o di un fondato sospetto diagnostico e ciò impegna la sua autonomia e responsabilità, nel senso che il medico decide autonomamente cosa prescrivere al paziente e la sua scelta è passibile di condanna per il risarcimento del danno (eventualmente) cagionato. Nell’attività di prescrizione, il medico è tenuto a valutare l’applicabilità delle linee guida diagnostico-terapeutiche al caso specifico e a scegliere il trattamento assistenziale più adatto alla storia clinica del paziente, sulla base di un’adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci prescritti, delle loro indicazioni, controindicazioni, reazioni individuali prevedibili.
4.1. Errata diagnosi o ritardo nella stessa: profili di responsabilità
L'anamnesi, o storia clinica del paziente, è la ricerca analitica di tutti i sintomi che interessano il malato e contribuisce a fornire la corretta diagnosi della condizione patologica esistente. L’indagine conoscitiva implica che il medico, in virtù della posizione di garanzia che ricopre, sia tenuto ad informarsi sulle patologie esistenti al momento del ricovero o della visita del paziente e sull’esistenza di eventuali condizioni di rischio quali allergie e/o familiarità per determinate patologie.
L’inosservanza delle linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali o, più in generale, della diligenza a cui è tenuto il medico durante l’anamnesi potrebbe condurre ad una errata diagnosi o al ritardo nella stessa e, di conseguenza, ad un eventuale danno al paziente, comportando, così come previsto dall’art. 7 della legge “Gelli-Bianco”[20], la responsabilità di natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. del medico - salvo l’obbligazione contrattuale assunta direttamente da quest’ultimo con il paziente - e la responsabilità di natura contrattuale ex artt. 1218, 1228 c.c. della struttura sanitaria, pubblica o privata, ove il paziente è stato ricoverato, a condizione che sussista il legame eziologico tra l’errore medico e il danno effettivo al paziente.
Al riguardo, la giurisprudenza consolidata[21] ritiene che la struttura sanitaria incorrerebbe nella responsabilità civile in caso di errata diagnosi e mancata prescrizione di accertamenti clinici del medico dipendente qualora sussistesse il nesso di causalità materiale - accertato secondo il canone civilistico del “più probabile che non”[22] in luogo del più severo criterio penalistico della “certezza al di là di ogni ragionevole dubbio” - tra l’errore medico e la perdita della possibilità di una vita più lunga da parte del paziente.
In tema di colpa medica professionale, una recente pronuncia della Suprema Corte[23] ha affermato che l’omessa diagnosi o il ritardo nella stessa costituirebbero fonte di responsabilità penale del medico (e di liquidazione del danno in sede civile) nell’eventualità in cui avessero determinato - previo accertamento medico legale - uno sviluppo della malattia o anche un semplice ritardo nella guarigione, certamente evitabili da un tempestivo intervento chirurgico o dall’anticipata somministrazione di farmaci.
4.2. La gestione del rischio clinico
L’attività professionale del medico rientra nell’ambito del c.d. rischio consentito, attinente all’esercizio di attività pericolose giuridicamente autorizzate e connotate da particolari protocolli comportamentali i quali, avendo natura cautelare, consentono di arginare il rischio entro certi limiti. La colpa medica professionale è configurabile in caso di superamento del rischio che l’ordinamento ammette a seguito di un bilanciamento tra costi e benefici riguardanti l’attività sanitaria.
Il rischio clinico è definito come “la probabilità che il paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un danno o disagio imputabile alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza”[24], ragion per cui - così come espressamente previsto dall’art. 14 del Codice di deontologia medica rubricato “Prevenzione e gestione di eventi avversi e sicurezza delle cure” - tutti gli operatori sanitari e socio-sanitari hanno il dovere di contribuire attivamente alla prevenzione e gestione del rischio clinico attraverso una serie di condotte tipizzate "quali l'adesione alle buone pratiche cliniche, la comunicazione di un evento indesiderato e delle relative cause, la segnalazione e la valutazione di eventi sentinella, errori, quasi-errori ed eventi avversi che potrebbero pregiudicare la salute del paziente".
La preminenza del “fattore umano” in ambito medico costituisce una risorsa e, al contempo, un elemento di criticità, in quanto le dinamiche di lavoro e le relazioni interpersonali sono complesse, la “performance” individuale è estremamente variabile e i risultati dei processi sono talvolta imprevedibili e irriproducibili: motivo per cui la gestione del rischio clinico necessita della predisposizione di modelli organizzativi ottimali, volti “sia alla prevenzione degli errori evitabili che al contenimento dei loro possibili effetti dannosi”[25].
In quest’ottica, l’art. 3, l. 24/2017 (legge “Gelli-Bianco”) ha istituito l’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, comunemente denominato “Osservatorio”, a cui compete la funzione di raccogliere dai Centri per la gestione del rischio sanitario i dati regionali di risk management, nonché il compito di individuare specifiche misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario (modelli assistenziali per le degenze; procedure di assistenza infermieristica)[26 [27], avvalendosi - nell’esercizio di tali spettanze - del Sistema Informatico per il monitoraggio degli errori in sanità (SIMES).
In linea generale, è opportuno evidenziare che per la costante giurisprudenza di legittimità, in relazione alle differenti situazioni lavorative e alle diverse aree di rischio, esistono varie sfere di responsabilità gestionale che quel rischio sono chiamate a governare: “esse conformano e limitano l’imputazione penale dell’evento al soggetto che viene ritenuto gestore del rischio”[28].
Con particolare riguardo alla gestione del rischio clinico, ne deriva che un’eventuale responsabilità penale involgerebbe solo ed esclusivamente il sanitario che, nell’ambito della propria sfera gestoria, abbia causato la specifica categoria di evento che la regola cautelare mirava a prevenire.
Siffatte argomentazioni sono state sostenute anche in una pronuncia delle Sezioni Unite in tema di salute e sicurezza sul lavoro, a conclusione della quale è stato affermato che “garante è il soggetto che gestisce il rischio”[29], attribuendo così la posizione di garanzia al soggetto al quale competono - in riferimento allo specifico ruolo ricoperto e alla peculiare area di rischio chiamata a gestire - adeguate competenze e poteri di intervento.
La quaestio iuris sottoposta al vaglio della Suprema Corte involge il riparto della responsabilità medica nell’ipotesi in cui più titolari di una posizione di garanzia si succedano nel percorso clinico-assistenziale dello stesso paziente e, in particolar modo, l’accertamento del nesso di causalità tra l’errore del garante originario (tenuto alla gestione del rischio clinico) e l’evento verificatosi durante il turno dei subentranti (parimenti garanti del bene protetto dalla regola cautelare). Pertanto, occorre esaminare dapprima le novità introdotte dalla legge “Gelli-Bianco” e poi la responsabilità medica in caso di successione nella posizione di garanzia.
5. La responsabilità medica secondo la legge “Gelli-Bianco”
La norma di cui all’art. 6, legge 8 marzo 2017, n. 24 ha introdotto nel codice penale vigente l’art. 590-sexies c.p. rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni”, che stigmatizza la condotta colposa del medico caratterizzata da negligenza e imprudenza[30], escludendo la punibilità nell’ipotesi in cui l’evento (descritto dagli artt. 589, 590 c.p.) si sia verificato a causa di imperizia e il medico abbia rispettato le raccomandazioni contenute nelle linee guida o nelle buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le stesse siano adeguate alle peculiarità del caso concreto. Sul tema, giova evidenziare che l’intera portata innovativa della riforma si concentra nel capoverso dell’art. 590-sexies c.p.[31] che, abrogando l’art. 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (c.d. decreto Balduzzi)[32], elimina ogni riferimento alla “colpa lieve” come criterio di imputazione soggettiva della condotta posta in essere dagli operatori sanitari.
Già una prima lettura dell’art. 590-sexies, co. 2, c.p. ha sollevato numerosi dubbi interpretativi attinenti alla corretta portata applicativa della previsione di “non punibilità” e, segnatamente, alla condizione di “adeguatezza” delle linee guida (osservate dal sanitario) alle specificità del caso concreto.
Sul punto, si è registrato un immediato contrasto nella giurisprudenza di legittimità: un primo orientamento[33], aderendo ad un’interpretazione “restrittiva”, ha inteso limitare l’esclusione della responsabilità penale del sanitario ai soli casi di osservanza di linee guida appropriate e costantemente adeguate al contesto di riferimento; un secondo orientamento “estensivo”[34], muovendo dal dato letterale della previsione normativa, ha allargato l’ambito di applicazione dell’art. 590-sexies, co. 2, c.p. all’imperita attuazione di linee guida adeguate, a prescindere dalla gravità della colpa, circoscrivendo l’area del penalmente rilevante alla fase di scelta di linee guida non pertinenti rispetto alle specificità del caso concreto.
Chiamate a dirimere tale contrasto, le Sezioni Unite[35] hanno inaugurato una via interpretativa “intermedia”, nel tentativo, da un lato, di non affievolire la portata applicativa della novella e, dall’altro lato, di evitare letture incompatibili con il quadro costituzionale. In via preliminare, le Sezioni Unite hanno riconosciuto all’art. 2236 c.c. la valenza di principio di razionalità e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia qualora la vicenda imponga al sanitario una soluzione a regola d’arte e, in motivazione, hanno chiarito che l’esercente la professione sanitaria risponderebbe, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio dell’attività medico-chirurgica:
- “se l’evento si sia verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza”;
- “se l’evento si sia verificato per colpa (anche lieve) da imperizia quando il caso concreto non sia regolato dalle raccomandazioni delle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali”;
- “se l’evento si sia verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nella individuazione e scelta di linee guida o di buone pratiche clinico-assistenziali che, quindi, risultino inadeguate alla specificità del caso concreto”;
- “se l’evento si sia verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee guida adeguate” (quindi se l’agente si sia discostato gravemente dalla condotta doverosa durante il suo intervento), “tenendo conto del grado di rischio che il sanitario è chiamato a gestire”.
Così chiarito l’ambito applicativo del neo introdotto art. 590-sexies c.p., è opportuno esaminare la causalità omissiva colposa quale elemento essenziale della responsabilità medica.
5.1. L’accertamento del nesso di causalità nei reati omissivi impropri
L’essenza della responsabilità colposa rinviene nella prevedibilità dell’evento lesivo e nella sua prevenibilità attraverso l’osservanza della regola cautelare violata. Difatti, può essere ascritto all’agente a titolo di colpa solo quell’evento (lesivo del bene giuridico protetto) evitabile con la condotta doverosa: evento che rientri nell’ambito dello scopo di protezione della regola cautelare e che rappresenti la “concretizzazione del rischio” che la regola stessa mirava a neutralizzare[36].
L’intera struttura del reato colposo si fonda sullo specifico rapporto tra inosservanza della regola cautelare di condotta ed evento dannoso, in conformità a quanto disposto dall’art. 43 c.p. che, nell’individuare i criteri di imputazione colposa, richiede che l’evento si sia verificato a seguito di negligenza, imprudenza o imperizia (colpa generica), ovvero a causa dell’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica).
L’accertamento del nesso di causalità nei reati omissivi impropri presenta inevitabilmente una dimensione ipotetica, atteso che la verifica della evitabilità dell’evento viene svolta supponendo come avvenuta una condotta in linea con la regola cautelare, alla stregua di un giudizio ipotetico o prognostico, basato su un’operazione intellettuale bifasica: nella prima fase (c.d. giudizio esplicativo), occorre ricostruire il fatto sulla base delle risultanze probatorie; nella seconda (c.d. giudizio predittivo), si ipotizza - tenendo conto della consulenza medico legale - cosa si sarebbe verificato se fosse intervenuta la condotta doverosa (c.d. comportamento alternativo lecito).
Sotto quest’ultimo aspetto, è utile sottolineare che mentre nelle condotte commissive colpose l’evento è attribuibile come “fatto proprio” all’autore materiale, anche se non vi è certezza assoluta della sua evitabilità in caso di condotta diligente, “nelle ipotesi di vera omissione non è possibile attribuire al soggetto come fatto proprio il decorso causale effettivo se non ricostruendolo come omissione e quindi attraverso il suo comportamento alternativo lecito”[37].
In tema di responsabilità professionale del medico, la verifica della causalità omissiva colposa deve essere compiuta attraverso un giudizio ipotetico controfattuale di “alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica”[38] che, come ribadito in una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, deve far “riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale”[39].
Il giudice di merito deve, quindi, accertare che l’evento verificatosi in concreto sia la logica conseguenza dell’inosservanza di regole cautelari attinenti alla specifica attività esercitata dal sanitario e che il comportamento alternativo diligente avrebbe - con probabilità prossima o confinante con la certezza - impedito l’evento stesso.
Definita la disciplina della responsabilità medica secondo la nuova legge “Gelli-Bianco”, con speciale riguardo al rapporto di causalità nei reati omissivi colposi, il commento alla sentenza n. 3922/2021 impone di soffermarsi sulla delicata ipotesi di successione nella posizione di garanzia che involge il personale sanitario.
6. Cooperazione medica multidisciplinare di tipo diacronico: la successione nella posizione di garanzia
L’attività sanitaria può svilupparsi in forma diacronica allorché una pluralità di medici si alternino, in differenti contesti spazio-temporali, nella cura dello stesso paziente. Una particolarità che evolve in problematicità è data dalla cooperazione medica multidisciplinare esercitata in strutture complesse ove il medico subentrato nel turno di servizio o nella cura del paziente trasferito da altro reparto si ritrova spesso ad essere sottoposto ad un procedimento disciplinare o penale per aver omesso di emendare l’errore del collega intervenuto per primo nel percorso clinico-assistenziale del paziente stesso.
Ciascun sanitario che interviene nell’atto diagnostico o terapeutico si inserisce in una sequenza complessa, nell’ambito della quale assume obblighi di protezione nei confronti della vita e della salute del paziente, originando il c.d. fenomeno di successione nella posizione di garanzia[40]. Tale successione presuppone l’esistenza in capo al garante secondario di poteri impeditivi dell’evento che la regola cautelare intende scongiurare: poteri che derivano dall’avvenuta presa in carico del bene da proteggere[41] (la vita del paziente).
Con la successione, il garante che cede la propria posizione di garanzia potrebbe liberarsi da ogni obbligo legato ad essa, senza che residui in capo al medesimo nemmeno una responsabilità in vigilando[42]: il garante originario si spoglierebbe sia dell’obbligo di impedire l’evento sia dei poteri di intervento che, così, passerebbero in toto nella sfera giuridica del subentrante.
Tuttavia, affinché si verifichi una traslazione integrale degli obblighi di protezione dal cedente al terzo è necessario che: il trasferimento della titolarità della posizione di garanzia avvenga in forza di una fonte formale (fonte legislativa e di organizzazione interna); il cessionario abbia i poteri necessari per impedire il verificarsi dell'evento lesivo; il garante originario ceda un'attività che non sia inosservante delle regole cautelari (c.d. successione nelle attività inosservanti); durante il c.d. “passaggio di consegne”, il cedente assolva all’obbligo di informazione nei confronti del subentrante circa le condizioni di salute del paziente. L’insussistenza anche solo di uno di questi requisiti non libererebbe il cedente dagli obblighi di protezione verso la vita del paziente.
6.1. La successione nelle attività inosservanti
Il medico ospedaliero che termina il turno di lavoro potrebbe cedere al collega del turno successivo “una situazione in cui egli stesso abbia instaurato un fattore di rischio per la salute del paziente (somministrazione di un farmaco errato; omesso o intempestivo intervento terapeutico-chirurgico)”[43 e il decesso del paziente avvenga, poi, durante il turno del subentrante. Ci si è chiesti se in tal caso la responsabilità penale debba cadere sul cedente, che abbia violato le regole cautelari, ovvero sul cessionario, il quale avrebbe potuto eliminare le violazioni cautelari precedentemente commesse o, infine, su entrambi i soggetti[44].
In giurisprudenza prevale, al riguardo, una soluzione ispirata al principio della c.d. continuità delle posizioni di garanzia, secondo cui il sanitario (garante originario) che abbia colposamente innescato un fattore di rischio, perdendo successivamente il controllo del bene protetto (la vita del paziente) risponderebbe degli eventi lesivi che si siano verificati proprio a causa del mancato rispetto, anche da parte del subentrante, delle leges artis[45], salvo il caso in cui quest’ultimo abbia commesso un errore imprevedibile, del tutto eccezionale e abnorme, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta colposa (del garante primario) e l’evento verificatosi in concreto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 41, co. 2, c.p.[46].
Invero, la complessità delle strutture sanitarie e “l’imprescindibile continuatività nell’attività di cura dei pazienti impongono, giocoforza, di ripartire il lavoro e di consentire una successione nella posizione di garanzia”[47]: successione che si realizzerebbe attraverso un’implicita delega di funzioni – soprattutto nel rapporto tra dirigente medico con incarico di direzione di struttura complessa e personale operante nella stessa o tra personale con lo stesso incarico professionale – e che comporterebbe la persistenza di obblighi di protezione in capo al direttore sanitario o, comunque, al medico intervenuto per primo.
A differenza di quanto accade nell’attività medico-chirurgica di équipe[48] - in cui singoli apporti collaborativi (di anestesisti, chirurghi ed infermieri specializzati) si integrano a vicenda e in un unico contesto temporale al fine di conseguire il risultato tanto atteso -, nell’ipotesi di successione tra medici ospedalieri con gli stessi incarichi professionali non trova applicazione il principio di affidamento per il quale, nello svolgimento di un’attività rischiosa esercitata da più soggetti, ogni componente può e deve poter confidare nella professionalità e nel corretto comportamento degli altri[49], con la conseguenza che il soggetto che abbia osservato le regole cautelari, scritte o non scritte, proprie della rispettiva attività svolta, sia liberato da ogni responsabilità per la condotta colposa di un terzo.
Non aderendo al principio di affidamento, anche i giudici della pronuncia in esame (sentenza del 2 febbraio 2021, n. 3922) hanno ritenuto che nell’ipotesi in cui il garante originario abbia innescato un fattore di rischio per la vita del paziente e, durante il “passaggio di consegne”, abbia omesso di informare i medici del turno successivo delle precarie condizioni di salute del degente e l’evento lesivo si sia verificato durante il turno dei subentranti, il medico intervenuto per primo sarebbe responsabile penalmente (e non gli altri) se la successiva negligenza trovasse causa proprio nella mancata segnalazione. Con questa pronuncia di notevole interesse giuridico, la Suprema Corte ha, inoltre, definito i (suesposti) criteri di accertamento del nesso di causalità in caso di successione nelle attività inosservanti, dando maggiore rilevanza ad ogni singola condotta colposa che si inserisce nel decorso causale dell’evento.
7. Osservazioni conclusive
La carenza di un’omogenea disciplina normativa, nello specifico di disposizioni penali volte a regolare in maniera puntuale le principali questioni afferenti alla responsabilità colposa del medico ha occasionato il succedersi di numerosi interventi normativi e giurisprudenziali, diretti a fornire l’esatto inquadramento giuridico alle più svariate condotte sanitarie.
A meno di cinque anni dalla novella legislativa veicolata dal (suesposto) “decreto Balduzzi”, il legislatore del 2017 ha ridisegnato l’area di penale responsabilità della classe medica, con il chiaro intento di “aumentare le garanzie e le tutele per gli esercenti la professione sanitaria, da un lato; assicurare al paziente la possibilità di essere risarcito in tempi più rapidi e, soprattutto, certi, a fronte di danni sanitari eventualmente subiti, dall’altro”[50].
La ratio della legge “Gelli-Bianco” rinviene proprio nella volontà del legislatore di assicurare al medico la dovuta serenità nell’ambito della sua professione, imponendo, al contempo, l’osservanza delle regole dell’arte medica e di arginare il più possibile atteggiamenti di “medicina difensiva” che si sono diffusi sempre più frequentemente tra gli operatori sanitari, nel tentativo di minimizzare il rischio di contenziosi legali futuri.
Le indagini svolte dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari hanno evidenziato che la sola medina difensiva c.d. positiva (surplus di spesa sanitaria non legata a finalità terapeutiche, ma alla riduzione del rischio di contenzioso) ha un valore annuale di dieci miliardi di Euro, pari allo 0,7% del prodotto interno lordo[51], ragion per cui, attraverso la legge 8 marzo 2017, n. 24, il legislatore ha voluto contrastare il fenomeno di malpractice medica e tutti quei comportamenti cautelativi preventivi che avevano indebolito la tutela della salute.
Tuttavia, la volontà di contrastare il fenomeno della c.d. medicina difensiva si è tradotto in un rafforzamento del ruolo assegnato alle linee guida: l’art. 5, l. 24/2017 ha fissato i requisiti di efficacia delle linee guida, ora sottoposte ad una procedura di formalizzazione e pubblicazione, al fine di risparmiare al medico il compito di vagliare l’attendibilità delle stesse, specie a fronte della proliferazione di raccomandazioni, anche opposte nei contenuti, elaborate da differenti società scientifiche.
Le linee guida si atteggiano perciò a strumento di supporto sul piano tecnico-scientifico per gli operatori sanitari, per la struttura e per il giudice, qualificandosi in termini di soft law, in quanto esse, pur nascendo da discipline extra-giuridiche, transitano nell’area del “giuridicamente rilevante” con l’effetto di completare e specificare il precetto normativo[52].
Un profilo di criticità che emerge in relazione al nuovo sistema muove dalla premessa che la novella abbia determinato un eccessivo irrigidimento delle regole dell’ars medica - che normalmente mutano nel tempo e si adattano ai progressi del sapere scientifico, oltre che alla crescita del patrimonio culturale -, consentendo alle raccomandazioni prescritte nelle linee guida “pubblicate” (sul sito ISS-SNLG[53]) di ancorare l’esercizio dell’attività sanitaria a scelte terapeutiche che potrebbero essere, già tra qualche anno, non più attuali ed efficaci.
La predisposizione di sistemi di risk management che sono appannaggio dello Stato difatti conduce alla cristallizzazione del sapere scientifico e alla graduale paralisi della discrezionalità del medico, al quale è impedito valutare la variabilità individuale nelle risposte farmacologiche e discostarsi dalle linee guida nell’adozione di terapie (comunque) adeguate alle esigenze imposte dal quadro clinico del paziente.
Appare evidente che siffatta scelta di politica criminale abbia perso il collegamento con la dimensione più intima dell’essere umano e con la vita concreta fatta di quotidiane scoperte rivoluzionarie sulla genesi e sull’evoluzione delle patologie, dando, al contrario, maggiore rilievo alla regola generale dell’equilibrio di bilancio ex art. 81 Cost. e dimenticando che il corpo umano è una macchina complessa che ha bisogno di un medico, non di un tecnico. Medico che segua consapevolmente i dettami della scienza e si faccia sempre garante del sacrosanto diritto alla salute, espressamente previsto dall’art. 32 della Costituzione italiana e dall’art. 11 della Carta sociale europea (the European Social Charter)[54].
[1] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 2 febbraio 2021, n. 3922, Pres. Fumu, Rel. Cappello.
[2] Ministero della Salute, Dipartimento della qualità Direzione Generale della programmazione sanitaria, dei livelli essenziali di assistenza e dei principi etici di sistema Ufficio III, “Classificazione degli errori” in Risk management in Sanità. Il problema degli errori, 8: «Errore di omissione: questa categoria raggruppa tutti gli errori dovuti alla mancata esecuzione d’atti medici ed assistenziali ritenuti necessari per la cura del paziente».
[3] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 2 febbraio 2021, n. 3922, Pres. Fumu, Rel. Cappello.
[4] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 22 gennaio 2019, n. 6405, Bonarrigo Antonina, Rv. 275573; Cass. pen., sentenza 20 novembre 2019, n. 1350, dep. 2020, L., Rv. 277953; Cass. pen., sentenza 2 ottobre 2018, n. 1175, dep. 2019, M., Rv. 274832.
[5] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 2 febbraio 2021, n. 3922, Pres. Fumu, Rel. Cappello.
[6] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 22 gennaio 2019, n. 6405, Bonarrigo Antonina, Rv. 275573; Cass. pen., sez. IV, sentenza 23 ottobre 2020 (ud. 6 ottobre 2010), n. 29442; Cass. pen., sentenza 2 ottobre 2018, n. 1175, dep. 2019, M., Rv. 274832.
[7] Editoriale, L’errore in medicina. Frequenza, meccanismi e prospettive di prevenzione, in www.anmdo.org, 2001, 99.
[8] Cfr. V. Tamburrini, I doveri costituzionali di solidarietà in campo sociale: profili generali e risvolti applicativi con particolare riferimento alla tutela della salute, in www.rivistaianus.it, 2018, 27.
[9] R. Garofoli, Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018, 481.
[10] Neppi Modona, Tecnicismo e scelte politiche nella riforma del codice penale, in Democrazia e diritto, 1977, 682 ss.
[11] Mantovani, Diritto penale, 166.
[12] S. Faina e G. Mocetti, La responsabilità penale del produttore dei rifiuti, in www.magistraturaindipendente.it, 2017.
[13] Cfr. R. Garofoli, Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018, 489.
[14] F. Giunta, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Dir. pen. proc., 1999, 625.
[15] G. Fiandaca, Reati omissivi e responsabilità penale per omissione, in Il Foro Italiano, 1983, 90.
[16] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 1 dicembre 2004 - 11 marzo 2005, n. 9739.
[17] Codice di deontologia medica (2014): il testo del Codice deontologico presenta la modifica dell’Art. 54 in data 16 dicembre 2016; dell’Art. 56 in data 19 maggio 2016; dell’Art. 76 in data 15 dicembre 2017; l’inserimento degli indirizzi applicativi allegati all’Art. 17 e correlati in data 6 febbraio 2020.
[18] Cassazione penale, Sez. un., sentenza 23 gennaio 2002, n. 762.
[19] Art. 13, co. 6, d.lgs. 229/1999: «Ai dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa sono attribuite, oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi, nell’ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive
a tutto il personale operante nella stessa, e l’adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l’appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata. Il dirigente è responsabile dell’efficace ed efficiente gestione delle risorse attribuite. I risultati della gestione sono sottoposti a verifica annuale tramite il nucleo di valutazione».
[20] Art. 7, co. 1, l. 8 marzo 2017, n. 24, rubricato “Responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria”: «La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose»; co. 3: «L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente».
[21] Cassazione civile, sez. III, sentenza 10 settembre 2019, n. 22520; Cassazione civile, sez. III, sentenza 27 giugno 2018, n. 16919.
[22] L. Guaglione, L’evoluzione giurisprudenziale della colpa medica, in Rivista giuridica online di Magistratura Indipendente: «Non bisogna incorrere nell’errore di ritenere che “più probabile che non” significhi 50%+1 rispetto alla percentuale, penalmente rilevante, superiore al 90%. “Più probabile che non” significa semplicemente che un evento si pone come antecedente causale con maggiore probabilità rispetto ad altri possibili cause. Se ad esempio un evento può essere causato da 7 possibili cause di cui una ha il 40% di probabilità, le altre 6 solo 10%, il giudice potrà affermare che la prima causa ha provocato l’evento».
[23] Cass. pen, sez. IV, sentenza 10 febbraio 2020, n. 5315, Pr G. Alpa e R. Garofoli es. Di Salvo, Rel. Nardin.
[24] Ministero della Salute, Dipartimento della qualità Direzione Generale della programmazione sanitaria, dei livelli essenziali di assistenza e dei principi etici di sistema Ufficio III, “Definizione di rischio clinico” in Risk management in Sanità. Il problema degli errori, 2.
[25] Ministero della Salute Dipartimento della qualità, Direzione generale della programmazione sanitaria, dei livelli essenziali di assistenza e dei principi etici di sistema, Ufficio III, “Introduzione” in Sicurezza dei pazienti e gestione del rischio clinico: Manuale per la formazione degli operatori sanitari, 8.
[26] Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche sulla sicurezza nella Sanità, voce «Modello assistenziale per le degenze durante la pandemia da Covid-19», in www.buonepratichesicurezzasanita.it
[27] Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche sulla sicurezza nella Sanità, voce «Procedure operative di assistenza infermieristica nell’emergenza Covid-19», in www.buonepratichesicurezzasanita.it
[28] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 13 settembre 2013, n. 37738.
[29] Cassazione penale, Sez. un., sentenza 18 settembre 2014 (ud. 24 aprile 2014), n. 38343, Pres. Santacroce, Rel. Blaiotta (caso “Thyssenkrupp”).
[30] Redazione, Responsabilità professionale del medico, in www.medicinapertutti.it: «Negligenza (contrario della diligenza), sta ad indicare una condotta caratterizzata da trascuratezza ovvero superficialità od ancora disattenzione e distrazione; Imprudenza (contrario della prudenza), si riferisce ad una condotta improntata ad avventatezza e si concretizza, in particolare, quando pur conoscendo i rischi che si corrono si decide comunque di procedere oltre i limiti del lecito; Imperizia (contrario della perizia), consiste nella scarsa preparazione professionale quale deriva da insufficienti conoscenze tecniche ovvero da un inadeguato bagaglio di esperienza specifica od ancora da un difetto di capacità».
[31] Art. 590-sexies, co. 2, c.p.: «Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».
[32] Art. 3, d.l. 13 settembre 2012, n. 158: «L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve».
[33] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 7 giugno 2017, n. 28187.
[34] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 19 ottobre 2017, n. 50078.
[35] Cassazione penale, sez. un., sentenza 22 febbraio 2018, n. 8770, Mariotti.
[36] Cfr. L. Gizzi, Il criterio della concretizzazione del rischio tra causalità della condotta e causalità della colpa, in Cass. pen. 2005, 5, 1536.
[37] M. Donini, La causalità omissiva e l’imputazione “per l’aumento del rischio”. Significato teorico e pratico delle tendenze attuali in tema di accertamenti eziologici probabilistici e decorsi causali ipotetici, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 78.
[38] Cassazione penale, Sez.un., sentenza 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese: «In tema di reato colposo omissivo improprio, la sussistenza del nesso di causalità fra condotta omissiva ed evento, con particolare riguardo alla materia della responsabilità professionale del medico-chirurgo, debba essere ricondotta all’accertamento che con il comportamento dovuto ed omesso l’evento sarebbe stato impedito con elevato grado di probabilità “vicino alla certezza”, e cioè in una percentuale di casi “quasi prossima a cento”, ovvero siano sufficienti, a tal fine, soltanto “serie ed apprezzabili probabilità di successo” della condotta che avrebbe potuto impedire l’evento».
[39] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 3 febbraio 2021, n. 4063.
[40] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 28 ottobre (1 dicembre) 2004, n. 46586, Ardizzone: «In caso di contestazione di condotta colposa omissiva, per poter fondare un giudizio di responsabilità ex art. 40, comma 2, c.p. occorre verificare la sussistenza di un obbligo di garanzia in capo all’imputato, il cui accertamento non presenta particolari problemi per quel che riguarda i trattamenti medicochirurgici: a tal fine, infatti, è sufficiente che si sia instaurato un rapporto sul piano terapeutico tra paziente e medico per attribuire a quest’ultimo la posizione di garanzia ai fini della causalità omissiva, e comunque quella funzione di garante della vita e della salute del paziente che lo rende responsabile delle condotte colpose che abbiano cagionato una lesione di questi beni».
[41] Cassazione penale, Sez. un., sentenza 18 settembre 2014 (ud. 24 aprile 2014), n. 38343, Pres. Santacroce, Rel. Blaiotta (caso “ThyssenKrupp”): «La posizione di garanzia può essere generata non solo da una investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante mediante un comportamento concludente dell’agente, consistente nella presa in carico del bene protetto».
[42] Cfr. R. Garofoli, Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018, 88
[43] A. Palma, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva tra principio di affidamento e dovere di controllo, Jovene Editore, 2016, 35.
[44] Cfr. A. Di Landro, Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro medico d’équipe, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2005, 261.
[45] Cfr. R. Garofoli, Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018, 882.
[46] Cassazione penale, sez. V, sentenza 28 luglio 2015, n. 33329; Cass., sez. IV, sentenza 14 aprile 2016, n. 15493; Cass, sentenza 6 giugno 2017, n. 28010: «è configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta», sicché, nell’ipotesi di omissione del garante originario e decesso del paziente avvenuto a seguito di un successivo errore (del subentrante), se l’evento non sia la concretizzazione del rischio innescato con l’omissione del garante primario, bensì del nuovo rischio determinato dal successivo errore (del garante secondario) – che si atteggi in termini di eccezionalità e rarità - potrebbe certamente escludersi che la causa della morte sia riconducibile al rischio che la regola cautelare violata dal primo sanitario mirava a prevenire.
[47] A. Palma, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva tra principio di affidamento e dovere di controllo, Jovene Editore, 2016, 31.
[48 In tal senso, A. Massaro, Principio di affidamento e obbligo di vigilanza sull’operato altrui: riflessioni in materia di attività medico-chirurgica in équipe, in Cass. pen., 2011, 3860 ss.; L. Risicato, L’attività medica di équipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco. L’obbligo di vigilare come regola cautelare, Torino, 2013, 71 ss., ove è esplicitato che soggetti a capo di un’équipe sanitaria sono titolari di una posizione di garanzia di speciale profondità e devono coordinare e verificare le prestazioni altrui.
[49] Cfr. M. Mantovani, Il principio di affidamento nel diritto penale, in Riv. it. dir. e proc. pen, 2009, 02, 536.
[50] Così lo stesso relatore della legge 8 marzo 2917, n. 24: Gelli, Prefazione, in Lovo – Nocco (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria. Le novità introdotte dalla Legge Gelli, Milano, 2017, 4 ss.
[51] Ministero della Salute, Il fenomeno della medicina difensiva: costi, ragioni, strategie di contrasto, 3.
[52] Cfr. G. Fares, Le linee guida nel sistema delle fonti: efficacia giuridica e centralità della procedura di accreditamento, Torino, 2017, sub art. 5
[53] Ai sensi dell’art. 5, co.3, l. 24/2017 «le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse elaborati dai soggetti di cui al comma 1 sono integrati nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG)» che costituisce il punto di accesso istituzionale alle linee guida per la pratica clinica o per scelte di salute pubblica sviluppate per professionisti e pazienti.
[54] Article11, Part I, European Social Charter (Strasbourg, 3.V.1996): «Everyone has the right to benefit from any measures enabling him to enjoy the highest possible standard of health attainable».
Bibliografia:
Di Landro, Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro medico d’équipe, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2005, 261;
Donini, La causalità omissiva e l’imputazione “per l’aumento del rischio”. Significato teorico e pratico delle tendenze attuali in tema di accertamenti eziologici probabilistici e decorsi causali ipotetici, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 78;
Fares, Le linee guida nel sistema delle fonti: efficacia giuridica e centralità della procedura di accreditamento, Torino, 2017, sub art. 5;
Fiandaca, Reati omissivi e responsabilità penale per omissione, in Il Foro Italiano, 1983, 90;
Garofoli, L’omissione. Funzione promozionale ed essenza: naturalistica o normativa?, in Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018, 481;
Garofoli, Teoria formale dell’obbligo, in Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018, 489;
Garofoli, La successione nella titolarità della posizione di garanzia del medico, in Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018, 882;
Giunta, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Dir. pen. proc., 1999, 625;
Gizzi, Il criterio della concretizzazione del rischio tra causalità della condotta e causalità della colpa, in Cass. pen. 2005, 5, 1536;
Lovo – Nocco, La nuova responsabilità sanitaria. Le novità introdotte dalla Legge Gelli, Milano, 2017, 4 ss.;
Mantovani, Il principio di affidamento nel diritto penale, in Riv. it. dir. e proc. pen, 2009, 02, 536;
Mantovani, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Bologna, 1997;
Neppi Modona, Tecnicismo e scelte politiche nella riforma del codice penale, in Democrazia e diritto, 1977, 682 ss.;
Palma, Paradigmi ascrittivi della responsabilità penale nell’attività medica plurisoggettiva tra principio di affidamento e dovere di controllo, Jovene Editore, 2016, 31;
Risicato, L’attività medica di équipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco. L’obbligo di vigilare come regola cautelare, Torino, 2013, 71 ss.;
Tamburrini, I doveri costituzionali di solidarietà in campo sociale: profili generali e risvolti applicativi con particolare riferimento alla tutela della salute, in www.rivistaianus.it, 2018, 27.