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Pubbl. Mar, 29 Set 2015

Note minime in materia di azione di arricchimento ingiustificato contro la P.A.

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Salvatore Magra


La Cassazione a Sezioni Unite dirime un contrasto di giurisprudenza sui requisiti dell´azione di ingiustificato arricchimento contro l´Amministrazione.


Secondo la giurisprudenza prevalente, l'azione di arricchimento nei confronti della P.A. è ammissibile se per la stessa sia presente un'utilitas derivante dall'attività dell'impoverito. In tal contesto l'Amministrazione, o expressis verbis o per comportamento concludente, provvede a render nota l'ammissione dell'utilità, derivante dalla suddetta attività. Il riconoscimento, in base a tale impostazione, avviene o con un atto formale oppure tramite un comportamento concludente, provenienti dagli organi rappresentativi dell'Amministrazione, anche in rapporto al principio costituzionale di buona amministrazione (cfr. Cass. 18 aprile 2013, n. 9486; Cass. 11 maggio 2007, n.10884; Cass. 20 agosto 2004, n.16348; Cass. 23 aprile 2002, n. 5900).

Ancora va rilevato che, a fronte di questo orientamento, emerge una giurisprudenza minoritaria, secondo cui non è necessario il riconoscimento dell'utilità, da parte dell'Amministrazione, in quanto il medesimo può avvenire secondo un criterio oggettivo e non soggettivo, nel senso che il Decidente può, rebus sic stantibus, verificare se per l'Amministrazione sia derivato o meno un beneficio (Cass. 21 aprile 2011, n. 9141, Cass. 02 settembre 2005, n. 17703).

Ed ancora va rilevato come recentemente le SS.UU. della Cassazione (sentenza 26-5-2015, n. 10798) sostengano che il requisito del riconoscimento della utilitas non ha fondamento normativo, in quanto non è previsto espressamente dalla legge.

I presupposti dell’azione di ingiustificato arricchimento, a prescindere dalla veste pubblica o privata del soggetto arricchito, sono quelli previsti dagli artt. 2041 e 2042 c.civ., vale a dire l'arricchimento di una parte e il contestuale depauperamento dell'altra, senza una giusta causa, nonché la sussidiarietà dell'azione. Ciò si collega in modo logicamente coerente con la ragion d'essere della disciplina dell'art. 2041 c.civ., improntata a impostare un criterio per eliminare gli ingiustificati spostamenti patrimoniali. In sostanza, le SS.UU si sono proposte di dirimere il contrasto di giurisprudenza «tra l'orientamento (prevalente) che assume come assolutamente ineludibile la necessità che il riconoscimento anche implicito dell'utilitas provenga da organi quanto meno rappresentativi dell'ente pubblico e quello (minoritario, ma significativo e fondato su solide argomentazioni) che offre invece spazi all'apprezzamento diretto da parte del giudice».

L'adesione all'orientamento rigettato dalle Sezioni Unite implica una riscrittura non autorizzata dell'interprete, per quanto riguarda la regolamentazione dell'azione di ingiustificato arricchimento, introducendo delle differenze di disciplina, con particolare riferimento alla natura pubblica o privata del soggetto arricchito, in rapporto alla introduzione di un requisito ulteriore, rispetto a quelli previsti dalla legge, (vale a dire l'utilità soggettivamente ammessa in modo tacito o espresso da parte dell'arricchito soggetto pubblico), per la prima delle due ipotesi, vale a dire quella in cui l'arricchito sia un soggetto pubblico.

Questa impostazione esegetica sposta l'asse rispetto alla connotazione ordinaria dell'azione in parola, la quale presuppone l'utilizzo di istituti di diritto comune “sia quando riguarda il privato che quando si riferisce alla pubblica amministrazione (così Cass. 16 maggio 2006, n. 11368), affidando al saggio apprezzamento del giudice lo scrutinio sull'intervenuto riconoscimento ovvero la valutazione, in fatto, dell'utilità dell'opus (così Cass. 21 aprile 2011, n. 9141)” (così le SS.UU.). Occorre anteporre il potere di accertamento del Giudice a quelli asseverativi dell'Amministrazione. Si è, pertanto, affermato che il criterio idoneo a mediare tra tutti gli interessi in conflitto è l'affidamento al saggio apprezzamento del giudice dello scrutinio sull'intervenuto arricchimento, ovvero la valutazione, in fatto, dell'utilità dell'opus, utilità desunta dal contesto fattuale di riferimento, senza pretendere di imbrigliare l'ineliminabile discrezionalità del relativo giudizio in schemi predefiniti, ma solo esigendo che del suo convincimento il decidente dia adeguata e congrua motivazione» (cfr. Cass. n. 9141 del 2011 cit. in motivazione dalle SS.UU.).

Occorre proporsi   "di abbandonare «il remoto principio», secondo cui l'azione è esperibile nei confronti della P.A. soltanto se questa ha riconosciuto la locupletazione, evidenziando non solo il superamento degli schemi su cui era stata costruita la fattispecie giurisprudenziale dell'actio de in rem verso, ma anche e soprattutto la necessità di una lettura costituzionalizzante dell'istituto, che assicurasse la piena tutela della garanzia di agire in giudizio contro l'amministrazione pubblica, assicurata a chiunque dagli artt. 24 e 113 Cost. (cfr. Cass., Sez. un., sentenze 28 maggio 1975, n. 2157; Cass., Sez. un., 19 luglio 1982, n. 4198). Sulla base di tali premesse si è esclusa, in radice, la tesi che all'ente pubblico possa essere riservato non solo di riconoscere il vantaggio in sé, ma anche la relativa entità economica: tesi ritenuta inaccettabile per la considerazione che essa pone il giudice nella condizione di dover unicamente prendere atto delle determinazioni del convenuto, contraddicendo alla stessa funzione dell'azione consistente nell'apprestare un rimedio "generale" per i casi in cui sia possibile risolvere sul piano economico il contrasto tra legalità e giustizia. In luogo della questione del riconoscimento dell'utilità, è stato evidenziato un problema di imputabilità dell'arricchimento, paventandosi il pericolo che l'ente pubblico possa subire iniziative che i terzi, pur presentandosi come ingiustamente depauperati, abbiano assunto contro il volere dell'ente o comunque senza che i suoi organi rappresentativi ne avessero contezza".

Deve, pertanto, prevalere una lettura oggettivistica dell'istituto dell'ingiustificato arricchimento.

Quanto affermato appare coerente con il principio costituzionale del diritto di azione contro gli atti della pubblica amministrazione, (artt. 24 e 113 Cost.). La tutela del privato non può pretermettersi, facendo dipendere la stabilità della stessa da una scelta discrezionale del soggetto pubblico, quasi a voler conservare un residuo della visione dell'Amministrazione come autorità, in una posizione non paritaria rispetto al cittadino, che determini un arricchimento della medesima, a fronte di un suo ingiustificato impoverimento.

L'applicazione di detti principi si può intersecare in modo armonico con l’esigenza di tutela delle finanze pubbliche.