Pubbl. Mer, 30 Giu 2021
Il rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed Enti del Terzo Settore
Modifica paginaIl presente contributo si pone l´obiettivo di descrivere ed analizzare il fenomeno del Terzo Settore andando, in particolare, ad esaminare l´assetto dei rapporti esistenti tra Enti del Terzo Settore e Pubbliche Amministrazioni alla luce del recente decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 72 del 31 marzo 2021.
Sommario: 1. Il Codice civile ed i soggetti di diritto; 1.1. Gli enti non lucrativi; 2. Gli Enti del Terzo settore: nascita, requisiti e peculiarità; 2.1. Il procedimento di riconoscimento della personalità giuridica; 2.2. Il polo dell’interesse generale; 3. Enti del Terzo settore e Pubbliche Amministrazioni; 3.1. Focus: Il principio di sussidiarietà orizzontale; 3.2. La Corte costituzionale ed il “canale di amministrazione condivisa”; 3.3. Le linee guida sul rapporto tra P.A. ed enti del Terzo settore (decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 72 del 31 marzo 2021); 4. Conclusioni.
1. Il Codice civile ed i soggetti di diritto
L’idoneità ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive e, dunque, l’idoneità ad essere “soggetti” di diritto, è riconosciuta, nel nostro ordinamento giuridico, non solo alle persone fisiche ma anche ad una pluralità di enti classificati, sulla base di diversi criteri, in varie tipologie[1].
Mentre un primo criterio distintivo può rinvenirsi nella presenza o meno di una struttura associativa cui riconoscere il compito di individuare lo scopo da perseguire e la determinazione delle relative decisioni, il secondo criterio attiene proprio alla tipologia dello scopo perseguito. Gli enti si differenziano, infatti, a seconda che perseguano o meno uno scopo di lucro o uno altruistico, solidaristico o ideale.
All’interno della categoria in esame possono ancora distinguersi, poi, le cd. «persone giuridiche pubbliche»[2] dagli «enti privati» e, a scalare, con riferimento a questo ultimo nucleo è possibile distinguere enti registrati ed enti non registrati come anche enti dotati di personalità giuridica ed enti priva di personalità giuridica che, dunque, non godono dei vantaggi derivanti dalla autonomia patrimoniale perfetta[3].
Ciò posto, occorre ora evidenziare come nonostante il Codice civile dedichi alle persone giuridiche il Titolo II, Libro I - rubricato, appunto, “Delle persone giuridiche” - il citato Titolo II non possa dirsi esauriente rispetto alla materia oggetto della trattazione.
La portata del medesimo, infatti, ben può essere delineata sia per eccesso che per difetto: per eccesso in quanto il Titolo II, sebbene riporti nella rubrica il chiaro riferimento alle persone giuridiche, disciplina anche enti che non possono essere definiti come tali[4]; per difetto perché le persone giuridiche che perseguono uno scopo di lucro (società), vengono disciplinate altrove e, precisamente, nel Libro V[5].
1.1. Gli enti non lucrativi
La scelta di riservare al Titolo II, Libro I, la trattazione dei soli enti non lucrativi può spiegarsi, secondo la migliore dottrina[6], avendo in considerazione la differenziazione esistente circa le modalità per il riconoscimento della personalità giuridica a seconda che l’ente persegua o meno uno scopo di lucro.
Se, infatti, il riconoscimento (automatico) della personalità giuridica di un ente lucrativo (es. società di capitali) esige, esclusivamente, l’iscrizione nel registro delle imprese da effettuarsi a seguito di una verifica della mera regolarità formale della documentazione fornita (cd. sistema normativo), quello degli enti senza scopo di lucro è stato sottoposto a diverse modifiche nel corso del tempo.
Storicamente, infatti, se da un lato lo Stato ha sempre manifestato il suo favore verso il commercio e gli strumenti idonei a favorirlo, dall’altro ha sempre mantenuto un atteggiamento di diffidenza nei confronti degli enti cd. morali in ragione proprio del loro scopo ideale.
Concorrendo questi ultimi, di fatto, nello svolgimento di funzioni proprie dello Stato, il rischio paventato era che proprio la formazione di questi enti potesse inficiare la stabilità delle Istituzioni, elidere il rapporto diretto tra Stato e cittadini invece fortemente caldeggiato e minare il benessere e lo sviluppo economico-sociale, consentendo l’accumulo di risorse – anche ingenti – nelle mani di soggetti non sottoposti a logiche lucrative.
Ecco, dunque, che tanto nel codice del 1865 quanto in quello del 1942 – almeno fino all’introduzione del d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361 – il riconoscimento della personalità giuridica di un ente non lucrativo è avvenuto sulla base di un sistema di riconoscimento per decreto con effetti costitutivi previa valutazione discrezionale dell’Autorità governativa (cd. sistema concessorio): la concessione o il diniego del riconoscimento consentivano, di fatto, la selezione degli enti di volta in volta ritenuti meritevoli di tutela.
La valutazione di cui sopra, tra l’altro, richiedeva l’esercizio di un potere discrezionale da parte della Pubblica Amministrazione che poteva avere ad oggetto anche la meritevolezza dello scopo perseguito alla luce delle esigenze della collettività.
In questo modo, dunque, mentre il riconoscimento da un lato consentiva all’ente di acquisire una posizione giuridica certamente più favorevole[7], dall’altro lo assoggettava al controllo pubblico: lo Stato, di fatto, avocava a sé il compito di riconoscere l’esistenza giuridica di enti che in assenza del suddetto riconoscimento sarebbero altrimenti risultati irrilevanti[8].
Successivamente, però, con l’avvento della Carta costituzionale lo scenario cambia e con esso anche il sistema del riconoscimento della personalità giuridica di questi enti.
La Costituzione, infatti, scalfisce quell’atteggiamento di tendenziale diffidenza e sfavore maturato dallo Stato italiano verso le forme private di associazionismo.
In primo luogo, senza distinguere tra associazioni riconosciute e non, l’art. 2 Cost. attribuisce alla Repubblica il compito di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo anche all’interno di quelle formazioni sociali in cui l’individuo può realizzare la sua personalità.
Ciò che scaturisce da tale assunto ha una duplice conseguenza: da un lato è riconosciuto all’individuo il diritto di realizzare la propria personalità anche all’interno di formazioni sociali, dall’altro, invece, viene attribuito allo Stato il compito di tutelare i diritti del singolo anche all’interno di queste formazioni, ancora una volta senza che possa assumere una qualche rilevanza la distinzione tra ente riconosciuto ed ente non riconosciuto.
In secondo luogo, poi, non solo viene solennemente sancito il diritto dei cittadini di associarsi liberamente senza autorizzazioni (art. 18 Cost.) ma si individua proprio negli enti associativi lo strumento principale per garantire a questi ultimi la realizzazione della propria personalità (art. 2 Cost.), la professione del proprio credo (art. 19 Cost.), la partecipazione alla vita politica (i partiti di cui all’art. 49 Cost.) e sindacale (art. 39 Cost.).
È evidente, allora, come in tal modo la Costituzione abbia completamente ribaltato la vecchia prospettiva: le forme private di associazionismo, qualunque esse siano, cessano di essere viste come fenomeni da arginare e controllare e divengono veri e propri attori titolari di funzioni primarie e, per questo, da favorire e tutelare.
Sulla base di questo ineludibile avamposto, la logica conseguenza che ne deriva è che, con l’avvento della Costituzione, per ciò che attiene alla tutela dei diritti individuali, un’eventuale discriminazione tra associazione riconosciuta e non si traduce, inevitabilmente, in una violazione dell’art. 2 Cost. nella parte in cui impone alla Repubblica la tutela del singolo pure all’interno delle formazioni sociali.
I cambiamenti come sopra evidenziati hanno giocato un ruolo fondamentale nella rideterminazione della funzione svolta dal riconoscimento della personalità giuridica: non più una valutazione discrezionale sulla meritevolezza dello scopo e, dunque, della protezione dell’ente[9], quanto un giudizio vincolato sulla esclusiva liceità e possibilità dello scopo e sulla sufficienza del patrimonio in relazione a questo.
Ad oggi, dunque, la personalità giuridica svolge solo il ruolo di limitare in maniera perfetta la responsabilità dell’ente di modo che delle obbligazioni contratte questo possa rispondere solo ed esclusivamente con il proprio patrimonio.
Il mutato assetto costituzionale ha quindi evidenziato tutta l’inadeguatezza e fallacità del vecchio sistema costitutivo-concessorio ideato per il riconoscimento della personalità giuridica: l’art. 1 d.P.R. n. 361/2000, infatti, nell’introdurre un sistema basato sulla registrazione, statuisce che la personalità giuridica si acquisisca mediante iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
Mentre nel previgente sistema concessorio bifasico era l’atto amministrativo di concessione della personalità giuridica ad avere efficacia costitutiva – la successiva registrazione aveva, infatti, valenza meramente dichiarativa – con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 361/2000 è solo la registrazione a determinare il formale riconoscimento della personalità giuridica[10].
2. Gli Enti del Terzo settore: nascita, requisiti e peculiarità
Ponendo ora uno sguardo più attento al vero punto focale del presente contributo, occorre evidenziare come la legge delega n. 106/2016 abbia segnato un punto di svolta nel mondo del no profit.
Il Legislatore, infatti, con la suddetta legge ha conferito una serie di deleghe al Governo tutte preordinate alla realizzazione di una riforma organica del Terzo settore.
Fino a quel momento, infatti, pur essendo tangibile l’attenzione riservata al mondo degli enti non lucrativi – si pensi, fra tutti, alla legge sul volontariato n. 266/1991 e al D.lgs. n. 460/1997 con riferimento alle ONLUS – la materia è stata oggetto di interventi normativi sporadici, stratificatisi tra loro, i quali hanno restituito l’idea di una regolamentazione frammentaria.
Nel 2016, invece, il Governo è stato chiamato ad esercitare esattamente quattro deleghe ed in particolare:
1) il riordino della disciplina contenuta nel Libro I, Titolo II, del Codice civile[11];
2) la disciplina del servizio civile universale (D.lgs. n. 40/2017);
3) l’istituzione e la disciplina dell’impresa sociale (D.lgs. n. 112/2017);
4) il riordino e la revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore (Codice del Terzo settore D.lgs. n. 117/2017).
Per i fini che qui interessano, è evidente, allora, come di fatto si sia demandato al Codice del Terzo settore il compito di ricondurre ad un unicum normativo l’intera disciplina - sia civilistica che fiscale - vigente in materia, attraverso l’inquadramento del perimetro di operatività del cd. Terzo settore e la definizione degli enti che ne fanno parte.
Secondo la normativa in esame, allora, affinché un ente senza scopo di lucro possa essere assoggettato al Codice del Terzo settore è necessaria la presenza, congiunta e non alternativa, di tre requisiti, due sostanziali attinenti alla finalità perseguita e al tipo di attività posta in essere secondo il combinato disposto di cui agli artt. 4, co. 1[12], e 5, co. 1[13], CTS e uno, formale, relativo all’iscrizione nel Registro Unico nazionale del Terzo settore.
Con riferimento al primo dei requisiti sostanziali sopra individuati, è certo che la qualifica di Ente del Terzo settore (ETS) spetti anche a quegli enti senza scopo di lucro che non sono espressamente menzionati dalla lettera dell’art. 4 CTS: la dottrina, infatti, è concorde nel ritenere che quell’elenco non sia chiuso ed esaustivo stante la presenza di una clausola aperta che richiama, in generale, gli altri enti privati diversi dalle società a patto che perseguano, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
L’altro requisito, sempre di natura sostanziale, impone poi che tali finalità vengano realizzate ponendo in essere, in via esclusiva o principale, una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi[14].
Anche l’art. 5 CTS prevede una descrizione puntuale delle attività che possono essere considerate di interesse generale ma questo elenco, a differenza di quanto avviene per l’art. 4, co. 1, CTS, ad oggi, viene considerato tassativo posto che proprio la lettera dell’art. 5, co. 2, CTS espressamente prevede che «l'elenco delle attività di interesse generale di cui al comma 1 può essere aggiornato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro trenta giorni dalla data di trasmissione del decreto, decorsi i quali quest'ultimo può essere comunque adottato».
Per completezza espositiva si ritiene utile rilevare come, a norma dell’art. 6 CTS, sia consentito all’ente senza scopo di lucro di svolgere pure attività diverse da quelle elencate nell’articolo di cui sopra purché tali attività siano consentite dall’atto costitutivo e dallo statuto e siano in ogni caso secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale di cui all’art. 5 CTS.
Oltre ai summenzionati presupposti, imprescindibili per l’assunzione della qualifica di ETS, il D.lgs. n. 117/2017 richiede altresì l’iscrizione nel Registro Unico nazionale del Terzo settore (requisito formale): il Registro è tenuto presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed «è operativamente gestito su base territoriale e con modalità informatiche in collaborazione con ciascuna Regione e Provincia autonoma, che, a tal fine, individua, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la struttura competente»[15].
Peraltro, per espressa scelta politico legislativa, specifici enti, pur rispondendo alle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale di cui all’art. 4 CTS, non possono essere assoggettati alla disciplina del Codice del Terzo settore: devono pertanto essere esclusi da tale categoria i partiti, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche e le associazioni dei datori di lavoro.
2.1. Il procedimento di riconoscimento della personalità giuridica
Occorre evidenziare come con la procedura di cui all’art. 22 CTS, almeno per ciò che riguarda le associazioni e le fondazioni, si sia in realtà creata una doppia via per il riconoscimento della personalità giuridica degli Enti del Terzo settore: mentre, infatti, si può certamente affermare che l’iscrizione al Registro Unico degli Enti del Terzo settore consenta certamente l’acquisizione, da parte dell’ente, della qualifica di ETS, non può dirsi con altrettanta fermezza che quell’iscrizione comporti automaticamente il riconoscimento della personalità giuridica all’ente.
L’art. 22 CTS, invero, si limita a prevedere che le associazioni e le fondazioni del Terzo settore possono, in deroga al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, acquisire la personalità giuridica mediante l'iscrizione nel Registro Unico nazionale del Terzo settore. L’ente che voglia conseguire la personalità giuridica avrà, inoltre, l’onere di costituirsi mediante atto pubblico rispettando il requisito di forma previsto in generale dall’art. 14 c.c.
Il dettame normativo di cui all’art. 22 CTS, posto in maniera di mera possibilità, fa sì che l’effetto minimo dell’iscrizione al Registro Unico nazionale sia dato dall’acquisto della qualifica di ETS e l’effetto massimo dal riconoscimento della personalità giuridica secondo un sistema differente da quello tradizionale delineato dal d.P.R. n. 361/2000.
Nel mezzo si pone la scelta, rimessa alla sola volontarietà dell’ente, di non acquisire la personalità giuridica. Ai fini del riconoscimento ex art. 22 CTS si ritiene necessaria, infatti, una esplicita ed espressa manifestazione di volontà in tal senso di modo che, anche laddove l’ente si sia costituito mediante atto pubblico e risulti provvisto non solo dei requisiti formali e sostanziali richiesti dal CTS ma anche di un patrimonio minimo adeguato ai sensi di legge, in assenza di espressa volontà, l’iscrizione nel Registro Unico del Terzo settore non consente l’acquisizione della personalità giuridica[16].
Ai sensi dell’art. 22, co. 2, CTS, la funzione di controllo sulle associazioni e fondazioni che vogliano acquisire la personalità giuridica è rimessa alla figura del notaio, il quale è chiamato a verificare l’esistenza dei presupposti di legge come delineati nel paragrafo che precede, nonché la presenza di un patrimonio minimo a norma dell’art. 22, co. 4, CTS[17].
In caso di rifiuto il notaio è obbligato a rendere noti i motivi del diniego e i soggetti interessati, a loro volta, possono decidere se rivolgersi direttamente all’Ufficio del Registro per richiedere l’iscrizione (in caso di mancata pronuncia l’iscrizione si intende negata) oppure seguire la procedura ordinaria di riconoscimento della personalità giuridica secondo quanto disposto dal d.P.R. n. 361/2000.[18]
Come terza scelta, naturalmente, l’ente potrà sempre decidere di operare come ente non riconosciuto.
2.2. Il polo dell’interesse generale
Il CTS descrive, dunque, gli Enti del Terzo settore come un insieme di soggetti giuridici dotati di requisiti specifici, sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione, aventi come unico scopo il perseguimento del bene comune mediante lo svolgimento di «attività di interesse generale», in assenza di finalità lucrative.
Un ente non lucrativo, allora, per essere qualificato come ETS deve necessariamente svolgere in via principale o esclusiva un’attività di interesse generale.
Richiamando quanto già sopra precisato in merito a questo specifico aspetto, ai fini di una più precisa e puntuale chiarezza espositiva, si ritiene utile rilevare, sommariamente, come l’interesse generale sopra richiamato sia proprio quell’interesse che riguarda l’individuo come membro del pubblico.
Solo quando questo interesse viene reso “pubblico” dai pubblici poteri – perché è stato incorporato in una norma o perché reso oggetto di scelte politiche o comunque di un’azione pubblica – allora lo stesso può assumere la qualifica di interesse pubblico.
Gli Enti del Terzo settore sono, allora, “terzi” sia rispetto ai soggetti pubblici, che perseguono interessi pubblici appositamente individuati, sia rispetto ai privati che perseguono, appunto, interessi privati.
Attualmente, dunque, nel nostro panorama sociale possono ritenersi esistenti tre grandi poli di interessi: il polo degli interessi pubblici, rappresentato dai soggetti di cui all’art.1, co. 2, D.lgs. n. 165/2001 e quindi dalle amministrazioni dello Stato (all’interno delle quali devono essere ricompresi anche soggetti giuridici come le scuole, le Università, le Camere di commercio, ecc.), dalle Regioni e dai Comuni; il polo degli interessi privati, rappresentato da tutti i soggetti privati che perseguono fini diversi da quelli propri degli Enti del Terzo; ed infine il polo dell’interesse generale, rappresentato dagli ETS.
3. Enti del Terzo settore e Pubbliche Amministrazioni
Esaurita la disamina, seppur sommaria, dei tratti salienti e delle peculiarità proprie degli Enti del Terzo settore nei termini in cui si è detto nei paragrafi che precedono, occorre ora comprendere quale sia l’assetto dei rapporti esistenti tra ETS e Pubbliche Amministrazioni.
Il primo dato normativo che viene in rilievo è l’art. 55 CTS il quale, rubricato “Coinvolgimento degli Enti del Terzo settore”, al comma 1, dispone testualmente: «In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all'articolo 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona».
Con il termine co-programmazione, la norma allude ad un particolare procedimento amministrativo finalizzato all’individuazione, da parte della P.A., dei bisogni da soddisfare, degli interventi da effettuare e delle modalità da adottare, tenendo conto delle risorse disponibili. Tale procedimento è suddiviso in diverse fasi: iniziativa, individuazione e nomina del responsabile del procedimento, pubblicazione dell’avviso, attività istruttoria, conclusione.
La co-progettazione, invece, richiama un procedimento amministrativo volto «alla definizione e alla realizzazione di specifici progetti di servizio di intervento finalizzati a soddisfare bisogni individuati nella programmazione. L’amministrazione, in tal caso, indice un procedimento con il quale da avvio al procedimento di cui alla L.241/1990, approva gli atti e pubblica l’avviso. Tale procedimento si articola in diverse fasi: iniziativa; pubblicazione dell’avviso; istituzione dell’elenco degli enti accreditati; svolgimento di sessioni di co-progettazione; conclusione della procedura ad evidenza pubblica; sottoscrizione del patto di accreditamento»[19].
Fin dal titolo, l’art. 55 CTS pone, dunque, il senso di un cambiamento profondo nel rapporto fra polo degli interessi pubblici e polo dell’interesse generale. Il termine coinvolgere – che già di per sé implica necessariamente una partecipazione – viene ulteriormente rafforzato dall’aggiunta dell’aggettivo “attivo”: proprio questa partecipazione concreta ed effettiva cui gli ETS sono chiamati trasforma le funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale, proprie della P.A., in funzioni di co-programmazione e co-progettazione[20], con la massima attuazione dei principi fondamentali dell’azione amministrativa, primo fra tutti quello di sussidiarietà orizzontale.
Ulteriore strumento utilizzabile della pubblica amministrazione per coinvolgere gli enti del Terzo settore è, poi, la convenzione prevista dagli artt. 56 e 57 CTS.
Ai sensi dell’art. 56, co. 1, CTS, infatti, le Pubbliche Amministrazioni possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e con le associazioni di promozione sociale (iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore) convenzioni volte allo svolgimento in favore di terzi (e, dunque, non degli associati) di attività o servizi sociali di interesse generale, a patto che tali convenzioni si rivelino più favorevoli rispetto al ricorso al mercato[21].
Inoltre, a norma dell’art. 57, co. 1, CTS, i servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza possono essere, in via prioritaria, oggetto di affidamento in convenzione alle organizzazioni di volontariato.
Si tratta, pertanto, in tutti i casi sopra descritti, di un’applicazione dell’art. 118, co. 4, Cost. che valorizza ed agevola la possibile convergenza su «attività di interesse generale» fra la P.A. e gli Enti del Terzo settore.
Gli artt. 114, co. 1[22], e 118, co. 4[23], Cost. consentono, poi, una ulteriore puntualizzazione.
Essendo l’elenco dei soggetti pubblici (Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni) di cui all’art. 118, co. 4, Cost. perfettamente sovrapponibile a quello contenuto nell’art. 114, co.1, Cost. – articolo che, a sua volta, individua i soggetti che costituiscono la Repubblica – la diretta conseguenza che ne deriva è che quel primo elenco può essere sostituito in toto con il termine Repubblica.
Proprio questa sostituzione di termini rende evidente l’importanza che la Costituzione attribuisce, nello svolgimento di attività di interesse generale, all’iniziativa autonoma dei cittadini.
D’altronde, pure nei primi articoli della Carta costituzionale (es: art. 2, art. 3, art. 5, art. 9) proprio la “Repubblica” – intesa anche come insieme di soggetti pubblici e privati che compongono la comunità nazionale – figura come il soggetto cui si sono voluti attribuire compiti di rilievo per l’intera comunità nazionale.
Sono dunque “Repubblica”, in questa prospettiva, tutti i corpi intermedi e quindi, ad esempio, le autonomie funzionali (Università, Scuole, Camere di commercio), le organizzazioni di rappresentanza degli interessi economici degli associati (ordini professionali, organizzazioni sindacali, associazioni datoriali) e tutti i soggetti che perseguono scopi di natura sociale, culturale e religiosa attraverso attività di interesse generale.
Ne deriva che gli enti del Terzo Settore quando svolgono attività di interesse generale sono “cittadini associati”, quindi destinatari del sostegno dei soggetti pubblici ai sensi dell’art. 118, co. 4, Cost. e dell’art. 55 CTS.
Dall’altro lato, però, essendo Repubblica secondo la nuova lettura che può darsi dell’art. 118, co. 4, Cost. spetta ad essi anche il compito di favorire – in nome del principio di sussidiarietà – autonome iniziative dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale[24].
3.1. Focus: Il principio di sussidiarietà orizzontale
Come si noterà, appare quasi ridondante nella trattazione che precede il richiamo al principio di sussidiarietà.
La sussidiarietà orizzontale, d’altronde, governa il rapporto tra iniziativa privata e intervento pubblico, giustificando e ammettendo il secondo solo nel caso in cui i soggetti privati, anche associati, non siano in grado di soddisfare determinati interessi meritevoli di tutela.
Affinché possa parlarsi di sussidiarietà orizzontale è necessario, poi, che vengano a coesistere tre elementi[25]: a) l’autonoma iniziativa del privato - inteso sia come singolo che come associato – in ambiti in cui o l’intervento pubblico non è obbligatorio o, se pure obbligatorio, è comunque carente o nel caso in cui la stessa P.A. decida di ritirarsi da un determinato settore; b) l’interesse generale; c) azione volontaria e non finalizzata a scopi di lucro.
Le Pubbliche Amministrazioni, inoltre, hanno rapporti votati al principio di sussidiarietà con il polo dell’interesse generale, in modo e con strumenti diversi a seconda dei due sottoinsiemi che costituiscono quest’ultimo.
Ed invero, nel polo dell’interesse generale, il primo sottoinsieme è costituito proprio dal complesso degli ETS con cui la collaborazione (co-programmazione e co-progettazione) è disciplinata dal principio di sussidiarietà e dall’art. 55 CTS. Il secondo, invece, è rappresentato dai cittadini attivi, singoli e associati, che svolgono attività di interesse generale, con cui la collaborazione è disciplinata dai Regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni e dai relativi patti di collaborazione.
Gli ETS possono, a loro volta, dare attuazione al principio di sussidiarietà sostenendo proprio i cittadini attivi nelle attività di tutela del bene comune. E questi ultimi, anche grazie a questo supporto, possono stipulare patti di collaborazione per la cura dei beni comuni con le Amministrazioni.
L’art. 55 CTS, può, allora, ad ogni buon diritto, essere descritto come «la più compiuta realizzazione normativa del principio di sussidiarietà orizzontale che impronta le relazioni con le pubbliche amministrazioni in termini di collaborazione»[26].
3.2. La Corte costituzionale ed il “canale di amministrazione condivisa”
La sentenza della Corte costituzionale n. 131/2020 – sentenza salutata da dottrina e giurisprudenza come una pietra miliare del nostro panorama giuridico – affronta proprio il problema dell’individuazione dei rapporti esistenti tra Pubbliche Amministrazioni ed Enti del Terzo settore.
La controversia trae origine dall’impugnazione di una legge regionale che include le cooperative di comunità tra le società cooperative. La contestazione muove dall’assunto che, in questo modo, la suddetta legge, avrebbe ampliato il novero dei soggetti qualificabili come ETS, posto che, stando alla disciplina contenuta nel CTS, vi dovrebbero rientrare sì le società cooperative ma non le cooperative di comunità.
La Corte costituzionale, ai fini della risoluzione della controversia de qua, ritiene doveroso soffermarsi sulla portata dell’art. 55 CTS.
Come già sottolineato in precedenza, può certamente evidenziarsi come il principio di sussidiarietà orizzontale abbia permesso all’ordinamento di superare l’idea – oramai anacronistica – secondo cui solo l’azione del pubblico sarebbe idonea allo svolgimento di attività di interesse generale, andando a riconoscere tale proprietà anche alla cd. cittadinanza attiva.
Esistono, dunque, a norma dell’art. 55 CTS, delle relazioni di natura collaborativa che rispondono a logiche certamente diverse sia da quelle autoritative che da quelle di concorrenza ma che, comunque, hanno pari dignità giuridica[27].
La sentenza, dunque, permette alla co-programmazione e alla co-progettazione di trovare pieno riconoscimento «come la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici [alternativo a quello del profitto e del mercato]: secondo le disposizioni specifiche delle leggi di settore e in coerenza con quanto disposto dal codice medesimo, agli ETS, al fine di rendere più efficace l'azione amministrativa nei settori di attività di interesse generale definiti dal CTS, è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell'interesse generale. […]Gli ETS, in quanto rappresentativi della "società solidale" […] sono quindi in grado di mettere a disposizione dell'ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un'importante capacità organizzativa e di intervento […] Si instaura, in questi termini, tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell'art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico»[28]. Il modello configurato dall'art. 55 CTS, infatti, si basa, esclusivamente, sulla comunanza di obiettivi e sull'unione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi volti ad ampliare i livelli di coesione e protezione sociale.
Lo specifico modello di condivisione della funzione pubblica delineato dal richiamato art. 55 CTS – precisa la Corte costituzionale – è però riservato in via esclusiva agli enti che rientrano nel perimetro tracciato dall’art. 4 CTS: «Infatti, la originale e innovativa (nella sua attuale ampiezza) forma di collaborazione che si instaura mediante gli strumenti delineati dall’art. 55 CTS richiede, negli enti privati che possono prendervi parte, la rigorosa garanzia della comunanza di interessi da perseguire e quindi la effettiva “terzietà” (verificata e assicurata attraverso specifici requisiti giuridici e relativi sistemi di controllo) rispetto al mercato e alle finalità di profitto che lo caratterizzano»[29].
Fra gli aspetti più interessanti della citata sentenza[30], inoltre, può certamente annoverarsi il tentativo di delimitazione degli ambiti di attività di “interesse generale” in cui possono essere concluse le convenzioni con organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale (art. 56 CTS) e le convenzioni per il trasporto di emergenza ed urgenza (art. 57 CTS).
3.3. Le linee guida sul rapporto tra P.A. ed enti del Terzo settore (decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 72 del 31 marzo 2021)
Con il decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 72 del 31 marzo 2021 sono state adottate le linee guida sul rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed Enti del Terzo settore, disciplinato dagli articoli 55, 56, 57 D.lgs. n. 117/2017.
Tale documento si prefigge lo scopo di fornire un supporto alle Pubbliche Amministrazioni nell’applicazione degli istituti delineati dagli artt. 55, 56 e 57 CTS.
In particolare, prendendo le mosse dagli importanti arresti giurisprudenziali formatisi all’indomani della sentenza della Corte costituzionale n. 131/2010 che valorizza la qualificazione degli ETS «come un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici (art. 4), rivolti a «perseguire il bene comune» (art. 1), a svolgere «attività di interesse generale» (art. 5), senza perseguire finalità lucrative soggettive (art. 8), sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione (art. 11) e a rigorosi controlli (articoli da 90 a 97)», le linee guida definiscono le modalità attraverso cui le Pubbliche Amministrazioni possono assicurare il coinvolgimento attivo degli ETS nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione, a livello territoriale, degli interventi e dei servizi in attività di interesse generale.
Il CTS, d’altronde, muove dalla considerazione che le finalità proprie degli ETS (civiche, solidaristiche e di utilità sociale e, dunque, non lucrative) siano fra loro omogenee e del tutto convergenti con quelle proprie della P.A. (attività di interesse generale): la logica conseguenza che ne deriva è, allora, la non automatica applicazione di schemi procedimentali che richiedono, invece, la competizione e lo scambio sinallagmatico.
Le Linee guida si compongono di sei paragrafi.
Il primo paragrafo contiene un inquadramento generale degli istituti previsti dal Codice del Terzo settore e, in particolare, della natura degli ETS. Tale inquadramento generale consente di tracciare una linea di demarcazione tra gli istituti di cui al D. lgs. n. 117/2017 e le procedure di gara tradizionalmente impiegate per l’affidamento di beni e servizi da parte della P.A.
Richiamando il diritto euro-unitario, il decreto ministeriale evidenzia la incontestabile differenza esistente tra ETS e altri operatori economici e, dunque, la differenza tra principio di concorrenza e principi di solidarietà e coesione sociale.
A tal uopo, le Linee guida sottolineano che, mentre nelle procedure d’appalto gli enti pubblici definiscono puntualmente tutti gli elementi e gli aspetti che i concorrenti sono chiamati a soddisfare, negli istituti espressione della sussidiarietà orizzontale (artt. 55, 56 e 57 CTS), Pubbliche Amministrazioni ed enti non lucrativi sono chiamati a condividere la costruzione del progetto o dell’attività da realizzarsi, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, cooperazione, omogeneità, efficacia, efficienza, economicità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’azione della P.A.
Il secondo paragrafo è dedicato al procedimento di co-programmazione: trattasi di una funzione fondamentale nell’attivazione di schemi collaborativi, poiché attraverso di essa e secondo procedure trasparenti e facilmente accessibili, P.A. ed ETS individuano i bisogni e le esigenze cui fornire risposta, con successiva allocazione delle risorse ritenute necessarie per la realizzazione di obiettivi di interesse generale da conseguirsi mediante la cooperazione degli Enti del Terzo settore.
Il terzo paragrafo si sofferma, invece, sul procedimento di co-progettazione, funzionale alla realizzazione degli interventi e delle attività necessarie in relazione ai bisogni e agli interessi individuati nella fase precedente. Anche in questa fase la P.A. ha l’obbligo di pubblicizzare un avviso pubblico sulla base del quale raccogliere i relativi progetti.
A differenza di quanto avviene nelle procedure ad evidenza pubblica in cui i progetti vengono valutati secondo una logica competitiva, le proposte progettuali devono essere qui analizzate «alla luce dei principi di trasparenza, di parità di accesso, di proporzionalità e di buon andamento della P.A., nonché in base alla loro capacità o meno di rispondere all’esigenza che in quel determinato momento e territorio è espressa nella e dalla comunità locale»[31].
Il quarto paragrafo, soffermandosi sulla convenzione ex art. 56 CTS, sottolinea come la P.A. possa servirsi di questo strumento solo quando sia più favorevole rispetto al ricorso al mercato e purché risultino coinvolte organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale e tutto ciò solo per la realizzazione di attività e servizi sociali di interesse generale. Il decreto, poi, specifica come tali convenzioni possano prevedere esclusivamente il rimborso delle spese sostenute dall’associazione, rifuggendo qualsiasi rapporto sinallagmatico tra P.A. e organizzazioni non lucrative coinvolte.
Il quinto paragrafo contiene le indicazioni circa la stipula delle convenzioni relative al trasporto sanitario di emergenza e urgenza che, in via prioritaria, può essere affidato alle sole organizzazioni di volontariato.
Da ultimo, il sesto paragrafo si occupa degli obblighi di trasparenza e pubblicità (come, ad esempio, l’indizione del procedimento con determina assunta dall’organo competente; la pubblicazione degli atti della procedura; la pubblicazione dei verbali delle operazioni) che devono caratterizzare i rapporti di natura collaborativa tra P.A. ed enti non lucrativi.
4. Conclusioni
Quanto oggetto di trattazione nei paragrafi che precedono rende evidente l’importanza assoluta che le linee guida sul rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed Enti del Terzo sono destinate ad assumere nel nostro panorama giuridico.
Senza porre alcuna soluzione di continuità con il decisum della Corte costituzionale, con questo intervento, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha di fatto garantito la realizzazione di servizi ed interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si pone al di là del mero scambio utilitaristico.
[1] Per un’analisi più approfondita F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2017, 147 e ss.
[2] Secondo la rubrica dell’art. 11 c.c.
[3] A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 2011, 148 e ss.
[4] A titolo esemplificativo, comitati ed associazioni non riconosciute.
[5] R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, Torino, 2019, 17.
[6] ivi, 18.
[7] A titolo meramente esemplificativo si rileva come alle associazioni non riconosciute fossero preclusi gli acquisti mortis causa, gli acquisti immobiliari (anche se a titolo oneroso) e a titolo di donazione. Inoltre, l’irrilevanza giuridica interna propria degli enti senza scopo di lucro non riconosciuti faceva sì che tanto il regolamento interno quanto i rapporti tra ente ed associati fossero sottratti alla regolamentazione normativa.
[8] Non potendo vantare alcuna rilevanza giuridica né esterna né interna, non solo delle obbligazioni dell’ente rispondeva esclusivamente colui il quale le avesse personalmente assunte ma pure gli accordi tra gli associati rimanevano sprovvisti di tutela. In questo modo, enti che potevano comunque costituirsi in nome della libertà di associazione, erano considerati giuridicamente inesistenti dallo Stato.
[9] La protezione dell’ente è imposta dall’art. 2 Cost. a prescindere dalla tipologia di ente.
[10] La disciplina di cui al d.P.R. n. 361/2000 individua una soluzione intermedia tra quella posta dal Libro V per le società e quella posta dal vecchio sistema concessorio: viene preso in prestito il meccanismo dell’iscrizione con effetti costitutivi ma, per ciò che attiene agli enti del Libro I, Titolo II, del Codice civile, il vecchio controllo pubblico viene sostituito con il controllo (delineato in negativo) affidato agli Uffici Territoriali del Governo.
[11] Come noto, il Governo ha esercitato solo tre delle quattro deleghe conferitegli, rinunciando al riordino della disciplina contenuta nel Libro I, Titolo II, c.c.
[12] Art. 4, co. 1, D.lgs. n. 117/2017: «Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore».
[13] Art. 5, co. 1, CTS: «Gli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali incluse le cooperative sociali, esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Si considerano di interesse generale, se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l'esercizio, le attività aventi ad oggetto:
a) interventi e servizi sociali ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 2, della legge 8 novembre 2000, n. 328, e successive modificazioni, e interventi, servizi e prestazioni di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, e alla legge 22 giugno 2016, n. 112, e successive modificazioni;
b) interventi e prestazioni sanitarie;
c) prestazioni sociosanitarie di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001, e successive modificazioni;
d) educazione, istruzione e formazione professionale, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, e successive modificazioni, nonché le attività culturali di interesse sociale con finalità educativa;
e) interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell'ambiente e all'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, con esclusione dell'attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi, nonché alla tutela degli animali e prevenzione del randagismo, ai sensi della legge 14 agosto 1991, n. 281; (1)
f) interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni;
g) formazione universitaria e post-universitaria;
h) ricerca scientifica di particolare interesse sociale;
i) organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale di cui al presente articolo;
j) radiodiffusione sonora a carattere comunitario, ai sensi dell'articolo 16, comma 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni;
k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;
l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo, alla prevenzione del bullismo e al contrasto della povertà educativa;
m) servizi strumentali ad enti del Terzo settore resi da enti composti in misura non inferiore al settanta per cento da enti del Terzo settore;
n) cooperazione allo sviluppo, ai sensi della legge 11 agosto 2014, n. 125, e successive modificazioni;
o) attività commerciali, produttive, di educazione e informazione, di promozione, di rappresentanza, di concessione in licenza di marchi di certificazione, svolte nell'ambito o a favore di filiere del commercio equo e solidale, da intendersi come un rapporto commerciale con un produttore operante in un'area economica svantaggiata, situata, di norma, in un Paese in via di sviluppo, sulla base di un accordo di lunga durata finalizzato a promuovere l'accesso del produttore al mercato e che preveda il pagamento di un prezzo equo, misure di sviluppo in favore del produttore e l'obbligo del produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali, in modo da permettere ai lavoratori di condurre un'esistenza libera e dignitosa, e di rispettare i diritti sindacali, nonché di impegnarsi per il contrasto del lavoro infantile;
p) servizi finalizzati all'inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori e delle persone di cui all'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale, di cui all'articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 6 giugno 2016, n. 106;
q) alloggio sociale, ai sensi del decreto del Ministero delle infrastrutture del 22 aprile 2008, e successive modificazioni, nonché ogni altra attività di carattere residenziale temporaneo diretta a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali, formativi o lavorativi;
r) accoglienza umanitaria ed integrazione sociale dei migranti;
s) agricoltura sociale, ai sensi dell'articolo 2 della legge 18 agosto 2015, n. 141, e successive modificazioni;
t) organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche;
u) beneficenza, sostegno a distanza, cessione gratuita di alimenti o prodotti di cui alla legge 19 agosto 2016, n. 166, e successive modificazioni, o erogazione di denaro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale a norma del presente articolo».
v) promozione della cultura della legalità, della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata;
w) promozione e tutela dei diritti umani, civili, sociali e politici, nonché dei diritti dei consumatori e degli utenti delle attività di interesse generale di cui al presente articolo, promozione delle pari opportunità e delle iniziative di aiuto reciproco, incluse le banche dei tempi di cui all'articolo 27 della legge 8 marzo 2000, n. 53, e i gruppi di acquisto solidale di cui all'articolo 1, comma 266, della legge 24 dicembre 2007, n. 244;
x) cura di procedure di adozione internazionale ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184;
y) protezione civile ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni;
z) riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata.
[14] S. CAMICIA, La recente disciplina del rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed Enti del Terzo settore, 15 aprile 2021, in www.filodiritto.com.
[15] Art. 45, co.1, CTS.
[16] R. GIOVAGNOLI, op. cit., 27.
[17] Art. 22, co. 4, CTS: «Si considera patrimonio minimo per il conseguimento della personalità giuridica una somma liquida e disponibile non inferiore a 15.000 euro per le associazioni e a 30.000 euro per le fondazioni. Se tale patrimonio è costituito da beni diversi dal denaro, il loro valore deve risultare da una relazione giurata, allegata all'atto costitutivo, di un revisore legale o di una società di revisione legale iscritti nell'apposito registro».
[18] R. GIOVAGNOLI, op. cit., 25.
[19] L. FACONDINI, Le Linee guida sul rapporto tra Pubblica Amministrazione ed enti del Terzo settore, 10 maggio 2021, in www.diritto.it.
[20] Per F. SCALVINI, Una nuova stagione. Il Codice del Terzo Settore e le relazioni tra enti del Terzo Settore e le Pubbliche Amministrazioni, Welfare Oggi, 2/2018, si parla di funzioni pubbliche la cui titolarità rimane in capo alla P.A. procedente ma il cui svolgimento viene condiviso con Enti del Terzo settore, applicando il modello dell’amministrazione condivisa.
[21] Art. 56, co. 1, CTS: «Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore, convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato».
[22] Art. 114, co. 1, Cost.: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».
[23] Art. 118, co. 4, Cost: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
[24] Così G. ARENA, Sussidiarietà orizzontale ed enti del Terzo Settore, 29 dicembre 2020, in www.secondowelfare.it, in cui si legge: «Ne deriva che il sostegno che i soggetti pubblici forniscono agli enti del Terzo Settore intesi come Repubblica per consentire loro di adempiere a tale responsabilità nei confronti dei cittadini attivi costituisce per tali soggetti pubblici uno dei modi con cui essi possono dare attuazione al principio di sussidiarietà. Anziché sostenere direttamente i cittadini attivi, sostengono gli enti del Terzo Settore che in vari modi a loro volta “favoriscono” le autonome iniziative dei cittadini attivi per lo svolgimento di attività di interesse generale. […] In un certo senso, è come se gli enti del Terzo Settore fossero bifronti. Da un lato sono cittadini associati che la Repubblica (intesa come apparato istituzionale) deve sostenere quando svolgono attività di interesse generale. Dall’altro lato, cioè dal punto di vista dei cittadini attivi, sono “Repubblica” in senso materiale e quindi devono essi stessi “favorire” le autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale. In questa prospettiva, pertanto, gli enti del TS si assumono una responsabilità pubblica, alla pari con i soggetti pubblici, per l’attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà».
[25] R. GIOVAGNOLI, Compendio di diritto amministrativo, Torino, 2020, 168.
[26] F. GIGLIONI, L’Amministrazione condivisa è parte integrante della Costituzione italiana, 6 luglio 2020, in www.labsus.org.
[27] La sentenza della Corte Costituzionale n. 131/2020 prende le distanze, dunque, dalla posizione assunta dal Consiglio di Stato con parere del 20 agosto 2018, n. 2052 secondo cui l’art. 55 CTS si pone in contrasto con il codice dei contratti pubblici che muove, invece, dal presupposto che i soggetti privati – ai fini della conclusione di un contratto pubblico per l’affidamento o la concessione di un servizio – debbano concorrere tra loro per acquisire la qualità di controparte contrattuale della P.A.
[28] Così in Terzo settore: Sentenza della Consulta n. 131 del 2020 sui rapporti tra ETS e pubbliche amministrazioni, in www.temi.camera.it.
[29] Corte cost., sent. 26/06/2020, n. 131, in www.cortecostituzionale.it.
[30] Cfr. E. ROSSI, Il fondamento del Terzo settore è nella Costituzione. Prime osservazioni sulla sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale”, in Forum costituzionale, 3/2020.
[31] A. SANTUARI, Le Linee guida ministeriali sugli istituti giuridici di cooperazione tra PA e ETS, 20 aprile 2021, in www.welforum.it.
Bibliografia e sitografia
ARENA G., Sussidiarietà orizzontale ed enti del Terzo Settore, 29 dicembre 2020, in www.secondowelfare.it.
CAMICIA S., La recente disciplina del rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed Enti del Terzo settore, 15 aprile 2021, in www.filodiritto.com.
FACONDINI L., Le Linee guida sul rapporto tra Pubblica Amministrazione ed enti del Terzo settore, 10 maggio 2021, in www.diritto.it.
GAZZONI F., Manuale di diritto privato, Napoli, 2017, 147 e ss.
GIGLIONI F., L’Amministrazione condivisa è parte integrante della Costituzione italiana, 6 luglio 2020, in www.labsus.org.
GIOVAGNOLI R., Compendio di diritto amministrativo, Torino, 2020.
ID., Manuale di diritto civile, Torino, 2019, 17.
ROSSI E., Il fondamento del Terzo settore è nella Costituzione. Prime osservazioni sulla sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale”, in Forum costituzionale, 3/2020.
SANTUARI A., Le Linee guida ministeriali sugli istituti giuridici di cooperazione tra PA e ETS, 20 aprile 2021, in www.welforum.it.
SCALVINI F., Una nuova stagione. Il Codice del Terzo Settore e le relazioni tra enti del Terzo Settore e le Pubbliche Amministrazioni, Welfare Oggi, 2/2018.
TORRENTE A. – SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, Milano, 2011, 148 e ss.
Decisioni della Corte costituzionale
Corte cost., 26 giugno 2020, n. 131, in www.cortecostituzionale.it.